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AMARTYA SEN

Una lezione per tutti gli economisti

di ANTONELLA PICCHIO dal Manifesto del 16/10/1998

Il premio Nobel assegnato a Sen offre uno spazio di apertura al cinismo imperante con cui la professione degli economisti accademici a livello internazionale per lo più affronta il proprio mestiere.

Amartya Sen rappresenta infatti attualmente un punto di riferimento importante per gli economisti e le economiste che ricercano visioni e strumenti analitici in grado di affrontare i problemi della realtà economica mantenedo un ordine di rilevanza sociale ed etica. I suoi lavori ed i suoi interventi rivelano una continua ricerca di prospettive analitiche e strumenti di indagine empirica in grado di cogliere la drammaticità dei problemi economici attuali e di mantenere un'attenzione diretta sulle sezioni della popolazione mondiale meno garantite, donne comprese.

Sen potrebbe essere definito un economista "classico" che come i teorici sociali della fine del settecento usa e domina molte discipline per cogliere gli aspetti profondi della realtà. Ad esempio, rifonda la visione del sistema economico su radici filosofiche e non separa la teoria dall'etica, pur muovendosi anche sul piano della logica formale. Andando oltre alla critica delle fondazioni utilitaristiche della teoria del benessere neoclassica, ha recentemente concentrato il suo sforzo teorico sul ritorno ad una prospettiva umanistica radicata nella filosofia classica (in questo caso greca) ponendo nuovamente alla base del suo progetto di ricerca il quesito "come dobbiamo vivere?". Ciò che lo interessa è lo studio dell'uomo e la sua relazione con le merci. Nel suo approccio le merci sono viste come strumentali rispetto all'uomo e non viceversa; recupera, quindi, una prospettiva analitica focalizzata sugli standards di vita e non solo sull'allocazione delle merci sul mercato. In questo contesto, la sua teoria delle capacità e delle funzioni umane espande l'analisi dei consumi e del reddito: l'uso delle merci e del reddito, come aggregato monetario, viene esteso agli effetti sull'uomo e sulle sue relazioni con il contesto sociale dal quale ricava non solo "vincoli" ma anche la propria identità - definita in relazione e confronto con altri - ed un sistema di responsabilità, regole e di titoli di accesso alle risorse, storicamente dati.

L'analisi delle diseguaglianze, della povertà e dell'esclusione sociale, alla quale Sen continua a dedicare molte energie, risulta arricchita da una prospettiva multidimensionale che segna anche la sua ricerca di strumenti di misurazione empirica adeguati. Nell'analisi empirica, fondamentale nella scienza economica, mantiene una prudenza classica e mostra una consapevolezza - attualmente rara - della necessità di distinguere tra ciò che si può misurare quantitativamente e ciò che richiede una gamma di sfumature qualitative. A differenza di tanti altri economisti, quindi, non riduce lo scopo della sua analisi, rimuovendo aspetti importanti della realtà, per l'inadeguatezza degli strumenti quantitativi disponibili. Cerca, invece, come tutti i buoni artigiani e filosofi, di costruire nuovi strumenti in grado di affrontarla.

In questo contesto si colloca anche il suo lavoro ed impegno nella redazione degli Human Development Reports, pubblicati annualmente dal 1990 dal United Nations Development Program e tradotti in Italia da Rosenberg & Sellier. Lo Human Development Office, diretto per lungo tempo da Mahbud ul Haq, recentemente scomparso, che redige i rapporti, ha raccolto un gruppo di economisti di cui oltre a Sen fanno parte, tra gli altri, anche Desai e Streeten e al quale si aggiungono, secondo il tema dell'anno, altri studiosi. La redazione e la presentazione dei Rapporti annuali sono diventate l'occasione di un dibattito critico sullo sviluppo che si contrappone, in ambito di Nazioni Unite, alle analisi e alle politiche economiche avanzate dalla Banca Mondiale e da altre istituzioni internazionali. Attualmente di fronte alla evidente crisi delle visioni liberiste, il lavoro portato avanti da Sen e dagli altri economisti costituisce un'esperienza preziosa ed ormai consolidata nel dibattito internazionale (soprattutto nei paesi del Sud del mondo) e strutturata con indicatori empirici che consentono di uscire dal riduttivismo degli approcci basati esclusivamente sulle variazioni del Pil.

Last but not least, Sen è uno dei pochi economisti che riconosce e valorizza l'esistenza di un soggetto intellettuale femminile forte e considera l'approccio di genere metodologicamente essenziale. In una corporazione accademica quale quella degli economisti, a livello internazionale, particolarmente sciovinista ed incapace di autoriflessione rispetto alle trasformazioni storiche in corso, il suo esplicito appoggio alle scienziate sociali femministe e la sua apertura intellettuale, costituiscono aiuti preziosi, oltre che segni di sicurezza. Sen è anche nel comitato di redazione della rivista "Feminist Economics" (Routledge) e membro della International Association for Feminist Economics (Iaffe).

Detto questo, ed avendo il piacere ed onore di conoscere Sen ed il suo odio per la piaggeria, aggiungo che, a mio avviso, il suo approccio rimane microeconomico e non vede - o quanto meno non dice - il profondo conflitto che segna, a livello sociale, le relazioni di classe e di genere proprio sul terreno delle condizioni di vita, materiali e simboliche. Gli standards di vita sono il centro di una conflitto profondo inerente alla natura del lavoro salariato che pone nell'insicurezza la fonte del comando sul lavoro e nell'accumulazione del profitto il senso del processo produttivo. A questo riguardo Sen riattraversa Aristotele e Smith, ma non Marx.

P.S. Nella fretta e nella gioia di festeggiare il premio Nobel a Sen, chiedo scusa di usare in parte un testo incluso in un articolo su Keynes in pubblicazione su "Fine Secolo".