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Giurisprudenza 2001 Consiglio di Stato sez. V - sentenza 9 febbraio 2001 n. 584

Fatto. 1) - Con la sentenza impugnata il TAR ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso proposto dall'odierno appellante, da un lato, per l'annullamento della concessione edilizia 17 giugno 1986, n. 24, rilasciatagli dal Comune di Ziano di Fiemme, nella parte in cui il contributo per le opere di urbanizzazione secondaria da corrispondersi era determinato in lire 22.819.000; dall'altro lato, per l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo di versare gli oneri così quantificati e la condanna del Comune stesso a restituire quanto indebitamente percepito a detto titolo; secondo il TAR il ricorso avverso il titolo concessorio anzidetto avrebbe dovuto essere notificato nell'ordinario termine decadenziale mentre, nella specie, il ricorso è stato proposto circa sette anni dopo il rilascio del titolo e il pagamento dei relativi oneri.
2) - Per l'appellante la sentenza sarebbe errata in quanto, vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva su diritti soggettivi, avrebbe dovuto prendersi in considerazione non il termine di decadenza, ma quello di prescrizione.
Nel merito, poi, gli originari motivi, qui ribaditi, avrebbero dovuto essere accolti; nella specie, infatti, si sarebbe trattato della realizzazione di un complesso edilizio di quattro appartamenti caratterizzato non dalla vocazione turistica (il Comune, in applicazione dell'art. 9 delle NTA del PRG, ha classificato gli immobili di categoria C - edilizia residenziale di tipo turistico) ma da elementi propri dell'edilizia economico popolare (categoria A - edilizia residenziale stabile di tipo economico popolare, "in essa comprendendo quelle aventi, di massima, i requisiti previsti per l'edilizia agevolata"), che sconta oneri di urbanizzazione considerevolmente più favorevoli; il Comune, in particolare, non avrebbe reso alcuna motivazione atta a spiegare i motivi per cui era stato operato il contestato classamento; per contro, le caratteristiche strutturali e di densità abitativa della costruzione, la sua dichiarata destinazione all'abitazione permanente di residenti del Comune, consolidata dal fatto che gli appartamenti sono stati venduti a residenti, corroborerebbero la tesi qui sostenuta. Il Comune appellato, ritualmente costituitosi in giudizio, insiste, in memoria, per il rigetto dell'appello perché infondato e per la conferma dell'impugnata sentenza.
Con memoria conclusionale l'appellante ribadisce le proprie tesi difensive.

Diritto. 1) Con il ricorso di primo grado è stata impugnata la concessione edilizia rilasciata a favore dell'odierno appellante nel 1986 per la realizzazione di una edificio residenziale, nella sola parte relativa alla determinazione degli oneri di urbanizzazione.
Il TAR ha ritenuto il ricorso irricevibile per tardività, in quanto notificato alcuni anni dopo il rilascio del titolo edificatorio.
2) - E' da condividere la doglianza con la quale si censura la pronuncia di tardività dell'originario ricorso.
L'azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione può essere intentata a prescindere dall'impugnazione o esistenza dell'atto col quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione (cfr., tra le altre, le decisioni di questa Sezione. 7 giugno 1999, n. 603; 4 dicembre 1990 n. 810; 12 ottobre 1990 n. 716); nella specie non vi è contestazione in merito al rispetto di quest'ultimo termine. 3)- All'ammissibilità del ricorso si ricollega l'esigenza di esaminare le censure svolte in primo grado, in questa sede ribadite dall'originario ricorrente.
Tali censure sono infondate.
Occorre rilevare, invero, che, la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla ad una precisa disciplina regolamentare; con la conseguenza che i provvedimenti applicativi della stessa non richiedono, contrariamente a quanto deduce l'appellante, alcuna puntuale motivazione allorché le scelte operate dall'Amministrazione si conformino ai criteri stessi.
Nel caso in esame, il Comune ha ritenuto che gli appartamenti di cui si tratta fossero riconducibili alla categoria dell'edilizia residenziale di tipo turistico; in tal senso è stato redatto l'originario titolo concessorio che per lungo tempo (circa quattro anni) l'interessato non ha contestato (né ha fatto riserva di contestarlo) e che, dopo una richiesta di restituzione del contributo - avanzata nel 1990 e respinta dal Comune - è stato formalmente impugnato innanzi al TAR solo sette anni dopo il suo rilascio.
Osserva, in particolare, la difesa del Comune che, in effetti, si sarebbe trattato di appartamenti di ridotte dimensioni per i quali la potenziale cubatura destinata ad ogni abitante si avvicinava, ai sensi dell'art. 11 della NTA, agli indici propri delle residenze turistico-stagionali (mc.60 per abitante) e non, invece, a quelli degli edifici destinati a residenza permanente (mc.80 per abitante).
Sul punto si deve rilevare che gli appartamenti in questione (secondo quanto emerge dal progetto dell'edificio, prodotto dal Comune) avevano una superficie di mq.53,00 ciascuno; l'altezza interna di ogni appartamento era di mt.2,45; ciascuna delle due unità abitative sviluppava, quindi, mc.130 circa.
Poiché queste erano composte di due camere, di dimensioni diverse (una che potrebbe definirsi singola e una doppia), soggiorno e servizi, erano previsti, in effetti, almeno tre abitanti per unità abitativa; a ciascuno erano quindi destinati, al massimo, mc.43; valore molto al di sotto di quello previsto per le residenze turistico-stagionali e pari a circa la metà di quello previsto per gli edifici destinati a residenza permanente.
Se anche si volesse ritenere, però, che gli appartamenti in questione fossero destinati a due soli abitanti, si avrebbe, per ciascuno, un valore di mc.65, nettamente inferiore a quello minimo di mc.80 previsto dall'art. 11 come indice abitativo per gli edifici destinati a residenza permanente.
Correttamente, quindi, il Comune ha determinato gli oneri in questione con riferimento alla categoria C - edilizia residenziale di tipo turistico.
Può soggiungersi che l'interessato ha prima venduto gli appartamenti (1987), poi richiesto gli oneri in restituzione (1990); quindi ha agito innanzi al TAR (1993). La richiesta restitutoria del 1990 poggia solo sul fatto che, avendo venduto a residenti, non avrebbe dovuto pagare gli oneri come se si trattasse di complesso turistico; il ricorso di primo grado e l'appello pongono in evidenza, appunto, la circostanza della vendita a residenti quale indice della illegittimità del provvedimento impugnato.
La richiesta restitutoria, peraltro, anche se fondata su tale presupposto, è parimenti infondata; ciò in quanto la determinazione degli oneri attiene a dati oggettivi che, nella specie, portavano, come si è visto a ricomprendere le unità abitative in questione in ctg. C. Ad una diversa soluzione avrebbe potuto pervenirsi se, in sede di rilascio del titolo (come in altre occasioni operato a livello locale) il costruttore si fosse impegnato a vendere a residenti (impegno che, nella specie, non risulta essere stato assunto). Ma certamente non può invocare, per sostenere le proprie pretese, un fatto occasionale, avvenuto un anno dopo il rilascio del titolo (vendita a residenti i cui certificati di residenza prodotti in giudizio, tra l'altro, risalgono solo al 1993).
Nulla impedisce, del resto, che i residenti possano acquistare immobili nuovi per poi locarli a terzi (turisti etc., visto che si tratta di zona a vocazione turistica); sicché a tale occasionale vendita non può assegnarsi alcun decisivo rilievo in merito alla qualificazione della natura degli immobili in questione.
Quello che il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare era che la struttura delle abitazioni consentiva, per gli abitanti, di disporre di almeno mq.80 a testa; ciò che, data la configurazione interna degli appartamenti di cui si è detto, era logicamente da escludere; né il medesimo ha dedotto che le stesse avessero i requisiti previsti per l'edilizia agevolata. 3) - Per tali motivi, pronunciandosi sull'appello, deve essere rigettato il ricorso di primo grado, a torto dichiarato irricevibile dal T.A.R..
Considerata la piena soccombenza sostanziale, le spese del presente grado, liquidate nel dispositivo possono essere, come di norma, poste a carico dell'appellante, che non aveva titolo a chiedere al giudice superiore una promunzia per sé concretamente più satisfattoria di quella resagli in primo grado, ferma restando la liquidazione delle spese del primo grado operata nella sentenza impugnata.

PQM

il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, pronunciando sull'appello, rigetta, il ricorso di primo grado.
Condanna l'appellante al pagamento, a favore del Comune appellato, delle spese del grado, che liquida in complessive lire 5.000.000(cinquemilioni); ferma restando la liquidazione delle spese di primo grado operata dal TRGA nella sentenza impugnata.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


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