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Giurisprudenza 2001 Consiglio di Stato sez. VI - sentenza 22 gennaio 2001 n. 191

Fatto. In data 2 dicembre 1997, la Somaref S.A., società finanziaria di diritto francese appartenente al gruppo Paribas, comunicava all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi dell'art.16 della legge n.287 del 1990, un'operazione di concentrazione in virtù della quale acquisiva dal gruppo DANONE il controllo della Società Agnesi S.p.A.. In ordine a tale operazione l'Autorità, con provvedimento del 18 dicembre 1997, decideva di non avviare l'istruttoria, ritenendo che la stessa non determinasse la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante.
Con istanza del 20 ottobre 1999, la Fondazione V. Agnesi chiedeva all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di esaminare e di estrarre copia, ai sensi dell'art.22 e ss. della legge 7 agosto 1990, n.241, della comunicazione di Somaref S.A. e del contratto di trasferimento a quest'ultima delle azioni della Agnesi S.p.A..
Quanto sopra allo scopo dichiarato di verificare se vi fosse stata violazione del diritto di prelazione da essa vantato sui beni della Agnesi S.p.A., diritto al quale la stessa Fondazione si era indotta a rinunciare sul presupposto di un prezzo di vendita probabilmente più alto di quel che sarebbe stato effettivamente praticato all'atto della vendita a Somaref s.a..
Con nota del 30 novembre 1999 l'Autorità negava l'accesso, sul rilievo, da un lato, che la Fondazione istante non poteva considerasi soggetto interessato al procedimento ai sensi dell'art.7 del DPR 30 aprile 1998 n.217, essendo l'interesse dedotto inconferente rispetto all'operazione di concentrazione, dall'altro che i documenti richiesti avevano ad oggetto informazioni riservate, idonee a determinare limitazioni all'accesso ai sensi dell'art.13, commi 2 e 3 del citato DPR n.217/98.
Con ricorso notificato il 30 dicembre 1999, la Fondazione V. Agnesi impugnava detto rifiuto innanzi al TAR del Lazio, per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, sostenendo l'inconferenza del richiamo al D.P.R n.217/98, da parte dell'Autorità, giacché, nel caso concreto essa avrebbe azionato il diritto di accesso non nella qualità di partecipante al procedimento di verifica della concentrazione, ma avvalendosi della normativa generale dell'art.22 e ss. della legge n.241/1990, che consente l'accesso informativo a tutela di interessi rilevanti anche extra procedimentali.
Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso, ritenendo che, nei confronti dell'Autorità, anche successivamente alla modifica introdotta dalla legge 3 agosto 1999, n.265, all'art.23 della legge n.241/1990, l'accesso dovesse essere effettuato secondo i parametri stabiliti dalle disposizioni regolamentari concernenti la materia e, in particolare, dal DPR n.217/1998, che stabilisce regole rigorose a tutela della riservatezza dei dati raccolti, con la conseguenza che, non essendo l'accesso medesimo volto a tutelare il contraddittorio nello specifico procedimento, legittimamente l'Autorità aveva opposto il proprio diniego.
Appella tale decisione la Fondazione ricorrente in primo grado, sostenendo:
1) che il primo giudice avrebbe illegittimamente integrato la motivazione posta a sostegno del provvedimento impugnato;
2) che la questione avrebbe dovuto essere risolta esclusivamente alla stregua dei principi posti dalla legge n.241/1990, non vertendosi in tema di partecipazione al procedimento di valutazione della operazione di concentrazione, bensì del generale diritto a prendere visione di atti in possesso della Pubblica Amministrazione;
3) che, alla luce di detta normativa, non si sarebbe potuto opporre il diritto alla riservatezza di terzi, essendo prevalente quello derivante dalla necessità della conoscenza degli atti per tutelare interessi giuridici rilevanti della richiedente, rispetto al quale non si sarebbe potuto opporre una pretesa specificità dell'Autorità Garante, tenuta anch'essa a sottostare ai principi di carattere generale;
4) che l'interesse sottostante alla richiesta, inerente alla necessità di tutelare in sede civile i diritti di prelazione vantati dalla ricorrente, prevarrebbe, in forza della previsione normativa generale, su quello, eventuale, alla riservatezza di terzi.
Si è costituita l'autorità appellata chiedendo il rigetto del gravame.
Alla Camera di Consiglio del 28 settembre 2000, l'appello è stato introitato per la decisione.

Diritto. 1. L'appellante Fondazione Vincenzo Agnesi si duole della sentenza con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il suo ricorso, rivolto contro il diniego opposto dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato all'istanza di accesso a taluni atti da quest'ultima detenuti (comunicazione di acquisizione da parte della Somaref S.A. della totalità delle azioni della Agnesi S.p.A.; contratto di trasferimento di tali azioni), nell'esercizio dei suoi poteri di valutazione delle operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza.
2. Lamenta, innanzi tutto, la ricorrente che il primo giudice, nel pronunciarsi negativamente sul ricorso da essa proposto, abbia illegittimamente offerto all'Autorità una motivazione ex post a sostegno del diniego, così violando il principio generale dell'inammissibilità dell'integrazione dei motivi dell'atto amministrativo nel corso del giudizio.
2.1. La doglianza è destituita di fondamento.
2.2. Il giudizio in materia di accesso, disciplinato dall'art.25 della legge n.241/1990, non ha carattere impugnatorio bensì si atteggia come rivolto immediatamente all'accertamento della sussistenza o no del diritto dell'istante all'accesso medesimo (cfr. Cons. Stato, VI Sez., 23.2.1999, n.193).
Esso è, dunque, un giudizio sul rapporto, come è reso, del resto, palese dal sesto comma dello stesso art.25, il quale, all'esito del ricorso, prevede che il giudice, "sussistendone i presupposti", ordina l'esibizione dei documenti richiesti, con ciò postulando che tale ordine debba procedere dalla valutazione, in concreto, della esistenza del diritto, alla luce del parametro normativo, indipendentemente dalla maggiore o minore esaustività delle ragioni addotte dall'Amministrazione per giustificare il diniego.
Il che rende, evidentemente irrilevante la circostanza che, per respinge re il ricorso, il primo giudice si sia avvalso di argomentazioni non coincidenti con quelle sviluppate dall'Autorità o integrative di queste ultime.
3. Nel merito, si contesta dall'appellante l'applicabilità, al caso di specie, delle disposizioni concernenti l'accesso, recate dal Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, emanato con DPR 30 aprile 1998 n.217. In particolare, si sostiene che l'istanza in parola, in quanto effettuata a fini informativi, al di fuori del procedimento di valutazione dell'operazione di concentrazione, avrebbe dovuto soggiacere al regime generale di cui agli artt. 22 e segg. della legge n.241/1990 e al DPR n.352/1992, con la conseguenza che, avendo essa dimostrata la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante alla conoscenza degli atti richiesti, per la tutela di una situazione soggettiva concreta, correlata al diritto di prelazione sui beni oggetto dell'operazione di concentrazione, tale interesse avrebbe dovuto essere considerato prevalente, ai sensi dell'art.24 della legge citata, sull'eventuale diritto di riservatezza dei terzi, senza che vi fosse spazio per invocare il più rigoroso regime di segretezza recato dagli artt. 12 e 13 del menzionato DPR n.217/1998, operante solo all'interno degli specifici procedimenti.
3.1. L'assunto non può essere condiviso.
3.2. In disparte il rilievo che la tesi sostenuta dall'appellante condurrebbe alla illogica conseguenza che la documentazione in possesso dell'Autorità Garante dovrebbe considerarsi, ai fini dell'accesso, sottoposta ad un duplice regime, a seconda che la sua esibizione sia richiesta nell'ambito di un procedimento rientrante nella competenza dell'Autorità stessa e da uno dei soggetti partecipanti al procedimento (nel qual caso si applicherebbero i più rigorosi criteri di cui al DPR n.217/98), ovvero da terzi, per la tutela di interessi non coinvolti nel procedimento medesimo, sta di fatto che, anche ove si abbia riguardo alla sola disciplina generale invocata dalla Fondazione, non potrebbe riconoscersi alla stessa, nel caso concreto, la legittimazione all'accesso.
3.3. Va ribadito, al riguardo, che l'intera disciplina dell'accesso è stata introdotta dal legislatore del 1990 per garantire il controllo dell'efficienza e dell'imparzialità' dell'azione amministrativa da parte dei soggetti comunque titolari di un interesse giuridico a verificare la correttezza dell'azione stessa.
In questa logica, l'oggetto del diritto di accesso è stato individuato, in via di principio, nei "documenti amministrativi" ovvero, secondo la definizione dell'art.22, secondo comma, della legge n.241/90 negli atti "formati" dalla pubblica amministrazione, che è il soggetto destinatario dell'esercizio del diritto stesso.
Gli atti provenienti dai soggetti privati sono stati equiparati, ai fini dell'accesso, ai documenti amministrativi e, quindi, suscettibili di ostensione, solo se ed in quanto "utilizzati ai fini dell'attività amministrativa", ovverosia allorché, indipendentemente dalla caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto un'incidenza nelle determinazioni amministrative (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16.12. 1998, n.1683), giacché, in tal caso, si è ritenuto che il controllo sul soggetto pubblico e la difesa degli interessi incisi dall'attività amministrativa non possano prescindere dalla conoscenza anche degli atti dei terzi che ne sono stati a presupposto (fermi restando, in ogni caso, i limiti imposti dal diritto di costoro alla riservatezza in rapporto allo spessore dell'interesse alla visione).
Va, invece, escluso che la normativa di cui trattasi possa essere invocata per accedere agli atti dei privati che siano occasionalmente detenuti dell'Amministrazione o siano entrati in possesso di quest'ultima per contiguità o non scorporabilità con documenti direttamente utilizzati per l'attività amministrativa.
Ed, invero, in disparte il già esaminato dato ostativo testuale, si finirebbe, così argomentando, per rendere oggetto di un dovere di ostensione documenti privati non altrimenti esigibili in visione, per la sola circostanza che essi si trovino, senza aver assunto alcun rilievo procedimentale specifico, presso un soggetto pubblico.
3.4. Nel caso di specie, l'interesse posto dalla Fondazione Vincenzo Agnesi a fondamento della richiesta di accedere alla visione e alla estrazione di copia del contratto di trasferimento delle azioni della Agnesi S.p.A. a Somaref S.A. e della comunicazione di quest'ultima all'Autorità ex art.16 della legge 10 ottobre 1990, n.287, si correla, come essa stessa ha dichiarato, alla necessità di accertare se il prezzo effettivo di vendita delle azioni in parola, sia stato, in realtà, inferiore a quello a suo tempo comunicato dalla Egidio Galbani S.p.A. e sulla base del quale essa ebbe a rinunciare al diritto di prelazione di cui godeva. Orbene, da un lato, tale interesse è del tutto eterogeneo rispetto all'attività amministrativa posta specificamente in essere dall'Autorità, dall'altro si dirige verso un elemento documentale (il prezzo di vendita delle azioni), che non è stato né poteva essere utilizzato da detta Autorità nell'esercizio delle competenze specifiche.
Ai fini, infatti, dell'esercizio dei poteri commessi all'autorità dalla legge n.287/1990, circa la ammissibilità o no dell'operazione di concentrazione comunicata, quel che rilevava (argomentando dagli artt. 6 e 16) era, da un lato, l'entità del fatturato totale realizzato dalle imprese interessate, dall'altro, se si fosse costituita o rafforzata una posizione dominante sul mercato nazionale, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Rispetto a tali valutazioni, il prezzo di vendita dell'impresa non ha evidentemente alcun rilievo, onde la richiesta della Fondazione Agnesi si risolve nel trarre occasione dalla mera acquisizione del dato specifico da parte del soggetto pubblico (in quanto incorporato in atti necessari per altri profili), per pretenderne, surrettiziamente, l'ostensione insieme con questi ultimi.
4. Per le considerazioni svolte, l'appello va respinto, con conseguente conferma dell'impugnata sentenza.
Si ravvisano, tuttavia, sufficienti ragioni per compensare tra le parti le spese del grado di giudizio.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


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