Professor Sen, la libertà è una misura dello sviluppo,
stando al suo ultimo libro. Quale tipo di libertà? E dato che la
libertà è sempre legata a un concetto di uguaglianza, di
che tipo di uguaglianza si tratta? Uguaglianza di che cosa? Sono questi
i principali temi del suo lavoro. Potrebbe rispondermi spiegando l'idea
di fondo del suo «approccio delle capacità»?
Quello che cerco di dire è che il modo migliore
per dare un giudizio sullo sviluppo sta nel vedere quanto riesce ad aumentare
la libertà umana. Una libertà che però è di
vari tipi. In certi paesi, la gente magari è libera di esprimere
la propria opinione, di criticare, ha libertà di parola come in
India, eppure se è povera può non avere accesso a una sanità
adeguata. Invece in un'economia come quella cinese, magari la sanità
è migliore - non dappertutto, ma almeno in alcune zone - ma c'è
meno libertà di parola. Quindi bisogna riconoscere, mi sembra, che
la libertà è essenzialmente multidimensionale. Non «quale
tipo di libertà?» quindi, ma tutti questi tipi di libertà.
La ricchezza della vita umana dipende dalle opportunità economiche,
dalle capacità sociali, dalle libertà politiche e queste,
sommandosi, risultano nella libertà. E in un senso fondamentale,
direi che si rafforzano reciprocamente. Se ce ne sono alcune e non altre,
tutte sono vulnerabili, in un certo senso. Ma se procedono di pari passo,
non hanno questa debolezza.
Lei sostiene che l'etica è importante
in economia ma che, vice versa, anche teorie economiche come quella dell'equilibrio
generale possono contribuire a sviluppare un'etica. In che modo?
Credo che il legame tra economia ed etica vada nei
due sensi. L'etica è molto importante per l'economia per due diversi
motivi. Il primo è che molta economia riguarda provvedimenti che
vanno presi e poi esaminati e valutati. E non è possibile fare una
valutazione se non si hanno dei valori, quindi c'è bisogno di un'etica
per decidere se le cose vanno meglio o se vanno peggio, se tal provvedimento
sarebbe un bene o se talaltro sarebbe un male. Per questo, ci vuole un'etica.
Il secondo motivo per cui l'etica è importantissima in economia
è che il comportamento umano dipende da valori etici. Non è
vero che non ci badiamo. Abbiamo tutti una quantità di valori etici
diversi. A volte sono valori molto forti, a volte sono addirittura universali.
A volte, invece, sono localizzati e forse legati a una comunità
o a un particolare gruppo: il comportamento morale dell'imprenditore è
più solidale con gli imprenditori che con i lavoratori e quello
dei sindacati è meno solidale con gli imprenditori. Qualunque essa
sia, qualunque forma assuma, l'etica influisce parecchio sul comportamento
delle persone. E perfino nell'economia non prescrittiva, non in quella
che si occupa dei provvedimenti da decidere e della loro valutazione ma
nell'economia descrittiva e predittiva, c'è bisogno di etica, di
un'analisi etica, perché l'etica influisce sui nostri valori. Allo
stesso modo, penso che l'economia possa dare un contributo all'etica perché
la maggior parte delle preoccupazioni etiche riguardano questioni in cui
l'economia ha un ruolo notevole. Penso per esempio alla libertà
dalla fame, al poter contare sull'aiuto degli altri e così via,
questioni che sono al centro dell'etica e sulle quali l'economia ha molto
da dire. Come aiutare gli altri, o come far sì che il diritto di
non soffrire la fame si trasformi in una realtà del mondo, è
chiaramente qualcosa che ha molto a che fare con l'economia. Credo che
integrare etica ed economia sia essenziale, proprio perché l'etica
conta in economia e vice versa.
Anche perché in questo modo si valutano
meglio le conseguenze dell'azione?
Penso che il nesso sia proprio questo. Mi spiego.
Se adottassimo un'etica che non tenesse conto delle conseguenze, l'economia
perderebbe la sua importanza. Ma voglio dire che sarebbe un errore, anche
se c'è gente che propone sistemi etici come se le conseguenze non
contassero, addirittura rifacendosi a Immanuel Kant o attribuendogli questa
posizione. In realtà, non è vero che si possa dare un giudizio
etico che prescinda interamente dall'azione. Se facciamo una cosa con le
migliori intenzioni possibili e questa cosa uccide un milione di persone,
è ovvio che si tratta di una cosa tremenda e che non va fatta. Quindi
non vedo come si possa dissociare l'etica dalle conseguenze. E molte conseguenze
delle nostre azioni operano attraverso l'economia, perché l'economia
è un legame forte tra le azioni umane e le loro conseguenze. E questo
è in assoluto il motivo per cui l'etica ha bisogno dell'aiuto dell'economia
per completare la propria analisi.
Cosa pensa dello sviluppo sostenibile? E' un concetto
utile per l'economia? E quale potrebbe essere il ruolo degli imprenditori,
dei politici, degli ambientalisti e dei sindacalisti nella realizzazione
di programmi di sviluppo sostenibile?
Mi pare che la causa dello sviluppo sostenibile fosse
stata difesa con vigore dal rapporto della Commissione Bruntland, presieduta
da Gro Bruntland, che era stata il Primo Ministro norvegese e ora è
presidente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'OMS. In
questo rapporto della Commissione Bruntland, preparato alla fine degli
anni Ottanta, si diceva che non bisognava opporsi allo sviluppo e alla
crescita come facevano certi ambientalisti, per esempio i fautori dei «Limiti
dello sviluppo», e anche il Club di Roma che aveva una posizione
abbastanza simile. Il rapporto diceva che serve uno sviluppo dalla base
ampia, che tenga conto degli interessi di tutti, e che sia sostenibile
nel senso che non soffochi la possibilità di uno sviluppo in futuro.
A mio parere, è un punto di vista fondamentalmente giusto. Il punto
interessante è la definizione che si dà di sviluppo sostenibile
e di che cosa occorre sostenere. Di recente sono stati pubblicati altri
due rapporti, uno della Royal Society di Londra - un'associazione
di grandi intellettuali - che si concentra soprattutto sui consumi sostenibili.
Intendiamoci, è un tema interessante ma a mio parere troppo ristretto.
Anche l'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto
dedicato in parte allo sviluppo sostenibile, e - come il rapporto Bruntland
- tratta di come rendere possibile lo sviluppo in futuro. Questa, secondo
me, è una linea di pensiero feconda da seguire, ma vorrei ampliarla.
Intendo dire che i mezzi che vengono usati per sostenere lo sviluppo sono
di per sé importanti. Prendiamo per esempio il caso dello sviluppo
sostenibile mentre aumenta la popolazione. Alcune persone ritengono che
misure coercitive di riduzione della crescita demografica sarebbero indispensabili
per uno sviluppo sostenibile. Prima di tutto, penso che sia sbagliato,
perché niente indica che la coercizione sia un mezzo efficace. Ma
anche se lo fosse, mi sembra comunque un'idea infelice perché, tra
le cose che vanno sostenute, c'è la libertà. Se si costringe
le persone a frenare la crescita della popolazione, si è già
rinunciato a sostenere la libertà. Invece trovo che il concetto
di sviluppo sostenibile vada allargato fino a includere il sostegno delle
libertà individuali, per aumentarle e per sostenere quelle che già
esistono. Mi piacerebbe spingere in questa direzione le riflessioni sullo
sviluppo sostenibile. E' una distinzione importante: troppo spesso, con
il pretesto che il fine giustifica i mezzi - una posizione mi lascia sconcertato
- in nome dello sviluppo sostenibile c'è gente che raccomanda delle
misure per cui si comincia per eliminare proprio la cosa che merita di
essere sostenuta, vale a dire la libertà umana.
Certe multinazionali hanno adottato la sostenibilità,
hanno fatto bene? La Procter & Gamble per esempio lo ha fatto per dimostrare
che le questioni sociali e ambientali non vanno separate da quelle economiche.
E le multinazionali sono credibili in questo ruolo?
Io non conosco esattamente la posizione della Procter
& Gamble. So soltanto che è una società del tutto rispettabile,
che ha una storia positiva di sviluppo industriale e di senso di responsabilità,
ma non posso dire nulla su questo punto preciso. D'altro canto, la sua
domanda più generale è «una multinazionale ha interesse
a puntare sullo sviluppo sostenibile?» Certo che ce l'ha. Sa, anche
quelli che dirigono le multinazionali fanno parte della specie umana e
s'interessano ad altri membri della stessa specie… A capo delle multinazionali
non ci sono automi o macchine ma esseri umani, dopotutto, e quindi possono
avere un punto di vista umano! E credo che si possa tranquillamente dire
che, in fin dei conti, il successo delle multinazionali c'entra con la
percezione che la gente ne ha. Se le multinazionali sono capaci di presentare
una visione che entra in risonanza con le idee che la gente ha del proprio
futuro e del futuro del mondo, allora possono anche trarre vantaggi dal
fatto di condividerne la legittima preoccupazione. Anzi, direi che per
una multinazionale interessarsi allo sviluppo sostenibile sarebbe naturale.
E sappiamo che molte iniziative filantropiche di grande valore sono state
prese da società come la Roundtrees inglese, che ha avuto una parte
importante nell'avviare le ricerche sulla povertà. Ora la Roundtrees
è un'impresa commerciale e c'è una lunga storia di imprese
commerciali interessate a questioni sociali e morali. Non vedo perché
non devono interessare anche le multinazionali.
Da oltre un anno, in occidente ci sono state proteste
contro la globalizzazione, il libero scambio e le nuove tecnologie, in
particolare contro le biotecnologie, con una forte impronta ambientalista.
Se le proteste raggiungono lo scopo, i paesi in via di sviluppo ne trarranno
vantaggio, o no?
Mah. Direi che il dibattito sulla globalizzazione
è piuttosto strano, visto che quelli che si oppongono alla globalizzazione
si ritrovano spesso in varie parti del globo - Seattle, Londra, Washington,
Praga - e provengono da tutto il mondo. La protesta contro la globalizzazione
è essa stessa un movimento globale. Ma credo che il dibattito non
riguardi affatto la globalizzazione. Quelli a favore del commercio internazionale
e quelli genericamente e globalmente contrari al commercio internazionali
sono comunque a favore di una causa globale. Viviamo in un mondo in cui
non è possibile chiudersi completamente fuori dal resto del mondo.
La globalizzazione fa parte della necessità di qualunque approccio
coerente. La vera questione, mi sembra, è questa: in quale misura
le imprese e gli affari devono essere guidati dalla ricerca di profitti
e di una forte crescita economica, senza tenere conto della ridistribuzione
e dell'equità; della ridistribuzione all'interno di una nazione,
di un'economia, e della ridistribuzione tra le nazioni, e della portata
che deve avere tale ridistribuzione. Credo che siano questioni legittime,
e i manifestanti hanno fatto un ottimo lavoro richiamando l'attenzione
su questi temi. Al contempo però, spesso i rimedi che suggeriscono,
vale a dire la fine dei rapporti economici globali, non serviranno granché
ad aiutare i paesi poveri che hanno bisogno di rapporti economici globali
per generare reddito e per diventare più ricchi. Quindi credo che
dobbiamo considerare queste proteste come un contributo importante alle
tematiche del mondo contemporaneo, ma non come tesi importanti,
da accettare nella forma in cui sono espresse negli slogan, sugli striscioni
e sui cartelli che vengono esibiti nelle manifestazioni. Penso insomma
che pongono domande importantissime, e che spesso le risposte che danno
richiedono un esame critico.
Oggi a Roma, politici, economisti, ambientalisti
e le principali società multinazionali che operano in Italia discuteranno
insieme di sviluppo sostenibile. Vorrebbe dire qualcosa a questa riunione?
E secondo lei, quali dovrebbero esserne le priorità?
Non sono sicuro di poter rivolgere parole sagge a
quello che comunque sarà un consesso di saggi! Avrei tanto voluto
partecipare anch'io, purtroppo non posso. Comunque lo sviluppo sostenibile
è importantissimo per il mondo contemporaneo. Per queste due ragioni.
Dobbiamo intenderlo come un processo di sviluppo e non di crescita. La
crescita è troppo limitata, riguarda solo il prodotto interno lordo,
mentre dobbiamo intendere lo sviluppo in senso ampio, come lo sviluppo
delle libertà che rendono una vita umana degna di essere vissuta.
E al contempo, abbiamo bisogno di questo sviluppo non solo in questo preciso
momento ma anche in futuro, quindi la sua sostenibilità è
essenziale. Vorrei aggiungere una cosa sola. Succede che il problema dello
sviluppo sostenibile venga disgiunto dai modi in cui si vuole sostenerlo.
Secondo me, la distinzione non è praticabile. Se con la coercizione
si ottiene la conservazione di determinate risorse, o la riduzione del
tasso di natalità - penso che l'efficacia della coercizione sia
molto sopravalutata, ma mettiamo pure che serva a qualcosa - se il sostegno
comincia per eliminare alcune delle cose preziose per la nostra vita, come
la nostra libertà di decidere, allora ha perso in partenza qualcosa,
prima ancora di aver provato a sostenerla. Io invece sono convinto che
occorre pensare in termini di libertà sostenibile. Vanno sostenute
le libertà umane, cioè lo sviluppo della libertà e
di tutte quelle che ci procura: libertà economica, libertà
politica, libertà sociale. E' su questa storia di libertà
che si innesta la questione ambientale. Quindi vorrei un contesto più
ampio, in cui lo sviluppo sostenibile leghi le libertà umane alla
possibilità di un'espansione, di uno sviluppo e alla necessità
di continuare a sostenere lo sviluppo in futuro.
3 novembre 2000