Intendo
fornire una serie di informazioni che permettano ad ognuno di noi di farsi
una propria idea e di non delegare ad altri il nostro futuro su aspetti
così rilevanti, quindi credo che l'obiettivo di questo incontro
è quello di stimolare una riflessione ed un dibattito su problemi
che hanno rilevanza anzitutto etica, ma anche in termini sociali, economici,
ambientali, sanitari; insomma c'è una quantità di aspetti
che sono toccati da queste tematiche, che sarebbe veramente incredibile
che qualcun altro decidesse per noi su questi temi. Tuttavia, questo è
proprio quello che sta succedendo, perché in realtà di manipolazioni
genetiche si parla da molti anni, le manipolazioni genetiche esistono come
potenzialità dagli anni '70, dagli anni '80 abbiamo cominciato a
verificare che, negli USA prima, poi anche in altri Paesi compresa l'Europa,
si sono create aziende, industrie e multinazionali in questo settore (
in particolare negli Stati Uniti, dagli anni '80, questo si è prima
sviluppato nel settore bio-medico, poi anche in quello agro-alimentare);
oggi rischiamo di discutere di queste cose quando in gran parte il processo
rischia di sfuggirci di mano, di sfuggire di mano a noi, in quanto cittadini,
in quanto collettività, ed è questo l'aspetto più
rilevante.
Allora
credo che proprio in una logica di informazione, ma anche di provocazione,
perché lo stimolo al dibattito viene anche dalle provocazioni, partirei
da alcune considerazioni preliminari.
La
prima cosa è che troppo spesso si parla non di manipolazioni genetiche,
ma di biotecnologie. Ecco, stiamo attenti perché le biotecnologie
esistono da quando l'uomo è diventato prima allevatore, e poi agricoltore,
perché biotecnologie indica semplicemente una tecnica che utilizza
un fenomeno biologico; quindi fare la birra, o l'aceto, o il vino, o lo
yogurt e si potrebbe andare avanti a lungo, sono tutte biotecnologie. Si
utilizzano dei fenomeni, in questo caso processi determinati da microrganismi,
per ottenere un processo tecnologico, cioè un qualcosa che in natura
non si verificherebbe senza una progettualità dell'uomo, che utilizza
la conoscenza di questo fenomeno e la finalizza ad un processo tecnico.
Quindi le biotecnologie non sono una novità.
La
novità, negli anni '70, è l'acquisizione a livello scientifico
della scoperta che esistono dei processi molecolari per cambiare porzioni
di informazione genetica corrispondenti a geni e trasferirli da una specie
a qualunque altra. E qui teniamo a definire alcuni dei termini che vengono
correntemente utilizzati.
Spesso
si trova scritto OGM, ovvero organismo geneticamente modificato, è
un organismo nel quale con questa tecnica, detta anche, in ingegneria genetica,
tecnica del DNA ricombinante, ho inserito un gene estraneo a quell'individuo,
a quella popolazione, a quella specie. Usando questo metodo posso inserire
anche geni della stessa specie, ma il più delle volte si inseriscono
geni di specie assolutamente diverse; quindi trasferendo geni da una specie
ad un'altra ottengo un nuovo individuo che è transgenico. Di conseguenza
parliamo anche di prodotti transgenici, di cibi transgenici, in quanto
derivati di organismi manipolati geneticamente.
Quali
sono i problemi che pone l'applicazione delle manipolazioni genetiche nei
vari settori?
Qui
bisogna stare attenti a non cadere in alcuni luoghi comuni ed a non fare
di tutt'erba un fascio. Non è che a priori qualsiasi manipolazione
genetica debba essere considerata inaccettabile, il problema è di
vedere quando un intervento rispetta principi etici, di sicurezza per la
salute dell'uomo, di sicurezza per l'ambiente, di rispetto dei popoli,
quando rispetta dei valori che sono parte fondamentale della comunità
di cui facciamo parte. Allora, le prime applicazioni di manipolazioni genetiche
si sono rivolte, e sono rilevanti tuttora, al settore della salute, al
settore bio-medico, inizialmente con due applicazioni, poi ne vedremo una
terza, attualmente in corso e molto pericolosa.
La
prima applicazione, che pure ha dei rischi, consiste nel modificare dei
batteri, quindi dei microrganismi, con dei geni, il più delle volte
di origine umana. In questo modo posso far produrre a dei batteri proteine
che sono tipiche della specie umana. In realtà questo tipo di procedura
è da tempo consolidato e, anche se non ce ne accorgiamo, moltissime
persone comprano in farmacia prodotti medicinali che sono ottenuti in questo
modo. Ad esempio in questo modo si può ottenere insulina di origine
umana, che i diabetici usano normalmente.
Qual
è il motivo di rischio ed il motivo di accettabilità di questo
tipo di procedimento? Va detto subito, che quando io modifico geneticamente
un microrganismo, c'è un pericolo, perché se questo microrganismo
si diffondesse nell'ambiente naturale e, per esempio, produce una proteina
umana in quantità e luoghi sbagliati, potrebbe avere effetti disastrosi
sulla specie umana, se questo microrganismo è in grado di inserirsi
nel corpo umano. Però normalmente, come tecnica ormai consolidata,
questi microrganismi sono tenuti in ambienti cosiddetti 'confinati', quindi
in ambienti chiusi di laboratorio, dove è necessario usare tutta
una serie di cautele per entrare nel luogo dove si opera, e questi microrganismi
sono all'interno di un reattore fermentatore, che può essere spento
con un interruttore, il che significa che qualunque cosa succeda, io posso
spegnere il sistema e quindi sono in un ambiente in qualche modo controllato
e, se l'ambiente è controllato, il rischio del prodotto finale che
metto in commercio è paragonabile al normale rischio di qualunque
medicinale, il che non significa che non ci sono rischi, al contrario.
Per esempio, in questo modo mettendo in circolazione un aminoacido essenziale,
che è utile per risolvere delle carenze alimentari, si è
determinata la morte di alcune persone perché nella purificazione
dei microrganismi sono stati ottenuti dei residui di prodotti non voluti,
ma tossici, che hanno determinato la nocività da parte del prodotto
ricavato. Questo perché passando dalla tecnica di laboratorio alla
tecnica industriale, si compiono delle operazioni che rendono meno sicuro
il processo, ed anche perché probabilmente questo è dovuto
al fatto che inserendo dei geni, io interagisco con altri geni, e quindi
posso avere delle attivazioni e delle disattivazioni di porzioni dell'informazione
genetica, che possono produrre sostanze non desiderate. Il che, vedremo,
accade anche in altri ambiti.
In
ogni caso, se il processo viene effettuato in ambiente confinato, possiamo
dire che questo tipo di situazione rientra nella normale procedura di produzione
di medicinali, non solo, ma c'è un ragionamento ben preciso alla
base di ciò: il rischio che si corre con un medicinale, è
un rischio in qualche modo noto, perché ogni medicinale comporta
qualche rischio, ma è controbilanciato, quando il medicinale è
ben sperimentato, dal vantaggio nel combattere un pericolo che si spera
maggiore del rischio che deriva dal medicinale. Certo, non sempre è
così, perché quando si è messo in vendita un medicinale
contro il mal di testa che conteneva sostanze cancerogene, il bilanciamento
non era uniforme, eppure questo è stato fatto e si continua a fare.
Ad
ogni modo diciamo che in generale questo non è un problema tipico
del prodotto manipolato geneticamente, ma è un problema del medicinale
in generale. Il rischio può essere anche rilevante se è compensato
dal fatto che ciò che produco può salvare delle vite umane
rispetto al rischio ben maggiore che in assenza del medicinale il danno
sicuramente peggiori.
Questo
stesso tipo di discorso può essere fatto anche riguardo ad un altro
tipo di intervento medico, ovvero con la terapia genica.
La
terapia genica ha come finalità quella di intervenire non sull'informazione
genetica dell'individuo, ma sull'informazione genetica di cellule e di
tessuti e organi di individui che presentano geni che o non funzionano,
o danno predisposizione a certe malattie, sicchè modificando tali
geni, essi modificano o la malattia genetica ereditaria, o la predisposizione
a certe malattie non necessariamente ereditarie, ma che si acquisiscono
grazie alla predisposizione. Oggi con la terapia genica abbiamo ottenuto
un solo caso di cura.
C'è
una sola malattia ereditaria che viene curata con la terapia genica, e
si tratta di una malattia rarissima (una forma di immunodeficienza congenita
che costringe a vivere per sempre in ambiente sterilizzato). Questo dimostra
la difficoltà di trasformare un processo teoricamente semplice in
un procedimento affidabile e credibile, che dia dei risultati.
Finora
alle industrie del settore interessa molto di più cercare terapie
per malattie di larga diffusione, che assicurino lauti guadagni ad imprese
che non appartengono ad enti pubblici, ma a privati. Alle multinazionali
del settore preme più ottenere la terapia genica non tanto per malattie
genetiche che sono quasi sempre molto rare, ma per malattie di larga diffusione
come il tumore o l'AIDS, che però non è detto che siano curabili
attraverso questo tipo di terapia. Tuttavia, anche alcune malattie genetiche
abbastanza diffuse non sono risolvibili con la terapia genica perché
si ignora un fenomeno molto importante che è quello per cui inserire
un gene in un sistema complesso, non comporta necessariamente che quello
stesso gene si manifesti, ciò vuol dire che bisogna studiare bene
la possibilità che nell'interazione fra geni ci sia il manifestarsi
del gene desiderato; il che è tutt'altro che facile. Noi oggi siamo
in gradi di inserire geni, ma non siamo affatto capaci di controllare ciò
che succede una volta introdotto un gene. Questo è un limite rilevante,
che in altri casi ci permetterà di capirne i pericoli.
Anche
nel caso della terapia genica abbiamo dei rischi, infatti di recente una
persona che si è sottoposta, volontariamente ed adeguatamente informata,
alla sperimentazione della terapia genica è morta. Il rischio in
questo caso è stato compensato dalla possibilità di guarire,
in quanto la malattia per la quale quella persona aveva accettato di sottoporsi
al trattamento avrebbe portato comunque alla morte. In ogni caso noi abbiamo
sempre una valutazione dei rischi e dei benefici e, dobbiamo aggiungere,
nel caso della terapia genica, i rischi riguardano solo l'individuo interessato,
e non è invece qualcosa che si diffonda, in quanto abbiamo solo
modificato delle cellule. A livello etico finora abbiamo sempre rifiutato
che si possa intervenire sui geni di cellule germinali, cioè che
possano dare origine permanentemente ad una modificazione genetica, perché
c'è un principio etico che non esiste in natura una definizione
esatta di gene buono e di gene cattivo, come non esistono piante buone
e piante cattive, o animali buoni ed animali cattivi. Per capire la differenza
fra gene buono e gene cattivo, che non esiste, vi mostro che in natura
esistono numerosi casi di geni apparentemente sfavorevoli per le specie
che li portano, e che poi, in particolari condizioni, si rivelano vantaggiosi.
Un esempio classico è quello delle farfalle che vivono sulle betulle,
farfalle normalmente bianche, che stando sulle betulle, la cui corteccia
è anch'essa bianca, non sono visibili agli uccelli loro predatori.
Tuttavia all'interno di questa popolazione di farfalle c'è un gene
che determina la colorazione nera, sicchè le farfalle nere, stando
sulla corteccia chiara, vengono subito individuate dai predatori. Nonostante
questo svantaggio, nei meccanismi riproduttivi, una quota della popolazione
mantiene il carattere della colorazione nera. Proprio questo carattere
si è rivelato vitale quando, a causa dell'inquinamento conseguente
allo sviluppo industriale nell'Inghilterra della dine del '700, si è
avuto l'annerimento della corteccia delle betulle. In queste condizioni,
solo la quota delle farfalle nere godeva di una buona mimetizzazione, a
differenza delle farfalle bianche.
Questo
significa che la definizione di gene utile e di gene dannoso varia al variare
dell'ambiente, non c'è un concetto fisso.
Questo
vale anche per la specie umana. In molte zone dell'Adriatico, compresa
la Puglia, è diffusa una malattia detta 'anemia mediterranea', solo
nelle zone al di sotto dei 500 metri di altezza, oltre i quali non si trova
più questo carattere. La presenza di quest'ultimo è legata
a zone un tempo malariche. Infatti l'anemia mediterranea è una malattia
che comporta di solito una vita disagevole, a causa della necessità
di continue trasfusioni e la purificazione del sangue dagli accumuli di
ferro. Pertanto oggi l'anemia mediterranea appare come una malattia del
tutto negativa. Eppure nel passato, quando in quello stesso territorio
c'era la malaria, una piccola quota di popolazione andava incontro all'anemia
mediterranea, una piccola quota di popolazione moriva di malaria, una gran
parte della popolazione non aveva né la malaria, né l'anemia
mediterranea. Infatti gli individui che ricevevano da uno solo dei genitori
il carattere per l'anemia mediterranea avevano dei globuli rossi leggermente
più piccoli, e conducevano una vita assolutamente normale, però
questa piccola anomalia rendeva lo sviluppo del plasmode della malaria
diverso da quello che si ha nelle condizioni di un globulo rosso normale
e permetteva alle difendersi dalla malaria. Questo significa che il gene
dell'anemia mediterranea in sé non è né buono, né
cattivo, ma dipende dalle condizioni ambientali. Lo stesso discorso vale
per l'anemia falciforme, legata ad un altro tipo di malaria.
Tutto
questo per dire che sarebbe perfettamente demenziale intervenire artificialmente
sul patrimonio genetico umano e pensare di trasformare l'uomo in un individuo
perfetto, con geni tutti giusti, perché si ha in mente una certa
idea di quali siano i geni giusti, come quando si pensa che tutti gli uomini
debbano essere con gli occhi azzurri, magari tutti alti un metro e ottanta,
magari biondi, o a seconda dei gusti. In effetti in America c'è
chi pensa a queste cose, per cui si parla di 'bambini a comando'. Io spero
che queste cose non accadano mai, però c'è purtroppo chi
lo auspica in qualche modo. Il fatto stesso che si parli di clonazione
umana spiega come questa tendenza sia tutt'altro che remota e addirittura
oggi siamo arrivati a ciò che prima veniva negato, ovvero che mai
si sarebbe effettuata la clonazione umana. Ma, guardate, se siamo in grado
di clonare animali, siamo tecnicamente in grado di clonare anche l'uomo.
E
perché oggi si arriva alla clonazione? La clonazione è un
fenomeno che conosciamo dagli anni '60. Il motivo per il quale oggi si
vuole arrivare alla clonazione di mammiferi, e quindi anche dell'uomo,
è che ci sono nuove prospettive commerciali, e non di interesse
scientifico. Per esempio, in natura nei microrganismi e nelle piante la
clonazione è naturale. I microrganismi si riproducono in modo tale
da formare cloni, e nelle piante si possono riprodurre piante in modo che
si formino cloni, così come avviene con la talea. 'Clone' non significa
che la pianta sia identica a quella di partenza, anche questo è
un grosso errore molto comune, 'clone' vuol dire piuttosto che ha lo stesso
patrimonio genetico, ma siccome le sollecitazioni ambientali a cui è
sottoposto l'individuo provocano comunque risposte differenti nei due esemplari,
che nell'interazione con l'ambiente non sono mai uguali, perciò.
Bisogna poi considerare anche il fatto che due individui sfasati nel tempo
non sono mai uguali. Ma c'è una domanda di clonazione umana di un
altro tipo e che spiega come mai oggi siamo arrivati a clonare l'uomo,
o perlomeno a proporlo ed a brevettare una clonazione umana. Perché
una volta ottenuta la manipolazione genetica di mammiferi e per mantenere
in maniera permanente questa modificazione genetica, è indispensabile
la clonazione, poiché attraverso la riproduzione sessuale il carattere
acquisito per modificazione genetica si disperderebbe.
E
infatti la clonazione di Dolly nasce da questo. Oggi, il fatto che si sia
brevettata (dicono che sia un errore, ma non è vero) una tecnica
di clonazione per tutti i mammiferi, uomo compreso, è perché
questo apre alcuni aspetti commerciali di grande interesse.
Nelle
applicazioni mediche, finchè si tratta di ottenere farmaci o terapia
genica, non sollevano grandi problemi né etici, né comportano
rischi diversi da quelli impliciti negli altri tipi di medicinali. Ma quando
vediamo intaccare il patrimonio genetico umano, in maniera permanente,
per finalità mediche, il discorso cambia. E infatti il discorso
della clonazione di animali, ed eventualmente umana, ha una finalità
tutta commerciale, con aspetti estremamente rischiosi non giustificati
per l'umanità nel suo complesso. Se modifichiamo geneticamente animali,
lo facciamo in particolar modo, e questo è il grande affare del
futuro, per poter rendere animali, come le scimmie, o i maiali, 'umanizzati'
cioè per inserire geni umani in modo da rendere questi animali vicini
all'uomo, dal punto di vista della istocompatibilità e quindi come
possibilità di trasferire tessuti ed organi di queste scimmie e
maiali nell'uomo, e perciò per utilizzarli come fonte di pezzi di
ricambio nella medicina dei trapianti. E' chiaro che una volta che ho umanizzato
un animale per trapianti, non posso permettermi di disperdere il carattere
e di riprodurlo ogni volta di nuovo, perchè sarebbe troppo costoso,
quindi il carattere viene mantenuto tale e quale è stato ottenuto
mediante la clonazione.
L'altro
motivo, per cui si è arrivati alla clonazione anche dell'uomo, riguarda
il fatto che ci sono dei problemi nel trapianto di tessuti ed organi da
animali, perché quando io inserisco il cuore di un maiale nell'uomo,
ad esempio, ammesso anche che non ci sia rigetto, dal momento che si tratta
di un animale umanizzato, comunque sangue e cellule di questo cuore sono
sempre sangue e cellule proprie della specie del maiale, e quindi ne contengono
le particolari caratteristiche genetiche. Ora, nel patrimonio genetico
di ogni mammifero si trovano anche dei virus (vedi l'esempio dell'herpes,
che è un virus inserito nel genoma, e che si manifesta in particolari
casi di abbassamento delle difese immunitarie). Quando il virus proprio
di un animale riesce a colonizzare un altro animale, inizialmente, finchè
non si stabilisce una situazione di equilibrio, provoca danni irreversibili.
Il virus dell'AIDS e di Ebola sono degli esempi di questo tipo di inserimento
di virus propri di alcuni animali (le scimmie) nell'uomo. Quindi il rischio
che dai maiali o dalle scimmie usati negli xenotrapianti si trasmettano
virus estranei all'uomo è altissimo, mortale. Infatti, poiché
nel sangue ci sono delle cellule in grado di diffondersi nell'organismo
ricevente, una volta effettuato lo xenotrapianto, si instaura un equilibrio
tale che il 7-8% delle cellule dell'individuo ospitante sono di origine
animale. Si ottiene così quella che viene definita la 'chimerizzazione'.
Siamo realmente in grado di sapere cosa vuol dire, anche solo dal punto
di vista pratico, creare organismi chimerici, con tutti i rischi impliciti
in questo tipo di intervento? E' evidente che la cosa sia quantomeno avventata.
Qui non c'è più la possibilità di mettere su un piatto
della bilancia un vantaggio, contro un certo rischio, qui c'è solo
un rischio enorme che non può essere controbilanciato da niente!
E
tuttavia in Italia abbiamo numerose fattorie impegnate nell'allevamento
di maiali transgenici pronti ad essere sperimentati. In Inghilterra si
sta discutendo quando autorizzare il primo xenotrapianto da maiale, perciò
non stiamo parlando di qualcosa di futuribile, ma di qualcosa che è
già in atto.
Un'altra
possibilità aperta dalle manipolazioni genetiche per sopperire alla
carenza di organi ed ai rischi degli xenotrapianti, è quella di
costruire tessuti ed organi ex novo. Ci sono due strade: una è quella
della rigenerazione in vitro di strutture utilizzabili, come nel caso della
pelle; l'altra è quella di fabbricare degli uomini clonati, limitandoci
ai primi stadi di sviluppo embrionale, e una volta raggiunto un certo stadio
utile, prelevare delle cellule e farle sviluppare in tessuti o in organi
da riutilizzare; anzi, si dice, alla nascita si potrebbe fare subito il
clone di un individuo riponendolo in azoto liquido, questo stesso clone
all'occorrenza potrebbe essere ripreso, fatto sviluppare fino allo stadio
in cui produce organi utili ed utilizzato per i trapianti.
Tutto
ciò non fa che portare al dato di fatto della commercializzazione
del corpo umano, come la brevettazione delle tecniche di clonazione umana
dimostra. Il brevetto relativo al processo di clonazione umana non è
venuto per sbaglio, come si tenta di far credere, l'Ufficio Brevetti di
Monaco l'ha brevettato ben consapevole di quello che faceva, in quanto
questo stesso Ufficio qualche mese fa, sebbene la Convenzione Europea sul
Brevetto vieti il rilascio di brevetti di questo genere, attraverso una
modifica tecnica del regolamento, ha inserito al proprio interno tutta
la direttiva europea sui brevetti biotecnologici, una direttiva molto contestata,
che non è ancora stata recepita da nessun paese europeo, rispetto
alla quale Olanda e Italia hanno fatto ricorso presso la Corte di Giustizia
Europea, e che in questi stessi giorni è in corso di discussione
al Senato.
Per
capire che non si è trattato affatto di un errore basta leggere
il testo di questa direttiva ed il testo di recepimento della direttiva
presentato dal Governo italiano, quello stesso Governo che ha fatto ricorso
contro la direttiva. Certo, sono state apportate delle modifiche, la direttiva
ha ottenuto il voto di tutti i Ministri, tranne quello dell'Ambiente, in
ogni caso, sia nella direttiva, sia nel recepimento, si dice esplicitamente
che i brevetti non possono essere concessi per tecniche di clonazione di
esseri umani (il che in apparenza potrebbe sembrare una nota cautelativa,
ma in realtà le cose stanno diversamente), quindi sembrerebbe che
si possa parlare di errore. Invece, il termine usato dal Parlamento Europeo
era tecniche di clonazione umana, questo termine è stato volutamente
cambiato da tecniche di clonazione umana e tecniche di clonazione di esseri
umani, la differenza non sfugge e riguarda il fatto che un grumo di cellule,
quale è quello che si dà nei primi stadi dello sviluppo dell'embrione,
non è ancora ufficialmente definibile un essere umano, quindi l'aver
trasformato intenzionalmente i termini consente di lasciare uno spazio
di manovra alle tecniche di clonazione che arriva fino allo stadio di plastocisti,
in cui ancora non si può parlare di essere umano. La questione viene
presentata in termini assai ambigui.
All'articolo
5, primo comma, della direttiva si dice che la brevettazione del corpo
umano è vietata, mentre al comma due si dice che parti isolate del
corpo umano, compresi i geni umani, sono brevettabili. Ma siccome è
del tutto evidente che l'isolamento anche solo dei geni prevede un intervento
sul corpo umano, non sfugge come l'ipocrisia del primo comma non serva
che a giustificare il secondo.
In
realtà il secondo comma non fa che garantire ciò che negli
Stati Uniti è pratica comune da anni, ovvero la biopirateria. Negli
USA la brevettabilità esiste dagli anni '80, a partire da questi
stessi anni in tutte le parti del mondo i ricercatori americani stanno
rapinando geni di piante, di animali ed anche umani. Solo l'anno scorso
un'unica ditta americana ha richiesto il brevetto per 6500 geni umani.
In
Italia abbiamo un signore, i cui geni sono stati brevettati negli USA,
un signore di Limone del Garda, che possiede un gene che dà resistenza
ad un alto tasso di colesterolo, evitando il rischio di malattie cardio-circolatorie.
E' una scoperta molto interessante, ed interessante per tutti, ma questo
gene o appartiene a lui, o appartiene all'umanità. Invece no. Questo
gene appartiene ad una ditta che lo ha brevettato. Si sa anche di un commerciante
dell'Alaska, le cellule della cui milza sono state brevettate, e via discorrendo,
ci sono ormai moltissimi casi di questo tipo. Altro caso eclatante quello
di una linea di cellule raccolte ad una ragazza india dell'Amazzonia, e
brevettate. In seguito, quando la cosa è stata scoperta, la popolazione
d'origine della ragazza ha inviato una a lettera al presidente USA, dicendo
che mai avrebbero potuto immaginare che si arrivasse ad un'aberrazione
tale, che addirittura parti del corpo umano potessero diventare proprietà
di qualcuno, senza peraltro che i diretti interessati fossero informati.
La
biopirateria ha un campo di applicazione che non riguarda solo l'uomo,
ed ora veniamo alla seconda area fondamentale delle biotecnologie: il settore
agroalimentare. In questo campo il brevetto ha permesso di rapinare geni
di piante in varie parti del pianeta e di brevettarle, laddove questo poteva
essere usato biotecnologicamente attraverso manipolazioni genetiche. In
India, nei primi anni '90 ricercatori americani hanno scoperto che da più
di un migliaio di anni si utilizzano i prodotti derivati da un albero,
il nih, che dà origine a prodotti utilizzati in medicina umana ed
in agricoltura. Questa scoperta, che appartiene alla storia ed alla cultura
del popolo indiano, è stata da sempre messa a disposizione di tutti
i popoli dell'area dell'Oceano Indiano, senza che mai nessuno chiedesse
a questi popoli di pagare i diritti d'autore all'India. Invece, quando
arrivano le multinazionali americane, prelevano i geni di questi prodotti
e li brevettano in America. Il meccanismo è quello di una privatizzazione,
non solo nei confronti di qualcosa che appartiene alla natura, ma che rientra
nella cultura di un popolo che per secoli lo ha messo gratuitamente a disposizione
di tutti.
Questa
è la brevettabilità.
Oltretutto
la brevettabilità è considerabile come un 'offesa al buon
senso, giacchè un brevetto si attua quando si ha a che fare con
degli oggetti, delle macchine, degli utensili, quindi abbiamo qui l'affermazione
implicita che le piante siano assimilabili a delle macchine, a delle cose;
e che questi oggetti siano brevettabili in maniera anche più rigida
di come si fa con le cose inanimate, perché in effetti qui si sottopongono
a brevetto il gene, la pianta modificata con l'inserimento del gene, e
la discendenza di quella pianta, perché il brevetto di estende a
tutti i figli di quella pianta, che hanno quel carattere. Il che è
ben diverso che brevettare una macchina, perché quando io brevetto
una macchina, essa non è poi in grado di riprodursi e di fare tante
macchinette uguali alla prima, ma devo rifabbricarla io ogni volta.
Siamo
di fronte ad un'aberrazione colossale anche perché in questi casi
si proclama che l'uomo sia il creatore di quella pianta, di quel gene,
o di quell'animale, cosa che al momento non è assolutamente vero,
perché non siamo affatto in grado di farlo. Se diciamo che una pianta,
in cui abbiamo inserito un gene, peraltro in un insieme di migliaia di
geni, è una nostra invenzione, è come dire che se prendo
la Divina Commedia e ne cambio una parola, io sono l'autore della Divina
Commedia. Se lo facessi davvero, sarebbe palesemente un reato, invece se
prendo geni di una pianta non è reato, e le multinazionali possono
farlo.
Questa
è l'aberrazione del brevetto, che ha conseguenze etiche ed economiche
enormi, perché significano la privatizzazione della vita, da parte
di poche multinazionali sull'insieme delle risorse genetiche del pianeta.
Tutto
questo, applicato a livello agroalimentare significa che poche multinazionali
diventano proprietarie dell'intero sistema agroalimentare. Oggi abbiamo
immense multinazionali sementiere, che sono le stesse multinazionali della
chimica per agricoltura e le stesse delle biotecnologie alimentari. La
Monsanto ne è un esempio, essa produce diserbanti attualmente usati
in agricoltura, è un'azienda leader nel settore delle biotecnologie,
nonché una delle più grandi industrie sementiere al mondo.
In tal modo la Monsanto detiene letteralmente il controllo delle risorse
agroalimentari del pianeta, insieme a poche altre multinazionali.
Tale
controllo monopolistico non ha rilevanza soltanto economica, ma ha un 'importanza
enorme anche dal punto di vista sociale e politico, giacchè si acquisisce
il potere di condizionare la vita di intere regioni del pianeta. Nella
logica della globalizzazione, poi, il progetto è quello analogo
a ciò cui abbiamo assistito nel caso dell'industria, di produrre
dove, in termini di manodopera e di tutela dell'ambiente, non ci sono organi
di difesa, quindi meno controlli, più libertà di sfruttamento
e costi di produzione bassissimi. Questi prodotti agroalimentari saranno
prodotti in quei luoghi, ma essi non serviranno quelle popolazioni, essi
vengono prodotti dove costa meno e venduti dove il mercato tira di più.
La logica di questa privatizzazione mi permette un controllo planetario,
ma anche una situazione, di fatto già in atto, per cui si fa tutto
meno che risolvere il problema della fame del mondo, come invece viene
spesso propagandato. Anzi, tutto ciò contribuisce ad affamare ancora
di più i popoli poveri, e determinare una situazione intollerabile
che sta avvenendo nei paesi ricchi, dove la mancanza di una critica al
modello consumistico alimentare porta a mangiare troppo e male, mentre
avremmo bisogno di mangiare meno e meglio.
Nella
logica della globalizzazione c'è un progetto di controllo del pianeta,
che non guarda in faccia né all' etica, né alla difesa dell'ambiente,
né ai diritti dei popoli.
C'è
anche un problema di impatto diretto delle manipolazioni genetiche in agricoltura,
per quanto riguarda ambiente e salute. Quando noi abbiamo l'utilizzo di
piante e animali transgenici immessi nell'ambiente naturale, il processo
è irreversibile e non controllabile, come avviene in ambiente confinato.
Noi non siamo ancora in grado di prevedere che cosa succederà all'ambiente
inserendo piante ed animali transgenici, sapendo però benissimo
che questa piante e questi animali possono riprodursi senza controllo umano
e trasferire il carattere in direzioni non prevedibili e non volute. In
questa evenienza si determinerebbe una forma di inquinamento genetico di
un carattere che non ha nulla a che vedere con gli equilibri ambientali
e che può avere effetti sconvenienti. In altre parole questo mette
in pericolo la biodiversità del pianeta, che è la vera ricchezza
del pianeta, come dicono le conoscenze sia dei biologi, sia degli economisti.
Senza
biodiversità si va incontro ad un processo di desertificazione.
Per biodiversità dobbiamo intendere sia come diversità di
specie differenti in diversi ecosistemi, sia come l'insieme di diverse
caratteristiche genetiche all'interno di una popolazione: ogni individuo
è diverso da qualsiasi altro. L'importanza di questo tipo di biodiversità
si vede quando c'è un fattore patogeno, per esempio un virus o un
batterio, allorchè una parte della popolazione andrà incontro
alla malattia, mentre un'altra parte sarà in grado di difendersi.
Se non ci fosse biodiversità, se tutti fossimo uguali, clonati,
in caso di malattia si rischia la morte di ognuno, perché non ci
sarà nessuno in grado di sopravvivere. O si sopravvive tutti, oppure
si muore tutti. Sarebbe una sorta di roulette russa inaccettabile.
Oltre
al rischio ambientale ce n'è uno immediato, che è quello
per la salute dell'uomo con il consumo di cibi transgenici. Riproponiamo
lo stesso ragionamento fatto prima: mentre io posso tollerare un rischio
per un farmaco che mi guarisce da una malattia, quale rischio posso tollerare
per un cibo (che è indispensabile giacchè io devo comunque
mangiare)? Del resto non è che io ho il cibo transgenico perché
non c'è cibo, oggi mais e soia sono comunque disponibili. Non è
affatto vero che oggi si ha più cibo perché c'è il
cibo transgenico, come qualcuno dice. Negli USA esistono coltivazioni transgeniche
da quasi dieci anni, se è vero che all'inizio ci sono stati aumenti
delle rese quasi del 20%, in realtà in tutto questo periodo, rispetto
alle coltivazioni non trangeniche c'è stato un leggero calo.
In
effetti , le multinazionali, per i loro prodotti transgenici hanno scelto
cinque o sei piante da modificare, e solo due tipi di geni da inserire,
perché sono quelli che interessavano commercialmente. Sono stati
modificati soia e mais principalmente, che insieme costituiscono più
del 90% di tutte le coltivazioni transgeniche degli USA, a questi aggiungiamo
la colza e due colture non alimentari, il tabacco ed il cotone. Guarda
caso noi in Europa abbiamo sottoscritto una Convenzione come quella sulla
Biodiversità, che prevede il principio di precauzione (questo principio
significa che di fronte ad un processo tecnologico si stabilisce la necessità
di valutare se siamo in grado di prevederne i rischi e, una volta previsti,
se siamo in grado di controllare i danni in modo da minimizzarli). Ovviamente
il principio di precauzione si può applicare nel caso di un ambiente
confinato, ma non nel caso dell'immissione libera di organismi geneticamente
modificati nell'ambiente naturale, che possono diffondersi senza che io
sappia quello che succede. Non ho evidentemente gli strumenti per prevedere
che cosa quell'immissione è in grado di provocare dopo venti o trenta
anni.
In
termini sanitari il principio di precauzione dice che non è possibile
autorizzare la produzione di piante transgeniche per la commercializzazione.
Infatti sono state autorizzate solo, e con rischio, per sperimentazione.
Negli
USA il principio di precauzione non esiste, tant'è che gli USA non
hanno firmato la Convenzione sulla Biodiversità del '92, nata al
summit di Rio con altre due Convenzioni, quella sui Cambiamenti Climatici
e quella sulla Desertificazione. Gli americani non tollerano la precauzione,
preferiscono prima contare i morti che ha fatto per stabilire che una cosa
è pericolosa. Una volta accertato il danno, si può pensare
di apportare delle modifiche al sistema, ma se questi danni non sono più
controllabili, come nel caso dell'immissione di OGM nell'ambiente? Evidentemente
è ben difficile tornare indietro. Prendiamo il caso del DDT: sono
anni che non viene più utilizzato, eppure se ne trovano ancora tracce
nel latte materno delle donne occidentali e nel grasso degli animali del
Polo Nord. Questo dimostra come, una volta disperso nell'ambiente un processo
potenzialmente pericoloso non è più controllabile.
Nel
caso degli OGM precauzione significa prevenirne veramente l'utilizzo quando
non ne ho conoscenza adeguata.
Tuttavia,
anche se noi applichiamo il principio di precauzione, in base alle regole
del commercio mondiale, stabilite con la fondazione della WTO, in Europa
siamo in una situazione di eccesso nella produzione di cibo, tant'è
vero che lo distruggiamo, però siamo deficitari per soia e per mais,
che sono prodotti transgenici forniti dagli USA. Fino al '96 abbiamo opposto
una certa resistenza, dal '96 abbiamo accettato, perché gli americani
man mano che la crescita del prodotto transgenico arrivava oltre il 30-40%
del totale, è stato mescolato all'origine il prodotto transgenico
con il prodotto naturale, mandando le navi miste dell'uno e dell'altro
in Europa. Dal 1996 abbiamo accettato la soia mista, e dal 1997 il mais.
Da allora molti prodotti, fra cui i mangimi per animali e gran parte dei
prodotti che noi mangiamo, che contengono ad esempio lecitina di soia,
amido di mais, ecc., sono ottenuti in gran parte con prodotti importati
transgenici. E tuttavia, malgrado ciò sia già in atto, nessuno
sa che siamo tutti sottoposti ad un esperimento di massa, senza peraltro
averne capito i vantaggi. O meglio, i vantaggi per qualcuno ci sono, e
questo qualcuno sono le multinazionali che esercitano questo incredibile
controllo. Solo adesso l'Europa comincia a far valere le proprie ragioni
in merito al principio di precauzione. Seattle è stato uno scontro,
oltre che tra cittadini, Organizzazioni Non Governative, e logica della
globalizzazione del commercio mondiale, anche tra interessi e modi di vedere
circa questi problemi europei ed americani.
Recentemente
sulla biosicurezza c'è stato un incontro a Montreal, dopo il fallimento
di Cartagena, avvenuto un anno e mezzo prima, che ha portato un parziale
successo, poiché finalmente gli Stati Uniti hanno riconosciuto che
altri possono avere nel proprio ordinamento il principio di precauzione,
benchè loro non lo ammettano. In base al principio di precauzione
noi abbiamo bloccato l'importazione di carne estrogenata dagli USA, questi
ultimi intendevano imporre l'accettazione di questa carne, in quanto loro
non riconoscono tale principio, la WTO, ma anche l'Organizzazione Mondiale
della Sanità se è per questo, altrettanto no riconosce il
principio di precauzione. Sulla base di questa divergenza c'è stato
un conflitto commerciale. La vicenda è anche emblematica della differenza
fra due modi di vedere le cose.
Solo
adesso emerge la consapevolezza che noi da anni stiamo mangiando prodotti
transgenici, stiamo subendo una sperimentazione di massa, siamo tutti cavie
da laboratorio, e non siamo ancora ben certi dei rischi che tutto ciò
comporta.
Riepilogando:
un primo rischio è l'inserimento nel cibo di nuove proteine, il
che vuol dire che è del tutto possibile che una parte della popolazione
reagisca con intolleranze o allergie a queste nuove proteine;
un
secondo rischio è che insieme con il gene per il carattere desiderato
( sostanzialmente due sono le principali modificazioni operate: l'inserimento
del gene per la resistenza agli insetti, che ha provocato la morte di insetti
utili e l'assuefazione in insetti nocivi; e, un'operazione portata avanti
soprattutto dalla Monsanto, l'inserimento del gene per la resistenza ad
un erbicida, il glifosato, di produzione della stessa Monsanto, ma recentemente
il glifosato è stato dimostrato essere associato allo sviluppo di
un particolare tipo di linfoma, quindi di un tumore; perciò quando
io ho una pianta resistente al glifosato, questa pianta può assorbirne
in quantità rilevanti, senza subirne danno, sicchè quando
poi mangio la pianta, mangio anche il glifosato accumulato in essa, con
una forte esposizione al rischio di contrarre un tumore), si inserisce
anche un gene marcatore, che dà resistenza agli antibiotici, avente
la funzione di verificare se l'operazione di modificazione è andata
a buon fine. In questo caso resistenza agli antibiotici significa una certa
probabilità che il carattere venga assorbito, in quei pochi minuti
prima della digestione, da batteri presenti nel nostro intestino, per un
fenomeno noto in microbiologia, questi batteri, divenuti resistenti, possono
cedere la resistenza anche a batteri patogeni che sono entrati nel nostro
organismo. La conseguenza è che questi batteri patogeni non sono
più in grado di essere tenuti sotto controllo dagli antibiotici.
E questo è un danno grave alle possibili difese, esterne a quelle
naturali, quali sono appunto gli antibiotici.
Ultimo
e più inquietante rischi per la salute dell'uomo è che comunque,
come è stato visto avvenire nelle piante, l'inserimento del gene
estraneo, per il modo in cui è inserito, può portare all'instabilità
del patrimonio genetico, aumentando il fenomeno di ricombinazione. In natura
questo fenomeno esiste e là dove si verifica, per esempio con il
trasferimento dei transposoni, una particolare struttura del DNA che può
spostarsi da una parte all'altra. Quando si hanno questi fenomeni le zone
coinvolte possono subire delle alterazioni per cui i geni interessati possono
o bloccarsi, o attivarsi, o avere un'espressione maggiore o minore di quella
naturale; questo vuol dire che, per esempio, che in una pianta può
succedere che per effetto dell'aumento di ricombinazione, posso avere dei
geni che si attivano e producono una sostanza che normalmente o dove normalmente
non la producono, o ne produce di più là dove normalmente
ne produce pochissima. Nelle piante abbiamo sostanze tossiche prodotte
solo in parti che noi non mangiamo, oppure sostanze tossiche, ma prodotte
in quantità ridottissime; ebbene, se la patata, che produce la solanina,
che è tossica, comincia a produrla nel tubero che noi mangiamo,
evidentemente questo diventa un problema. E non è un problema teorico,
come ha dimostrato il caso del professor Putszai, presso lo stesso istituto
di ricerca scozzese della pecora Dolly, che scoprì che mettendo
un gene del bucaneve nella patata, la patata diventava tossica per gli
animali che se ne cibavano. Questo caso ha fatto clamore perché
quando il ricercatore comunicò questa scoperta, fu allontanato dall'istituto
e diffamato dai suoi superiori, ma dopo un anno e mezzo è venuto
fuori che ciò che diceva era vero.
Per
concludere: è vero che noi stiamo subendo una sperimentazione di
massa, ma è anche vero che i cittadini di tutto il mondo, Italia
compresa, hanno cominciato a pretendere quantomeno un'etichettatura dei
prodotti transgenici. A partire dal mese di aprile avremo un'etichettatura
che però nasconde un inganno, giacchè si è stabilito
che al di sotto dell'1% di contaminazione di transgenico venga considerato
come non transgenico. Peraltro non è ancora chiaro come si farà
l'analisi per determinare quest'1%, ecc.
Ad
ogni modo questo è già indicativo di come si stia facendo
qualcosa di concreto per arrivare all'etichettatura, il che sta mettendo
in crisi le multinazionali. Già nell'agosto dello scorso anno la
Deutsche Bank disse che se i cittadini avessero ottenuto l'etichettatura,
si sarebbero creati due mercati, il mercato del transgenico e quello del
naturale, ed è evidente che dinanzi alla scelta il cittadino preferirebbe
il prodotto naturale.
L'Europarlamento
ha verificato che dal 75 all'80%, a seconda dei paesi, i cittadini in caso
di etichettatura non comprerebbero il transgenico, quindi il mercato del
transgenico sarebbe destinato alla caduta. Proprio per questo motivo nell'agosto
del '98 la Deutsche Bank ha scoraggiato gli investimenti in OGM.
Guarda
caso la Monsanto è entrata in crisi, guarda caso c'è stato
qualcosa come Seattle, come protesta mondiale contro questa logica e guarda
caso quest'anno negli USA ci sarà un 20% in meno di terre coltivate
a transgenico. Segnale chiaro del fatto che se noi, da passivi consumatori,
diventiamo cittadini protagonisti, informati, e in grado di scegliere,
il mercato lo decidiamo anche noi e non saranno solo gli altri a decidere
per noi.