Cooperativa Il Seme 
Wwf BERGAMO
Libreria Terzo Mondo
http://www.bgonline.it/seme/index.htm

Il limite, nuovo nome dello sviluppo?

Alla ricerca di sentieri sostenibili per una società equa e solidale

Atti del Convegno Nazionale di Studi

I limiti dello sviluppo, lo sviluppo dei limiti

Organizzando il convegno nazionale sul tema del "limite come nuovo nome dello sviluppo", la cooperativa "Il Seme", il WWF di Bergamo e la Libreria Terzo Mondo di Seriate hanno gettato un sasso in uno specchio d’acqua stagnante. L’idea era quella di stimolare la riflessione nella nostra città su un argomento, il cosiddetto sviluppo sostenibile, vecchio ormai di decenni ma al tempo stesso ogni giorno più attuale, fortemente legato al deteriorarsi della qualità della vita e delle relazioni sociali. Ad aiutarci nella ricerca sono stati invitati un economista, un sindacalista, un teologo morale, un esperto dell’UNICEF, un pedagogista. Del lavoro di quella giornata, che si è svolta nella sala degli Angeli del Conventino dove arrivava l’eco delle bombe sul Kossovo, potete leggere il testo delle relazioni che presentiamo in questi Atti, e giudicare personalmente.

A distanza di qualche mese, la sensazione è che lo stagno sia tremendamente impassibile ai sassi, e forse la strategia per "smuovere le acque" sia ancora tutta da pensare. 

Proviamo allora a fissare alcuni punti fermi che sintetizzano lo "stadio" della ricerca e alcuni nodi problematici da cui ripartire: 

  1. "L’ecologia non può essere separata dall’equità, né l’equità dall’ecologia. La crisi della natura e la crisi della giustizia internazionale sono interconnesse. Questo principio è noto da tempo, ma in seguito è stato spesso dimenticato, specialmente nei paesi del Nord. Le società del benessere, infatti, sono tentate di pensare all’ambiente in termini di fiumi limpidi, aria pulita, cibi sani e gite divertenti. Da un punto di vista globale è abbastanza ovvio che tutto ciò vuol dire abbellire alcune isole di ricchezza sparse in un oceano di povertà. In un mondo finito, limitato, la pretesa del 20% della popolazione di sfruttare l’80% delle risorse rende inevitabile la marginalizzazione della maggior parte del genere umano". Gli esempi ormai sono stra-noti: se tutti gli abitanti del pianeta (ad ottobre abbiamo raggiunto quota 6 miliardi) avessero uno standard di vita e di consumi come quello di uno statunitense, servirebbero cinque pianeti come la terra per fornire l’energia, le materie prime necessarie a produrre far funzionare e rottamare automobili, frigoriferi, computer, mucche e telefonini. 

  2. 2. "Quindi la rinuncia a un eccessivo consumo da parte dei ricchi è un primo passo indispensabile per consentire una vita migliore a un maggior numero di persone. Se i paesi ricchi hanno davvero l’intenzione di intrattenere buoni rapporti di vicinato globale, dovranno cominciare ad attuare economie che esercitino un peso molto minore sul pianeta e sugli altri popoli". La sensibilità delle democrazie verso i diritti umani non si può misurare solo sugli interventi umanitari, ma sulla disponibilità a fare passi concreti in questa direzione. 

    3. Quale direzione? "La transizione alla sostenibilità per i paesi del benessere consiste nel ridurre l’utilizzo complessivo delle risorse secondo un fattore 10 nei prossimi 50 anni (…) Occorre spostare l’attenzione dalla parte finale alla parte iniziale dei cicli di trasformazione nell’economia". Oltre le strategie "verdi" di riciclaggio, occorre rendersi consapevoli che i problemi ambientali più gravi derivano in ultima analisi dalla voracità del sistema (post)industriale, cioè dal volume e dalla velocità con cui la natura viene consumata. Un cambiamento di tali dimensioni nella civiltà richiede sia una prospettiva di efficienza che una di sufficienza. Certamente, creare una società che risparmi le risorse naturali vuol dire prima di tutto invitare gli ingegneri e i progettisti a ridisegnare il modo in cui si produce. Tuttavia, l’efficienza da sola non basterà. Le automobili a basso consumo di carburante o un maggior tasso di riciclaggio nella produzione di carta porteranno a un risparmio di risorse solo finché questi guadagni sul piano dell’efficienza non saranno superati da un’ulteriore crescita della produzione e quindi del consumo di risorse.(…) Mentre il criterio dell’efficienza verte su come fare bene le cose, quello sulla sufficienza verte su come fare le cose giuste. La sostenibilità, in ultima istanza, sorge da una nuova ricerca di un significato positivo della vita". (W. Sachs, Futuro sostenibile, EMI, 1997)

  3. 1."La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta. La paura della catastrofe non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controlli; e la stessa analisi scientifica non ha avuto capacità persuasiva sufficiente..." Certo, notizie che meriterebbero la prima pagina dei giornali scivolano via nel flusso mediatico quotidiano. E’ il caso ad esempio del rapporto sulla situazione ecologica globale (Global Environment Outlook 2000) pubblicato in settembre dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiete (UNDP), il cui titolo è pressapoco questo: "La catastrofe ecologica del pianeta è ormai irreversibile". Ma, molto probabilmente, "(...) solo una decisa rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile potrà davvero causare una correzione di rotta. Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico "citius, altius, fortius" (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa bensì, la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in "lentius, profundius, suavius" (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso. Ecco perchè una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate - come è ovvio - in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioè, nella storia e nell’identità dei popoli). Dalla politica ci si potrà aspettare che attui efficaci spunti per una correzione di rotta e al tempo stesso sostenga e forse incentivi la volontà di cambiamento: una politica ecologica punitiva che presupponga un diffuso ideale pauperistico non avrà grandi chances nella competizione democratica. La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile" (cfr. Alex Langer, Caro San Cristoforo in "Il viaggiatore leggero", Sellerio, 1996).
Caro San Cristoforo

ALEX LANGER

Caro San Cristoforo,

non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna. Affreschi spesso sbiaditi, ma ben riconoscibili. Tu - omone grande e grosso, robusto, barbuto e vecchio - trasportavi il bambino sulle tue spalle da una parte all’altra del fiume, e si capiva che quella era per te suprema fatica e suprema gioia. Mi feci raccontare tante volte la storia di mia madre, che non era poi chissà quale esperta di santi, né devota, ma sapeva affascinarci con i suoi racconti. Così non ho mai saputo il tuo vero nome, né la tua collocazione ufficiale tra i santi della chiesa (temo che tu sia stato vittima di una recente epurazione che ti ha degradato a santo minore o di dubbia esistenza). 

Ma la tua storia me la ricordo bene, almeno nel nocciolo. Tu eri uno che sentiva dietro di sé tanta forza e tanta voglia di fare, che dopo aver militato sotto le insegne dei più illustri ed importanti signori del tuo tempo, ti sentivi sprecato. Avevi deciso di voler servire solo un padrone che davvero valesse più degli altri. Forse eri stanco di falsa gloria, e ne desideravi di quella vera. Non ricordo più come ti venne suggerito di stabilirti alla riva di un pericoloso fiume per traghettare - grazie alla tua forza fisica eccezionale - i viandanti che da soli non ce la facessero, né come tu abbia accettato un così umile servizio che non doveva apparire proprio quella "Grande Causa" della quale - capivo - eri assetato. 

Ma so bene che era in quella tua funzione, vissuta con modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a prima vista assai "al di sotto" delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per portarlo dall’altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un gigante come te ed avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo dopo aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito più gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo, per riuscire ad arrivare di là. Dopo di che comprendesti con chi avevi avuto a che fare, ed avevi trovato il Signore che valeva la pena di servire, tanto che ti rimase per sempre quel nome.

Perché mi rivolgo a te, alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinanzi a noi.

Ormai pare che tutte le grandi cause riconosciute come tali, molte delle quali senz’altro importanti ed illustri, siano state servite, anche con dedizione, ed abbiano abbondantemente deluso. Quanti abbagli, quanti inganni ed auto-inganni, quanti fallimenti, quante conseguenze non volute (e non più reversibili) di scelte ed invenzioni ritenute generose e provvide. 

I veleni della chimica, gettati sulla terra e nelle acque per "migliorare" la natura, ormai ci tornano indietro: i depositi finali sono i nostri corpi. Ogni bene ed ogni attività è trasformata in merce, ed ha dunque il suo prezzo: si può comperare, vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi), e l’utero (per una gravidanza in "leasing"). Tutto è diventato fattibile: dal viaggio interplanetario alla perfezione omicida di Auschwitz, dalla neve artificiale alla costruzione e manipolazione arbitraria di vita in laboratorio.

Il motto dei giochi olimpici è diventato legge suprema ed universale di una civiltà in espansione illimitata: "citius, altius, fortius", più veloci, più alti, più forti, si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi... competere, insomma. La corsa al "più" trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile ed incontenibile. Superare i limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha caratterizzato in misura massiccia il tempo del progresso dominato da una legge dell’utilità definita "economia" e da una legge delle scienza definita "tecnologia" - poco importa che tante volte di necro-economia e di necro-tecnologia si sia trattato.

Cosa resterebbe da fare ad un tuo emulo oggi, caro san Cristoforo? Quale è la Grande Causa per la quale impegnare oggi le migliori forze, anche a costo di perdere gloria e prestigio agli occhi della gente e di acquattarsi in una capanna alla riva del fiume? Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare?

Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del "di più" ad una del "può bastare" o del "forse è già troppo". Dopo secoli di progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranza terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di "regredire", cioè di invertire o almeno fermare la corsa del "citius, altius, fortius". La quale è diventata autodistruttiva, come ormai molti intuiscono e devono ammettere (e sono lì a documentarlo l’effetto serra, l’inquinamento, la deforestazione, l’invasione di composti chimici non più domabili... ed un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della biosfera e dell’umanità).

Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi di inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, ogni forma di violenza). Un vero "regresso", rispetto al "più veloce, più alto, più forte". Difficile da accettare, difficile da fare, difficile persino a dirsi.

Tant’è che si continuano a recitare formule che tentano una contorta quadratura del cerchio parlando di "sviluppo sostenibile" o di "crescita qualitativa, ma non quantitativa", salvo poi rifugiarsi nella vaghezza quando si tratta di attraversare in concreto il fiume dell’inversione di tendenza. 

Ed invece sarà proprio quello ciò che ci è richiesto, sia per ragioni di salute del pianeta, sia per ragioni di giustizia: non possiamo moltiplicare per 5-6 miliardi l’impatto ambientale medio dell’uomo bianco ed industrializzato, se non vogliamo il collasso della biosfera, ma non possiamo neanche pensare che 1/5 dell’umanità possa continuare a vivere a spese degli altri 4/5, oltre che della natura e dei posteri.

La traversata da una civiltà impregnata della gara per superare i limiti ad una civiltà dell’autolimitazione, della "Genugsamkeit" o "Selbstbescheidung", della frugalità sembra tanto semplice quanto immane. Basti pensare all’estrema fatica con cui il fumatore o il tossicomane o l’alcoolista incallito affrontano la fuoruscita dalla loro dipendenza, pur se magari teoricamente persuasi dei rischi che corrono se continuano sulla loro strada e forse già colpiti da seri avvertimenti (infarti, crisi...) sull’insostenibilità della loro condizione. Il medico che tenta di convincerli invocando o fomentando in loro la paura della morte o dell’autodistruzione, di solito non riesce a motivarli a cambiare strada, piuttosto convivono con la mutilazione e cercano rimedi per spostare un po’ più in là la resa dei conti.

Ecco perché mi sei venuto in mente tu, San Cristoforo: sei uno che ha saputo rinunciare all’esercizio della sua forza fisica e che ha accettato un servizio di poca gloria. Hai messo il tuo enorme patrimonio di convinzione, di forza e di autodisciplina a servizio di una Grande Causa apparentemente assai umile e modesta. Ti hanno fatto - forse un po’ abusivamente - diventare il patrono degli automobilisti (dopo essere stato più propriamente il patrono dei facchini): oggi dovresti ispirare chi dall’automobile passa alla bicicletta, al treno o all’uso dei propri piedi! Ed il fiume da attraversare è quello che separa la sponda della perfezione tecnica sempre più sofisticata da quella dell’autonomia delle protesi tecnologiche: dovremo imparare a traghettare dai tanti ai pochi chilowattori, da una super-alimentazione artificiale ad una nutrizione più equa e compatibile con l’equilibrio ecologico e sociale, dalla velocità supersonica a tempi e ritmi più umani e meno energivori, dalla produzione di troppo calore e troppe scorie inquinanti ad un ciclo più armonioso con la natura. Passare, insomma, dalla ricerca del superamento dei limiti ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell’artificializzazione sempre più spinta ad una riscoperta di semplicità e frugalità.

Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà (da Chernobyl alle alghe dell’Adriatico, dal clima impazzito agli spandimenti di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strada. Ci vorrà una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e alla decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della "conversione ecologica" oggi necessaria.

(Il viaggiatore leggero, Sellerio, 1996)

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