LA GLOBALIZZAZIONE

A cura di Alessandra Callegaro – Amici dei Popoli, onlus

 

A – Approfondimenti

 

B – Le iniziative in atto

 

C – Strumenti

 

 

 

 

 

 

A - Approfondimenti

SQUILIBRI NORD/SUD

Una sensazione molto comune che si ha sul nostro pianeta è che esso sia diviso in due: da una parte i Paesi ad economia prevalentemente industriale basata su un grande apparato tecnologico; dall’altra Paesi le cui popolazioni vivono in condizioni di grandi difficoltà.

Al primo gruppo appartengono gli stati che si concentrano, per la maggior parte, nell’emisfero settentrionale, e per questo vengono denominati del "Nord", mentre al secondo gruppo appartengono quei paesi che, per la loro posizione vengono definiti del "Sud". Naturalmente queste definizioni servono ad una presentazione schematica, poiché all’interno dei due blocchi i Paesi non presentano assolutamente la medesima situazione.

Perché si chiamano così??

Abbiamo visto come siano diffusi i concetti di Nord e Sud del mondo. Tali espressioni furono introdotte, per la prima volta, nel rapporto Brandt del 1980 sullo sviluppo mondiale. Prima ancora si utilizzavano altre espressione, conosciute ed usate ampiamente anche oggi.

Nel 1952, ad esempio, appariva su un giornale francese ("L’observateur"), un articolo di un economista francese, A. Sauvy, che divideva il mondo in tre categorie, riferendosi alla situazione sociale della Francia prerivoluzionaria. Secondo Sauvy, esisteva un primo mondo comprendente i Paesi industrializzati, di tipo capitalistico; un secondo mondo comprendete i Paesi socialisti; un terzo mondo comprendente tutti gli altri, molto diversi fra loro ma accomunati dal fatto di essere economicamente meno sviluppati. Infine, esisteva un quarto mondo che indicava i Paesi più poveri in assoluto, privi di risorse naturali. (Tabella I)

 

Tabella I

Primo Mondo

Paesi sviluppati ad economia di mercato o capitalistica: PI

Secondo Mondo

Paesi ex – URSS

Terzo Mondo

Paesi sottosviluppati, detti anche Paesi in Via di Sviluppo: PVS

Quarto Mondo

I più poveri tra i Paesi del Terzo Mondo

 

Con lo sfaldamento del blocco sovietico, la definizione di secondo mondo, è divenuta sostanzialmente inadeguata, nonostante ciò si conserva nel linguaggio comune il termine di Terzo Mondo.

Un’altra abitudine è di chiamare i Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina "Paesi in Via di Sviluppo". Questa definizione venne coniata dal Presidente degli Stati Uniti Harry Truman che, divise i Paesi del mondo in due categorie: sviluppati e sottosviluppati. Il criterio in base a cui veniva operata questa scissione, si riferiva al modello economico che ciascun Paese adottava: secondo Truman, il modello di riferimento doveva essere quello industriale di tipo capitalistico. Da allora i Paesi del Sud del mondo cercano di perseguire quello stesso sviluppo, rimanendo, immancabilmente, indietro.

Perché la rivoluzione industriale non si è trasmessa al Terzo Mondo???

Nel XIX secolo quasi tutti i Paesi europei o popolati da europei, riescono ad agganciarsi al treno dello sviluppo. Perché il Terzo Mondo non sviluppa anch’esso un processo in tal senso ma riesce, unicamente, a sviluppare uno sottosviluppo ??

Abbiamo visto che nel XIX secolo il regime diffuso nei Paesi del Sud del mondo è quello coloniale: la colonizzazione impone l’orientamento delle economie locali secondo l’interesse dei Paesi colonizzatori. Così, quando i Paesi europei diventano potenze industriali, le loro colonie non possono opporsi alle regole commerciali che vengono loro imposte: questi Paesi vengono sempre più considerati come miniere da cui estrarre liberamente materie prime da utilizzare nelle industrie del Nord, e come mercati su cui immettere i prodotti finiti.

Anche con la decolonizzazione, il panorama non cambia: le ex colonie hanno maturato, ormai, un tale ritardo e nessun Paese è disposto a rallentare la propria corsa allo sviluppo per permettere anche ai Paesi del Sud di allinearsi. Inoltre, il liberismo economico, che non pone alcuna barriera protettiva nei confronti dei Paesi poveri e si sviluppa a senso unico (a favore dei paesi già ricchi), concorre a bloccare qualsiasi tentativo di un processo di industrializzazione moderna dell’industria tradizionale e dell’artigianato locale di questi Paesi.

Perché la rivoluzione agricola non si è trasmessa al Terzo Mondo???

Oggigiorno, nelle nostre società industriali, si finisce spesso per dimenticare il posto fondamentale occupato dall’agricoltura sia nei Paesi ricchi in epoca passata, sia in quelli poveri ancora oggi.

Come visto per la rivoluzione industriale, anche per la rivoluzione agricola, i Paesi del Sud del mondo restano, in qualche modo, esclusi da questo processo di sviluppo. Le ragioni di questo sono diverse:

Cause storico/economiche degli squilibri

Sembra che ci sia uno stretto legame tra il sottosviluppo attuale nei Paesi del Terzo Mondo e la loro passata condizione di colonie europee.

È proprio grazie alle colonie che la civiltà occidentale ha potuto svilupparsi ed affermarsi: molto spesso questa affermazione è passata attraverso lo sfruttamento delle risorse di quei paesi che gli europei riuscirono a conquistare anche grazie alla loro superiorità militare. Inoltre, la conquista fu facilitata dalla debolezza politica degli stati d’Asia, Africa e America Latina e dalle alleanze che i colonizzatori riuscivano ad instaurare con parte della popolazione locale.

La nascita di una classe autoctona occidentalizzata nel modo di pensare e di vivere, è stata la pesante eredità che i coloni hanno lasciato in questi paesi: una volta ottenuta l’indipendenza, questo settore della popolazione, ha fornito i membri della classe dominante che, tuttavia, non sembrano condividere molto lo stile di vita del resto della popolazione locale.

Il processo di decolonizzazione, iniziato già alla metà del XVIII secolo, e conclusosi dopo la seconda guerra mondiale, costituisce dunque un passaggio puramente formale, dalle mani dei colonizzatori, a quelle di una classe sociale dominante che continua a favorire i rapporti con gli antichi partner.

La mancanza di consenso e la fragilità che contraddistinguono i nuovi governi, possono spiegare il frequente uso che, in questi stati, si faceva e si continua a fare, dell’esercito e di pesanti sistemi di repressione. Inoltre, l’esigenza di mantenere il proprio potere salvaguardandolo da attacchi esterni, spingeva i governanti ad instaurare relazioni sempre più strette con le superpotenze, per ottenerne l’appoggio necessario.

Malgrado l’indipendenza, i paesi del Terzo Mondo non hanno visto particolari cambiamenti nei loro rapporti con i Paesi più ricchi. Se durante il periodo coloniale, le colonie erano state costrette a specializzarsi nella produzione di uno o due prodotti soltanto (monocoltura agricola o monoproduzione mineraria), anche una volta ottenuta l’indipendenza, i nuovi stati hanno mantenuto intatto il loro sistema produttivo per evitare gli enormi costi che un suo cambiamento avrebbe comportato.

Così, dato che l’economia nazionale della maggioranza dei Paesi poveri si basa su un unico prodotto, la quasi totalità del reddito nazionale dipende dal prezzo di quel prodotto sul mercato internazionale: le diminuzioni che questo subisce comportano conseguenze per tutto il Paese.

Questa già precaria situazione, è aumentata dal fatto che sul mercato internazionale, il prezzo dei prodotti finiti è maggiore che quello delle materie prime: questo "deterioramento dei termini dello scambio" costringe i Paesi poveri ad esportare le materie prime in quantità sempre maggiore per potersi procurare la stessa quantità di prodotti finiti dai Paesi industrializzati.

Non esistono, quindi sul mercato internazionale, né una situazione di libera scelta per i Paesi più poveri, né tanto meno, condizioni di parità tra i due contraenti, poiché le fluttuazioni e le cadute dei prezzi, si riversano unicamente sulle economie dei Paesi del Terzo Mondo, già precarie.

 

IL SISTEMA ECONOMICO GLOBALE

Alle origini della globalizzazione economica

Con il termine globalizzazione si vuole indicare l’"inglobamento" del mondo intero in un unico sistema economico. La novità non è tanto la globalizzazione del mercato, quanto quella della produzione: il mondo si trasforma sempre più in un unico spazio produttivo, all’interno del quale ogni fase della produzione può essere spostata nel Paese che offre maggiori occasioni di profitto.

Si è soliti indicare come data d’inizio del processo di globalizzazione, il 1971, anno in cui il presidente degli USA, R. Nixon, dichiarò la liberalizzazione dei movimenti di capitale, fattore decisivo per l’accelerazione del processo di globalizzazione.

Finì così il sistema sorto nel dopoguerra con gli accordi di Bretton Woods del 1944, mediante i quali era stato fissato l’ordine economico internazionale. Essi, infatti, erano finalizzati alla regolazione dell’economia internazionale. Venne creato un Fondo Monetario Internazionale (FMI), al fine di garantire la stabilità dei tassi di cambio tra le diverse valute, e una Banca Mondiale (BM) finalizzata a sostenere la ricostruzione e lo sviluppo. Le principali potenze diedero vita anche al GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) con lo scopo di favorire la progressiva riduzione delle tariffe doganali esistenti e di pretendere uguale trattamento per tutti i paesi membri.

Con il 1971 si ha la svolta degli scambi internazionali: le istituzioni di Bretton Woods si trasformano sempre più in istituzioni volte a proteggere inizialmente gli interessi degli investimenti occidentali nel mondo e poi degli investitori globali.

Il "Seattle Round"

Il 30 novembre 1999 ha avuto luogo a Seattle (USA), la Terza Conferenza Ministeriale dell'Organizzazione mondiale del Commercio. L'obiettivo è il lancio di un nuovo Round negoziale, il cosiddetto Millennium Round, finalizzato alla costruzione di un mercato globale basato sul primato della libertà di commercio.

Gli aspetti più significativi dell’avvenimento riguardano l'adozione di una serie di norme orientate a limitare la sovranità degli stati membri in favore delle più spregiudicate regole del liberismo commerciale. All'indomani degli accordi di Seattle le nuove regole contro le cosiddette "barriere non-tariffarie" possono avere dei risvolti preoccupanti per quanto concerne lo sviluppo sostenibile.

Tutto ciò è molto importante per chi si occupa, a diverso titolo, dei problemi della globalizzazione: l'Organizzazione Mondiale del Commercio rappresenta infatti oggi il luogo principale dove vengono decise le regole dell'economia mondiale.

L’accordo sull'agricoltura riguarda milioni di piccoli produttori, in particolare quelli del Sud, fortemente penalizzati dai precedenti negoziati; l'accordo sugli investimenti è la chiave di volta per il rilancio del famigerato MAI; l'accordo su spesa pubblica e competizione mette in discussione la libertà di comuni e Governi nazionali di spendere i propri soldi a vantaggio dell'occupazione locale. La salute di tutti è in questione con gli accordi sulla carne agli ormoni e quelli sulle biotecnologie. La possibilità di combattere lo sfruttamento del lavoro e dell'ambiente è al centro del dibattito sulla clausola sociale, ma pure degli accordi sui metodi di produzione.

Il fallimento delle trattative di Seattle è stato un duro colpo per il WTO, che può comunque far tesoro di quello che è successo iniziando un serio confronto sul proprio futuro e sul futuro del commercio internazionale.

I delegati dei paesi in via di sviluppo di Africa, Caraibi ed America Latina hanno lasciato Seattle disgustati dal modo in cui i paesi più forti hanno gestito la conferenza. Questi paesi hanno firmato una dichiarazione comune dove auspicano una maggiore apertura dei negoziati, ricevendo l'appoggio della società civile e dei gruppi di protesta. Per un'organizzazione che da sempre presta poca attenzione ai membri meno influenti è una piccola rivoluzione.

Il "M.A.I."

Il M.A.I. (Multilateral Agreement on Investments, ovvero A.M.I. – Accordo Multilaterale sugli Investimenti) costituisce oggi uno dei principali trattati intorno a cui gira l’economia mondiale. Per avere un’idea di cosa si tratta, basti pensare ad un trattato che abolisce ogni vincolo all’azione delle multinazionali e che prevede, addirittura, un tribunale che permetta alle imprese di citare in giudizio quei governi la cui legislazione è reputata troppo stretta o, comunque di ostacolo alla propria libertà di profitto: una specie di dichiarazione universale dei diritti del capitale!!!

Immaginiamo, ad esempio, che il parlamento italiano decida di promulgare una legge che vieta l'importazione di prodotti pericolosi per la salute, o una norma a salvaguardia dell'ambiente, od una legislazione a difesa dei diritti dei lavoratori. Immaginiamo che le leggi approvate dal parlamento italiano intacchino gli interessi di una multinazionale, che vede in quelle leggi una limitazione alle proprie attività economiche, finanziarie o commerciali. Immaginiamo che la multinazionale decida di ricorrere contro l'Italia presso una corte del Word Trade Organization (l'organizzazione internazionale per il commercio). Ebbene, è possibile che OMC condanni l'Italia ad abrogare la legge, permettendo alla multinazionale di vendere i propri prodotti nocivi, insediare attività produttive ad alto impatto ambientale, imporre condizioni di lavoro in palese violazione dei diritti dei lavoratori.

Le trattative per l’Accordo risalgono al 1995, ma furono diffuse (sarebbe meglio dire "scoperte") solo agli inizi del 1997 da associazioni ed organismi non governativi. I contenuti dell’Accordo fanno capire come questo rappresenti una svolta decisiva nell’economia globale:

Il M.A.I. rappresenta una sorta di inversione: dal diritto dei popoli a disporre di se stessi, al diritto degli investitori a disporre dei popoli: un diritto non più sottoposto a leggi nazionali ma a regole commerciali negoziate sotto la pressione delle multinazionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA QUESTIONE ETICA DEL NOSTRO PROGRESSO

Progresso o privilegio???

Il progresso occupa, nella nostra cultura, una posizione sempre più centrale: esso si presenta come un idolo da adorare, come un obiettivo nobile cui elevare sacrifici talvolta anche notevoli. Chi non si dimostra dedito al raggiungimento del progresso, viene qualificato come un arretrato, un superato, come un primitivo legato ancora all’età della pietra, al lume di candela.

Certo il progresso non ha una sola dimensione negativa: a fronte di numerosi difetti e costi, esistono altrettanti pregi che ne denotano la positività di fondo. L’importante è, allora, stimolare una riflessione che permetta di discernere meriti e limiti delle diverse forme di progresso.

A fronte di queste precisazioni, è opportuno, dunque, stabilire un criterio di valutazione che ci permetta di stabilire l’efficacia e la positività del progresso. Esso, affinché lo si continui a chiamare progresso, deve essere estendibile a chiunque e non esclusivamente a determinate categorie di persone (che nella stragrande maggioranza risultano essere persone ricche): se ciò avvenisse, si dovrebbe parlare di privilegio visto che riguarda una fascia ristretta di persone.

Il riferimento alla realtà dei rapporti fra Nord e Sud del mondo sembra essere lampante, visto che circa il 20% della popolazione vive consumando circa l’80% delle risorse.

In conclusione è evidente come il progresso sia da ricercare soprattutto nella sfera dei beni immateriali i quali, meglio di altri, permettono l’accesso a fasce sempre più ampie delle popolazioni, senza, per questo, venire distrutti.

Una sintesi del 10° rapporto UNDP

IL 10° rapporto dell’UNDP, l’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano, riguarda la crescente interdipendenza degli individui in un mondo che si sta globalizzando sempre più.

Certo la globalizzazione non è cosa nuova ma, in questa era, essa assume caratteristiche nuove e particolari, e non si limita al settore economico ma si estende alla cultura, alla tecnologia, alla governance. Dovunque gli individui stanno diventando sempre più collegati (basti pensare alla diffusione del fenomeno Internet), influenzati reciprocamente da avvenimenti che capitano anche a migliaia di chilometri di distanza.

Possiamo dividere il Rapporto in aree tematiche:

La globalizzazione offre numerose opportunità per il progresso umano di milioni di individui che lottano ogni giorno con la povertà. Queste potenzialità possono essere colte solo attraverso un sistema di governo nazionale e mondiale decisamente più forte, che si rifaccia a valori condivisi e ad un impegno condiviso per lo sviluppo di tutti.

Le opportunità devono essere distribuite in maniera più ampia possibile, per permettere a diversi Paesi di cogliere le potenzialità che la globalizzazione economica e tecnologica permette.

Si creano quando la distribuzione delle opportunità non avviene in maniera equa e riguardano soprattutto quei Paesi che seguono i capricci dei mercati mondiali, i quali decidono del prezzo dei maggiori prodotti di questi paesi.

Il divario di reddito tra il quinto degli individui che vive nei paesi più ricchi e il quinto dei paesi più poveri era, nel 1997, di 74 a 1, superiore al 60 a 1 del 1990 e al 30 a 1 del 1960.

Un confronto fra il quinto degli individui che vive nei paesi a reddito più elevato ed il quinto più povero, è riassunto nella tabella:

 

Quinto più ricco

Quinto più povero

PIL

 

86%

1%

Mercato mondiale delle esportazioni

82%

1%

Investimenti diretti esteri

68%

1%

Linee telefoniche mondiali

74%

1,5%

Ben lungi dall’essere incidenti isolati, le crisi finanziarie sono sempre più comuni a causa della diffusione e della crescita dei flussi globali di capitale; esse sono il risultato di rapidi aumenti ed inversioni dei flussi di capitale a breve termine. Basti ricordare il disordine finanziario avvenuto nell’Asia dell’Est tra il 1997 e il 1999 che ha coinvolto tutti i mercati finanziari globali.

Nessun singolo Paese è in grado, da solo, di resistere ai capricci dei mercati e l’azione globale diventa necessaria per prevenirli e gestirli.

Le pressioni della concorrenza globale hanno portato paesi e datori di lavoro ad addotare politiche di lavoro più flessibili, affiancate da accordi di lavoro più precari.

La globalizzazione apre l’esistenza degli individui alla cultura , al flusso delle idee e della conoscenza. Ma questo flusso di cultura risulta sbilanciato verso i Paesi più ricchi i quali si ritrovano ad influenzare pesantemente stili di vita ed abitudini dei paesi più poveri.

Mercati dei capitali privi di regole, progressi nella tecnologia informatica e delle comunicazioni e costi di trasporto più convenienti rendono i flussi più facili, più veloci e meno limitati non solo per la conoscenza medica ma anche per l’eroina, non soltanto per libri e sementi ma anche per il denaro sporco e le armi. Il commercio illecito – di droga, donne, armi e denaro riciclato – sta contribuendo alla violenza e al crimine che minaccia i rapporti di vicinato in tutto il mondo.

Il cronico degrado ambientale minaccia gli individui a livello mondiale anche se la maggior parte dei costi viene sopportata dai poveri che ,tra l’altro, non sono i primi a beneficiarne.

Con la globalizzazione anche i conflitti hanno mutato caratteristiche: ad alimentarli è il traffico di armi che coinvolge nuovi attori e confonde gli interessi politici e commerciali.

A fronte di queste conseguenze "a doppia faccia", della globalizzazione, è necessaria un governo globale e nazionale che ponga al centro lo sviluppo umano e l’equità.

Ma per "governo" non si può intendere quello che finora abbiamo denominato così. Con tale nome si vuole indicare una struttura di regole, istituzioni e pratiche stabilite che pongano limiti e diano incentivi per il comportamento di individui, organizzazioni e aziende. Senza questo i rischi di conflitti globali diverrebbero una realtà del XXI sec.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

B – Le iniziative in atto

LA SINDROME "TINA"

"There Is No Alternative", non ci sono alternative: le disuguaglianze aumentano, i diritti si restringono, la crisi ambientale è incombente… è questo il discorso dominante che i media quotidianamente ci somministrano, descrivendo l’economia globale come l’unico orizzonte possibile.

La forza di questi ragionamenti sta nel senso di mortificazione che essi stimolano nella gente e nello sfondo di "naturalezza" che danno a qualsiasi avvenimento negativo.

Tutto ormai è stato detto e tutto è già stato scritto. Nel lungo percorso che ha portato l'umanità nel Terzo Millennio sono stati proclamati e sanciti i diritti inalienabili della persona, le forme di tutela dell'ambiente, le condizioni per un modello di sviluppo umano e sostenibile, le regole della convivenza pacifica tra popoli diversi.

Se questi principi fossero applicati e questi valori rispettati, la pace, lo sviluppo, la giustizia, i diritti umani, la salvaguardia del creato sarebbero una realtà e non obiettivi lontani. Qualcosa non funziona nei processi della politica se i Governanti possono impunemente disattendere impegni che hanno solennemente sottoscritto al cospetto del mondo intero.

Qualcosa non funziona negli ingranaggi dell'economia se la ricchezza di pochi cresce a dismisura, mentre diventa sempre più crudele la povertà della maggioranza degli abitanti del pianeta. Qualcosa non funziona nei modelli della cultura se nel dispregio della vita umana si moltiplicano non solo guerre e genocidi, ma anche prevaricazioni e abusi.

Tutti i popoli del mondo hanno una sfida comune: esigere dai propri Governi l'adempimento delle Convenzioni, delle Dichiarazioni, dei Piani di Azione che proprio nell'ultimo decennio del secolo XX hanno delineato un nuovo modello sociale ed economico, nazionale e internazionale, in cui tutti i cittadini devono avere le stesse opportunità, la povertà va sradicata, le risorse naturali vanno preservate per le generazioni future, i più deboli vanno sostenuti e la ricchezza ridistribuita.

Per vincere questa sfida bisogna muoversi su molti fronti: se le imprese globali stanno sempre più collaborando per perseguire il loro programma di sviluppo (anche a scapito del reale sviluppo umano), anche la gente comune deve muoversi sulla stessa strada, quella della cooperazione tra organizzazioni popolari, movimenti, associazioni di nazioni diverse per giungere alla definizioni di un PROGRAMMA PER L’UOMO in un’ottica di Globalizzazione dal basso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’E’ SVILUPPO E SVILUPPO…

I Paesi Sottosviluppati si presentano alle soglie del terzo millennio ancora con gravi difficoltà e problemi di carattere politico, economico e sociale. I mezzi di comunicazione sottopongono quotidianamente, all’attenzione dell’opinione pubblica Occidentale, le gravi difficoltà in cui versano alcune popolazioni del Sud, specialmente in occasione di conflitti o di grandi catastrofi naturali.

È vero che molto è stato fatto per aiutare le popolazioni povere, ma in un mondo dove il 20% della popolazione "vive" con l’1,4% del reddito mondiale, parlare di cooperazione si fa molto difficile ed impegnativo: è più opportuno parlare di ridistribuzione di ricchezze ed opportunità per garantire a tutti un adeguato livello di sviluppo umano e sicurezza sociale. Non serve aumentare gli aiuti finanziari al Sud se non si cambiano gli stili di vita che spesso sono alla base di tali situazioni di povertà e disuguaglianza. Molto spesso, infatti, le nostre scelte e le nostre preferenze veicolano una determinata cultura, che diventa quella di massa e condiziona le relazioni che si creano.

Nasce allora il concetto di "malsviluppo" del nord, contrapposto a quello di "sottosviluppo" del sud, ed emerge la necessità di operare dei cambiamenti nei meccanismi economici e politici dei Paesi più ricchi che contribuiscono al mantenimento del sottosviluppo.

A fronte di questa importante presa di coscienza, stanno nascendo numerose iniziative volte a ristabilire, per quanto possibile, dei rapporti Nord/Sud basati sulla reciprocità e la giustizia.

È possibile correggere il supersviluppo??

L’interdipendenza tra i popoli ricchi e quelli poveri è una delle realtà dominanti di questo pianeta. Questa interdipendenza, non sempre assume i caratteri della positività, anzi, si configura spesso come meccanismo "perverso" e "controproducente" che può portare ad effetti negativi anche negli stessi Paesi ricchi. Da ciò deriva la responsabilità per i cittadini dei Paesi più agiati, di tenere in considerazione questo rapporto di universalità, questo profondo legame che si instaura fra sviluppo del Nord e miseria del Sud.

Spesso, per indicare il fenomeno di sviluppo del Nord, si parla di "supersviluppo" cioè di un livello di benessere materiale, talmente elevato che riduce la stessa qualità della vita. A questo proposito, basti pensare agli effetti di un’alimentazione ricca come quella occidentale: le malattie del benessere, i disturbi cardiocircolatori sono spesso dovuti ad errori nutrizionali e costituiscono circa i ¾ delle cause di morte.

Da tempo si è impegnati in politiche di modifica dei comportamenti e degli atteggiamenti culturali della gente nei confronti dei consumi. Una buona riuscita si ha certamente con l’impegno a livello informativo o, meglio ancora, formativo. A livello pedagogico, infatti, si fa molta leva, per la modifica del comportamento, sulla responsabilità: "un po’ troppo tardi abbiamo imparato che non il pensiero ma l’assunzione della responsabilità è l’origine dell’azione". Si tratta in altre parole di puntare sugli aspetti formativi, quindi sulle motivazioni, piuttosto che sul piano prettamente conoscitivo.

Nello specifico campo dei consumi si deve cercare di formare o far acquisire, una sensibilità sulle conseguenze del proprio comportamento, in modo da destare la responsabilità dell’atto del consumatore.

Si tratta senza dubbio di un’opera "controcorrente", perché qualsiasi mezzo di comunicazione, mentalità e mode, ci spingono in altro senso, esaltando i consumi fini a se stessi e la massificazione.

In definitiva, operare a livello educativo o formativo, avendo presente il globo intero, risulta essere l’impegno da cui può derivare un vantaggio non solo per il Terzo Mondo, ma anche per noi stessi, per una migliore qualità della vita.

LA STRATEGIA LILLIPUZIANA

L’azione internazionale dei cittadini, può costituire il fattore decisivo per affrontare i problemi della globalizzazione ribaltando la situazione da un punto di vista strettamente economico, ad uno solidale.

Nella favola di J. Swift "I viaggi di Gulliver", i minuscoli lillipuziani catturano Gulliver, molto più grande di loro, legandolo con centinaia di fili: Gulliver avrebbe potuto schiacciarli sotto il tacco, ma la fitta RETE lo immobilizzava e lo rendeva impotente.

Allo stesso modo le singole persone possono utilizzare le fonti di potere cui hanno accesso unendole fra loro e tessendo, insieme, una rete in grado di immobilizzare i giganti della globalizzazione economica.

In un certo senso questa strategia è speculare a quella delle imprese multinazionali che creano reti di produzione mondiali fra imprese diverse: le reti lillipuziane si organizzano in base all’aiuto reciproco, cercando di proteggere gli interessi di coloro che sono minacciati dalla globalizzazione.

È importante capire che l’interesse collettivo coincide con il proprio interesse personale. Quando , ad esempio, le persone di un Paese sostengono il diritto dei lavoratori a organizzarsi e a scioperare in altri paesi, esse stanno direttamente aiutando altre persone, ma, indirettamente, stanno aiutando anche se stesse, perché si garantiscono di non entrare in competizione con chi lavora in condizioni degradate.

È necessario, quindi, che i gruppi di base, le organizzazioni non governative, i sindacati, le singole persone di buona volontà, uniscano le loro forze per esercitare pressioni sempre più resistenti sui governi, sui parlamenti nazionali o sovranazionali e sulle istituzioni internazionali affinché siano approvate leggi, regolamenti e direttive che mettano al primo posto i diritti delle persone, dei poveri e della natura e solo dopo gli interessi economici.

Ecco allora l’importanza dei piccoli gesti quotidiani attraverso cui può passare il sostegno ad un sistema globale disumanizzante ma anche in grado di toglierlo ed indurre il sistema a cambiare: adesione alle campagne di solidarietà, boicottaggio, consumo critico, risparmio alternativo, forme di produzione e di consumo gestite secondo criteri di solidarietà e di rispetto ambientale, e quant’altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C – Strumenti

BIBLIOGRAFIA

 

 

 

 

 

 

GIOCHI

IL COMMERCIO MONDIALE

(tratto da L. Ferrancin, P. Gioda, S. Loos., Giochi di simulazione per l’educazione allo sviluppo e alla mondialità, ed. ELLE DI CI, Torino 1991.)

INTRODUZIONE.

I paesi più poveri del mondo detengono importanti ricchezze naturali. Le popolazioni che non riescono a sfamarsi esportano migliaia di tonnellate di alimenti verso quelle che ne hanno in sovrabbondanza. Le regole attuali del commercio internazionale continuano ad aggravare la povertà dei più deboli.

Ogni sforzo intrapreso dai paesi del Terzo Mondo per migliorare la propria situazione economica è immediatamente ridotto a zero dal carico del debito, dai prezzi troppo bassi del mercato internazionale delle materie prime, spesso dominato da poche e potenti multinazionali e dall’instabilità politica interna.

Questo gioco ha lo scopo di far conoscere almeno in parte come funziona l’attuale sistema commerciale: che ne trae profitto e che ne risulta svantaggiato.

Ai giocatori si spiega solo che si tratta di un gioco a squadre, senza spiegare loro che si vuole simulare la realtà, o che i gruppi rappresenteranno paesi a diverso livello di sviluppo, ecc. Questi dati e queste considerazioni saranno oggetto di confronto al termine del gioco. Durante lo svolgimento conviene mantenere una situazione di "ingenuità" per rafforzare l’effetto sorpresa rispetto alle dinamiche che il gioco stimolerà.

ORGANIZZAZIONE SPAZIALE.

Il gioco necessita di uno spazio abbastanza grande per permettere la creazione di 6 "isole di lavoro", munite ognuna di un ampio piano di lavoro e separate tra di loro, per i 6 gruppi, ognuno da 3 a 6 componenti. I gruppi si chiamano A1, A2, B1, B2, C1 e C2. Inoltre è necessario un altro tavolo per i conduttori del gioco.

ORGANIZZAZIONE MATERIALE.

Sono da preparare:

PREPARATIVI.

Il materiale sopra elencato va suddiviso in diversi "insiemi di risorse":

LIVELLO A: 2 paia di forbici, 2 righelli, 1 compasso, 1 squadretta, 1 goniometro, un foglio di carta, 6 banconote, 4 matite.

LIVELLO B: 10 fogli di carta, 1 cartoncino, 2 banconote.

LIVELLO C: 4 fogli di carta, 2 banconote, 2 matite.

CONDUTTORI.

Ne servono due:

REGOLE DEL GIOCO.

Formare i gruppi e creare le "isole di lavoro", poi distribuire le "buste-risorse". A questo punto il direttore presenta sé stesso ed il banchiere, spiega le loro funzioni e legge ad alta voce le regole del gioco:

"l’obiettivo di ciascun gruppo è di accumulare la maggior ricchezza possibile utilizzando il materiale ricevuto. Si produce ricchezza fabbricando le forme geometriche indicate nel diagramma sul cartellone. Ogni forma ha un determinato valore (sempre indicato sul diagramma) che viene scambiato in denaro (le banconote) quando il prodotto viene consegnato al banchiere. Ogni gruppo può produrre le forme che vuole: più ne fa e più ricco diventa.

Nella produzione ci sono da rispettare alcune regole:

Il direttore non dà altre spiegazioni, al massimo ripete le regole e dà quindi il via al gioco. A questo punto i gruppi possono aprire le loro buste-risorse e cominciare a lavorare.

Dopo qualche minuto di incertezza e di perplessità i gruppi incominceranno per propria iniziativa a muoversi per la stanza e tenteranno i primi contatti e scambi.

I rapporti tra i gruppi sono quindi – sempre nel rispetto delle regole di cui sopra – totalmente liberi. I gruppi possono comunicare, scambiarsi informazioni e cose, accordarsi, separarsi, isolarsi, ecc. a seconda delle decisioni che prendono al loro interno. Siccome lo scopo è quello di guadagnare il più possibile, anche i contatti con altri gruppi avverranno ovviamente sotto il punto di vista della loro convenienza.

TEMPI.

Per l’attività della produzione e del commercio è preventivabile un tempo di circa 45 minuti. Questo tempo può essere ridotto o ampliato dal direttore in base all’andamento del gioco.

POSSIBILI AZIONI DEL DIRETTORE DURANTE LO SVOLGIMENTO DEL GIOCO.

Il direttore è prima di tutto un osservatore delle dinamiche fra i gruppi e delle strategie dei singoli gruppi per aumentare la produzione. Può essere molto utile che prenda appunti e raccolga in questo modo elementi utili per la fase della valutazione finale. Può essere utile, ad esempio, prendere nota del costo che assumono gli stessi materiali nel corso del gioco.

Per vivacizzare il gioco, per stimolare singoli gruppi che si trovano in situazioni di impasse, e soprattutto per inserire nel gioco modifiche che rendano la simulazione più vicina alla realtà, il direttore può introdurre elementi di novità che comunica semplicemente ad alta voce (magari salendo su una sedia) alla platea oppure in segreto a singoli gruppi. Il banchiere ne deve venire immediatamente a conoscenza per poter adeguare i suoi controlli e conteggi.

Le modifiche possono riguardare diversi aspetti, come ad esempio:

Un equivalente di questa situazione nel mondo reale si trova nella storia dello Zambia: in questo paese il rame era conosciuto e utilizzato su piccola scala da centinaia di anni, ma ben poche persone si resero conto di quello che succedeva quando l’inglese Rhodes incominciò a far estrarre il minerale e a caricarlo sulle navi dirette in Inghilterra. Altri esempi vengono dal Cile per i minerali di rame, o dalle Isole Gilbert, nel sud del pacifico, per i fosfati.

Gran parte di questi eventi ed altri si possono verificare, su scala minore, anche tra singoli gruppi che possono quindi entrare in rapporti di cooperazione e di interdipendenza, ma anche in rapporti di dipendenza e sfruttamento selvaggio, a seconda dei rapporti di forza esistenti tra i vari attori della scena.

ALCUNE INDICAZIONI PER LA DISCUSSIONE.

Se il gioco si svolge secondo le previsioni, risulterà ben presto evidente che la situazione iniziale non è uguale per tutti. I gruppi non possiedono risorse paragonabili, e non tarderanno a lamentarsene.

Una volta conclusa la partita, il senso di frustrazione e di rabbia dei giocatori che hanno perduto sarà un ottimo spunto per iniziare la discussione. Conviene che il direttore del gioco faccia notare subito che non si tratta solo di un gioco, ma di una sorta di "modello" che rispecchia situazioni reali.

Il passo successivo può essere quello di esaminare insieme le ingiustizie del sistema e le difficoltà di raggiungere un equo sistema di scambi commerciali tra i paesi che possiedono le risorse naturali o minerarie e i paesi che possiedono gli strumenti tecnologici, culturali, ecc. Può essere utile analizzare, le sensazioni di rabbia, scoramento, di potenziale violenza che hanno provato alcuni gruppi nel corso del gioco: sentimenti analoghi sono provati dalle popolazioni del Terzo Mondo nei confronti dei paesi industrializzati.

La discussione dovrà essere seguita dalla lettura di documenti aggiornati sul problema.

 

Suddivisione dei partecipanti:

Gruppo

n. di giocatori

Tipo di risorse

1

2-3

Livello A

2

2-3

Livello A

3

5-6

Livello B

4

5-6

Livello B

5

3-4

Livello C

6

3-4

Livello C

 

 

MODELLI DELLE FORME (a cui se ne possono aggiungere altri):

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FOGLIO DI GESTIONE FINANZIARIA DELLA BANCA MONDIALE:

GRUPPO

GUADAGNI

SPESE

A1

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LINKS

 

www.ifg.org International Forum on Globalization. Sito su globalizzazione, commercio ed investimenti. In inglese.

www.corpwatch.org/home.html Sito su imprese transnazionali ed economia globale. In inglese.

www.imf.org/ sito ufficiale del Fondo Monetario Internazionale. Informa sulle attività del Fondo ma è molto documentato In inglese.

www.undp.org/ sito ufficiale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Contiene documentazione utile. In inglese.

www.worldbank.org/ sito ufficiale della Banca Mondiale. In inglese.

www.wto.org/ sito contenente informazioni interessanti sul commercio mondiale e sulle normative che lo regolano. In inglese.

http://europa.eu.int/comm/trade/2000_round/index_en.htm sito dell’Unione europea contenente informazioni sul Millennium Round. In inglese.

http://Attac.org sito sulla campagna "Attac" per la regolamentazione dei mercati finanziari.

http://lilliputnet.cjb.net/ sito della rete lilliput italiana.

www.crocevia.org/cbm/ sito sulla campagna per la riforma della Banca Mondiale.

http://www.oecd.org/daf/cmis/fdi/index.htm sito dell’OECD, l’organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo. Contiene interessante documentazione sugli investimenti. In inglese.

http://www.unimondo.org/ sito generale sullo sviluppo sostenibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PROGETTO SCUOLA MEDIA

 

MONDIALIZZAZIONE: PROBLEMI E SOLUZIONI

PERCORSO INTERDISCIPLINARE DI EDUCAZIONE INTERCULTURALE

 

 

DESTINATARI: Scuola media inferiore.

 

OBIETTIVI: Promuovere la comprensione che tutti i popoli sono portatori di valori, vanno trattati con pari dignità e rispetto e sono interdipendenti.

- Elencare aspetti della cultura che sono peculiari di un gruppo e lo differenziano da altri .

- Riconoscere l’assoluta necessità di una più equa distribuzione delle risorse della terra per eliminare povertà, fame, malattie ed evitare guerre.

- Conoscenza di immigrati presenti nel territorio individuandone gli usi e i costumi, il tipo di abbigliamento, il cibo di alcuni popoli.

- Dimostrare attraverso l’analisi di un periodo storico e di ambienti geografici come ogni popolo abbia le stesse aspirazioni e desideri.

- Conoscere l’importanza delle risorse per la crescita e lo sviluppo dei popoli, ricercando i tipi di energia che non si esauriscono e comprendendo che l’uso individuale, se incontrollato può peggiorare lo stato dell’universo.

 

PROGRAMMA: Il percorso prevede più incontri supportati da materiale grafico ed audiovisivo:

Primo incontro: Conoscenza approfondita di una o più zone/paesi di malsviluppo attraverso testimonianze, immagini, proiezioni, analisi di testi e della stampa; presentazione di alcuni problemi come: un progresso non equo, squilibri, pregiudizi, spese militari, multinazionali.

Secondo incontro: Presentazione delle possibili soluzioni:

a) Il commercio equo e solidale: spiegazione ed illustrazione prodotti, meccanismi ed effetti, incontro con una "bottega".

b) Il volontariato internazionale: illustrazione progetti, motivazioni ed incidenza sulla realtà locale, incontro con un’Associazione.

Terzo incontro: Incontro e conoscenza di immigrati per mettere a confronto "uguaglianza" e "differenza" di abitudini, storie di vita, valori, condizione di immigrato. Gioco di simulazione.