I rischi delle manipolazioni genetiche
Relazione di Gianni Tamino (biologo) sui rischi della manipolazione genetica sui cibi e sulle pratiche mediche.
Di Gianni Tamino

Intendo fornire una serie di informazioni che permettano ad ognuno di noi di farsi una propria idea e di non delegare ad altri il nostro futuro su aspetti così rilevanti, quindi credo che l'obiettivo di questo incontro è quello di stimolare una riflessione ed un dibattito su problemi che hanno rilevanza anzitutto etica, ma anche in termini sociali, economici, ambientali, sanitari; insomma c'è una quantità di aspetti che sono toccati da queste tematiche, che sarebbe veramente incredibile che qualcun altro decidesse per noi su questi temi. Tuttavia, questo è proprio quello che sta succedendo, perché in realtà di manipolazioni genetiche si parla da molti anni, le manipolazioni genetiche esistono come potenzialità dagli anni '70, dagli anni '80 abbiamo cominciato a verificare che, negli USA prima, poi anche in altri Paesi compresa l'Europa, si sono create aziende, industrie e multinazionali in questo settore ( in particolare negli Stati Uniti, dagli anni '80, questo si è prima sviluppato nel settore bio-medico, poi anche in quello agro-alimentare); oggi rischiamo di discutere di queste cose quando in gran parte il processo rischia di sfuggirci di mano, di sfuggire di mano a noi, in quanto cittadini, in quanto collettività, ed è questo l'aspetto più rilevante.

Allora credo che proprio in una logica di informazione, ma anche di provocazione, perché lo stimolo al dibattito viene anche dalle provocazioni, partirei da alcune considerazioni preliminari.

La prima cosa è che troppo spesso si parla non di manipolazioni genetiche, ma di biotecnologie. Ecco, stiamo attenti perché le biotecnologie esistono da quando l'uomo è diventato prima allevatore, e poi agricoltore, perché biotecnologie indica semplicemente una tecnica che utilizza un fenomeno biologico; quindi fare la birra, o l'aceto, o il vino, o lo yogurt e si potrebbe andare avanti a lungo, sono tutte biotecnologie. Si utilizzano dei fenomeni, in questo caso processi determinati da microrganismi, per ottenere un processo tecnologico, cioè un qualcosa che in natura non si verificherebbe senza una progettualità dell'uomo, che utilizza la conoscenza di questo fenomeno e la finalizza ad un processo tecnico. Quindi le biotecnologie non sono una novità.

La novità, negli anni '70, è l'acquisizione a livello scientifico della scoperta che esistono dei processi molecolari per cambiare porzioni di informazione genetica corrispondenti a geni e trasferirli da una specie a qualunque altra. E qui teniamo a definire alcuni dei termini che vengono correntemente utilizzati. 

Spesso si trova scritto OGM, ovvero organismo geneticamente modificato, è un organismo nel quale con questa tecnica, detta anche, in ingegneria genetica, tecnica del DNA ricombinante, ho inserito un gene estraneo a quell'individuo, a quella popolazione, a quella specie. Usando questo metodo posso inserire anche geni della stessa specie, ma il più delle volte si inseriscono geni di specie assolutamente diverse; quindi trasferendo geni da una specie ad un'altra ottengo un nuovo individuo che è transgenico. Di conseguenza parliamo anche di prodotti transgenici, di cibi transgenici, in quanto derivati di organismi manipolati geneticamente.

Quali sono i problemi che pone l'applicazione delle manipolazioni genetiche nei vari settori?

Qui bisogna stare attenti a non cadere in alcuni luoghi comuni ed a non fare di tutt'erba un fascio. Non è che a priori qualsiasi manipolazione genetica debba essere considerata inaccettabile, il problema è di vedere quando un intervento rispetta principi etici, di sicurezza per la salute dell'uomo, di sicurezza per l'ambiente, di rispetto dei popoli, quando rispetta dei valori che sono parte fondamentale della comunità di cui facciamo parte. Allora, le prime applicazioni di manipolazioni genetiche si sono rivolte, e sono rilevanti tuttora, al settore della salute, al settore bio-medico, inizialmente con due applicazioni, poi ne vedremo una terza, attualmente in corso e molto pericolosa.

La prima applicazione, che pure ha dei rischi, consiste nel modificare dei batteri, quindi dei microrganismi, con dei geni, il più delle volte di origine umana. In questo modo posso far produrre a dei batteri proteine che sono tipiche della specie umana. In realtà questo tipo di procedura è da tempo consolidato e, anche se non ce ne accorgiamo, moltissime persone comprano in farmacia prodotti medicinali che sono ottenuti in questo modo. Ad esempio in questo modo si può ottenere insulina di origine umana, che i diabetici usano normalmente.

Qual è il motivo di rischio ed il motivo di accettabilità di questo tipo di procedimento? Va detto subito, che quando io modifico geneticamente un microrganismo, c'è un pericolo, perché se questo microrganismo si diffondesse nell'ambiente naturale e, per esempio, produce una proteina umana in quantità e luoghi sbagliati, potrebbe avere effetti disastrosi sulla specie umana, se questo microrganismo è in grado di inserirsi nel corpo umano. Però normalmente, come tecnica ormai consolidata, questi microrganismi sono tenuti in ambienti cosiddetti 'confinati', quindi in ambienti chiusi di laboratorio, dove è necessario usare tutta una serie di cautele per entrare nel luogo dove si opera, e questi microrganismi sono all'interno di un reattore fermentatore, che può essere spento con un interruttore, il che significa che qualunque cosa succeda, io posso spegnere il sistema e quindi sono in un ambiente in qualche modo controllato e, se l'ambiente è controllato, il rischio del prodotto finale che metto in commercio è paragonabile al normale rischio di qualunque medicinale, il che non significa che non ci sono rischi, al contrario. Per esempio, in questo modo mettendo in circolazione un aminoacido essenziale, che è utile per risolvere delle carenze alimentari, si è determinata la morte di alcune persone perché nella purificazione dei microrganismi sono stati ottenuti dei residui di prodotti non voluti, ma tossici, che hanno determinato la nocività da parte del prodotto ricavato. Questo perché passando dalla tecnica di laboratorio alla tecnica industriale, si compiono delle operazioni che rendono meno sicuro il processo, ed anche perché probabilmente questo è dovuto al fatto che inserendo dei geni, io interagisco con altri geni, e quindi posso avere delle attivazioni e delle disattivazioni di porzioni dell'informazione genetica, che possono produrre sostanze non desiderate. Il che, vedremo, accade anche in altri ambiti.

In ogni caso, se il processo viene effettuato in ambiente confinato, possiamo dire che questo tipo di situazione rientra nella normale procedura di produzione di medicinali, non solo, ma c'è un ragionamento ben preciso alla base di ciò: il rischio che si corre con un medicinale, è un rischio in qualche modo noto, perché ogni medicinale comporta qualche rischio, ma è controbilanciato, quando il medicinale è ben sperimentato, dal vantaggio nel combattere un pericolo che si spera maggiore del rischio che deriva dal medicinale. Certo, non sempre è così, perché quando si è messo in vendita un medicinale contro il mal di testa che conteneva sostanze cancerogene, il bilanciamento non era uniforme, eppure questo è stato fatto e si continua a fare.

Ad ogni modo diciamo che in generale questo non è un problema tipico del prodotto manipolato geneticamente, ma è un problema del medicinale in generale. Il rischio può essere anche rilevante se è compensato dal fatto che ciò che produco può salvare delle vite umane rispetto al rischio ben maggiore che in assenza del medicinale il danno sicuramente peggiori.

Questo stesso tipo di discorso può essere fatto anche riguardo ad un altro tipo di intervento medico, ovvero con la terapia genica. 

La terapia genica ha come finalità quella di intervenire non sull'informazione genetica dell'individuo, ma sull'informazione genetica di cellule e di tessuti e organi di individui che presentano geni che o non funzionano, o danno predisposizione a certe malattie, sicchè modificando tali geni, essi modificano o la malattia genetica ereditaria, o la predisposizione a certe malattie non necessariamente ereditarie, ma che si acquisiscono grazie alla predisposizione. Oggi con la terapia genica abbiamo ottenuto un solo caso di cura.

C'è una sola malattia ereditaria che viene curata con la terapia genica, e si tratta di una malattia rarissima (una forma di immunodeficienza congenita che costringe a vivere per sempre in ambiente sterilizzato). Questo dimostra la difficoltà di trasformare un processo teoricamente semplice in un procedimento affidabile e credibile, che dia dei risultati.

Finora alle industrie del settore interessa molto di più cercare terapie per malattie di larga diffusione, che assicurino lauti guadagni ad imprese che non appartengono ad enti pubblici, ma a privati. Alle multinazionali del settore preme più ottenere la terapia genica non tanto per malattie genetiche che sono quasi sempre molto rare, ma per malattie di larga diffusione come il tumore o l'AIDS, che però non è detto che siano curabili attraverso questo tipo di terapia. Tuttavia, anche alcune malattie genetiche abbastanza diffuse non sono risolvibili con la terapia genica perché si ignora un fenomeno molto importante che è quello per cui inserire un gene in un sistema complesso, non comporta necessariamente che quello stesso gene si manifesti, ciò vuol dire che bisogna studiare bene la possibilità che nell'interazione fra geni ci sia il manifestarsi del gene desiderato; il che è tutt'altro che facile. Noi oggi siamo in gradi di inserire geni, ma non siamo affatto capaci di controllare ciò che succede una volta introdotto un gene. Questo è un limite rilevante, che in altri casi ci permetterà di capirne i pericoli.

Anche nel caso della terapia genica abbiamo dei rischi, infatti di recente una persona che si è sottoposta, volontariamente ed adeguatamente informata, alla sperimentazione della terapia genica è morta. Il rischio in questo caso è stato compensato dalla possibilità di guarire, in quanto la malattia per la quale quella persona aveva accettato di sottoporsi al trattamento avrebbe portato comunque alla morte. In ogni caso noi abbiamo sempre una valutazione dei rischi e dei benefici e, dobbiamo aggiungere, nel caso della terapia genica, i rischi riguardano solo l'individuo interessato, e non è invece qualcosa che si diffonda, in quanto abbiamo solo modificato delle cellule. A livello etico finora abbiamo sempre rifiutato che si possa intervenire sui geni di cellule germinali, cioè che possano dare origine permanentemente ad una modificazione genetica, perché c'è un principio etico che non esiste in natura una definizione esatta di gene buono e di gene cattivo, come non esistono piante buone e piante cattive, o animali buoni ed animali cattivi. Per capire la differenza fra gene buono e gene cattivo, che non esiste, vi mostro che in natura esistono numerosi casi di geni apparentemente sfavorevoli per le specie che li portano, e che poi, in particolari condizioni, si rivelano vantaggiosi. Un esempio classico è quello delle farfalle che vivono sulle betulle, farfalle normalmente bianche, che stando sulle betulle, la cui corteccia è anch'essa bianca, non sono visibili agli uccelli loro predatori. Tuttavia all'interno di questa popolazione di farfalle c'è un gene che determina la colorazione nera, sicchè le farfalle nere, stando sulla corteccia chiara, vengono subito individuate dai predatori. Nonostante questo svantaggio, nei meccanismi riproduttivi, una quota della popolazione mantiene il carattere della colorazione nera. Proprio questo carattere si è rivelato vitale quando, a causa dell'inquinamento conseguente allo sviluppo industriale nell'Inghilterra della dine del '700, si è avuto l'annerimento della corteccia delle betulle. In queste condizioni, solo la quota delle farfalle nere godeva di una buona mimetizzazione, a differenza delle farfalle bianche.

Questo significa che la definizione di gene utile e di gene dannoso varia al variare dell'ambiente, non c'è un concetto fisso.

Questo vale anche per la specie umana. In molte zone dell'Adriatico, compresa la Puglia, è diffusa una malattia detta 'anemia mediterranea', solo nelle zone al di sotto dei 500 metri di altezza, oltre i quali non si trova più questo carattere. La presenza di quest'ultimo è legata a zone un tempo malariche. Infatti l'anemia mediterranea è una malattia che comporta di solito una vita disagevole, a causa della necessità di continue trasfusioni e la purificazione del sangue dagli accumuli di ferro. Pertanto oggi l'anemia mediterranea appare come una malattia del tutto negativa. Eppure nel passato, quando in quello stesso territorio c'era la malaria, una piccola quota di popolazione andava incontro all'anemia mediterranea, una piccola quota di popolazione moriva di malaria, una gran parte della popolazione non aveva né la malaria, né l'anemia mediterranea. Infatti gli individui che ricevevano da uno solo dei genitori il carattere per l'anemia mediterranea avevano dei globuli rossi leggermente più piccoli, e conducevano una vita assolutamente normale, però questa piccola anomalia rendeva lo sviluppo del plasmode della malaria diverso da quello che si ha nelle condizioni di un globulo rosso normale e permetteva alle difendersi dalla malaria. Questo significa che il gene dell'anemia mediterranea in sé non è né buono, né cattivo, ma dipende dalle condizioni ambientali. Lo stesso discorso vale per l'anemia falciforme, legata ad un altro tipo di malaria.

Tutto questo per dire che sarebbe perfettamente demenziale intervenire artificialmente sul patrimonio genetico umano e pensare di trasformare l'uomo in un individuo perfetto, con geni tutti giusti, perché si ha in mente una certa idea di quali siano i geni giusti, come quando si pensa che tutti gli uomini debbano essere con gli occhi azzurri, magari tutti alti un metro e ottanta, magari biondi, o a seconda dei gusti. In effetti in America c'è chi pensa a queste cose, per cui si parla di 'bambini a comando'. Io spero che queste cose non accadano mai, però c'è purtroppo chi lo auspica in qualche modo. Il fatto stesso che si parli di clonazione umana spiega come questa tendenza sia tutt'altro che remota e addirittura oggi siamo arrivati a ciò che prima veniva negato, ovvero che mai si sarebbe effettuata la clonazione umana. Ma, guardate, se siamo in grado di clonare animali, siamo tecnicamente in grado di clonare anche l'uomo. 

E perché oggi si arriva alla clonazione? La clonazione è un fenomeno che conosciamo dagli anni '60. Il motivo per il quale oggi si vuole arrivare alla clonazione di mammiferi, e quindi anche dell'uomo, è che ci sono nuove prospettive commerciali, e non di interesse scientifico. Per esempio, in natura nei microrganismi e nelle piante la clonazione è naturale. I microrganismi si riproducono in modo tale da formare cloni, e nelle piante si possono riprodurre piante in modo che si formino cloni, così come avviene con la talea. 'Clone' non significa che la pianta sia identica a quella di partenza, anche questo è un grosso errore molto comune, 'clone' vuol dire piuttosto che ha lo stesso patrimonio genetico, ma siccome le sollecitazioni ambientali a cui è sottoposto l'individuo provocano comunque risposte differenti nei due esemplari, che nell'interazione con l'ambiente non sono mai uguali, perciò. Bisogna poi considerare anche il fatto che due individui sfasati nel tempo non sono mai uguali. Ma c'è una domanda di clonazione umana di un altro tipo e che spiega come mai oggi siamo arrivati a clonare l'uomo, o perlomeno a proporlo ed a brevettare una clonazione umana. Perché una volta ottenuta la manipolazione genetica di mammiferi e per mantenere in maniera permanente questa modificazione genetica, è indispensabile la clonazione, poiché attraverso la riproduzione sessuale il carattere acquisito per modificazione genetica si disperderebbe.

E infatti la clonazione di Dolly nasce da questo. Oggi, il fatto che si sia brevettata (dicono che sia un errore, ma non è vero) una tecnica di clonazione per tutti i mammiferi, uomo compreso, è perché questo apre alcuni aspetti commerciali di grande interesse.

Nelle applicazioni mediche, finchè si tratta di ottenere farmaci o terapia genica, non sollevano grandi problemi né etici, né comportano rischi diversi da quelli impliciti negli altri tipi di medicinali. Ma quando vediamo intaccare il patrimonio genetico umano, in maniera permanente, per finalità mediche, il discorso cambia. E infatti il discorso della clonazione di animali, ed eventualmente umana, ha una finalità tutta commerciale, con aspetti estremamente rischiosi non giustificati per l'umanità nel suo complesso. Se modifichiamo geneticamente animali, lo facciamo in particolar modo, e questo è il grande affare del futuro, per poter rendere animali, come le scimmie, o i maiali, 'umanizzati' cioè per inserire geni umani in modo da rendere questi animali vicini all'uomo, dal punto di vista della istocompatibilità e quindi come possibilità di trasferire tessuti ed organi di queste scimmie e maiali nell'uomo, e perciò per utilizzarli come fonte di pezzi di ricambio nella medicina dei trapianti. E' chiaro che una volta che ho umanizzato un animale per trapianti, non posso permettermi di disperdere il carattere e di riprodurlo ogni volta di nuovo, perchè sarebbe troppo costoso, quindi il carattere viene mantenuto tale e quale è stato ottenuto mediante la clonazione. 

L'altro motivo, per cui si è arrivati alla clonazione anche dell'uomo, riguarda il fatto che ci sono dei problemi nel trapianto di tessuti ed organi da animali, perché quando io inserisco il cuore di un maiale nell'uomo, ad esempio, ammesso anche che non ci sia rigetto, dal momento che si tratta di un animale umanizzato, comunque sangue e cellule di questo cuore sono sempre sangue e cellule proprie della specie del maiale, e quindi ne contengono le particolari caratteristiche genetiche. Ora, nel patrimonio genetico di ogni mammifero si trovano anche dei virus (vedi l'esempio dell'herpes, che è un virus inserito nel genoma, e che si manifesta in particolari casi di abbassamento delle difese immunitarie). Quando il virus proprio di un animale riesce a colonizzare un altro animale, inizialmente, finchè non si stabilisce una situazione di equilibrio, provoca danni irreversibili. Il virus dell'AIDS e di Ebola sono degli esempi di questo tipo di inserimento di virus propri di alcuni animali (le scimmie) nell'uomo. Quindi il rischio che dai maiali o dalle scimmie usati negli xenotrapianti si trasmettano virus estranei all'uomo è altissimo, mortale. Infatti, poiché nel sangue ci sono delle cellule in grado di diffondersi nell'organismo ricevente, una volta effettuato lo xenotrapianto, si instaura un equilibrio tale che il 7-8% delle cellule dell'individuo ospitante sono di origine animale. Si ottiene così quella che viene definita la 'chimerizzazione'. Siamo realmente in grado di sapere cosa vuol dire, anche solo dal punto di vista pratico, creare organismi chimerici, con tutti i rischi impliciti in questo tipo di intervento? E' evidente che la cosa sia quantomeno avventata. Qui non c'è più la possibilità di mettere su un piatto della bilancia un vantaggio, contro un certo rischio, qui c'è solo un rischio enorme che non può essere controbilanciato da niente!

E tuttavia in Italia abbiamo numerose fattorie impegnate nell'allevamento di maiali transgenici pronti ad essere sperimentati. In Inghilterra si sta discutendo quando autorizzare il primo xenotrapianto da maiale, perciò non stiamo parlando di qualcosa di futuribile, ma di qualcosa che è già in atto.

Un'altra possibilità aperta dalle manipolazioni genetiche per sopperire alla carenza di organi ed ai rischi degli xenotrapianti, è quella di costruire tessuti ed organi ex novo. Ci sono due strade: una è quella della rigenerazione in vitro di strutture utilizzabili, come nel caso della pelle; l'altra è quella di fabbricare degli uomini clonati, limitandoci ai primi stadi di sviluppo embrionale, e una volta raggiunto un certo stadio utile, prelevare delle cellule e farle sviluppare in tessuti o in organi da riutilizzare; anzi, si dice, alla nascita si potrebbe fare subito il clone di un individuo riponendolo in azoto liquido, questo stesso clone all'occorrenza potrebbe essere ripreso, fatto sviluppare fino allo stadio in cui produce organi utili ed utilizzato per i trapianti.

Tutto ciò non fa che portare al dato di fatto della commercializzazione del corpo umano, come la brevettazione delle tecniche di clonazione umana dimostra. Il brevetto relativo al processo di clonazione umana non è venuto per sbaglio, come si tenta di far credere, l'Ufficio Brevetti di Monaco l'ha brevettato ben consapevole di quello che faceva, in quanto questo stesso Ufficio qualche mese fa, sebbene la Convenzione Europea sul Brevetto vieti il rilascio di brevetti di questo genere, attraverso una modifica tecnica del regolamento, ha inserito al proprio interno tutta la direttiva europea sui brevetti biotecnologici, una direttiva molto contestata, che non è ancora stata recepita da nessun paese europeo, rispetto alla quale Olanda e Italia hanno fatto ricorso presso la Corte di Giustizia Europea, e che in questi stessi giorni è in corso di discussione al Senato.

Per capire che non si è trattato affatto di un errore basta leggere il testo di questa direttiva ed il testo di recepimento della direttiva presentato dal Governo italiano, quello stesso Governo che ha fatto ricorso contro la direttiva. Certo, sono state apportate delle modifiche, la direttiva ha ottenuto il voto di tutti i Ministri, tranne quello dell'Ambiente, in ogni caso, sia nella direttiva, sia nel recepimento, si dice esplicitamente che i brevetti non possono essere concessi per tecniche di clonazione di esseri umani (il che in apparenza potrebbe sembrare una nota cautelativa, ma in realtà le cose stanno diversamente), quindi sembrerebbe che si possa parlare di errore. Invece, il termine usato dal Parlamento Europeo era tecniche di clonazione umana, questo termine è stato volutamente cambiato da tecniche di clonazione umana e tecniche di clonazione di esseri umani, la differenza non sfugge e riguarda il fatto che un grumo di cellule, quale è quello che si dà nei primi stadi dello sviluppo dell'embrione, non è ancora ufficialmente definibile un essere umano, quindi l'aver trasformato intenzionalmente i termini consente di lasciare uno spazio di manovra alle tecniche di clonazione che arriva fino allo stadio di plastocisti, in cui ancora non si può parlare di essere umano. La questione viene presentata in termini assai ambigui.

All'articolo 5, primo comma, della direttiva si dice che la brevettazione del corpo umano è vietata, mentre al comma due si dice che parti isolate del corpo umano, compresi i geni umani, sono brevettabili. Ma siccome è del tutto evidente che l'isolamento anche solo dei geni prevede un intervento sul corpo umano, non sfugge come l'ipocrisia del primo comma non serva che a giustificare il secondo.

In realtà il secondo comma non fa che garantire ciò che negli Stati Uniti è pratica comune da anni, ovvero la biopirateria. Negli USA la brevettabilità esiste dagli anni '80, a partire da questi stessi anni in tutte le parti del mondo i ricercatori americani stanno rapinando geni di piante, di animali ed anche umani. Solo l'anno scorso un'unica ditta americana ha richiesto il brevetto per 6500 geni umani. 

In Italia abbiamo un signore, i cui geni sono stati brevettati negli USA, un signore di Limone del Garda, che possiede un gene che dà resistenza ad un alto tasso di colesterolo, evitando il rischio di malattie cardio-circolatorie. E' una scoperta molto interessante, ed interessante per tutti, ma questo gene o appartiene a lui, o appartiene all'umanità. Invece no. Questo gene appartiene ad una ditta che lo ha brevettato. Si sa anche di un commerciante dell'Alaska, le cellule della cui milza sono state brevettate, e via discorrendo, ci sono ormai moltissimi casi di questo tipo. Altro caso eclatante quello di una linea di cellule raccolte ad una ragazza india dell'Amazzonia, e brevettate. In seguito, quando la cosa è stata scoperta, la popolazione d'origine della ragazza ha inviato una a lettera al presidente USA, dicendo che mai avrebbero potuto immaginare che si arrivasse ad un'aberrazione tale, che addirittura parti del corpo umano potessero diventare proprietà di qualcuno, senza peraltro che i diretti interessati fossero informati.

La biopirateria ha un campo di applicazione che non riguarda solo l'uomo, ed ora veniamo alla seconda area fondamentale delle biotecnologie: il settore agroalimentare. In questo campo il brevetto ha permesso di rapinare geni di piante in varie parti del pianeta e di brevettarle, laddove questo poteva essere usato biotecnologicamente attraverso manipolazioni genetiche. In India, nei primi anni '90 ricercatori americani hanno scoperto che da più di un migliaio di anni si utilizzano i prodotti derivati da un albero, il nih, che dà origine a prodotti utilizzati in medicina umana ed in agricoltura. Questa scoperta, che appartiene alla storia ed alla cultura del popolo indiano, è stata da sempre messa a disposizione di tutti i popoli dell'area dell'Oceano Indiano, senza che mai nessuno chiedesse a questi popoli di pagare i diritti d'autore all'India. Invece, quando arrivano le multinazionali americane, prelevano i geni di questi prodotti e li brevettano in America. Il meccanismo è quello di una privatizzazione, non solo nei confronti di qualcosa che appartiene alla natura, ma che rientra nella cultura di un popolo che per secoli lo ha messo gratuitamente a disposizione di tutti.

Questa è la brevettabilità.

Oltretutto la brevettabilità è considerabile come un 'offesa al buon senso, giacchè un brevetto si attua quando si ha a che fare con degli oggetti, delle macchine, degli utensili, quindi abbiamo qui l'affermazione implicita che le piante siano assimilabili a delle macchine, a delle cose; e che questi oggetti siano brevettabili in maniera anche più rigida di come si fa con le cose inanimate, perché in effetti qui si sottopongono a brevetto il gene, la pianta modificata con l'inserimento del gene, e la discendenza di quella pianta, perché il brevetto di estende a tutti i figli di quella pianta, che hanno quel carattere. Il che è ben diverso che brevettare una macchina, perché quando io brevetto una macchina, essa non è poi in grado di riprodursi e di fare tante macchinette uguali alla prima, ma devo rifabbricarla io ogni volta.

Siamo di fronte ad un'aberrazione colossale anche perché in questi casi si proclama che l'uomo sia il creatore di quella pianta, di quel gene, o di quell'animale, cosa che al momento non è assolutamente vero, perché non siamo affatto in grado di farlo. Se diciamo che una pianta, in cui abbiamo inserito un gene, peraltro in un insieme di migliaia di geni, è una nostra invenzione, è come dire che se prendo la Divina Commedia e ne cambio una parola, io sono l'autore della Divina Commedia. Se lo facessi davvero, sarebbe palesemente un reato, invece se prendo geni di una pianta non è reato, e le multinazionali possono farlo.

Questa è l'aberrazione del brevetto, che ha conseguenze etiche ed economiche enormi, perché significano la privatizzazione della vita, da parte di poche multinazionali sull'insieme delle risorse genetiche del pianeta.

Tutto questo, applicato a livello agroalimentare significa che poche multinazionali diventano proprietarie dell'intero sistema agroalimentare. Oggi abbiamo immense multinazionali sementiere, che sono le stesse multinazionali della chimica per agricoltura e le stesse delle biotecnologie alimentari. La Monsanto ne è un esempio, essa produce diserbanti attualmente usati in agricoltura, è un'azienda leader nel settore delle biotecnologie, nonché una delle più grandi industrie sementiere al mondo. In tal modo la Monsanto detiene letteralmente il controllo delle risorse agroalimentari del pianeta, insieme a poche altre multinazionali.

Tale controllo monopolistico non ha rilevanza soltanto economica, ma ha un 'importanza enorme anche dal punto di vista sociale e politico, giacchè si acquisisce il potere di condizionare la vita di intere regioni del pianeta. Nella logica della globalizzazione, poi, il progetto è quello analogo a ciò cui abbiamo assistito nel caso dell'industria, di produrre dove, in termini di manodopera e di tutela dell'ambiente, non ci sono organi di difesa, quindi meno controlli, più libertà di sfruttamento e costi di produzione bassissimi. Questi prodotti agroalimentari saranno prodotti in quei luoghi, ma essi non serviranno quelle popolazioni, essi vengono prodotti dove costa meno e venduti dove il mercato tira di più. La logica di questa privatizzazione mi permette un controllo planetario, ma anche una situazione, di fatto già in atto, per cui si fa tutto meno che risolvere il problema della fame del mondo, come invece viene spesso propagandato. Anzi, tutto ciò contribuisce ad affamare ancora di più i popoli poveri, e determinare una situazione intollerabile che sta avvenendo nei paesi ricchi, dove la mancanza di una critica al modello consumistico alimentare porta a mangiare troppo e male, mentre avremmo bisogno di mangiare meno e meglio.

Nella logica della globalizzazione c'è un progetto di controllo del pianeta, che non guarda in faccia né all' etica, né alla difesa dell'ambiente, né ai diritti dei popoli. 

C'è anche un problema di impatto diretto delle manipolazioni genetiche in agricoltura, per quanto riguarda ambiente e salute. Quando noi abbiamo l'utilizzo di piante e animali transgenici immessi nell'ambiente naturale, il processo è irreversibile e non controllabile, come avviene in ambiente confinato. Noi non siamo ancora in grado di prevedere che cosa succederà all'ambiente inserendo piante ed animali transgenici, sapendo però benissimo che questa piante e questi animali possono riprodursi senza controllo umano e trasferire il carattere in direzioni non prevedibili e non volute. In questa evenienza si determinerebbe una forma di inquinamento genetico di un carattere che non ha nulla a che vedere con gli equilibri ambientali e che può avere effetti sconvenienti. In altre parole questo mette in pericolo la biodiversità del pianeta, che è la vera ricchezza del pianeta, come dicono le conoscenze sia dei biologi, sia degli economisti.

Senza biodiversità si va incontro ad un processo di desertificazione. Per biodiversità dobbiamo intendere sia come diversità di specie differenti in diversi ecosistemi, sia come l'insieme di diverse caratteristiche genetiche all'interno di una popolazione: ogni individuo è diverso da qualsiasi altro. L'importanza di questo tipo di biodiversità si vede quando c'è un fattore patogeno, per esempio un virus o un batterio, allorchè una parte della popolazione andrà incontro alla malattia, mentre un'altra parte sarà in grado di difendersi. Se non ci fosse biodiversità, se tutti fossimo uguali, clonati, in caso di malattia si rischia la morte di ognuno, perché non ci sarà nessuno in grado di sopravvivere. O si sopravvive tutti, oppure si muore tutti. Sarebbe una sorta di roulette russa inaccettabile.

Oltre al rischio ambientale ce n'è uno immediato, che è quello per la salute dell'uomo con il consumo di cibi transgenici. Riproponiamo lo stesso ragionamento fatto prima: mentre io posso tollerare un rischio per un farmaco che mi guarisce da una malattia, quale rischio posso tollerare per un cibo (che è indispensabile giacchè io devo comunque mangiare)? Del resto non è che io ho il cibo transgenico perché non c'è cibo, oggi mais e soia sono comunque disponibili. Non è affatto vero che oggi si ha più cibo perché c'è il cibo transgenico, come qualcuno dice. Negli USA esistono coltivazioni transgeniche da quasi dieci anni, se è vero che all'inizio ci sono stati aumenti delle rese quasi del 20%, in realtà in tutto questo periodo, rispetto alle coltivazioni non trangeniche c'è stato un leggero calo. 

In effetti , le multinazionali, per i loro prodotti transgenici hanno scelto cinque o sei piante da modificare, e solo due tipi di geni da inserire, perché sono quelli che interessavano commercialmente. Sono stati modificati soia e mais principalmente, che insieme costituiscono più del 90% di tutte le coltivazioni transgeniche degli USA, a questi aggiungiamo la colza e due colture non alimentari, il tabacco ed il cotone. Guarda caso noi in Europa abbiamo sottoscritto una Convenzione come quella sulla Biodiversità, che prevede il principio di precauzione (questo principio significa che di fronte ad un processo tecnologico si stabilisce la necessità di valutare se siamo in grado di prevederne i rischi e, una volta previsti, se siamo in grado di controllare i danni in modo da minimizzarli). Ovviamente il principio di precauzione si può applicare nel caso di un ambiente confinato, ma non nel caso dell'immissione libera di organismi geneticamente modificati nell'ambiente naturale, che possono diffondersi senza che io sappia quello che succede. Non ho evidentemente gli strumenti per prevedere che cosa quell'immissione è in grado di provocare dopo venti o trenta anni.

In termini sanitari il principio di precauzione dice che non è possibile autorizzare la produzione di piante transgeniche per la commercializzazione. Infatti sono state autorizzate solo, e con rischio, per sperimentazione.

Negli USA il principio di precauzione non esiste, tant'è che gli USA non hanno firmato la Convenzione sulla Biodiversità del '92, nata al summit di Rio con altre due Convenzioni, quella sui Cambiamenti Climatici e quella sulla Desertificazione. Gli americani non tollerano la precauzione, preferiscono prima contare i morti che ha fatto per stabilire che una cosa è pericolosa. Una volta accertato il danno, si può pensare di apportare delle modifiche al sistema, ma se questi danni non sono più controllabili, come nel caso dell'immissione di OGM nell'ambiente? Evidentemente è ben difficile tornare indietro. Prendiamo il caso del DDT: sono anni che non viene più utilizzato, eppure se ne trovano ancora tracce nel latte materno delle donne occidentali e nel grasso degli animali del Polo Nord. Questo dimostra come, una volta disperso nell'ambiente un processo potenzialmente pericoloso non è più controllabile. 

Nel caso degli OGM precauzione significa prevenirne veramente l'utilizzo quando non ne ho conoscenza adeguata.

Tuttavia, anche se noi applichiamo il principio di precauzione, in base alle regole del commercio mondiale, stabilite con la fondazione della WTO, in Europa siamo in una situazione di eccesso nella produzione di cibo, tant'è vero che lo distruggiamo, però siamo deficitari per soia e per mais, che sono prodotti transgenici forniti dagli USA. Fino al '96 abbiamo opposto una certa resistenza, dal '96 abbiamo accettato, perché gli americani man mano che la crescita del prodotto transgenico arrivava oltre il 30-40% del totale, è stato mescolato all'origine il prodotto transgenico con il prodotto naturale, mandando le navi miste dell'uno e dell'altro in Europa. Dal 1996 abbiamo accettato la soia mista, e dal 1997 il mais. Da allora molti prodotti, fra cui i mangimi per animali e gran parte dei prodotti che noi mangiamo, che contengono ad esempio lecitina di soia, amido di mais, ecc., sono ottenuti in gran parte con prodotti importati transgenici. E tuttavia, malgrado ciò sia già in atto, nessuno sa che siamo tutti sottoposti ad un esperimento di massa, senza peraltro averne capito i vantaggi. O meglio, i vantaggi per qualcuno ci sono, e questo qualcuno sono le multinazionali che esercitano questo incredibile controllo. Solo adesso l'Europa comincia a far valere le proprie ragioni in merito al principio di precauzione. Seattle è stato uno scontro, oltre che tra cittadini, Organizzazioni Non Governative, e logica della globalizzazione del commercio mondiale, anche tra interessi e modi di vedere circa questi problemi europei ed americani. 

Recentemente sulla biosicurezza c'è stato un incontro a Montreal, dopo il fallimento di Cartagena, avvenuto un anno e mezzo prima, che ha portato un parziale successo, poiché finalmente gli Stati Uniti hanno riconosciuto che altri possono avere nel proprio ordinamento il principio di precauzione, benchè loro non lo ammettano. In base al principio di precauzione noi abbiamo bloccato l'importazione di carne estrogenata dagli USA, questi ultimi intendevano imporre l'accettazione di questa carne, in quanto loro non riconoscono tale principio, la WTO, ma anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità se è per questo, altrettanto no riconosce il principio di precauzione. Sulla base di questa divergenza c'è stato un conflitto commerciale. La vicenda è anche emblematica della differenza fra due modi di vedere le cose. 

Solo adesso emerge la consapevolezza che noi da anni stiamo mangiando prodotti transgenici, stiamo subendo una sperimentazione di massa, siamo tutti cavie da laboratorio, e non siamo ancora ben certi dei rischi che tutto ciò comporta.

Riepilogando: un primo rischio è l'inserimento nel cibo di nuove proteine, il che vuol dire che è del tutto possibile che una parte della popolazione reagisca con intolleranze o allergie a queste nuove proteine;

un secondo rischio è che insieme con il gene per il carattere desiderato ( sostanzialmente due sono le principali modificazioni operate: l'inserimento del gene per la resistenza agli insetti, che ha provocato la morte di insetti utili e l'assuefazione in insetti nocivi; e, un'operazione portata avanti soprattutto dalla Monsanto, l'inserimento del gene per la resistenza ad un erbicida, il glifosato, di produzione della stessa Monsanto, ma recentemente il glifosato è stato dimostrato essere associato allo sviluppo di un particolare tipo di linfoma, quindi di un tumore; perciò quando io ho una pianta resistente al glifosato, questa pianta può assorbirne in quantità rilevanti, senza subirne danno, sicchè quando poi mangio la pianta, mangio anche il glifosato accumulato in essa, con una forte esposizione al rischio di contrarre un tumore), si inserisce anche un gene marcatore, che dà resistenza agli antibiotici, avente la funzione di verificare se l'operazione di modificazione è andata a buon fine. In questo caso resistenza agli antibiotici significa una certa probabilità che il carattere venga assorbito, in quei pochi minuti prima della digestione, da batteri presenti nel nostro intestino, per un fenomeno noto in microbiologia, questi batteri, divenuti resistenti, possono cedere la resistenza anche a batteri patogeni che sono entrati nel nostro organismo. La conseguenza è che questi batteri patogeni non sono più in grado di essere tenuti sotto controllo dagli antibiotici. E questo è un danno grave alle possibili difese, esterne a quelle naturali, quali sono appunto gli antibiotici.

Ultimo e più inquietante rischi per la salute dell'uomo è che comunque, come è stato visto avvenire nelle piante, l'inserimento del gene estraneo, per il modo in cui è inserito, può portare all'instabilità del patrimonio genetico, aumentando il fenomeno di ricombinazione. In natura questo fenomeno esiste e là dove si verifica, per esempio con il trasferimento dei transposoni, una particolare struttura del DNA che può spostarsi da una parte all'altra. Quando si hanno questi fenomeni le zone coinvolte possono subire delle alterazioni per cui i geni interessati possono o bloccarsi, o attivarsi, o avere un'espressione maggiore o minore di quella naturale; questo vuol dire che, per esempio, che in una pianta può succedere che per effetto dell'aumento di ricombinazione, posso avere dei geni che si attivano e producono una sostanza che normalmente o dove normalmente non la producono, o ne produce di più là dove normalmente ne produce pochissima. Nelle piante abbiamo sostanze tossiche prodotte solo in parti che noi non mangiamo, oppure sostanze tossiche, ma prodotte in quantità ridottissime; ebbene, se la patata, che produce la solanina, che è tossica, comincia a produrla nel tubero che noi mangiamo, evidentemente questo diventa un problema. E non è un problema teorico, come ha dimostrato il caso del professor Putszai, presso lo stesso istituto di ricerca scozzese della pecora Dolly, che scoprì che mettendo un gene del bucaneve nella patata, la patata diventava tossica per gli animali che se ne cibavano. Questo caso ha fatto clamore perché quando il ricercatore comunicò questa scoperta, fu allontanato dall'istituto e diffamato dai suoi superiori, ma dopo un anno e mezzo è venuto fuori che ciò che diceva era vero.

Per concludere: è vero che noi stiamo subendo una sperimentazione di massa, ma è anche vero che i cittadini di tutto il mondo, Italia compresa, hanno cominciato a pretendere quantomeno un'etichettatura dei prodotti transgenici. A partire dal mese di aprile avremo un'etichettatura che però nasconde un inganno, giacchè si è stabilito che al di sotto dell'1% di contaminazione di transgenico venga considerato come non transgenico. Peraltro non è ancora chiaro come si farà l'analisi per determinare quest'1%, ecc.

Ad ogni modo questo è già indicativo di come si stia facendo qualcosa di concreto per arrivare all'etichettatura, il che sta mettendo in crisi le multinazionali. Già nell'agosto dello scorso anno la Deutsche Bank disse che se i cittadini avessero ottenuto l'etichettatura, si sarebbero creati due mercati, il mercato del transgenico e quello del naturale, ed è evidente che dinanzi alla scelta il cittadino preferirebbe il prodotto naturale. 

L'Europarlamento ha verificato che dal 75 all'80%, a seconda dei paesi, i cittadini in caso di etichettatura non comprerebbero il transgenico, quindi il mercato del transgenico sarebbe destinato alla caduta. Proprio per questo motivo nell'agosto del '98 la Deutsche Bank ha scoraggiato gli investimenti in OGM.

Guarda caso la Monsanto è entrata in crisi, guarda caso c'è stato qualcosa come Seattle, come protesta mondiale contro questa logica e guarda caso quest'anno negli USA ci sarà un 20% in meno di terre coltivate a transgenico. Segnale chiaro del fatto che se noi, da passivi consumatori, diventiamo cittadini protagonisti, informati, e in grado di scegliere, il mercato lo decidiamo anche noi e non saranno solo gli altri a decidere per noi.