Conclusioni

Analogia e dialettica.

Come è stato più volte rilevato, Adorno manifesta spesso la pretesa che le sue conclusioni sul rapporto tra musica e società oltrepassino il livello della ‘mera analogia’ per avvicinarsi alla ‘cosa stessa’(1). Questo atteggiamento è evidente nell’interpretazione della musica di Beethoven come Vorahnung, presentimento del destino della classe borghese. La questione dell’analogia coinvolge anche la questione della reale importanza del particolare nello sviluppo del pensiero adorniano: entrambe le questioni sono problematiche soltanto se giudicate con parametri logici esterni alle premesse dichiarate del filosofo. Nella scelta del pensiero dialettico è implicita la rinuncia alla separazione di metodo e oggetto di studio; di conseguenza, il concetto del particolare e dello statuto conoscitivo del sistema stesso acquista una rilevanza del tutto originale. L’ottica, per fare un esempio, della falsificazione popperiana, secondo la quale, in termini schematici, il singolo particolare ha la proprietà di vanificare il livello di corrispondenza fattuale di un sistema teoretico, è esplicitamente rifiutata. Di conseguenza, il pensiero filosofico-musicale di Adorno esclude a priori la possibilità che il ritrovamento di un elemento particolare errato nell’analisi musicale che accompagna i rilevamenti dell’autore, o anche la stessa denuncia dell’insufficienza degli stessi riferimenti specifici, possa confutare l’impianto complessivo della filosofia della musica. Per rimanere al pensiero su Beethoven, che per via della sua frammentarietà rappresenta una fase abbastanza critica per una considerazione unitaria della filosofia della musica, non esiste una singola opera o un singolo passaggio che possa mettere in dubbio l’impostazione del fondamentale parallelismo tra la sua musica e la dinamica della borghesia. In questo contesto, anche il significato dell’analogia è da considerarsi mutato. Sono del parere che la continua pretesa del filosofo secondo la quale il suo pensiero si spingerebbe oltre la ‘mera analogia’ costituisce un punto debole all’interno di un pensiero che tutto sommato (come spero di aver mostrato in questa dissertazione), nella sua complessità dialettica e incredibile ricchezza di spunti critici, si presenta coerente con le proprie opzioni di fondo in tutte le sue determinazioni. La problematicità di questo atteggiamento è dovuta al fatto che all’interno al pensiero dialettico, almeno per quanto ho potuto constatare dall’analisi del’opera adorniana, non viene offerta una concezione dell’analogia che si possa considerare soddisfacente in relazione alla nuova funzione che le viene di fatto attribuita. In sostanza: nella storia della filosofia, la ‘mera analogia’ è presentata come procedimento opposto a quella conoscenza che deduce infallibilmente e in modo necessario i casi particolari da premesse generali. Quindi, rimandare ad una conoscenza ‘oltre’ l’analogia significa inevitabilmente rimandare alla conoscenza ‘esatta’. Nella storia ‘illuministica’ del pensiero occidentale, nella quale Adorno colloca pur sempre se stesso e la sua dialettica negativa, non esiste alternativa al dualismo tra i due procedimenti del pensiero. Rifiutare la conoscenza fondata sulla prova e pretendere di spingere le proprie considerazioni oltre l’accostamento analogico significa esporsi seriamente al rischio dell’autocontraddizione. La soluzione di questa situazione si presenta, a mio avviso, in due casi: 1) le coppie dialettiche del pensiero di Adorno, Hegel e Beethoven, Hegel e la borghesia e infine Beethoven e la borghesia, sono intesi come incarnazioni autonome, personificazioni di un principio più generale, cioè dello Spirito come entità dialettica per eccellenza. In questo caso, i singoli passi dello sviluppo sono riconducibili a (o deducibili da) quello metafisico, e la verità o meno di ogni componente è misurata sulla corrispondenza con il modello. Molte affermazioni del filosofo stesso sembrano rendere l’accostamento del pensiero di Adorno a questo procedimento molto verosimile; ma in questo caso non tiene conto della circostanza che nella sua filosofia le singole componenti, storia, sociologia, musica, filosofia non sono separate, ma sono improntate ad un concreto e vicendevole rapporto critico. Dunque 2): ritengo si possa dire che il pensiero di Adorno funziona per analogia, ma non per ‘mera analogia’; il sistema dialettico si sviluppa in una complessità di riferimenti incrociati in cui ogni aspetto contribuisce concretamente alla comprensione degli altri. Non è possibile stabilire un primum da cui derivare la posizione dei singoli componenti il sistema: il pensiero di Adorno si sviluppa in modo tale che le analogie da lui proposte sono ‘attive’, contribuiscono all’edificazione del processo (non concluso e non sistematico) stesso. Sia che si consideri l’appello a superare la mera analogia verso la Cosa stessa come un fraintendimento dovuto all’unione di due linguaggi teoretici separati, sia che lo si consideri come un tratto dogmatico, uno ‘scivolamento’ di Adorno nella metafisica, ritengo si possa sostenere, richiamando il giudizio del francofortese su Hegel, che il complesso del suo pensiero, considerato al di là di certe tendenze dogmatiche e limiti culturali dell’autore stesso, riesce a mantenere contemporaneamente le premesse di dialetticità, di frammentarietà intesa come antisistematicità e di attenzione verso il concreto qualitativo. Da ultimo, occorre rilevare che l’aspetto etico della filosofia di Adorno, da me trascurato per evidenziare l’aspetto più specificamente filosofico della connessione di dialettica e musica, ha un ruolo determinante nella nascita e nello sviluppo del suo pensiero. La battaglia teorica in favore dell’individuale, che pervade la sua opera, non è motivata soltanto da considerazioni astratte o soltanto interne alla storia del pensiero filosofico. Dire che al particolare spetta il ruolo di falsificare una teoria è molto diverso dal sostenere il potere eversivo dell’individuo, motore dialettico, nei confronti di un sistema che l’ideologia spaccia per necessario.