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  CRESCITA ILLIMITATA E LIMITI

(da "Rifiuti ieri, risorse domani" di P. Danise, C. Danise ed. Bulgarini FI)

I dati statistici a livello mondiale ci informano che oggi la popolazione e il capitale industriale (intesso come macchine e fabbriche che generano altre macchine e altre fabbriche, che generano altre macchine e altre fabbriche ecc.) stanno aumentando in modo esponenziale, secondo un modello che potremmo definire a crescita illimitata. In conseguenza di ciò stanno aumentando notevolmente, a livello mondiale, l'estrazione delle risorse materiali ed energetiche, la produzione di merci e, come abbiamo ampiamente visto, la produzione di rifiuti che provocano, tra le altre cose, un aumento dell'inquinamento dell'ambiente. In altre parole ogni giorno vengono estratti dalla Terra molte più materie prime del giorno prima e vengono smaltiti nell'ambiente molti più rifiuti.
Ma, come abbiamo visto nel brano che si riferisce alla crescita della ninfea, tratto dal libro "Oltre i limiti dello Sviluppo", una grandezza che cresce esponenzialmente (che nel nostro caso può essere la quantità di una certa materia prima estratta oppure la concentrazioni di una certa sostanza immessa nell'ambiente) ha la proprietà di avvicinarsi molto velocemente a un limite, oltre il quale si verifica la crisi del sistema.
Per chiarire meglio questo concetto facciamo un altro esempio. Tutti sanno che quando si guida un mezzo, ad esempio una moto, c'è una soglia di velocità, un limite, un punto di non ritorno che conviene non superare per evitare di perdere il controllo del mezzo. E' inoltre chiaro a tutti che tanto più alta è la velocità tanto più rapidamente tale limite può essere raggiunto.
Allo stesso modo, anche nel caso del modello di crescita economica di cui parliamo, è ipotizzabile che esista un limite di crescita (di materia, energia, produzione e rifiuti), una soglia oltre la quale il sistema non è più controllabile.
E, come per la moto, tale limite si avvicina tanto più rapidamente quanto più rapido è l'aumento delle variabili sopra considerate (materie prime, energia, produzione, rifiuti) ovvero quanto più la crescita diventa esponenziale. Ma, mentre l'idea che esiste un limite di sicurezza per la velocità della moto è compresa da tutti, l'idea che possano esserci dei limiti alla crescita (di materia, energia, produzione, rifiuti) risulta a molti inconcepibile o comunque non praticabile dato che la cultura odierna ha assunto abbastanza acriticamente l'equazione "crescita = benessere" che induce a credere che se si arresta la crescita si arresta anche il benessere. Ma, come vedremo nel prossimo paragrafo, non è così. 

LO SVILUPPO SOSTENIBILE

In alternativa al modello a crescita illimitata, in questi ultimi anni è stato proposto con sempre più forza un modello che è stato definito di sviluppo sostenibile. Secondo quanto affermato nel documento "Il futuro di noi tutti" stilato nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull'Ambiente e lo Sviluppo (conosciuto come Rapporto Brundtland dal nome del Primo ministro norvegese, la signora G.H. Brundtland, che presiedeva la Commissione) per sviluppo sostenibile s'intende lo sviluppo che soddisfa i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro.
Per comprendere analogie e differenze tra crescita e sviluppo consultiamo i dizionario:
crescere significa aumentare di dimensioni 
sviluppare significa invece non solo aumentare di dimensioni, ma soprattutto aumentare in modo armonioso.
In definitiva, mentre il termine crescita evidenzia solo gli aspetti quantitativi in aumento, il termino sviluppo invita a porre attenzione anche agli aspetti qualitative dell'aumentare, che nel nostro caso sono aspetti relazionati alla qualità della vita.
L'economista H. Daly, della Banca Mondiale, sostiene che perché uno sviluppo sia sostenibile occorre tenere sotto controllo tre indicatori: le risorse rinnovabili, quelle non rinnovabili e il grado di inquinamento. 

  • Per quanto riguarda le risorse rinnovabili, i tassi di consumo non devono superare i loro tassi di rigenerazione. Per esempio la pesca è sostenibile solo se la quantità di pesce pescato non supera quella rimpiazzata naturalmente. 
  • Per le risorse non rinnovabili i tassi di consumo non devono superare i tassi di sviluppo di risorse sostitutive rinnovabili. Il che significa che se si consuma una certa quantità di combustibile non rinnovabile occorre investire in impianti ad energia rinnovabile (es. impianti ad energia solare) in modo da avere una quantità di energia rinnovabile equivalente a quella non rinnovabile che è stata persa per sempre. 
  • Per quanto riguarda infine il tasso d'inquinamento, i tassi di emissione degli agenti inquinanti non devono superare la capacità di assorbimento e rigenerazione da parte dell'ambiente. 
Cambiare il modello a crescita illimitata in favore di un modello di sviluppo sostenibile non comporta una rinuncia a priori della crescita. Un modello di sviluppo sostenibile semplicemente non accetta la crescita ad ogni costo ma ipotizza una "crescita per lo sviluppo" e quindi sceglie tra diversi tipi di crescita; e per scegliere dovremo impara a porci della domande significative del tipo: 
  • a che cosa serve? 
  • Chi ne trarrà vantaggio? 
  • Potrà armonizzarsi con l'ambiente? 
In pratica un modello di sviluppo sostenibile non si lascia guidare solo dal "profitto", ma sceglie di privilegiare in primo luogo il benessere reale dei cittadini presenti e futuri.
Ciò comporta anche un cambio dei vecchi indicatori statistici del "benessere", ad esempio del PIL (Prodotto Interno Lordo pro capite), che nella maggior parte dei casi rappresenta una pessima misura del livello di benessere raggiunto da un paese, qualora appunto per benessere non s'intenda solo ricchezza posseduta. Per esempio il confronto relativo al 1993, tra il PIL dell'Arabia Saudita (12.600 dollari pro capite) e quello di Costa Rica (5.680 dollari pro capite) indicherebbe un maggiore benessere degli abitanti dell'Arabia Saudita. Ma è proprio così? Se accostiamo il PIL al tasso di alfabetizzazione della popolazione e la speranza di vita (la vita media) le cose appaiono sotto un altro punto di vista, come potrai verificare tu stesso consultando la tabella a lato.
Per ovviare a questi inconvenienti, ossia per valutare realmente il livello di benessere, l'UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) ha proposto, al posto del PIL, l'ISU (Indicatore di Sviluppo Umano). L'ISU si ottiene combinando i dati relativi al livello di sanità (rappresentato dalla speranza di vita alla nascita) con il livello d'istruzione (rappresentato dall'indice di alfabetizzazione nella popolazione adulta e dalla media del numero di anni di studio) con il reddito (rappresentato dal PIL pro capite).
I valori calcolati dell'ISU sono compresi tra 0 e 1. Più l'ISU si avvicina a 1 migliore può essere considerata la situazione a livello del benessere reale. A tale scopo sono state convenzionate tre fasce: 
  • paesi a sviluppo umano basso : ISU da 0 a 0,500; 
  • paesi a sviluppo umano medio : ISU da 0,501 a 0,800; 
  • paesi a sviluppo umano elevato : ISU da 0,801 a 1. 
RIFIUTI E SVILUPPO SOSTENIBILE: COSA FARE

L'attuale politica globale di gestione dei rifiuti, che abbiamo analizzato nei primi capitoli, si fonda evidentemente sul modello a crescita illimitata ed è in contrapposizione quindi con l'ipotesi dello sviluppo sostenibile per almeno due ordini di motivi. 

  • Le materie prime, in particolar modo i minerali, sono risorse non rinnovabili e quindi esauribili. Continuando ad utilizzare in modo indiscriminato si sottraggono praticamente alle generazioni future che non ne avranno a disposizione. 
  • La produzione di grandi quantità di rifiuti e i sistemi di smaltimento degli stessi oggi praticati stanno provocando seri problemi ambientali, che rischiano di diventare irreversibili. 
Se, rispetto alla politica sui rifiuti, si vuole arrivare a praticare un modello di sviluppo sostenibile occorre quindi un cambio di mentalità radicale, occorrono dei correttivi che, seguendo anche gli insegnamenti dell'ecosfera visti nel quarto capitolo, agiscano nella direzione di chiudere il cerchio.
Tali correttivi vanno applicati a tutte le fasi che portano alla produzione dei rifiuti: dall'estrazione delle materie prime alla produzione delle merci, dalla distribuzione delle stesse al loro consumo, per finire ai metodi di smaltimento dei rifiuti.
L'obiettivo ultimo è quindi quello di ridisegnare la politica dei rifiuti della tecnosfera in modo da metterla in armonia con l'ecosfera. In questo progetto tutti possono e devono fare qualcosa.
Consapevoli che scelte, compiti e responsabilità spesso si intrecciano e si sovrappongono abbiamo comunque scelto di concludere il nostro discorso cercando di suddividere i compiti e le responsabilità dei consumatori da quelli dei produttori e da quelli delle varie amministrazioni dello Stato. Riassumiamo quindi alcune indicazioni utili per un cambio di strategia che riguardano i consumatori, i produttori e lo Stato relativi al problema rifiuti che possono essere desunte dal modello di sviluppo sostenibile. 

INDICAZIONI PER I CONSUMATORI

Mami, perché comperiamo tante cosa da buttare? Chiede una bambina su un manifesto apparso sui muri del Comune di Bolzano nel 1992. E' un invito esplicito a consumare meno. Consumando meno si avrà una conseguente riduzione di materia ed energia in circolo e quindi una riduzione dei rifiuti prodotti.
Una volta acquisito che occorrerebbe diminuire i consumi, occorre anche arrivare a una reali capacità di scelta delle merci acquistate. E' possibile che, decidendo di acquistare alcune merci piuttosto che altre, si riuscirà con il tempo, seppur lentamente, a guidare il mercato, invece di essere guidati da esso. In altre parole occorre ribaltare il concetto del cittadino consumatore passivo, trasformando addirittura il consumo in uno strumento per ottenere prodotti realizzati in condizioni di lavoro accettabili e secondo pratiche che rispettino l'ambiente.
In altre parole occorre scegliere prodotti meno nocivi per l'ambiente, quelli meno a rischio di sfruttamento infantile, ecc. Restando fermi questi criteri è consigliabile comunque l'acquisto di prodotti: 

  • duraturi; 
  • riutilizzabili; 
  • riciclabili; 
  • con imballaggi non superflui. 
Sempre riguardo la capacità di scelta dei prodotti acquistati occorre precisare che moltissimi prodotti provenienti dal Sud del mondo, come il cacao, il caffè, il legname, ecc., vengono prodotti sfruttando sia le popolazioni che l'ambiente, per essere poi venduti a caro prezzo nel Nord del mondo da alcune potenti multinazionali.
Per ovviare a questa ingiustizia in Olanda circa trent'anni fa è nata l'idea del commercio equo e solidale: è stata creata cioè una rete commerciale alternativa in grado di distribuire prodotti comprati direttamente dai contadini, dagli artigiani e dalle piccole imprese dei paesi poveri. Lo scopo è di garantire ai produttori del Sud un compenso equo e di commercializzare prodotti ottenuti nelle condizione in minor impatto ambientale possibile.
Sulla scia dell'esempio olandese si sono costituite numerose organizzazioni di distribuzione in quasi tutte le nazioni del Nord. In Italia oggi esistono tre organizzazioni ispirate al commercio equo e solidale che hanno una catena di negozi sparsi un po' in tutta Italia.
L'indicazione per il consumatore è chiaramente quella di comprare i prodotti del commercio equo e solidale. Occorre inoltre: 
  • Riusare ovvero riutilizzare, quando è possibile, lo stesso oggetto più di una volta, tale e quale come è. 
  • Riciclare in casa quanto più è possibile, riutilizzando più volte i materiali posseduti sotto altre forme. 
  • Potenziare la raccolta differenziata per aumentare la quantità di materie prime seconde da rimettere in circolo e la frazione di energia recuperata (con la termodistruzione). 
INDICAZIONI PER I PRODUTTORI.

Il principio di fondo che dovrebbe guidare le imprese che producono merci è quello di mettersi nell'ottica di "prendersele in carico" non solo fino al momento della vendita, ma fino alla loro trasformazione in rifiuto. Secondo questo principio, conosciuto come "responsabilità estesa del produttore", il produttore stesso deve essere ritenuto responsabile di una merce da lui prodotta che, diventata rifiuto, produce inquinamento. E' su questo principio che in Italia sono stati costituiti i Consorzi Nazionali Obbligatori. Tenendo conto di ciò le imprese potrebbero progettare e produrre merci che abbiano una durata maggiore, che siano riparabili, che siano il più possibile riciclabili, che abbiano la stessa prestazione con l'impiego di meno materiali e soprattutto che siano meno inquinanti.
Per esempio si può provare a produrre automobili, lavatrici ecc., che durino di più, che siano costruiti con materiali riciclabili, che richiedano l'impiego di una minore quantità di materie prime e che durante il processo di produzione e alla fine, quando sono rifiutate, risultino complessivamente meno inquinanti.
Un discorso a parte, per la misura della loro crescita, meritano gli imballaggi, che dovrebbero essere sicuramente ridotti e, secondo il principio della responsabilità estesa, dovrebbero essere recuperati dai prodotti e dai distributori. E' quello che succede, per esempio, in Germania dal 1991 dove i cittadini che comprano un certo prodotto riportano l'imballaggio al negozio. In realtà qualcosa di simile succede anche in Italia poiché presso alcuni supermercati sono stati collocati dei cassonetti perla plastica, per il vetro, ecc.
Le industrie, infine, dovrebbero eliminare la produzione di alcune sostanze altamente inquinanti, come i clorofluorocarburi, responsabili del buco nell'ozono. 

INDICAZIONI PER LE AMMINISTRAZIONI.
Per quanto riguarda le responsabilità dello Stato, la normativa, anche se può essere sicuramente migliorata, esprime chiaramente il concetto che il rifiuto deve essere considerato una risorsa e assume l'ottica della raccolta differenziata finalizzata a: 

  • ridurre i rifiuti alla fonte; 
  • favorire la valorizzazione dei rifiuti attraverso il recupero di materiali fin dalla fase della produzione, distribuzione, consumo e raccolta; 
  • migliorare i processi tecnologici degli impianti per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti al fine di ridurre i consumi energetici e le emissioni; 
  • ridurre la quantità e la pericolosità delle frazioni non recuperabili da avviare allo smaltimento finale; 
  • favorire il recupero di materia ed energia anche nella fase dello smaltimento finale. 
Lo Stato, assieme alle varie amministrazioni periferiche, può comunque migliorare il suo intervento, agendo oltre che sulla regolamentazione, anche sul controllo, sugli incentivi e sulle tassazioni.
Per esempio si potrebbe: 
  • verificare con più severità se tutti i Comuni praticano la raccolta differenziata e prestare maggiore attenzione verso i circuiti di smaltimento illegali, anche quelli che portano i rifiuti nei paesi del Terzo mondo; 
  • controllare la "qualità ambientale" dei prodotti immessi sul mercato. Recentemente la CEE ha introdotto un marchio di qualità, un'etichetta ecologica, denominata Ecolabel (il cui simbolo è una margherita con dodici stelle e una "E" in mezzo) che viene rilasciata per i prodotti che, considerato tutto il ciclo di vita, presentano delle garanzie per l'ambiente; 
  • eliminare con delle leggi la produzione e il commercio di alcune merci pericolose; 
  • incentivare le imprese che operano nel campo del recupero e del riciclaggio, favorendo così il mercato delle materie seconde. Per esempio in Norvegia, in Svezia e in Francia viene incentivato il recupero delle carcasse delle automobili; 
  • incoraggiare le imprese che producono materiali più durevoli; 
  • tassare i prodotti che direttamente o indirettamente producono inquinamento, con l'intenzione di diminuirlo e favorire l'introduzione di prodotti non inquinanti: 
  • promuovere progetti di ricerca che vanno nel senso si una gestione migliore dei rifiuti. 
RIFIUTI, INFORMAZIONE E EDUCAZIONE.

Per quanto visto sopra, la tematica relativa all'informazione (intesa come quantità e qualità di dati disponibili sul tema dei rifiuti) e all'educazione dei cittadini in materia di rifiuti diventa di fondamentale importanza. Per quanto riguarda l'informazione c'è da rilevare che il problema rifiuti fino a ora è stato sicuramente poco studiato sia nei suoi termini generali sia nei suoi aspetti particolari.
Intendiamo dire che occorre avere più dati, per esempio, sulle caratteristiche tecnologiche dei vari oggetti (visti in funzione del problema dei rifiuti), sui sistemi di smaltimento, sugli effetti ambientali dei vari sistemi di smaltimento, sulla raccolta differenziata, sul ricicli, sui vantaggi e sugli svantaggi di ciascuna tecnologia ecc.
Solo possedendo più dati e dati più precisi è possibile operare delle reali scelte, per esempio sui prodotti da acquistare, sulle tecniche di riciclo, sui siti e sugli impianti di smaltimento stesso ecc.
A tale proposito nel 1994 è stata istituita l'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (ANPA) che, servendosi di analoghe strutture regionali e provinciali, ha, tra l'altro, il compito di raccogliere ed elaborare dati e informazioni sulla situazione ambientale e in particolare, per quanto ci riguarda, sullo smaltimento dei rifiuti.
Inoltre uno strumento molto importante ai fini sia dell'accumulo dei dati sia della trasparenza delle scelte è la procedura conosciuta come Valutazione Impatto Ambientale (VIA), introdotta nel 1970 negli Stati Uniti e successivamente recepita dalla CEE e dai paesi membri, tra cui l'Italia.
Dato che il termine impatto significa "azione di una causa fisica sull'ambiente", per VIA s'intende "la valutazione preliminare dei potenziali effetti che un'opera pubblica, ad esempio un impianto di smaltimento, può avere sull'ambiente naturale".
Per quanto riguarda invece l'educazione occorre sicuramente potenziare a tutti i livelli i programmi e i progetti che educhino i cittadini a una corretta gestione del problema rifiuti. Per fare questo occorre investire tutte le agenzie informative e formative, a cominciare dai giornali e dalle TV per finire, ma non certo perché meno importante, alla scuola. Anche un certo tipo di pubblicità può fare la sua parte. Ne sono esempio la miriade di campagne pubblicitarie che invitano alla raccolta differenziata, al recupero, al risparmio, a comportamenti responsabili ecc.
Una campagna pubblicitaria che ha fatto molto scalpore è stata quella lanciata nel 1995 negli Stati Uniti perché ha visto la partecipazione di numerose top-model e di numerosi personaggi dello spettacolo.