Capitolo 3

Beethoven

3.1 Beethoven

Nel secondo capitolo, per esemplificare l’importanza della musica ‘nuova’ nel pensiero di Adorno, si era riportata una frase di Alessandro Arbo secondo cui il giudizio estetico del filosofo era "illuminato solo dall’alto"(1). In sostanza, nella visione di Adorno la valutazione del presente condizionerebbe retrospettivamente la conformazione generale della storia della musica. In realtà, questa affermazione necessita di una revisione. Facendo strada al sospetto di una visione meramente teleologica della storia della musica in Adorno, Arbo in parte interpreta come retroattivo un atteggiamento fortemente selettivo che il filosofo senza dubbio adotta verso la produzione a lui contemporanea, e in parte introduce indebitamente un elemento di separazione all’interno di quell’unità dialettica che nel francofortese comprende filosofia e musica. Infatti, se pure, come si è già detto, la vicinanza di Adorno alla poetica dell’espressionismo atonale potrebbe far dubitare della sua imparzialità di giudizio (una qualità a cui il filosofo peraltro non teneva affatto), ritengo sia più corretto dire che la sua visione della storia della musica sia guidata dallo sviluppo tecnico del livello compositivo, e che in quest’ottica la sua storia della musica sia quindi ‘illuminata dal basso’, dalle esigenze di volta in volta poste al compositore dal materiale tramandatogli, in altre parole, per usare i termini dello stesso Adorno, dall’oggettività dell’opera. Il contenuto di verità dell’opera non è la relazione che in modo teleologico lega la musica del passato a Schönberg (come implicherebbe l’assunzione del giudizio di Arbo nelle sue estreme conseguenze), ma "la soluzione obbiettiva dell’enigma di ogni singola opera"(2). Una sorta di controprova dell’infondatezza dell’osservazione citata è fornita dalla conclusione del breve saggio su Schönberg Il compositore dialettico (3):

tale esito [l’unicità dell’atteggiamento dialettico di questo compositore nei confronti del materiale musicale] colloca il nome di Schönberg, il massimo musicista vivente, nel paesaggio dove dimora colui che al sogno di libertà impresse per primo suono consapevole: Beethoven. In questo passaggio il compositore dialettico per eccellenza viene subordinato (ma il termine di natura agonistica è ovviamente solo indicativo) ad un modello del secolo passato. In realtà dunque si può dire che Arnold Schönberg è considerato come modello insuperato di coerenza e di responsabilità nell’analisi dell’avanguardia postweberiana e, in relazione agli altri due componenti della Seconda Scuola di Vienna, come il compositore che ha saputo superare l’empasse e aprire nuove strade per la musica; ma per quanto riguarda il passato della musica colta il punto di riferimento, non teleologico, è proprio Ludwig van Beethoven (4). I numerosi casi, i più significativi dei quali illustrerò tra breve,in cui sia singoli compositori ‘classici’ della tradizione sinfonica sia la musica del Novecento nella sua globalità sono collocati in un giudizio il cui secondo termine di paragone è costituito proprio da Beethoven confermano la predilezione di Adorno verso il musicista. Inoltre, assumere la figura di questo compositore, piuttosto che quella di Schönberg, come riferimento primario della filosofia della musica adorniana, mi sembra più corretto in quanto evidenzia un punto di coerenza con un aspetto già sottolineato in relazione alla Dialettica dell’illuminismo. Infatti, come si è fatto notare nel primo capitolo, la periodizzazione della storia della borghesia in Adorno si distingueva da quella marxiana per la collocazione del passaggio da capitalismo liberale a capitalismo avanzato, o monopolistico. Citando Serravezza, si era rilevato che questa diversità rileva una propensione apologetica verso il primo periodo: "l’atteggiamento di Adorno, venato com’è di inflessioni nostalgiche, tende a proiettare nel passato liberale tutti i valori contraddetti dalla società industriale avanzata"(5). Ritengo che il giudizio su Beethoven rispecchi sul piano musicale questa propensione (ma forse sarebbe megli dire che i due piani si rispecchiano a vicenda), anche se in questo caso,trattandosi di un musicista, l’aspetto della ‘visione nostalgica’ non si può definire "storiograficamente poco controllato",e il "carattere quasi mitico" (6) è limitato alle espressioni verbali e non si estende alla sostanza dei giudizi. Se, come si è illustrato nei capitoli precedenti, la dialettica di soggetto e oggetto forma, nei diversi campi in cui il pensiero di Adorno si sviluppa, un’unità che va oltre (o pretende di andare oltre) la semplice analogia, allora la collocazione di Beethoven come centro di riferimento artistico avrà nella ‘nostalgia’ verso il primo periodo dell’era borghese (quello cosiddetto della borghesia in ascesa o della borghesia rivoluzionaria) un importante parallelo.La prima conferma a quanto detto si trova, come si accennava prima, nelle pagine in cui la musica di Beethoven costituisce il termine di paragone. Nel saggio Schönberg e il progresso Adorno tende ad illuminare il contrasto tra le possibilità espressive di Beethoven in quanto miglior rappresentante della sua epoca e le condizioni della musica moderna. L’indurimento novecentesco della composizione, che impedisce il rapporto con il pubblico, preclude dal punto di vista estetico il raggiungimento della realtà esterna, che invece costituiva il contenuto della musica beethoveniana: "nessun genere di musica potrebbe parlare oggi col tono de ‘il ciel v’arrida in questa vita’"(7). Per quanto il tono di questa pagina possa dare adito al sospetto della nostalgia per un mondo perduto, occorre sottolineare che il ragionamento è improntato all’assunzione piena delle conseguenze della perdita dell’elemento umano che la società impone all’artista e non alla volontà di recupero: Ogni tentativo di riconquistarle [alla musica] con un colpo di mano questo contenuto, dal momento che la struttura musicale come tale se ne tiene avulsa, si cava per lo più d’impaccio con l’attualità più superficiale e meno impegnativa del materiale. [...] Alla musica avanzata non resta altro che persistere nel proprio indurimento, senza concessioni a quell’elemento umano che, là dove continua ad esercitare le sue lusinghe, essa riconosce come maschera dell’inumanità.(8) Più avanti, in un passo decisamente centrale per la dialettica della musica adorniana, ovvero nell’analisi del ‘trapasso all’illibertà’ compiuto con l’organizzazione dodecafonica del materiale musicale, la figura di Beethoven torna in campo come incarnazione musicale di quella comparsa del Soggetto che aveva nell’ascesa della classe borghese la sua manifestazione storica. Se nella pratica dodecafonica il soggetto isolato rispecchia (e nel contempo critica) la prevaricazione dell’organizzazione oggettivante ("il nuovo ordine della dodecafonia estingue virtualmente il soggetto"), al contrario in una società che per contrasto con quella attuale Adorno non esita a definire come genuinamente individualista, "Beethoven riprodusse il senso della tonalità come libertà soggettiva". La perizia organizzativa del metodo di composizione con dodici note non può recuperare "l’interezza perduta, la forza e la necessità, pure perdute", del compositore ottocentesco (9). Nelle argomentazioni di Adorno è sempre evidente che questa mancanza non è dovuta al demerito o all’incapacità dei compositori d’oggi di raggiungere le vette di quelli del passato, ma dal cambiamento del contesto sociale che, come si è visto nel capitolo precedente, sedimentandosi nel materiale musicale, pone determinate questioni, e non altre, al musicista. Chi volesse riproporre l’unità organica del modello beethovenianio non riuscirebbe a sottrarsi alle maglie dell’ideologia: questo pericolo riguarda sia il presente sia il periodo successivo a quello in cui operava Beethoven, come dimostrano i casi di Strawinsky e di Wagner.A proposito del compositore russo, Adorno intende chiarire il "malinteso" che lo identifica come erede di Beethoven nella costruzione di "grandi forme musicali in continuo movimento". In realtà la discordanza tra i due risiederebbe proprio nella qualità degli elementi basilari del processo costruttivo: in Beethoven gli incisi, anche se formule in sé insignificanti di rapporti tonali, sono pur sempre determinati ed hanno un’identità. Eludere quest’identità è uno dei compiti primari della tecnica strawinskyana di immagini musicali arcaiche.(10) Questo cambiamento ha conseguenze radicali sulla qualità dello sviluppo e quindi sulla dinamica musicale: Strawinsky, non proponendo un chiaro elemento individuale, non ha alcun tema da condurre, attraverso la dissoluzione e la variazione, verso il ‘compimento di una storia’, deve limitarsi alla mera ripetizione. Strawinsky gira sempre intorno ad un germe tematico latente e implicito (e di qui derivano le irregolarità metriche), senza pervenire ad una formulazione definitiva.(11) Strawinsky si allontana dal principio dinamico soggettivo di un elemento univocamente prestabilito, e impiega una tecnica di assaggi permanenti, che sembra cerchino a tentoni ciò che in realtà non possono né raggiungere né trattenere. La sua musica non conosce il ricordo, e perciò nemmeno la continuità temporale: essa decorre in riflessi.(12)

A queste considerazioni, in cui sono evidenti i riferimenti al concetto di pseudoindividualità, Adorno aggiunge poco più avanti una conclusione significativa: "l’amorfo non ha nulla in comune con la libertà, ma si assimila all’elemento costrittivo della mera natura".(13) Anche l’accusa principale al metodo compositivo di Richard Wagner, cioè quella di mascherare sotto l’apparenza della dinamica il ritorno del ‘sempre identico’, è derivata dal confronto con l’opera di Beethoven (14). In molti passi del Versuch über Wagner i due autori sono esplicitamente assunti come portavoce dei principali stadi dell’evoluzione della borghesia: Beethoven dello stadio rivoluzionario, Wagner di quello conservatore postquarantottino. Il mutamento è evidente ancora una volta nella distorsione degli elementi dinamici e di quelli individuali. Adorno interpreta la tecnica del Leitmotiv come contrapposta a quello dello sviluppo. A proposito della tecnica wagneriana, Max Paddison scrive di "ontological emphasis on Sein over Werden, and on ‘nature’ over ‘ history’"(15). L’importanza dei raffronti che ho cercato di mettere in luce deriva anche dal fatto che, malgrado la centralità che Beethoven occupa nell’orizzonte musicale e filosofico adorniano, il pensatore non portò mai a termine un’opera monografica sul compositore. In pratica, i contributi al pensiero su Beethoven si limitano ad una grande quantità di singoli riferimenti distribuiti nei saggi musicali (tra i quali spicca il capitolo Mediazione in Introduzione alla sociologia della musica, in parte dedicato all’analisi delle implicazioni sociali del sonatismo beethoveniano), in Dissonanze, con l’importante Straniamento di un capolavoro, nella Teoria estetica, così come in quelli strettamente filosofici, come ad esempio i Tre studi su Hegel e la Dialettica dell’illuminismo. A questi si è aggiunto negli ultimi anni il volume Beethoven. Philosophie der musik (16), una raccolta di Fragmente und Texte presentata dal curatore, Rolf Tiedemann, come progetto e testimonianza della decennale volontà del francofortese di dedicare a Beethoven uno studio completo.

 

3.2 Società

Come ho scritto sopra, nel giudizio di Adorno Beethoven è stato il primo musicista a dare alla parola libertà un suono consapevole. A che cosa si riferisce il filosofo? Prendendo come termine di riferimento il libro di Claudio Casini Beethoven e la libertà nella musica (17) ci si trova subito di fronte a considerazioni di carattere biografico-sociale: Beethoven si mantenne sia vendendo i suoi lavori agli editori sia grazie a pensioni e vitalizi elargiti da alcuni aristocratici compiacenti. Questi rapporti non ebbero mai l’aspetto di contratti di servitù come era usuale per i compositori ‘di corte’, e non condizionarono mai il compositore. "In tal modo si può affermare, scrive Casini, che Beethoven fu il primo musicista tedesco veramente indipendente, libero di dedicarsi alla composizione di ciò che egli stesso giudicava necessario" (18) . Questa condizione gli permise, sempre secondo l’analisi di Casini, di non tener conto delle caratteristiche tradizionali dei generi settecenteschi: "ogni forma tradizionale subì trasformazioni dovute all’esigenza di imporre un atteggiamento del tutto nuovo: non più oggettivo, ma soggettivo, nato dalla volontà di esprimere contenuti interiori e soprattutto derivati da una visione del mondo, dell’umanità, del destino umano e della divinità, nella quale la vita dell’artista veniva a trovarsi al centro della propria opera, e ad esprimere una autobiografia intellettuale e spirituale" (19). Secondo Casini il contenuto di libertà della musica di Beethoven è costituito in parte da ideali libertari di stampo politico e in parte (giudicata prevalente) da "visioni spirituali e trascendenti di libertà". Le evidenti assonanze delle considerazioni appena riassunte con il discorso adorniano sono soltanto superficiali. Il miglior modo per introdurre il pensiero di Adorno su Beethoven è illustrare la breve trattazione sulle implicazioni sociologiche della forma sonata, così come delineate nella Introduzione alla sociologia della musica. Il contesto in cui è inserita l’analisi è la critica alle pretese della sociologia musicale di stampo positivista. Quest’ultima, limitando il suo campo d’indagine alle abitudini dei consumatori (20), sceglie di fatto l’orizzonte quantitativo rispetto a quello qualitativo, rinunciando così implicitamente all’interpretazione sociale dei fenomeni musicali stessi, alla "penetrazione nel loro rapporto sostanziale con la società reale, nel loro interno contenuto sociale"(21). La conseguenza di questo approccio è l’istituzione nel campo degli studi musicali di una dicotomia (che Adorno identifica come una conseguenza della divisione del lavoro) tra l’indagine degli effetti, che in buona misura prescinde dalla musica stessa (22), da una parte e l’estetica e la teoria musicale dall’altra, a cui sono delegati i problemi posti dal materiale musicale. Il superamento di questa dicotomia impone il ripensamento globale del rapporto arte-società. Nel capitolo Mediazione il filosofo delinea con un linguaggio molto equilibrato (lontano ad esempio dai toni della Dialektik) i vantaggi e le limitazioni dell’approccio dialettico al contenuto sociale della musica: è dichiarata decaduta la pretesa che questo rapporto sia ‘dimostrabile al di là di ogni dubbio’; tra fatti sociali ed eventi musicali non esistono comode relazioni biunivoche.

Sembra che una sociologia differenziale della musica sia possibile solo ex post facto, il che la rende problematica dal punto di vista di chi ritiene che un forte pensatore deve pur essere capace di venire a capo di tutto.(23) Non esistono garanzie incontrovertibili del fatto che determinati tratti caratteristici di un compositore si possano ricondurre a determinati mutamenti sociali, nè tantomeno che la conoscenza della composizione dei rapporti sociali di un epoca possa essere una valida premessa da cui dedurre la varietà degli stili compositivi dello stesso periodo. Tuttavia, questa critica della sociologia musicale non chiude le porte alla possibilità di afferrare la verità sociale nell’opera stessa: Chi ascoltando Beethoven non avverte nulla della borghesia rivoluzionaria, non avverte l’eco delle sue parole d’ordine, la difficoltà del suo realizzarsi, la tensione verso quella totalità nella quale dovrebbero essere garantite ragione e libertà, non lo comprende al pari di colui che non è in grado di seguire il contenuto musicale dei suoi pezzi, la ‘storia’ interna dei temi che vivono in essa.(24) Il problema è quello della ridefinizione del rapporto arte-società in chiave non personalistica, ma che evidenzi comunque la priorità della produzione (25). È chiaro dunque che il richiamo di Casini all’importanza della soggettività nella musica di Beethoven, in Adorno diventa importanza del soggetto in quanto soggetto sociale. La possibilità che il singolo musicista, in virtù dei suoi interessi culturali e delle sue inclinazioni caratteriali, raggiunga una posizione autonoma dalla tradizione dei generi musicali non è semplicemente esclusa quanto piuttosto ridimensionata: non esiste un rapporto individuo-società tale da giustificare l’attribuzione a questa autonomia la qualifica di libera scelta. La separatezza, ovvero, in termini dialettici, la immediatezza, contraddice il carattere di libertà della musica inserendolo in una visione ideologica dei rapporti sociali: "lo status quo diventa feticcio"(26). Conseguentemente, nella visione di Adorno l’arte (ma per essere più fedeli all’autore bisognerebbe dire ‘le grandi opere d’arte’, le uniche che si mantengono all’altezza delle richieste del materiale) ha un doppio carattere: un ‘misto’ di fatto sociale e autonomia. L’origine storica del doppio carattere dell’arte coincide con l’emancipazione del soggetto. Scrive Adorno nella Teoria estetica: Senza dubbio, prima dell’emancipazione del soggetto l’arte era in un certo senso più immediatamente un fatto sociale che non dopo. La sua autonomia, che è un rendersi autonoma rispetto alla società, fu una funzione della coscienza borghese di libertà, a sua volta cresciuta insieme con la struttura sociale. Prima che tale coscienza si formasse, l’arte era bensì in sé in contraddizione col dominio sociale e col prolungamento di questo nei ‘mores’, ma non lo era per sé.(27) In questo contesto ha origine quella defunzionalizzazione dell’opera d’arte che si manifesta in una diversa integrazione della stessa nella società borghese, cioè in una autonomia dovuta alla presa di distanza dalla rigida oggettività dei generi tramandati e, infine, nell’essenza critica dell’arte verso la società. Non c’è niente di puro, di integralmente formato secondo la propria legge immanente [queste sono le caratteristiche che la nascente società borghese attribuisce all’arte] che non eserciti una tacita critica, non denunci l’umiliazione fattaci subire da una situazione che si muove verso una totalitaria società di scambio [...]. L’elemento asociale dell’arte è negazione determinata di una società determinata.(28) Queste considerazioni sono riprese nei frammenti di Beethoven. Le due determinazioni, autonomia ed eteronomia, si mediano reciprocamente; secondo Adorno la legge formale di libertà che costituisce la verità estetica del brano determinandolo in ogni suo momento, non è altro che il riflesso della ‘funzione disciplinatrice’ interiorizzato e separato dalla costrizione sociale. Nella musica come arte autonoma il complesso degli effetti non è escluso in modo assoluto, bensì mediato dalla ‘legge formale di libertà’. Man kann sagen, die Autonomie des Kunstwerks entspringe in der Heteronomie, ewta so wie die Freiheit des Subjects in der Souveränität des Herren. Die Kraft, durch die das Kunstwerk sich in sich konstituirt und auf die direkte Einwirkung verzichtet, ist keine andere als verwandelt, die seine Einwirkung; das Gesetz, zu dem es sich selber verhält, kein anderes als das, welches [es] anderen aufzwingt.(29)

Beethoven è il prototipo di questa duplicità. Il discorso di Adorno, considerato unitariamente, si snoda su alcuni punti fondamentali: il carattere sociale del sonatismo e della tonalità nella specificità della tecnica beethoveniana, il parallelo con la filosofia di Hegel e l’interpretazione critica dello Spätstil. In tutti questi aspetti è coinvolto direttamente quello che si potrebbe definire quanto meno come il problema fondamentale del pensiero musicale di Adorno: nella misura in cui egli propone il superamento dell’atteggiamento ‘illuministico’ dell’interpretazione della musica, riesce in effetti a evitare di scivolare, come il filosofo rimprovera all’Aufklärung stessa, nella mera analogia? Che legame c’è tra la visione dialettica dell’integrazione del particolare nel generale e il fatto che, come si è visto nel precedente capitolo, Adorno tende a trascurare l’analisi del particolare musicale? E, infine, questa mancanza viene superata nell’interpretazione dell’opera beethoveniana?

 

3.3 Forma-sonata

Il termine forma-sonata definisce in realtà solo un movimento della sonata complessiva. Secondo l’accezione più frequente (30), si tratta di una forma tripartita composta da esposizione, sviluppo e ripresa. L’esposizione stabilisce la tonalità d’impianto e contiene il materiale tematico, in genere due temi, il primo alla tonica e il secondo alla dominante, collegati da un ponte modulante. Lo sviluppo, per lo meno da Beethoven in poi, è generalmente considerato la parte più libera della forma, quella in cui le convenzioni hanno meno peso e la modulazione si spinge alle tonalità più lontane. Importante, per comprendere il discorso adorniano, è ricordare che "la tecnica di sviluppo consiste nella frammentazione dei temi dell’esposizione e nella loro disposizione in progressioni armoniche e combinazioni nuove"(31). Importante è inoltre il passaggio, chiamato ‘riconduzione’, che terminato lo sviluppo prepara il ritorno alla tonica. Nella ripresa si ha l’esposizione di entrambi i temi nella tonalità di impianto, con conseguente ‘adattamento’ del ponte modulante, che non conduce più alla dominante ma alla tonica. La descrizione sopra riportata costituisce solo una sorta di modello elaborato dai teorici del XIX secolo a scopo esemplificativo e didattico. Nella realtà della prassi ccompositiva, come sostiene il musicologo Charles Rosen, questo modello presenta tante varianti e ‘violazioni’ che sarebbe più corretto parlare di forme-sonata. Tuttavia, considerata la reticenza delle argomentazioni adorniane in materia di riferimenti specifici, ritengo che questo modello sia sufficente ad introdurre l’analisi del suo pensiero. L’elemento critico nodale dell’indagine sulla sonata in Beethoven è la ripresa. La riproposizione tale e quale del tema iniziale al termine dello sviluppo sembra contraddire con gesto autoritario la dinamica del brano. Il nuovo, prodotto incessantemente dalla entwickelnde Variation, rischia di essere smentito dalla ripresa, percepita per contrasto come vuoto residuo formalistico esterno alla forma autorinnovantesi del brano. Per la natura conflittuale della sua struttura, la forma-sonata è l’analogo della societa borghese:

La sospensione del momento dinamico e statico coincide [...] con l’attimo storico di una classe che supera l’ordine statico senza però poter liberamente abbandonare se stessa alla propria dinamica, se non vuole superare se stessa. Se si accetta questa analogia, il carattere di conciliazione di contrasti che la ripresa attribuisce alla forma-sonata costituisce il corrispettivo della dottrina liberale, secondo la quale la società borghese sarebbe costituita da singoli interessi equilibrantisi tra di loro in vista del bene comune. In confronto alla teoria marxiana, per cui invece la borghesia ha nel proletariato il suo irriducibile contraltare dialettico (rappresentato musicalmente dalla ‘spinta’ verso il nuovo della variazione progressiva), il primo complesso teorico assume una qualifica ideologica, di mascheramento della realtà.In realtà, Adorno non offre una lettura univoca della funzione della ripresa. A seconda che assuma più evidenza il carattere autonomo dell’arte o quello eteronomo, a volte la ripresa è presentata come "gesto autoritario" e "tributo obbligato di Beethoven alla sostanza ideologica al cui potere magico cade in preda anche la musica più eccelsa che abbia mai espresso la libertà nella perdurante illibertà"(32); altrimenti, se l’autore indende sottolineare il carattere ideologico del compositore, segno della sua convinta partecipazione agli ideali borghesi, egli cerca di mettere in luce il tratto originale del compositore rispetto alla pratica diffusa: cioè, secondo il pensiero di Adorno, il merito di Beethoven consiste nel ricondurre il momento eteronomo nell’unità della forma, ovvero nel presentare la ripresa come il prodotto dello sviluppo. Le pagine di Introduzione alla sociologia della musica non offrono alcun esempio utile a verificare se effettivamente questo elemento sia una caratteristica specifica del modo di comporre di Beethoven o possa essere attribuito in generale anche ai suoi contemporanei, col rischio di far vacillare la figura di Beethoven come ‘prototipo’. Come sottolinea Charles Rosen, il concetto di ‘ripresa come soluzione’ costituisce l’aspetto originale della sonata in generale, in contrasto con la sua origine nelle forme binarie barocche. Al contrario di queste ultime, che si limitavano alla riproposizione pura e semplice dell’esposizione, con una rigidità tale da confermare l’analogia del filosofo con il gesto autoritario, "nella sonata vi è una reinterpretazione degli schemi dell’esposizione"(33). Ma se si identifica, come la storia della composizione giudica più corretto, il carattere meccanico della ripresa come un residuo del passato, allora anche il giudizio sulla ripresa beethoveniana dovrà registrare dei cambiamenti. Infatti, occorre ricordare che Adorno fa coincidere dal punto di vista storico-filosofico questi tre eventi: la nascita del soggetto autonomo, l’ascesa della borghesia, Beethoven. Dunque, se il residuo del passato è inteso come superato in Beethoven, il carattere ideologico della ripresa, vale a dire l’analogo della svolta autoritaria della classe borghese, sarà superato, e il carattere ideologico dovrà necessariamente essere retrodatato, ovvero attribuito ad un periodo storico antecedente la nascita del soggetto autonomo (alle forme binarie prebeethoveniene). In conclusione, se si approfondisce il lato storico della ripresa, le premesse adorniane generano una contraddizione. Ma questa contraddizione si può considerare inesistente se estrapoliamo il termine superato dal suo significato di ‘evoluzione di un linguaggio (in questo caso) da un origine verso qualcosa di diverso’ e lo consideriamo nel senso hegeliano di aufgehoben. In questo senso l’analogia Beethoven-storia della borghesia acquista un nuovo spessore dialettico. Considerare il residuo ideologico-eteronomo della ripresa come gesto meccanico superato in Beethoven, significa assumere una posizione dialettica nei confronti della storia: la storia della borghesia non è più astrattamente separata in una fase rivoluzionaria e una reazionaria, ma è un movimento dialettico che nella sua parte iniziale contiene già i germi di quella finale; quindi, in senso dialettico, la parte finale sarà la verità di quella iniziale. Parallelamente, sostenere che la ripresa beethoveniana in quanto residuo autoritario costituisce la verità della forma-sonata, permette di attribuire alla musica del compositore lo statuto di conoscenza filosofica: in Beethoven, sostiene Adorno, la coscienza della classe borghese giunge per la prima volta a sé stessa. In parole povere, nel pensiero di Adorno la musica di Beethoven costituisce una sorta di prefigurazione (e nello stesso tempo la coscienza critica) della tendenza restauratrice della borghesia, che avrà il suo rappresentante ideologico in Wagner. L’argomentazione del filosofo risulta contraddittoria solo se letta secondo i parametri della storiografia; se invece si tiene conto del contesto hegeliano del pensiero di Adorno, essa risulta coerente. Rimane però un punto non risolto: la mancanza di riferimenti specifici al ‘livello oggettivo’ della musica e di approfondimenti storici stride, come si è già illustrato nel capitolo precedente, con i continui appelli al concreto della dialettica negativa, al livello produttivo nell’arte, al ‘primato della composizione’. Vorrei concludere questa sezione dedicata alla decifrazione sociale della forma sonata con un esempio che, a mio parere, ben si presta ad illustrare in cosa consiste la critica di molti musicologi secondo cui l’analisi di Adorno sarebbe troppo ‘astratta’ dal livello empirico della ricerca. Si consideri il significato attribuito all’entwickelnde Variation: essa costituisce nientemeno che il corrispettivo musicale del progresso verso il nuovo, interrotto dalla restaurazione. La variazione in divenire, imitazione del lavoro sociale, è negazione determinata: essa produce incessantemente il nuovo e il potenziamento da fattori dati in origine, annientandoli nel loro aspetto quasi naturale, la loro immediatezza. [...] La mutilazione, la frizione vicendevole che si hanno tra i singoli momenti, la sofferenza e il declino, sono equiparati a un’integrazione capace di dare a ogni momento singolo un senso attraverso il suo superamento.(34) Malgrado la centralità di questo concetto, a suo sostegno non è citato alcun elemento testuale, non nel senso di una prova capace di attrbuire al concetto un carattere di indiscutibilità logica, ma semplicemente un riferimento in grado mostrare a che cosa, nello specifico, Adorno si riferisca. Si consideri invece un brano di Beethoven e il suo tempo di Carl Dahlhaus sulla sonata: Forma come trasformazione (35). L’autore intende analizzare a partire da alcune composizioni beethoveniane il concetto di forma musicale come processo, cioè il modo in cui la scrittura sonatistica del compositore si configura come uno sviluppo verso il nuovo attraverso la negazione determinata (come direbbe Adorno) delle aspettative del fruitore, preformate dalla tradizione del materiale musicale (in relazione alla quale Beethoven è considerato innovatore (36)). L’analisi di Dahlhaus si articola nell’esplicitazione del contrasto tra un elemento astratto, la definizione convenzionale di forma-sonata (da me riportata all’inizio di questo paragrafo), e un elemento concreto, le prime quattordici battute della Waldstein-Sonate op.53 (37). L’atteggiamento comune consiste nell’applicare lo schema classico della sonata a questo brano, ma il procedimento beethoveniano fa ‘esplodere’ questo schema proprio attraverso il processo musicale. Il particolare, le quattordici battute analizzate da Dahlhaus, è la testimonianza di questa rottura. è evidente il parallelismo di questi due elementi con varie dicotomie della dialettica adorniana, particolare-totale, individuale-generale, concreto-astratto e inoltre la coerenza di questo metodo con il richiamo della dialettica negativa alla forza eversiva del particolare. Il primo elemento in cui la scrittura beethoveniana si rivela critica nei confronti della totalità è l’esposizione. L’esperienza che l’inizio della sonata presenti una tonalità definita non si verifica in questo caso: la tonalità fondamentale (T) di do maggiore è affermata solo dopo quattordici battute. Infatti, secondo l’analisi di Dahlhaus l’accordo di do maggiore della prima battuta viene immediatamente smentito da una cadenza in sol maggiore, battute 2-4, in relazione al quale il do maggiore iniziale si pone come sottodominante (StD). Subito dopo, battute 5-8, l’ambito armonico si sposta con una cadenza verso la tonalità di fa maggiore/minore. Dal punto di vista concreto ci si trova di fronte ad una ‘tonalità vagante’, e solo un ascoltatore che parta dal presupposto che l’inizio della sonata debba esporre una tonalità definita potrà dedurre da questi passaggi il do maggiore come centro di riferimento. Le battute 9-13 modulano da do maggiore verso l’affermazione decisa del sol maggiore, il cui carattere di dominante (D) e non di tonica diventa palese soltanto alla battuta 14, che stabilisce una tonalità di do maggiore altrettanto provvisoria che all’inizio. Il suo significato, scrive Dahlhaus, "viene mutato in quello di sottodominante di sol maggiore, senza, d’altro lato, che la differenza – il fatto che nella battuta 14 la tonica era la meta e il risultato di una cadenza, mentre nella battuta 1 era soltanto enunciazione e ipotesi – sia cancellata dal mutamento di significato"(38). Il processo musicale non è costituito solo dallo sviluppo armonico - che Dahlhaus riassume nella formula (StD D) D (StD D) StD D T- ma anche dall’intero complesso di sopposizioni, contrasti e cambi di significato che questo comporta. Conclude Dahlhaus: Il significato non è un dato sicuro a cui l’ascoltatore arriva superando degli ostacoli, consiste invece in una percezione musicale che è un’attività provocata dall’oggetto sonoro [...]. Il risultato raggiunto dalla battuta 14 e subito di nuovo relativizzato, espresso nella formula (StD D) D (StD D) StD D T, è un momento parziale del processo – della continua trasformazione, e il processo non è un veicolo del risultato.(39)

Credo che da parte di Adorno un’analisi simile avrebbe contribuito decisamente alla concretezza dell’argomentazione del carattere sociale della forma-sonata, ancorando almeno in parte ad un riferimento più preciso il sistema di analogie su cui essa fondamentalmente si basa. Purtroppo, invece, nè la decifrazione sociale della forma nè altri aspetti della sociologia della musica di Adorno sono supportati da analisi dettagliate del loro oggetto. Un collegamento indiretto può però essere colto in relazione alla ‘teoria della tonalità in Beethoven’, argomento parallelo a quello della società, che non è esplorato praticamente in nessuno dei testi editi dall’autore, ma del quale ci restano le testimonianze frammentarie di Beethoven.

 

3.4 Tonalità

Nell’interpretazione della musica di Beethoven la dialettica del particolare, pur evitando i riferimenti espliciti allo spartito, ha delle implicazioni importanti nel concetto di tonalità.

La musica tradizionale doveva star nei limiti di un numero estremamente limitato di combinazioni sonore, specie nel senso verticale, doveva cogliere continuamente lo specifico mediante costellazioni del generale o universale, le quali paradossalmente lo presentassero come identico all’irripetibile. Tutta l’opera di Beethoven è interpretazione di questo paradosso.(40) Si può affermare che il carattere insieme ideologico e critico attribuito alla ripresa si ripresenta in modo meno problematico nella lettura che vede nella sonata beethoveniana una conferma del sistema tonale a partire da se stesso, e quindi non come entità eteronoma. Nella concezione adorniana, come si è visto, la storia della musica è contrassegnata dalla dialettica di Soggetto e Oggetto. Il processo di saturazione e di dissoluzione della tonalità, iniziato con il tardo stile beethoveniano, proseguito e approfondito durante il periodo romantico, e giunto a compimento nell’atonalità schönberghiana, è interpretato come il lungo cammino dell’emancipazione del Soggetto. In quest’ottica, il rapporto del compositore ottocentesco con il materiale musicale della tradizione è analogo a quello dell’individuo borghese con le istituzioni dell’ancien régime: il sistema tonale è percepito come un sistema di vincoli da cui liberarsi. I mezzi che il Soggetto utilizzò per affermarsi furono quelli dell’espressività, ovvero la subordinazione della composizione alle esigenze dell’interiorità piuttosto che al rispetto di vincoli formali ormai astratti, e l’uso crescente della dissonanza, vero e proprio strumento di scardinamento dell’impianto tonale. Ma, nel passaggio tra il momento culmine della supremazia dell’Oggetto e l’inizio dell’emancipazione del Soggetto (la schematizzazione, per quanto molto grossolana, è d’obbligo), la filosofia della musica adorniana registra un punto di equilibrio: la cosiddetta seconda fase di Beethoven. Nel periodo centrale della produzione del compositore, il concetto di tonalità giunge, per così dire, a se stesso, trovando la sua giustificazione soltanto nel processo della composizione. Soggetto e Oggetto si creano a vicenda in pieno equilibrio armonico: "i suoi pezzi si dispongono per loro legge interna come pezzi in divenire, pezzi che negano, che confermano se stessi e il tutto senza guardare all’esterno [...]".(41) I singoli elementi non si susseguono più umilmente, ma trapassano in unità razionale mediante un processo compatto, generato da loro stessi.(42) Il rapporto della parte con il tutto diventa ad ogni istante un processo di autoriflessione musicale. Il Soggetto, vale a dire, in termini musicali, il materiale tematico, deriva dal ‘tutto’, la tonalità, ma allo stesso tempo smentisce il carattere convenzionale, eteronomo della tonalità stessa rigenerandola a partire da se stessa (43). "Capire Beethoven, scrive Adorno, significa capire la tonalità"(44). In realtà, nessuna delle opere edite dal filosofo si sofferma molto su questo aspetto; nella Filosofia della musica moderna, ad esempio, si parla della tonalità beethoveniana solo per introdurre l’inizio del processo di saturazione, mentre nell’Introduzione alla sociologia della musica l’interesse è spostato quasi subito verso il parallelo con la filosofia di Hegel (di cui mi occuperò più avanti). Come testimonianza di quanto la teoria della tonalità fosse considerata importante per lo sviluppo del pensiero filosofico su Beethoven, rimangono i pochi frammenti raccolti nel volume Beethoven sotto il titolo Tonalität. Il frammento 113 propone in cinque punti i principi della connessione storica dell’era della borghesia con la tonalità, tanto che quest’ultima può essere definita la "musikalische Sprache des Bürgertums" (45). Queste categorie, evidenziate in modo esplicito dall’autore, valgono come ricapitolazione di quanto detto finora, e stabiliscono alcuni punti fermi da cui continuare il discorso sulla tonalità:"1) Substitution eines gesellschaftlich produzierten und mit Gewalt rationalisierten System als ‘Natur’.2) Herstellung des Equilibriums [...].3) daß das Besondere, Individuelle das Allgemeine ist, d.h. individualistisches Prinzip des Gesellschaft. D.h. das harmonische Einzelereignis ist immer Repräsentant des Ganzes Schemas wie der homo oeconomicus Agent des Wertgesetzes.4) die tonale Dynamik entspricht der gesellschaftlichen Produktion und ist uneigentlich d.h. Herstellung eines Gleichgewichts. [...] 5) die abstrakte Zeit des harmonischen Verlaufs" (46). Il concetto di tonalità in Beethoven rappresenta un punto di incontro tra l’elemento eteronomo e l’elemento autonomo dell’arte: il sistema tonale non è soltanto il ‘materiale’ inteso come fondamento dell’attività del soggetto, ma costituisce la sua essenza. La sua musica, secondo il giudizio di Adorno, esprime il segreto della tonalità (47) : quelle stesse regole che in seguito sarebbero diventate dei vincoli, nel cosiddetto secondo periodo costituiscono "il motore della sua produttività": con Beethoven lo sviluppo, la riflessione soggettiva del tema, che ne decide la sorte, diviene centro dell’intera forma. Esso giustifica la forma, anche dove essa resta prestabilita come convenzione, in quanto la ricrea spontaneamente.(48)

Ritengo che, vista la scarsità e la frammentarietà del materiale a disposizione, una ricostruzione del pensiero adorniano sulla tonalità in Beethoven debba svilupparsi su questi tre elementi: 1) l’analisi delle battute iniziali della Waldsteinsonate; 2) l’abbozzo di una ‘teoria degli Sforzati’; 3) la qualità del particolare beethoveniano.

3.4.1. Waldsteinsonate
Nell’ambito della progettazione di una teoria della tonaltà in Beethoven, il frammento 131 di Beethoven. Philosophie der Musik presenta un’analisi armonica dell’inizio della sonata op. 53. L’intento dichiarato è quello di mostrare l’Auskomponieren della tonalità, cioè il modo in cui il sistema dato viene ‘ricreato’ a partire dal particolare. Ritengo, trattandosi di un frammento, che sia il caso di riportare il testo, tradotto, per gran parte della sua lunghezza: "è possibile mostrare, all’inizio della sonata ‘Waldstein’, l’Auskomponieren (49) della tonalità – il sistema prestabilito che viene allo stesso tempo generato. La tonalità prestabilita, ancora ‘astratta’, è posta come do maggiore (C I) alla prima battuta. Nella riflessione su se stessa, cioè attraverso il movimento (tutti gli elementi musicali, anche il ritmo e l’armonia, sono connessi in modo funzionale) questa armonia si rivela essere non do come tonica (C I) ma come sottodominante di sol (G IV); ciò per mezzo della tendenza dell’andamento del tema, progressivo e ascendente. Così si arriva a sol maggiore (G I), ma a causa dell’ambiguità della prima battuta anche la tonalità di sol non è definitiva:da qui la posizione di sesta. Il si bemolle seguente non è semplicemente una progressione cromatica verso il basso. è la negazione della negazione. La tonalità di si bemolle dice, in virtù della sua appartenenza alla regione della sottodominante, che la dominante non è un risultato definitivo [...]. La sopradominante viene negata, permettendo anche il ritorno dell’inizio: esso [il do iniziale] non è soltanto il quarto grado di sol ma anche il quinto di fa, e attraverso questa doppia negazione diventa concreto ciò che all’inizio già era, ma solo concettualmente, e cioè do maggiore. Contemporaneamente la qualità apparentemente nuova, il movimento cromatico al basso, viene mantenuto come principio stabile fino al raggiungimento del sol, vera dominante di do". (50)Si tratta evidentemente di un caso di applicazione del pensiero filosofico alla forma musicale. Il fatto che questo caso non sia inserito organicamente in una argomentazione più ampia impone però prudenza nella sua interpretazione. Nel frammento tradotto non si tratta, in realtà, della dimostrazione del rapporto elettivo di Beethoven con il sistema tonale in quanto tale, e quindi di un completamento basato sul concreto delle mancanze e delle astrattezze musicologiche del pensiero adorniano. L’analisi si propone di illustrare come, nel caso specifico dell’inizio della Waldsteinsonate, l’affermazione della tonalità di impianto segua un percorso che si rivela semplicemente traducibile in termini filosofici, limitando a questo la sua capacità analogica. Il do maggiore iniziale è ‘astratto’: il fatto che esso non sia affermato in modo deciso evidenzia per analogia il suo carattere concettuale. La modulazione immediatamente seguente mostra che, dato l’approdo alla tonalità di sol maggiore, il do maggiore iniziale poteva essere considerato come sottodominante di sol. A questo ‘cambiamento di prospettiva’, che l’analisi musicologica conosce benissimo (51), viene assegnato lo statuto di ‘autoriflessione’. Quando la tonalità di si bemolle rende instabile anche il sol maggiore, si può parlare di ‘negazione della negazione’, perchè il sol maggiore aveva a sua volta impedito la stabilizzazione del do magiore. Secondo il progetto di una ‘teoria della tonalità in Beethoven’, nel modo di relazionarsi del compositore al sistema tonale in quanto sistema, verrebbe alla luce il segreto della tonalità come linguaggio musicale specificamente borghese. Ma nell’unico frammento inedito in cui si fa riferimento alla capacità di Beethoven di rigenerare la tonalità a partire da se stessa (appunto il 131) non si trova una dimostrazione di questo principio a partire dal concreto, bensì soltanto una sua applicazione, nella veste di giudizio consolidato, ad un caso di ambiguità armonica.Il frammento in questione offre, comunque, un’altra prova del ruolo predominante, all’interno del pensiero del filosofo, della composizione sugli altri aspetti della totalità musicale (la percezione, ad esempio): la tonalità del brano, dopo essere rimasta ambigua nell’inizio, si afferma come tale solo a battuta 14. Ciò significa che prima non era identificabile come tonalità di impianto. Tuttavia, Adorno definisce subito la prima sfuggente comparsa del do maggiore come ‘astratta’ in rapporto a quella definitiva, il ‘risultato’. Una tale contrapposizione a priori si giustifica solo concependo il decorso musicale dal punto di vista dell’intenzione di chi compone la musica, e non di chi la fruisce; a quest’ultimo, presumibilmente, il carattere ambiguo del tema non consentirà la deduzione a priori del risultato. In conclusione, se l’analisi del caso specifico non soddisfa le pretese di fondazione di una teoria della tonalità e del suo carattere borghese, contribuisce di certo a chiarire i contorni di un approccio dialettico alla forma-sonata: il significato del brano appena visto esiste solo come risultato di un processo che si definisce dialettico in quanto nato dal contrasto tra le aspettative astrattamente preformate dalla tradizione e il concreto ambiguo fluire della musica. La forma tradizionale è astratta perchè il brano specifico non si esaurisce in essa, mentre il brano è concreto, individuale nella misura in cui si discosta dalla forma prestabilita ( "Die Theorie daß die substanz der tonalen Musik in der Abweichung von Schema bestehet...." (52)). Per quanto riguarda l’aspetto tecnico-compositivo, la deduzione del carattere borghese della tonalità non registra alcun progresso dall’osservazione riportata in nota in una pagina della Filosofia della musica moderna nel contesto di un’analisi comparata dell’uso delle convenzioni armoniche nel classicismo e in Alban Berg:

Le armonie perfette vanno paragonate alle espressioni occasionali del linguaggio, e ancor più al denaro nell’economia. Grazie alla loro astrattezza possono farsi avanti in ogni momento con una funzione mediatrice [...]: nel Wozzeck e nella Lulu l’accordo perfetto di do maggiore compare, in passi per il resto svincolati dalla tonalità, ogni volta che si parla di denaro. L’effetto è quello del marcatamente banale e obsoleto insieme: la monetina del do maggiore viene denuciata come falsa.(53) 3.4.2 Per una teoria degli Sforzati
Il pensiero filosofico di Adorno evidenzia un ritardo delle teorie dell’interpretazione musicale nella decifrazione dei caratteri sociali della composizione. L’analisi armonica, in grado di individuare "anche le venature più sottili nella fattura dei pezzi" (54), e la musicologia ‘ufficiale’, che si limita all’illustrazione delle vicende biografiche e psicologiche del compositore, spesso con intento agiografico e pedagogico, isolano l’oggetto musicale dalla realtà. Adorno sostiene la necessità di superare questa condizione attraverso una ‘fisiognomica dei tipi di espressione musicale’(55). Alcuni tratti espressivi della musica di Beethoven sono usati come esempio di questa teoria:
In Beethoven bisognerebbe pensare ai gesti compositivi della renitenza, della refrattarietà, a un tipo di discorso formale che in qualche modo rompe le uova nel paniere delle buone maniere, a un linguaggio che rispetta le convenzioni anche quando vuol essere differenziato, e ciò con sforzati, ristagni dinamici, crescendi che sfociano in ‘piani’ improvvisi.(56) Il progetto, cui non fa seguito alcuno sviluppo, è ripreso brevemente in Beethoven (57). Adorno propone di evidenziare il ruolo specifico degli sforzati nel linguaggio musicale del compositore. Gli sforzati esprimono la resistenza del senso musicale verso la guida della tonalità. Essi si trovano, nei confronti della ‘pendenza della tonalità’, ovvero il carattere prescrittivo del sistema tonale, in rapporto dialettico. Questa tensione deriva spesso da avvenimenti armonici, come (l’esempio è di Adorno) l’entrata ritardata della tonica alla quarta battuta della variazione del tema nella sonata per violino e pianoforte op.30 n.1. Gli sforzati appaiono in corrispondenza della soluzione delle tensioni più lunghe, quasi per contrapposizione. Eine Theorie der Beethovenschen Sforzati wird zu geben sein. Sie sind dialektische Knotenpunkte. Ihn ihnen stößt das metrische Gefälle der Tonalität mit dem Komponieren zusammen. Sie sind bestimmte Negationen des Schemas. Bestimmte: weil sie nur gemessen am Schema Sinn ergeben.(58)

Per quanto riguarda i riferimenti a concreti esempi musicali, il punto di partenza del filosofo è decisamente ermetico: "es gibt bei Beethoven Themen und es gibt keine Themen". Il frammento n.116 (59) di Beethoven sembra riferirsi direttamente a questo carattere di ‘nullità’ del materiale tematico. Adorno propone un confronto tra Beethoven e Schubert: considerando, a parità di strutture tonali, le terzine ordinate per triadi del gruppo di transizione nel primo tempo del Trio op.97 e quelle, "scheinbar ähnlichen" (60), del primo movimento del Quartetto in la minore di Schubert, risulterebbe evidente che attraverso la dinamica, che indica un fine ed esprime lo sforzo di raggiungerlo, gli accenti beethoveniani ‘spingono’ oltre se stessi in direzione della totalità, mentre in Schubert "bei sich bleiben". Il processo musicale di Beethoven, conclude il filosofo, è l’incessante negazione di tutto ciò che è limitato, del mero Essente.Un’altra particolarità dello stile di Beethoven è la tendenza a rifiutare, dopo uno sviluppo dinamicamente marcato, l’ovvia conclusione di un’entrata in scena irruente del nuovo elemento compositivo, introdotto invece da un p. Anche questa pratica compositiva è interpretata come "Widerstand gegen das Gefälle der Tonalität" (61).

3.4.3 La qualità del particolare
La lettura analitica degli scritti su Beethoven consente di isolare un ultimo tassello della reciprocità di musica e filosofia nel pensiero di Adorno. Mi riferisco alla qualità del particolare del sonatismo beethoveniano, nel quale si troverebbe un’ulteriore conferma dell’integrazione musicale della parte con il tutto. Anche se in realtà i diversi contenuti delle argomentazioni di Adorno si fondano su unità di intenti tale da rendere problematica (soprattutto nella frammentarietà dei riferimenti a Beethoven) la separazione dei singoli aspetti, ho scelto di citare come ultimo quello relativo al carattere delle singole ‘pietre di costruzione’ della forma-sonata, avendo individuato in questo aspetto il punto di contatto più evidente dell’analogia con il sistema hegeliano. Il ragionamento adorniano verte sulla ‘povertà’ delle cellule melodiche beethoveniane: esse non hanno una dignità musicale autonoma, ma acquistano significato solo attraverso lo sviluppo. Conseguentemente, la struttura del brano diventa l’unico luogo adatto per l’affermazione del particolare. Allo stesso modo, secondo l’ideologia borghese (della quale beethoven è ritenuto, per lo meno nel cosiddetto secondo periodo, portavoce), il singolo diventa realmente autonomo solo all’interno del sistema sociale. In questo senso, la musica di Beethoven promuove l’immagine di una società di liberi ed uguali:

ciò che si conosce in lui come elaborazione tematica è l’esaurirsi vicendevole dei contrasti, degli interessi singoli; la totalità, il tutto che domina il chimismo della sua produzione non è un concetto superiore che sussume schematicamente gli aspetti singoli, ma la quintessenza di quell’elaborazione tematica e insieme di ciò che ne risulta, il prodotto compositivo. In tale processo il materiale di natura, che è oggetto dell’elaborazione, è squalificato il più possibile.(62)

Il carattere di nullità del particolare tematico del compositore è rintracciabile, secondo il progetto tracciato in Beethoven, nell’antagonismo di triadi e intervalli di seconda (63): questi sarebbero i Modi dell’autorealizzazione del principio della tonalità. Adorno fonda il ragionamento su una rigida dicotomia: le triadi sarebbero la tonalità an sich, cioè ‘la mera natura’, e gli intervalli di seconda la sua manifestazione come ‘animata’, cioè il canto. "Man könnte sagen, prosegue Adorno, die Dreiklänge sind das objektive, die Sekunden das subjektive Moment der Tonalität"(64). Tuttavia, come il francofortese non esita a riconoscere subito dopo, la tesi che l’affermazione della totalità del sistema derivi dall’unità di questi fattori rischia di attribuire al progetto un tono troppo non-dialettico. La relazione dei due momenti con la totalità tonale andrebbe piuttosto indagata nella loro posizione di estremi che nella loro ‘unità’.

 

3.5. Hegel

Il punto nodale della decifrazione sociologica della musica di Beethoven consiste dunque nella riproposizione del processo sociale all’interno della struttura compositiva. Come ogni singolo processo di produzione diventa comprensibile all’interno del complesso sociale "nur aus seiner Funktion in der Reproduktion der Gesellschaft als ganzer", così il singolo elemento tematico beethovaniano acquista senso solo nella riproduzione della tonalità in quanto totalità. Contemporaneamente, però, il singolo è preformato dalla totalità stessa: dal punto di vista musicale, questo spiegherebbe l’autocostruzione della tonalità a partire da se stessa. Ma il fatto che il tema in quanto entità individuale sia nullo conduce al paradosso che qualcosa, il ‘tutto’, sia generato dal nulla. La descrizione di questo paradosso è la strada che lega la discussione del pensiero musicale su Beethoven con la dialettica hegeliana. È opportuno notare in via preliminare che, nel giudizio di Adorno, il rapporto tra l’opera beethovaniana e quella hegeliana non si limita all’analogia. Nelle intenzioni dell’autore questo rapporto è sostanziale: "Beethovens Musik ist die Hegelsche Philosophie"(65). Riservandomi di valutare alla fine della dissertazione se le pretese dell’autore che le sue argomentazioni su musica, società e filosofia oltrepassino, e in che senso, il livello dell’analogia, mi limiterò per ora a considerare questo punto (che per quanto riguarda Hegel e Beethoven è molto marcato) come non problematico. Come tutto il pensiero di Adorno su Beethoven, anche il tema dell’unità con il sistema hegeliano si presenta in modo frammentario. In vista del collegamento con l’ultima sezione dell’analisi del filosofo, quella relativa allo Spätstil, penso sia utile dividere il materiale in tre parti: la prima evidenzierà i caratteri della musica di Beethoven come sistema idealistico; la seconda sarà relativa al carattere di nullità del particolare e al suo legame con la logica hegeliana; e infine la terza spiegherà perchè la musica di Beethoven è, dal punto di vista dialettico, più vera del sistema di Hegel. 1)Nel saggio Skoteinos ovvero come si debba leggere (66), Adorno affronta il problema di un corretto approccio ai testi di Hegel; in particolare si tratta di come superare gli ostacoli che le grandi opere sistematiche pongono alla comprensione. Adorno intende promuovere una lettura del filosofo che (come ho già illustrato nel primo capitolo) valorizzi l’aspetto dialettico del suo pensiero su quello sistematico. In questo senso, leggere Hegel significa avvicinare ogni singolo passo tenendo conto del procedimento complessivo in cui questo è inserito. L’ostinazione verso la comprensione di un singolo passo dal contenuto non evidente pregiudica il rapporto sia verso la struttura di senso globale sia verso il passo stesso. Adorno consiglia:

Non si deve procedere, sorvolando sui passaggi nei quali rimane in sospeso di che cosa essi trattino; ma la loro struttura di senso si dovrebbe derivare dal contenuto della filosofia hegeliana. Il carattere di essere in sospeso le è intrinseco, in accordo con la dottrina che il vero non lo si afferra in nessuna tesi particolare [...]. In Hegel la forma è commisurata a quest’intenzione. Niente si lascia comprendere isolatamente, tutto è solo nell’Intero; con la penosa difficoltà che l’intero ha di nuovo la sua vita unicamente in quella dei suoi singoli momenti.(67) È evidente, in questi passaggi, il fatto che la dialettica di particolare-globale che informa la filosofia hegeliana è esattamente la stessa che secondo Adorno determina il comporre beethoveniano. Il singolo elemento tematico non ha dignità musicale in se, è squalificato, così come il singolo paragrafo isolato dalla globalità può addirittura suscitare incertezze sul suo contenuto specifico. Ribaltando il parallelo proposto dal francofortese, si potrebbe parlare di Auskomponieren della filosofia di Hegel. La tonalità è presupposta nella composizione, così come la totalità dialettica è presupposta nel pensiero del contenuto. Il paragone continua, come se Adorno fosse guidato, in questo testo che non contiene espliciti riferimenti al compositore, dal suo pensiero musicale. Il pensiero dialettico è la chiave per comprendere sia Hegel che Beethoven, e così non dovrà stupire se alcune conquiste teoretiche dell’analisi musicale saranno applicate al sistema idealistico, com’è evidente nel pezzo seguente: [...] per intendere Hegel con Hegel occorre seguire la scomposizione dei suoi momenti che si mediano l’uno con l’altro e insieme si contraddicono.(68) Chi volesse sfuggire alla complessità di questo approccio potrà considerare il sistema ‘dal vertice’, vale a dire come un’entità astratta, che sarà possibile applicare meccanicamente a contenuti specifici, ma in questo modo si esporrà al rischio di una lettura a-dialettica dell’opera, così come il recupero neoclassicista di Strawinsky e Hindemith della tonalità è fondato su una concezione errata dello sviluppo del materiale musicale. Secondo il pensiero di Adorno, non si tratta di interpretare Beethoven all’interno di coordinate hegeliane, nè viceversa: al contrario, sia il sistema tonale del primo che quello filosofico del secondo partecipano del medesimo processo dialettico. Il rapporto tra particolare e totalità è dialettico soltanto se questi non sono intesi come opposti assoluti, tali cioè da poter prescindere l’uno dall’altro. I singoli momenti del processo dialettico acquisiscono senso nella mediazione: una delle catagorie fondamentali è quindi quella del lavoro, ciò che in Hegel si presenta come ‘lavoro del concetto’ e in Beethoven come lavoro tematico.(69) Il fatto che l’unità del ‘tutto’ beethoveniano sia mediata è esemplificato dell’opposizione del compositore nei confronti del Volkslied. Il Volkslied pone infatti un tipo di unità immediata, in cui non esiste confine tra i nuclei tematici e la struttura. Rispetto ad una forma costituita dalla semplice successione dei vari motivi, la forma beethoveniana si qualifica come processo in quanto è costituita attraverso la mediazione di motivi contrapposti.(70) La relazione tra musica e filosofia è così stretta che la definizione di Wesen der Philosophie nella prefazione alla Phänomenologie des Geistes è applicabile esattamente al sonatismo beethoveniano: "Denn die Sache ist nicht in ihrem Zwecke erschöpft, sondern in ihrer Ausführung, noch ist das Resultat das wirkliche Ganze, sondern es zusammen mit seinem Werden; der Zweck für sich ist das unlebendige Allgemeine, wie die Tendenz das bloße Treiben, das seiner Wirklichkeit noch entbehrt; und das nackte Resultat ist der Leichnam, der die Tendenz hinter sich gelassen"(71). L’analogia della tonalità con il sistema idealistico si svolge attraverso varie fasi (72). Alla categoria filosofica della sussunzione corrisponde l’identità astratta della tonalità, rispetto alla quale ogni singolo momento è determinato come ‘caso’. Ma la tonalità, come si è visto, non è astratta, bensì mediata attraverso il divenire: essa è infatti costituita (per lo meno nel caso del compositore dialettico Beethoven) attraverso la connessione dei suoi elementi. Questa connessione è in pratica il risultato del processo di Selbstreflexion in cui i singoli momenti si contrappongono tra loro. Questo processo, che caratterizza l’Auskomponieren della tonalità, costituisce il momento dell’identità del non-identico in musica, che è tutt’uno col carattere di ‘costrizione’ della tonalità. Il processo, inoltre, costituisce la garanzia di verità della musica di Beethoven. Infatti, il rapporto verso la tonalità si definisce ideologico se il compositore considera la tonalità, che in realtà è un ‘dato’, come il risultato della sua opera. Ma, conclude Adorno, la tonalità in Beethoven non è contingente; egli la ricrea veramente, dunque il risultato non è ideologico. Secondo Adorno il raffronto della Sonata per violino in do minore op.30 con la Sonata ‘Appassionata’ in fa minore op.57 mette in luce l’identità del non.identico in musica: mentre nella prima i complessi tematici stanno tra loro "im großartigem Kontrast, gleichsam wie in Armee oder auf dem Schachbrett" (73), dando vita ad un antagonismo immediato, nella seconda i temi sarebbero contemporaneamente antitetici ed identici. 2) Il paradosso citato sopra, per cui il tutto, ovvero la tonalità, nascerebbe dal nulla, ovvero da materiale tematico ‘squalificato’, è la trasposizione in campo musicale del cosiddetto ‘problema del cominciamento’ della logica hegeliana (74). Il problema "con che si deve incominciare la scienza" è introdotto da Hegel all’inizio della Scienza della logica (75) in questi termini: "Il cominciamento della filosofia è di necessità o un mediato oppure un immediato, ed è facile mostrare che non può essere né l’uno né l’altro"(76). Riprendendo l’analogia musicale, si è visto che il principio della sonata, ovvero il nucleo tematico che da il via al processo di sviluppo dialettico, può essere sia oggettivo (determinato eteronomamente dalla necessità formale), sia soggettivo (espressione immediata di un sentimento, indifferente o ostile al trattamento in sviluppo). Ebbene, il cominciamento beethoveniano non è né l’uno né l’altro: a livello oggettivo la forma non risulta imposta meccanicamente dall’esterno ma ‘ricreata’ nel corso stesso della composizione, mentre dal punto di vista soggettivo il materiale tematico, squalificato in quanto individuale, è funzionale all’integrazione nel tutto nello sviluppo. La Nichtigkeit des Einzelnen, scrive Adorno in Beethoven, è la conseguenza del fatto che non esiste alcun valore ‘naturale’(77) e che il valore è dovuto al lavoro (78). Dalla Teoria estetica: Nella grande musica come quella di Beethoven [...] i cosiddetti elementi primordiali, nei quali si imbatte l’analisi, sono spesso grandiosamente nulli. Solo nella misura in cui si avvicinano asintoticamente al nulla essi si fondono, come puro divenire, in un tutto. Ma come forme parziali distine vogliono essere sempre di nuovo già qualcosa: motivo o tema.(79) Il singolo nella musica beethoveniana deve rappresentare ciò che è pronto per essere lavorato, la natura come materiale a disposizione dell’uomo; da ciò, conclude il filosofo, il ruolo fondamentale della triade. Nella rinuncia alla pretesa di significare qualcosa di per sé, essa rende possibile l’integrazione del momento individuale nel tutto. Al contrario, nella musica romantica e in Wagner, il materiale tematico hochqualifiziert compromette l’integrazione: "bei Wagner soll das Nichtige als Individuelles etwas bedeuten; bei Beethoven niemals".(80) Un aspetto fondamentale del rapporto tra forma-sonata e logica (hegeliana) è il carattere circolare di entrambe (81). Secondo Adorno il sonatismo beethoveniano ha "la paradossalità di un tour de force: il nulla diviene qualcosa: è la prova estetico-corposa dei primi passi della logica hegeliana"(82). La scienza della logica, per il suo carattere ‘assoluto’, deve avere in sé il criterio del proprio sviluppo. Il cominciamento della logica è un primum, non richiede alcun presupposto: il ‘puro essere’, privo di determinazioni, che nella sua assoluta purezza è identico al nulla. Secondo Valerio Verra (83), il carattere specifico dell’inizio non pone soltanto una questione contenutistica, ma coinvolge la concezione stessa del sapere assoluto come "circolarità dialettica e speculativa per cui l’unica autentica legittimazione dell’inizio non si potrà che avere al termine del percorso della scienza della logica stessa"(84). Le assonanze con l’interpretazione adorniana della forma-sonata beethoveniana sono evidenti. Il nucleo del rapporto tra questi due elementi è l’autodeterminazione attraverso un processo di sviluppo che non da spazio all’eteronomia. Il giudizio se il sistema tonale sia o meno ideologico, ovvero se l’integrazione del singolo nel tutto sia effettivo o intenda mascherare una frattura tra i due momenti, è determinato unicamente del processo musicale stesso, al di fuori di ogni principio di autorità del materiale tramandato. Nella logica hegeliana, la natura processuale del pensiero è tale che ogni inizio è sempre l’immediato e l’indeterminato: "l’inizio è inoltre sempre una struttura semplice (Einfaches) e (astrattamente) universale (Allgemeines). Questa costituisce poi la specifica determinatezza (Bestimmheit) dell’inizio come tale, ciò in virtù del quale il movimento iniziale non è solo ‘ciò con cui si inizia’, ma è, attivamente, ‘ciò che inizia’"(85). Nella filosofia della musica di Adorno il carattere del materiale motivico delle sonate di Beethoven soddisfa ognuna di queste determinazioni. La triade hegeliana ‘essere, nulla, divenire’ descrive una situazione in cui nessuno dei termini è concepibile al di fuori del movimento dialettico, pena l’insolubile contradditorietà del’identità dell’essere e del nulla. Analogamente, la tonalità, come ‘essere’ prestabilito, cioè allgemein, si nega in quanto generale determinandosi nel materiale motivico. Tuttavia, il ‘nulla’ di questo passaggio conserva in sé ciò che nega, e lo trasferisce ad un piano più alto (Aufhebung): in ciò si comprende pienamente l’importanza del ruolo del Dreiklang. La triade è infatti contemporaneamente tematica (poichè ricopre di fatto questa funzione) e immagine generale della tonalità. In questo modo, all’insegna dell’identità del non-identico, si determina il rapporto della sonatà con la logica hegeliana. 3)Nel primo capitolo, trattando del giudizio sul sistema hegeliano, si era visto che questo, secondo Adorno, presenta un forte limite storico: come si è detto, l’analisi marxiana del carattere sociale del lavoro mette in luce il lato ideologico del sistema idealistico. La meccanicità della conciliazione idealistica e il primato attribuito al Soggetto riflettono la concezione borghese del lavoro, che consiste nel misconoscere il livello oggettivo, ovvero il valore di natura. Per questo motivo il giudizio di Adorno su Hegel distingue sempre il metodo dialettico dal sistema idealistico. Così come il pensiero filosofico di Marx, anche il sonatismo beethoveniano, incarnazione della dialettica, contribuisce a muttere in luce il carattere dogmatico dell’idealismo. Il perno dialettico è costituito dal cosiddetto ‘doppio carattere di Beethoven’. Nel frammento n.58 (86) il filosofo cita una conversazione con Eduard Steuermann, che era stato suo insegnante di pianoforte a Vienna nella seconda metà degli anni Venti, a proposito del motivo per cui alcuni brani di Schubert (l’esempio in questione sono i 4 Impromptus op.90) risultino incomparabilmente più tristi di qualunque brano pur malinconico di Beethoven. La risposta a questa questione si trova non tanto nell’espressività dalla musica schubertiana, quanto piuttosto nella liberazione dei singoli, che coinciderebbe con l’abbandono del dettaglio liberato. Questo abbandono coincide con il fatto sociale che l’individuo liberato è allo stesso tempo isolato e sofferente. Da queste considerazioni Adorno trae alcune conclusioni sul Doppelcharakter di Beethoven: [...] die Totalität hat den Charachter des Standhaltens des Einzelnen (der bei Schubert und der gesamten Romantik, Wagner zumal, fehlt), und etwas Ideologisches, Verklärendes, das der Hegelschen Lehre von der Positivität des Ganzes als Inbegriff aller einzelnen Negativitäten entspricht, also das Moment der Unwahrheit.(87) Diversamente da quanto accade nel pensiero filosofico, il movimento dialettico della musica aus dem Nichts zum Etwas è possibile solo nella misura in cui il nulla non conosce se stesso come nulla. Una melodicità di tipo liederistico consegnerebbe il tema alla cattiva coscienza, impedendo quella critica nei confronti della totalità che solo il carattere di nullità del tema consente. Temi fondati sulla triade sono possibili soltanto fino a che l’analisi può stabilire concretamente il loro carattere di spinta verso la totalita: dal momento in cui un tema acquista una sostanzialità autonoma, la totalità stessa diventa problematica.(88)Nell’Introduzione alla sociologia della musica, alla qualifica di Beethoven come ‘prototipo musicale della borghesia rivoluzionaria’ Adorno affianca quella di ‘prototipo di una musica fuggita alla tutela sociale della borghesia’(89). Con questo accostamento il filosofo intende evidenziare lo statuto critico della musica di Beethoven: la sua arte è tanto più vera quanto più si discosta dallo spirito ufficiale dell’epoca, espresso, secondo Adorno, dalla musica di Rossini.(90) Come totalità ogni opera prende posizione nei confronti della società e anticipa, con la propria sintesi, la conciliazione. L’arte, e la musica di Beethoven in particolare, ricrea, come si è visto, l’immagine di una società conciliata attraverso il travaglio dei suoi singoli componenti. In ciò essa è sì ideologica, ma soprattutto critica, in quanto riflette per negazione il fatto che, in realtà, quella conciliazione non c’è mai stata. Mantenendo il paragone adorniano tra i due personaggi, si può dire che il passo non compiuto da Hegel, ovvero quel portare dialetticamente il sistema idealistico oltre se stesso, si può ritrovare invece nel Beethoven dello Spätstil, di cui mi occuperò più avanti. È importante notare che le premesse per questo ribaltamento dialettico sono saldamente poste nel secondo periodo compositivo dell’artista, la cui verità si trova però oltre se stesso, cioè nel terzo. Solo grazie alla coerenza dialettica interna delle sue opere egli può porre le basi dell’Aufhebung. In questo senso si comprende l’affermazione, già citata, che "Beethovens Musik ist die Hegelsche Philosophie". Essa non è basata semplicemente sul ricorso (che è comunque evidente) all’analogia, ma soprattutto sul rapporto critico: l’importante non è stabilire la verità (intesa come rispecchiamento) come somma di plausibili analogie (in tal caso si porrebbe il problema di quante dovrebbero essere queste analogie, per poter trarre qualche conclusione), quanto piuttosto stabilire la verità (intesa come processo) sia della musica sia della filosofia in quanto procedimenti dialettici in un confronto tra la due basato sulla loro costituzione interna. Il ‘modello’ dialettico, che Beethoven e Hegel incarnano, costituisce il metro di giudizio delle loro opere: [Beethovens Musik] steckt in ihr [in der Hegelschen Philosophie] die überzeugung, daß die Selbstreproduktion der Gesellschaft als einer identische nicht genug, ja daß sie falsch ist. Logische Identität als produzierte und ästhetische Formimmanenz werden von Beethoven gleichzeitig konstituirt und kritisiert.(91) Secondo Adorno il sigillo della verità critica della musica di Beethoven sarebbe un atteggiamento di trascendenza verso la forma (Transzendenz zur Form) tale che questa non sarebbe l’espressione della speranza, ma la sua rappresentazione. Convalida di questa interpretazione sarebbe l’analisi del brano nella tonalità di re bemolle maggiore all’interno del terzo movimento del quartetto in fa maggiore op.59, n.1 (92). Secondo Adorno questo passaggio, dal punto di vista formale, è visibilmente superfluo: esso viene subito dopo la conclusione della linea di ritorno che conduce irrevocabilmente alla ripresa. Il nuovo tema in re bemolle, inoltre, non è riconducibile a quelli precedenti. Il significato dialettico di questa operazione è il seguente: la sospensione della ripresa mostra che dal punto di vista formale l’identità del non-identico non è più sufficiente, e il Reale si presenta, in questo caso, sotto la forma del Possibile, esterno al Principio d’Identità. Simili procedimenti compositivi costituiscono la chiave d’accesso al tardo stile di Beethoven, nel quale si compie il mutamento dialettico in virtù del quale la rappresentazione della totalità diventa definitivamente insostenibile (93). Al principio della transizione si oppone quello della contrazione. Il perno della dialettica di parte e tutto del secondo periodo, in cui era possibile sostenere che "das Ganze löst das falsche Versprechen des Einzelnen ein" (94), viene sradicato nel suo fondamento: das übergang, scrive il filosofo, wird als banal, als ‘unwesentlich’ empfunden, d.h. die Beziehung der disparate Momente auf eine Ganzheit, die sie zusammenhält, als bloß konventionell und vorgegeben und als nicht mehr tragfähig. In einem gewissen Sinn ist die Dissoziation der letzten Werke die Konsequenz aus den Augenblicken der Traszendenz in den ‘klassischen’ der mittleren Zeit.(95)

 

3.6. Desensibilizzazione del materiale e Spätstil.

Il pensiero sull’ultimo periodo compositivo di Beethoven è affidato quasi esclusivamente ai due saggi Spätstil Beethovens e Straniamento di un capolavoro (96). Alcuni riferimenti al cosiddetto terzo periodo compaiono nelle pagine della Teoria estetica e in Filosofia della musica moderna, ma quasi sempre sotto forma di riferimenti impliciti o di veloci paragoni con l’opera matura di Schönberg. Come ho scritto poco sopra, il carattere di emancipazione del soggetto attribuito da Adorno al tardo Beethoven ha le sue radici già nella seconda fase. Come ho cercato di illustrare nel corso di questo capitolo, nell’interpretazione adorniana è sempre vigile, tranne per alcuni atteggiamenti rilevati all’inizio, lo sguardo storico sullo sviluppo della borghesia. Ciò che egli intende esprimendo il giudizio della riuscita sintesi di individuo e società nel sonatismo del periodo ‘classico’, non si riferisce all’effettivo raggiungimento sociale di questa integrazione, ma a ciò che le circostanze storiche lasciavano intuire all’artista (97). Il raggiungimento musicale della sintesi dialettica rappresenta il lato utopico e critico del secondo periodo. "By making manifest its own effect on harmonious totality - scrive Rose Rosengard Subotnik nel saggio Adorno’s Diagnosis of Beethoven’s Late Style - Beethoven’s second-period style calls attention by contrast ot the ongoing lack of wholeness or integrity in the human condition"(98). Il riconoscimento dell’impossibilità di questa sintesi costituisce il presupposto della poetica dell’ultimo Beethoven, rendendo la sua produzione sempre più realistica (99). Le premesse per il collegamento tra i due periodi vanno dunque cercate in ciò che i due stili hanno in comune. A questo proposito, Adorno non si occupa tanto di isolare cronologicamente le prime apparizioni di questo cambiamento di stile, "but rather, conclude Rosengard Subotnik, by locating what Hegel calls ‘negative moments’ or ‘resistances’ in the second-period style at precisely its most characteristic"(100). Anche nella definizione dello Spätstil è fondamentale il confronto con il ‘compositore dialettico’ Schönberg. Nella completezza del dominio tecnico ottenuto dalla dodecafonia, compaiono i primi sintomi dell’appartenenza delle composizioni mature di Schönberg a quella che Adorno chiama "una tradizione che assimila tra loro le ultime opere della musica classica’(101). Il rapporto del compositore (in questa pagina di Filosofia della musica moderna Adorno si riferisce specificamente a Schönberg) con il materiale musicale è all’insegna dell’indifferenza; il primo rinuncia alla necessità estetica vincolando il secondo in una sovranità dai tratti amministrativi. Questo atteggiamento rivela una sorta di "graduale recedere dalla parvenza"(102), che Adorno rinomina come ‘desensibilizzazione del materiale’:

Nell’ultimo Beethoven le vuote convenzioni attraverso cui passa guizzando la corrente compositiva hanno appunto la funzione che nell’ultimo Schönberg ha il sistema dodecafonico. Il processo di desensibilizzazione del materiale si è fatto sentire fin dagli inizi della dodecafonia come tendenza alla dissociazione.(103) Nello Spätstil la coerenza interna del secondo periodo, l’integrazione senza residui del singolo nella totalità della composizione, non sono più compatibili con il contenuto di verità dell’opera: a farne le spese, scrive Adorno nella Teoria estetica, sono sia l’espressione, che "compensa la derelitta individualità concedendole una ingannevole importanza", sia la struttura oggettiva stessa, ormai "più che solamente analoga al mondo amministrato"(104). Secondo Adorno è una costante, a partire dal tardo Beethoven, che i grandi artisti che hanno raggiunto l’integrazione totale nelle loro opere, attivino nelle ultime un processo di disgregazione: Ma la verità di tale disintegrazione non si può conquistare se non passando attraverso il trionfo e la colpa dell’integrazione, e per niente di meno. La categoria del frammentario, che si colloca a questo punto, non è quella della contingente singolarità: il frammento è quella parte della totalità dell’opera che resiste alla totalità stessa.(105) 3.6.1 Spätstil
Il concetto di disgregazione e la sua funzione nell’opera dell’ultimo Beethoven sono l’oggetto del breve saggio Spätstil Beethovens. La storia dell’arte, sostiene Adorno, considera un dato comune l’asprezza delle opere più mature dei grandi compositori. L’armonia interna e gli altri parametri dell’estetica classicista sono oggetto di rinuncia di queste opere che tendono decisamente a sottrarsi al mero piacere del gusto. Questo giudizio include naturalmente, a livello anzi esemplare, il cosiddetto tardo stile di Beethoven. Ma la spiegazione tradizionale a questo fenomeno è per Adorno assolutamente insufficiente: essa consiste infatti nel puro e semplice ricorso a motivazioni psicologiche e caratteriali. Così, la rinuncia alla rotondità della forma e allo stimolo sensorio sarebbero segno dell’autodominio dello spirito ‘liberato’, e l’armonia cederebbe alla dissonanza l’espressione di un dolore e di un’amarezza presumibilmente giunti con l’avanzare dell’età e la prossimità della morte. La disposizione caratteriale di Beethoven, aggravata dalla sordità, porta con grande facilità acqua al mulino dello psicologismo. Ma, sostiene Adorno, una lettura simile si applica con maggior profitto ai Quaderni di conversazione che non alle opere musicali. Il filosofo rivendica anche per questa fase lo statuto conoscitivo del periodo ‘classico’. Nel caso specifico di Beethoven, il concetto di ‘espressione’ non si adegua alla teoria psicologistica: la legge di strutturazione formale delle sue opere non dipende dal carattere espressivo. Lo Spätstil è connesso piuttosto con procedimenti "altamente non-espressivi" (106), primo fra tutti il rinnovato interesse per la scrittura polifonica. In più, l’Humor che accompagna la frammentazione formale non è sempre legato al sentimento di morte o al demoniaco. "Der unsinnliche Geist, sottolinea Adorno, meidet nicht Vortragbezeichnungen wie ‘Cantabile e compiacevole’ oder ‘Andante e amabile’"(107). La soggettività, della quale la musica beethoveniana viveva nel secondo periodo e continua a vivere nel terzo, non è quella dell’espressione, ma quella di stampo kantiano, non disgregatrice della forma, ma sua fonte primaria.La superiorità dell’approccio dialettico rispetto a quello tradizionale nei confronti dello Spätstil si misura, sul piano tecnico-compositivo, su un aspetto che, secondo Adorno, il secondo metodo eviterebbe intenzionalmente: il ruolo delle convenzioni. Se nel secondo periodo l’atteggiamento di Beethoven consisteva in sostanza nell’implicare le convenzioni nella dinamica soggettiva e trasformarle di conseguenza, il tardo stile si comporta in modo radicalmente diverso:
überall sind in seine Formensprache, auch dort, wo sie eins so singulären Syntax sich bedient wie in den fünf letzten Kalviersonaten, Formeln und Wendungen der Konvention eingesprengt. Sie sind voller schmückender Trillerketten, Kadenzen und Fiorituren; oftmals wird kahl, unverhüllt, unverwandelt die konvention sichtbar.(108) Adorno pone l’accento sull’accostamento di elementi stilistici che risulterebbero arcaici già nello stile del secondo periodo con un paesaggio sonoro fortemente polifonico, refrattario all’espressione lirica. Nella misura in cui questi due elementi stilistici interagiscono, in quanto cioè gli arcaismi non sono ‘rührende Reliquien’, essi contribuiscono in modo centrale alla costruzione formale delle opere tarde. Dopo aver mostrato l’infondatezza dell’approccio tradizionale, Adorno prosegue l’analisi con un recupero in chiave dialettica di quella soggettività proiettata verso la morte che secondo la visione comune costituirebbe il contenuto espressivo dello Spätstil. In realtà, sostiene il filosofo, la soggettività tramontante tende a scomparire dall’opera d’arte, non ad esprimere il proprio declino. ‘Strappi’ e ‘salti’ formali sono la testimonianza della debolezza del soggetto, che tende a divincolarsi dall’esteriorità rinnegando il principio stesso dell’opera: di questa rimarrebbero, secondo la definizione di Adorno, solo le rovine. In questo modo, nell’ultimo Beethoven attraverso la comparsa improvvisa e saltuaria le convenzioni diventano espressive ‘nella nuda rappresentazione di loro stesse’.(109) La ‘brevità’ dello stile tardo non è funzionale alla purificazione del linguaggio dagli elementi retorici, ma alla liberazione di questi ultimi dall’apparenza del loro dominio da parte del soggetto. Il carattere di processo della musica si mantiene grazie alla tensione (Adorno usa il termine Entzündung, accensione) tra elementi diametralmente opposti: da una parte l’unisono e il gesto retorico, dall’altra la polifonia. Questo contrasto non consente più alcuna conciliazione. Esso dà forma al mutamento dialettico del rapporto di Soggetto e Oggetto: Das Werk schweigt, wenn es verlassen wird, und kehrt seine Höhlung nach außen. [...] Denn das Geheimnis ist zwischen ihnen [den Extremen] und anders läßt es sich nicht beschworen als in der Figur, die sie mitsammen bilden. Das erhellt den Widersinn, daß der letzte Beethoven zugleich subjectiv und objectiv genannt wird. Objektiv ist die brüchige Landschaft, subjectiv das Licht, darin einzig sie erglüht. Er bewirkt nicht deren armonische Synthese. Er reißt sie, als Macht der Dissoziation [...].(110)

Come nota giustamente Alessandro Arbo, il parallelismo di questo procedimento compositivo con quello che costituisce il lato debole delle opere di Wagner e di Strawinsky è soltanto esteriore. Infatti, argomenta Arbo, mentre l’opera di questi due autori "riflette il processo di disgregazione della tonalità in modo quasi del tutto incondizionato, l’ultimo Beethoven, in virtù della consapevolezza con cui intravvede l’origine di tale processo, finisce per rintracciare nella scissione e nel frammento un argine alle aporie del pensiero totalizzante"(111). L’utilizzo, improvviso e indipendente dalla logica costruttiva, di Crescendi e Diminuendi, sottolinea infatti che l’illuminazione soggettiva esercita la sua intenzione solo nell’attimo. L’emergere improvviso di quest’ultima ha come significato, come detto poco sopra, quello di ‘incandiare gli estremi’, non quello dell’abdicazione del soggetto.

3.6.2 Missa solemnis
Nella filosofia della musica di Adorno, l’analisi della Missa solemnis è l’analisi della testimonianza di un fallimento. L’industria culturale e la parte più superficiale della storiografia musicale attribuiscono a quest’opera un carattere di completezza, un’aura di pienezza spirituale e liturgica che in realtà non le competerebbero affatto. Secondo Adorno, descrivere la Missa solemnis in questo modo significa occultare la tensione con la realtà di cui questa opera è espressione, al solo scopo si esporla, ormai inoffensiva perchè sproblematizzata, all’ammirazione dal vasto pubblico. Una tale operazione è possibile soltanto se la critica leva ostinatamente lo sguardo dal livello oggettivo, cioè compositivo, dell’opera, partendo dal quale i dubbi e le perplessità sul carattere di compiutezza sarebbero evidenti. Nella Missa, nota come prima cosa Adorno, non si hanno quasi tracce del procedere classico di Beethoven:

non è vero che l’ascoltatore può comprendere la Missa con il procedimento usato nelle grandi pagine sinfoniche di Beethoven, consistente nel concentrarsi per richiamare alla memoria ad ogni istante quello che precede in modo da percepire l’unità attraverso la molteplicità.(112) D’altra parte, la concezione armonica di quest’opera impedisce di classificarla tra i prodotti dello Spätstil: "le fughe e i fugati", spiega Adorno, "si adattano senza alcun attrito allo schema del basso numerato", mentre "i rappporti armonici [...] non sono quasi mai problematici"(113). Rispetto alla conduzìone ‘spiritualizzata’ delle ultime opere, la Missa solemnis tende all’uso frequente dei raddoppi di voci e degli ottoni in funzione melodica, mirando evidentemente alla monumentalità dell’effetto sonoro. Adorno descrive la Missa solemnis come un’opera priva di dinamica compositiva, per lo meno se considerata in rapporto alla precedente produzione beethoveniana. Il tentativo di fondere la concezione sonatistica del tematismo con il genere arcaico della messa si rivela, in quanto tale, fallimentare: L’organizzazione formale della composizione non è quella di un processo generato per propria forza centrifuga interna, né essa è dialettica, ma arriva a compiersi grazie ad un equilibrio tra le sezioni di diverse parti e grazie a un ferreo procedimento contrappuntistico a cui si devono tutti i tratti sconcertanti di quest’opera. Escludendo il principio dello sviluppo, Beethoven ha rinunciato nella Missa ai caratteristici temi beethoveniani.(114) Infatti, come si è visto, la caratteristica principale del tematismo beethoveniano era la ‘nullità’, cui era legata come contraltare la capacità di vincolare a sé l’intero sviluppo della composizione. Se il singolo momento viene privato della sua capacita di ‘slancio’, di andare oltre se stesso, la categoria della totalità come prodotto dell’automovimento dei singoli viene a crollare. In pratica, perdendo il singolo elemento tematico ciò per cui esso poteva essere considerato uno specchio della totalità, non rimane niente che possa essere integrato senza residui nel tutto. Nella Missa solemnis la totalità è ottenuta "a prezzo di una specie di livellamento, ché l’onnipotente principio di stilizzazione non tollera dei momenti che siano realmente ‘particolari’" (115): Non esiste un percorso ben limitato né il superamento della resistenza frapposta dal singolo, cosicchè l’impronta di casualità si riflette sul tutto e i diversi pezzi, privi di un fine preciso prescritto dall’impulso degli elementi particolari, terminano per lo più stancamente, cessano senza la garanzia di una conclusione reale.(116) Dal punto di vista metodologico, il saggio Straniamento di un capolavoro presenta un procedimento molto più lineare di altri scritti adorniani: egli si occupa infatti come prima cosa della confutazione di un’opinione diffusa presentata come problematica (quella che attribuisce carattere auratico alla Missa); poi traccia una panoramica dei lati critici dell’opera in questione e la colloca all’interno dei lavori beethovaniani del secondo e del terzo periodo, rilevandone differenze e analogie; infine applica ai risultati ottenuti (non rinunciando però a definire questo passo come ‘la vera comprensione’ dell’opera (117)) il particolare punto di vista dell’interpretazione dialettica (118). Se all’arcaismo della forma della messa e allo sviluppo di tipo sonatistico si attribuisce carattere rispettivamente di Oggetto e Soggetto, è chiaro che il ‘fallimento’ musicale fin qui descritto sarà una testimonianza della non-integrabilità di questi elementi. Nel ‘non conciliare ciò che si presenta come inconciliabile’, Beethoven dimostra secondo il filosofo di innalzarsi al di sopra dello spirito borghese. In questo rifiuto della "convalidazione acritica dell’essere" si trova il punto di contatto, al di là delle differenze stilistiche, della Missa solemnis con le opere dello Spätstil. L’ultimo Beethoven, con la sua esperienza di musicista, deve aver avuto in sospetto l’unità di soggettività e oggettività, la compattezza della creazione sinfonica perfetta, la totalità risultante dal movimento dei momenti singoli, e insomma ciò che conferisce autenticità alle opere del periodo di mezzo. (119)