PARLA AMARTYA SENSviluppo sostenibile:
"Una crescita di libertà"
Il punto di vista del premio Nobel dell'economia
di Armando Massarenti

 
 

Professor Sen, la libertà è una misura dello sviluppo, stando al suo ultimo libro. Quale tipo di libertà? E dato che la libertà è sempre legata a un concetto di uguaglianza, di che tipo di uguaglianza si tratta? Uguaglianza di che cosa? Sono questi i principali temi del suo lavoro. Potrebbe rispondermi spiegando l'idea di fondo del suo «approccio delle capacità»?

Quello che cerco di dire è che il modo migliore per dare un giudizio sullo sviluppo sta nel vedere quanto riesce ad aumentare la libertà umana. Una libertà che però è di vari tipi. In certi paesi, la gente magari è libera di esprimere la propria opinione, di criticare, ha libertà di parola come in India, eppure se è povera può non avere accesso a una sanità adeguata. Invece in un'economia come quella cinese, magari la sanità è migliore - non dappertutto, ma almeno in alcune zone - ma c'è meno libertà di parola. Quindi bisogna riconoscere, mi sembra, che la libertà è essenzialmente multidimensionale. Non «quale tipo di libertà?» quindi, ma tutti questi tipi di libertà. La ricchezza della vita umana dipende dalle opportunità economiche, dalle capacità sociali, dalle libertà politiche e queste, sommandosi, risultano nella libertà. E in un senso fondamentale, direi che si rafforzano reciprocamente. Se ce ne sono alcune e non altre, tutte sono vulnerabili, in un certo senso. Ma se procedono di pari passo, non hanno questa debolezza. 

Lei sostiene che  l'etica è importante in economia ma che, vice versa, anche teorie economiche come quella dell'equilibrio generale possono contribuire a sviluppare un'etica. In che modo? 

Credo che il legame tra economia ed etica vada nei due sensi. L'etica è molto importante per l'economia per due diversi motivi. Il primo è che molta economia riguarda provvedimenti che vanno presi e poi esaminati e valutati. E non è possibile fare una valutazione se non si hanno dei valori, quindi c'è bisogno di un'etica per decidere se le cose vanno meglio o se vanno peggio, se tal provvedimento sarebbe un bene o se talaltro sarebbe un male. Per questo, ci vuole un'etica. Il secondo motivo per cui l'etica è importantissima in economia è che il comportamento umano dipende da valori etici. Non è vero che non ci badiamo. Abbiamo tutti una quantità di valori etici diversi. A volte sono valori molto forti, a volte sono addirittura universali. A volte, invece, sono localizzati e forse legati a una comunità o a un particolare gruppo: il comportamento morale dell'imprenditore è più solidale con gli imprenditori che con i lavoratori e quello dei sindacati è meno solidale con gli imprenditori. Qualunque essa sia, qualunque forma assuma, l'etica influisce parecchio sul comportamento delle persone. E perfino nell'economia non prescrittiva, non in quella che si occupa dei provvedimenti da decidere e della loro valutazione ma nell'economia descrittiva e predittiva, c'è bisogno di etica, di un'analisi etica, perché l'etica influisce sui nostri valori. Allo stesso modo, penso che l'economia possa dare un contributo all'etica perché  la maggior parte delle preoccupazioni etiche riguardano questioni in cui l'economia ha un ruolo notevole. Penso per esempio alla libertà dalla fame, al poter contare sull'aiuto degli altri e così via, questioni che sono al centro dell'etica e sulle quali l'economia ha molto da dire. Come aiutare gli altri, o come far sì che il diritto di non soffrire la fame si trasformi in una realtà del mondo, è chiaramente qualcosa che ha molto a che fare con l'economia. Credo che integrare etica ed economia sia essenziale, proprio perché l'etica conta in economia e vice versa. 

Anche perché in questo modo si valutano meglio le conseguenze dell'azione?

Penso che il nesso sia proprio questo. Mi spiego. Se adottassimo un'etica che non tenesse conto delle conseguenze, l'economia perderebbe la sua importanza. Ma voglio dire che sarebbe un errore, anche se c'è gente che propone sistemi etici come se le conseguenze non contassero, addirittura rifacendosi a Immanuel Kant o attribuendogli questa posizione. In realtà, non è vero che si possa dare un giudizio etico che prescinda interamente dall'azione. Se facciamo una cosa con le migliori intenzioni possibili e questa cosa uccide un milione di persone, è ovvio che si tratta di una cosa tremenda e che non va fatta. Quindi non vedo come si possa dissociare l'etica dalle conseguenze. E molte conseguenze delle nostre azioni operano attraverso l'economia, perché l'economia è un legame forte tra le azioni umane e le loro conseguenze. E questo è in assoluto il motivo per cui l'etica ha bisogno dell'aiuto dell'economia per completare la propria analisi. 

Cosa pensa dello sviluppo sostenibile? E' un concetto utile per l'economia? E quale potrebbe essere il ruolo degli imprenditori, dei politici, degli ambientalisti e dei sindacalisti nella realizzazione di programmi di sviluppo sostenibile? 

Mi pare che la causa dello sviluppo sostenibile fosse stata difesa con vigore dal rapporto della Commissione Bruntland, presieduta da Gro Bruntland, che era stata il Primo Ministro norvegese e ora è presidente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'OMS. In questo rapporto della Commissione Bruntland, preparato alla fine degli anni Ottanta, si diceva che non bisognava opporsi allo sviluppo e alla crescita come facevano certi ambientalisti, per esempio i fautori dei «Limiti dello sviluppo», e anche il Club di Roma che aveva una posizione abbastanza simile. Il rapporto diceva che serve uno sviluppo dalla base ampia, che tenga conto degli interessi di tutti, e che sia sostenibile nel senso che non soffochi la possibilità di uno sviluppo in futuro. A mio parere, è un punto di vista fondamentalmente giusto. Il punto interessante è la definizione che si dà di sviluppo sostenibile e di che cosa occorre sostenere. Di recente sono stati pubblicati altri due rapporti, uno della Royal Society di Londra -  un'associazione di grandi intellettuali - che si concentra soprattutto sui consumi sostenibili. Intendiamoci, è un tema interessante ma a mio parere troppo ristretto. Anche l'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto dedicato in parte allo sviluppo sostenibile, e - come il rapporto Bruntland - tratta di come rendere possibile lo sviluppo in futuro. Questa, secondo me, è una linea di pensiero feconda da seguire, ma vorrei ampliarla. Intendo dire che i mezzi che vengono usati per sostenere lo sviluppo sono di per sé importanti. Prendiamo per esempio il caso dello sviluppo sostenibile mentre aumenta la popolazione. Alcune persone ritengono che misure coercitive di riduzione della crescita demografica sarebbero indispensabili per uno sviluppo sostenibile. Prima di tutto, penso che sia sbagliato, perché niente indica che la coercizione sia un mezzo efficace. Ma anche se lo fosse, mi sembra comunque un'idea infelice perché, tra le cose che vanno sostenute, c'è la libertà. Se si costringe le persone a frenare la crescita della popolazione, si è già rinunciato a sostenere la libertà. Invece trovo che il concetto di sviluppo sostenibile vada allargato fino a includere il sostegno delle libertà individuali, per aumentarle e per sostenere quelle che già esistono. Mi piacerebbe spingere in questa direzione le riflessioni sullo sviluppo sostenibile. E' una distinzione importante: troppo spesso, con il pretesto che il fine giustifica i mezzi - una posizione mi lascia sconcertato - in nome dello sviluppo sostenibile c'è gente che raccomanda delle misure per cui si comincia per eliminare proprio la cosa che merita di essere sostenuta, vale a dire la libertà umana. 

Certe multinazionali hanno adottato la sostenibilità, hanno fatto bene? La Procter & Gamble per esempio lo ha fatto per dimostrare che le questioni sociali e ambientali non vanno separate da quelle economiche. E le multinazionali sono credibili in questo ruolo?

Io non conosco esattamente la posizione della Procter & Gamble. So soltanto che è una società del tutto rispettabile, che ha una storia positiva di sviluppo industriale e di senso di responsabilità, ma non posso dire nulla su questo punto preciso. D'altro canto, la sua domanda più generale è «una multinazionale ha interesse a puntare sullo sviluppo sostenibile?» Certo che ce l'ha. Sa, anche quelli che dirigono le multinazionali fanno parte della specie umana e s'interessano ad altri membri della stessa specie… A capo delle multinazionali non ci sono automi o macchine ma esseri umani, dopotutto, e quindi possono avere un punto di vista umano! E credo che si possa tranquillamente dire che, in fin dei conti, il successo delle multinazionali c'entra con la percezione che la gente ne ha. Se le multinazionali sono capaci di presentare una visione che entra in risonanza con le idee che la gente ha del proprio futuro e del futuro del mondo, allora possono anche trarre vantaggi dal fatto di condividerne la legittima preoccupazione. Anzi, direi che per una multinazionale interessarsi allo sviluppo sostenibile sarebbe naturale. E sappiamo che molte iniziative filantropiche di grande valore sono state prese da società come la Roundtrees inglese, che ha avuto una parte importante nell'avviare le ricerche sulla povertà. Ora la Roundtrees è un'impresa commerciale e c'è una lunga storia di imprese commerciali interessate a questioni sociali e morali. Non vedo perché non devono interessare anche le multinazionali. 

Da oltre un anno, in occidente ci sono state proteste contro la globalizzazione, il libero scambio e le nuove tecnologie, in particolare contro le biotecnologie, con una forte impronta ambientalista. Se le proteste raggiungono lo scopo, i paesi in via di sviluppo ne trarranno vantaggio, o no?

Mah. Direi che il dibattito sulla globalizzazione è piuttosto strano, visto che quelli che si oppongono alla globalizzazione si ritrovano spesso in varie parti del globo - Seattle, Londra, Washington, Praga - e provengono da tutto il mondo. La protesta contro la globalizzazione è essa stessa un movimento globale. Ma credo che il dibattito non riguardi affatto la globalizzazione. Quelli a favore del commercio internazionale e quelli genericamente e globalmente contrari al commercio internazionali sono comunque a favore di una causa globale. Viviamo in un mondo in cui non è possibile chiudersi completamente fuori dal resto del mondo. La globalizzazione fa parte della necessità di qualunque approccio coerente. La vera questione, mi sembra, è questa: in quale misura le imprese e gli affari devono essere guidati dalla ricerca di profitti e di una forte crescita economica, senza tenere conto della ridistribuzione e dell'equità; della ridistribuzione all'interno di una nazione, di un'economia, e della ridistribuzione tra le nazioni, e della portata che deve avere tale ridistribuzione. Credo che siano questioni legittime, e i manifestanti hanno fatto un ottimo lavoro richiamando l'attenzione su questi temi. Al contempo però, spesso i rimedi che suggeriscono, vale a dire la fine dei rapporti economici globali, non serviranno granché ad aiutare i paesi poveri che hanno bisogno di rapporti economici globali per generare reddito e per diventare più ricchi. Quindi credo che dobbiamo considerare queste proteste come un contributo importante alle tematiche del mondo contemporaneo, ma non come tesi importanti, da accettare nella forma in cui sono espresse negli slogan, sugli striscioni e sui cartelli che vengono esibiti nelle manifestazioni. Penso insomma che pongono domande importantissime, e che spesso le risposte che danno richiedono un esame critico. 

Oggi a Roma, politici, economisti, ambientalisti e le principali società multinazionali che operano in Italia discuteranno insieme di sviluppo sostenibile. Vorrebbe dire qualcosa a questa riunione? E secondo lei, quali dovrebbero esserne le priorità? 

Non sono sicuro di poter rivolgere parole sagge a quello che comunque sarà un consesso di saggi! Avrei tanto voluto partecipare anch'io, purtroppo non posso. Comunque lo sviluppo sostenibile è importantissimo per il mondo contemporaneo. Per queste due ragioni. Dobbiamo intenderlo come un processo di sviluppo e non di crescita. La crescita è troppo limitata, riguarda solo il prodotto interno lordo, mentre dobbiamo intendere lo sviluppo in senso ampio, come lo sviluppo delle libertà che rendono una vita umana degna di essere vissuta. E al contempo, abbiamo bisogno di questo sviluppo non solo in questo preciso momento ma anche in futuro, quindi la sua sostenibilità è essenziale. Vorrei aggiungere una cosa sola. Succede che il problema dello sviluppo sostenibile venga disgiunto dai modi in cui si vuole sostenerlo. Secondo me, la distinzione non è praticabile. Se con la coercizione si ottiene la conservazione di determinate risorse, o la riduzione del tasso di natalità - penso che l'efficacia della coercizione sia molto sopravalutata, ma mettiamo pure che serva a qualcosa - se il sostegno comincia per eliminare alcune delle cose preziose per la nostra vita, come la nostra libertà di decidere, allora ha perso in partenza qualcosa, prima ancora di aver provato a sostenerla. Io invece sono convinto che occorre pensare in termini di libertà sostenibile. Vanno sostenute le libertà umane, cioè lo sviluppo della libertà e di tutte quelle che ci procura: libertà economica, libertà politica, libertà sociale. E' su questa storia di libertà che si innesta la questione ambientale. Quindi vorrei un contesto più ampio, in cui lo sviluppo sostenibile leghi le libertà umane alla possibilità di un'espansione, di uno sviluppo e alla necessità di continuare a sostenere lo sviluppo in futuro. 
3 novembre 2000

 
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