PER CAPIRE LA GLOBALIZZAZIONE
Interculturalitá e globalizzazione:
10 concetti chiave
1.
Per una lettura "educativa" della globalizzazione
Non è la prima volta che una "parola" prende il sopravvento sulle
altre e per qualche tempo sembra essere quella giusta, quella che racchiude
in sé la magia di far comprendere un’epoca. È il caso del
termine "globalizzazione", che indica un fenomeno troppo importante per
essere liquidato come la "moda" del momento. Al contrario: globalizzazione
è una delle parole destinate a creare le connessioni interpretative
più profonde (e di lunga durata) tra il presente e il futuro a livello
planetario.
Tuttavia la globalizzazione si presenta oggi come un processo caratterizzato
soprattutto da una forte ambiguità. Una lettura "educativa" di questo
nuovo processo storico, economico e sociale riteniamo che non possa liquidarlo
come un fatto tutto negativo o tutto positivo. Appare invece necessario
e urgente impegnarsi in un’operazione di discernimento, di analisi critica,
di vero e proprio "studio". Chiedersi, ad esempio, quali siano le cause
e i fattori che hanno dato vita alla globalizzazione; così pure
domandarsi quali siano i suoi effetti positivi e negativi; e ancora, verificare
dove ci stia portando la globalizzazione e come si configurino gli scenari
futuri; infine, sarebbe quanto mai "educativo" individuare le risorse umane
e culturali che potrebbero aiutarci, in questa fase storica, a "resistere"
alle tendenze omologatrici della globalizzazione e a promuovere un cammino
planetario nuovo partendo dalle "alterità negate".
Due libri per cominciare:
-
Villaggio globale. La vita ai tempi della globalizzazione, numero
monografico di "Internazionale", 1996
-
B. Amoruso, Della globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996.
2. Il mercato
globale
Il nostro è un tempo idolatrico. Non v’è dubbio che una
delle idolatrie più diffuse e pericolose sia quella del Mercato.
Nel mondo di oggi l’economia appare dominata, pressoché esclusivamente,
dalla logica della massimizzazione del profitto e da imprese economiche
a carattere sempre più multinazionale che presentano una concentrazione
di potere e di ricchezza superiore a molti Stati nazionali. Un dato eloquente:
358 supermiliardari del pianeta posseggono una ricchezza pari a circa la
metà della popolazione mondiale. Siamo dunque dinanzi ad un processo
di globalizzazione "a etica zero".
All’economia si riserva il posto di comando, in nome di un "realismo"
e di un "pragmatismo" derivati dalla convinzione che il capitalismo non
abbia alternative, essendo lo stato naturale della società. Il sistema
economico mondiale dovrebbe pertanto sbarazzarsi di ogni vincolo sociale
perché l’economia è sovrana e qualsiasi riferimento a regole
extraeconomiche apparirebbe come un regresso. Ma dove ci sta portando questa
razionalità
economica del tutto sganciata da una razionalità etica?
Due libri per cominciare
-
S. Zamagni (a cura), Globalizzare l’economia, ECP, Fiesole 1995
-
S. Latouche (a cura), L’economia svelata. Dal bilancio familiare alla
globalizzazione, Dedalo, Bari 1997.
3.
La comunicazione multimediale
La radio, la televisione, il computer, le reti telematiche e telefoniche,
i satelliti e Internet ci hanno introdotto nella dimensione planetaria
delle comunicazioni di massa. Viviamo in una società fin troppo
"iconizzata" dove tutto si trasforma in spettacolo.
Si parla sempre più spesso di una società "virtuale"
dove l’esperienza diretta, il rapporto vitale con le cose, il contatto
emozionale con le altre persone vengono messi in pericolo. C’è chi
parla della "morte del reale" in una società dei simulacri dove
trionfano le apparenze, le ombre, le maschere.
È necessario ricordare che il sistema dei media è, appunto,
un "sistema", cioè un tessuto di relazioni, un organismo complesso,
nel quale ogni singolo medium è in rapporto di complicità
o di interdipendenza con gli altri media.
Leggiamo dal "Libro Bianco su Istruzione e formazione. Insegnare
e apprendere, verso la società conoscitiva": "La mondializzazione
degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie, in particolare l’avvento
della società dell’informazione hanno aperto agli individui maggiori
possibilità di accesso all’informazione e al sapere... la società
del futuro sarà dunque una società conoscitiva".
Sarà importante, di qui in avanti, approfondire di più
i rischi e le opportunità che si aprono dinanzi alle nuove generazioni
che — almeno nei paesi del Nord — già vivono in quella che viene
chiamata "società conoscitiva" dove bisogna acquisire le competenze
per informarsi in "tempo reale" sui cambiamenti in atto nella società,
altrimenti si è "out", si resta emarginati come analfabeti.
Due libri per cominciare
-
IRRSAE Puglia, L’educazione interculturale, Curriculo dei media,
Quaderno n.30, Bari 1996
-
P. Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio,
Feltrinelli, Milano 1996.
4. Il pensiero
unico
L’idolatria del mercato e il sistema della comunicazione multimediale
si stringono la mano in un abbraccio fatale, dando vita al pensiero unico
che altro non è che la trasposizione in termini ideologici (che
si pretendono universali) degli interessi di quelle forze economiche, che
nel loro insieme, rappresentano il capitale internazionale.
A "fondamento" del pensiero unico c’è appunto il primato dell’economia
sulla politica. La diffusione della mega-macchina dell’Occidente fa aumentare
solo l’uniformità a scapito della creatività locale: l’esito
è il mimetismo, tragica caricatura dell’universalità.
L’etnocidio, inteso come aggressione simbolica, genocidio culturale,
si effettua ancor oggi, tramite il dono: è donando che l’occidente
acquista ulteriore potere e opera la destrutturazione culturale.
L’Occidente continua a dare senza accettare nulla, e continua ad appropriarsi
senza riconoscere alcun debito e non intende prender lezioni da nessuno.
Chi sa se, proprio in virtù delle loro specificità, le
culture oggi negate e disprezzate non saranno, domani, le più adatte
ad accettare le sfide della storia?
Due libri per cominciare
-
VV., Il pensiero unico e i nuovi padroni del mondo, Ed. Strategia
della Lumaca, Roma 1996
-
S. Vandana, Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995.
5. Il
Governo mondiale
Con la caduta del Muro di Berlino, il traguardo del Governo Mondiale
sembrava essere dietro l’angolo, a portata di mano. Poi, il crac, il tracollo,
la scomparsa del tema dall’agenda internazionale. Che cosa è accaduto?
Come mai dopo l’ubriacatura del "Villaggio globale", dell’"arancia blù",
del "piccolo pianeta", della "Terra-Patria", della "Interdipendenza"...
l’obiettivo del Governo Mondiale invece di decollare a livello politico
è naufragato nel nulla?
Certamente non perché sia venuto meno il carattere mondiale
delle "emergenze", che sono tutte lì, ieri come oggi: i flussi migratori,
i conflitti regionali, le vecchie e nuove povertà, le ferite ambientali,
le risorse energetiche, le armi nucleari, le ricerche biotecnologiche,
il sistema dell’informazione, le condizioni igienico-sanitarie, l’analfabetismo,
gli squilibri Nord-Sud e via elencando. Tutte le organizzazioni internazionali,
politiche ed economiche, create fino ad oggi sono caratterizzate da un
grave deficit democratico. Nel senso che sono malate di scarsa democrazia
interna. L’ONU, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il
WTO (ex GATT) ecc.
Come dire: a livello internazionale la democrazia è ferita.
"L’epoca planetaria è già iniziata da un pezzo", ripete
Edgard Morin, "ma la conoscenza dell’uomo è ancora all’età
del ferro dell’era planetaria".
Due libri per cominciare
-
F. Lotti, N. Giandomenico (a cura), L’ONU dei Popoli, EGA, Torino
1996
-
R. Sapienza, Un mondo da governare, SEI, Torino 1995.
6.
Ripartire dalle "Alterità negate"
Ma forse il problema che più di tutti concentra su di sé
il dibattito culturale contemporaneo è quello dell’altro. Tra i
pensatori che criticano la tradizione occidentale per la rimozione e l’oblio
dell’alterità spicca il nome di Lévinas, che ha elaborato
una concezione dell’uomo a partire dall’altro, dal Tu, dal volto.
Si tratta di comprendere, in maniera "etica" ma non moralistica, che
l’altro ci cambia, ci educa, ci interpella; ci costringe a prendere una
posizione, a uscire dall’indifferenza, a dare una "risposta" (respondere,
da cui deriva il senso pieno e fondante di "responsabilità").
Ripartire dalle "Alterità negate" significa guardare altrove,
saltare la siepe e lasciarsi contaminare. Tra le realtà che sono
state fino ad oggi emarginate, fra le cosiddette "esternalità",
cioè tra le "pietre scartate" (per dirla col Vangelo) è possibile
trovare nuovi significati da cui partire per la ricostruzione di una Umanità
Nuova.
Giovanni Paolo II, nel suo discorso all’ONU del 5 ottobre 1995, ha
affermato che "ogni cultura ha diritto di essere rispettata perché
costituisce un tentativo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare
dell’uomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente
della vita". E precisa che estraniarsi dalla realtà della diversità
o tentare di estinguerla "significa precludersi la possibilità di
sondare il mistero della vita umana (...). La differenza, che alcuni trovano
così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso,
la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell’esistenza
umana".
Due libri per cominciare
-
C. Di Sante, Responsabilità. L’Io per l’Altro, Edizioni Lavoro,
Roma 1996
-
B. Borsato, L’alterità come etica. Una lettura di E. Lévinas,
Dehoniane, Bologna 1995.
7.
Il pensiero "al femminile"
La prima alterità negata, la prima risorsa di senso che il mondo
ha a disposizione per poter sperare in una Umanità Nuova è
il pensiero al femminile. Il problema dell’auto-liberazione della donna
chiama in causa inevitabilmente l’universo maschile. I valori della nuova
cultura "al femminile" rappresentano una grande opportunità di cambiamento
dell’Ordine Simbolico globale del nostro sistema sociale.
La storia della nostra cultura occidentale (ma il discorso è
transculturale) non lascia dubbi: al di là di rare accezioni, è
una storia di sostanziale anti-femminismo: Atene, Gerusalemme e Roma appaiono
alleate nel loro comune sguardo misogino. Come anche La Mecca e Benares.
La nostra convinzione è che un nuovo umanesimo, una nuova paideia
per il terzo millennio potrà affermarsi soltanto se gli educatori
e le educatrici sapranno mettere in discussione, a partire da se stessi,
l’Ordine Simbolico Maschile e i parametri sociali che ne derivano. Le vere
rivoluzioni sono infatti quelle che rinnovano i paradigmi fondamentali
della cultura.
Due libri per cominciare
-
C.O.N. Moser, Pianificazione di genere e di sviluppo, Rosenberg
Sellier, Torino 1996
-
S. Ulivieri, Educare al femminile, Edizioni ETS, Pisa 1995
8.
Le culture locali tra omologazione e resistenza
Se guardiamo al rapporto tra l’Occidente e le "altre" culture oggi nel
mondo ci rendiamo conto che la situazione è fortemente squilibrata.
Si può dire, in generale, che si sta affermando una nuova coscienza
sulla necessità di salvare l’integrità della propria identità
culturale, una sorta di contrappeso alle tendenze omologanti, e si avverte
l’esigenza di conoscere in modo profondo altre culture e di valorizzare
le differenze in un ordine di reciprocità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché
si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che
finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio".
Lo studio di Serge Latouche sui processi di "occidentalizzazione" diventa
quanto mai interessante.
L’aspetto unico, che definisce l’Occidente è la sua cultura:
-
la credenza in un tempo lineare e cumulativo che riguarda tutta l’umanità
-
l’attribuzione all’uomo della missione di dominare la natura
-
la credenza nella ragione calcolatrice dell’uomo per organizzare la sua
azione, ecc.
Chi sono gli Altri?
Sono tutte le società dotate di un senso antico e tradizionale
della vita e quindi di pratiche sociali di integrazione del "negativo",
della morte, della miseria, della sofferenza. Queste resistenze "culturali"
alla seduzione dell’Occidente sono una fonte di speranza, perché
lasciano intravedere che la crisi epocale dell’Occidente non sarà
necessariamente la fine del mondo...
Due libri per cominciare
-
L. Bergnach, G. Delli Zotti, Etnie, confini, Europa, Angeli, Milano
1994
-
V. Bernardi, L’insalatiera etnica, Ed. Neri Pozza, Padova 1992
9.
Etiche della mondialità
Il nostro mondo sta sperimentando una crisi fondamentale: una crisi
dell’economia mondiale, dell’ecologia mondiale e della politica mondiale.
La mancanza d’una visione completa, il groviglio di problemi non risolti,
la paralisi politica, la mediocre leadership con poca capacità d’intuire
o di prevedere, e in generale un troppo scarso senso del bene comune si
percepiscono ovunque. Troppe sono le vecchie risposte a sfide nuove.
Non esisterà alcun nuovo ordine mondiale senza una nuova etica
mondiale!
L’esperienza storica dimostra che non si può migliorare la Terra
se non otteniamo una trasformazione della coscienza degli individui e della
vita pubblica.
Occorre una "svolta etica interculturale", un consenso etico delle
culture per riorientare la convivenza mondiale. Senza una Carta
fondamentale dei valori non è immaginabile la pacifica convivenza
dei Popoli. Possono aiutarci le opere di autori come Jonas, Kung, Boff,
Panikkar, Balducci, Morin, Apel, Moltmann, Ricoeur, Lévinas, e altri.
La nascita di una coscienza planetaria non si improvvisa. Ma nessun
educatore che abbia il senso della storia potrà sottrarsi a questo
compito essenziale e decisivo per il futuro dell’umanità.
Due libri per cominciare
-
AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996
-
P. C. Bori, Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova
1991.
10.
L’Occidente come "siepe". Andare oltre
Nonostante tutto è possibile riscontrare segnali positivi anche
all’interno di questa nostra società malata. Esistono infatti germi
che ispirano fiducia e promettono speranza; si ascoltano voci di protesta,
sorgono iniziative e movimenti civili e religiosi (ecologici, pacifisti,
femministi, antirazzisti, spirituali, ecc..) che intendono battersi per
rinnovare questa società, per dare corpo e vitalità ai grandi
valori della vita, della comunità, dello spirito.
Vaclav Havel, Presidente della Repubblica Ceca, ha scritto: "Non
possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato".
Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di
avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare i semi nel
cuore degli uomini e delle donne di questo mondo.
Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi
grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme "una paideia" per
il nuovo millennio, ma è certo che non potrà essere la stessa
dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente
di fronte ad un passaggio d’epoca, ad un cambio di paradigmi.
Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica
e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (...
tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele...).
Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto ciò
che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di tale principio
quando l’altro è proprio diverso da me e io non riesco più
a considerarlo un barbaro, un estraneo, né a restare indifferente
di fronte a lui?
La svolta antropologica sta tutta qui. Andare oltre la "siepe" dell’io,
della propria cultura e aprirsi al mistero dell’Altro.
Due libri per cominciare
-
S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri,
Torino 1992
-
O. Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali,
Mondadori, Milano 1997.
Il mercato globale: 5 letture
1.
Lettura "educativa" della globalizzazione
Nel numero programmatico abbiamo illustrato il cammino che percorreremo
nell’anno scolastico 1997-98. Per ragioni di spazio, tuttavia, non è
stato possibile sviluppare quasi niente del primo punto: la lettura "educativa"
della globalizzazione. Proprio per questo, in questo numero, prima di passare
al tema del "Mercato globale" (peraltro già studiatissimo) ci soffermiamo
brevemente sulla lettura "educativa", cioè sull’importanza di non
demonizzare la globalizzazione, di non cadere nel manicheismo, ma di aiutarci
anzitutto a conoscere, a comprendere, a operare un discernimento, un’analisi
critica in vista di una valutazione non solo economica ma anche etica e
non antropologica. Questo contributo va ricollegato con l’articolo "Interculturalità
ed economia" che è stato pubblicato su CEM Mondialitàdel
novembre 1996. Invitiamo allora ogni educatore a rispondere alla seguente
domanda, integrando, emendando, correggendo ciò che noi stessi suggeriamo
in partenza: quali sono gli aspetti positivi e negativi della globalizzazione?
GLOBALIZZAZIONE
Aspetti positivi |
Aspetti negativi |
Apertura a tutto campo |
Concentrazione del potere |
Sprovincializzazione |
Tendenze alla omologazione
culturale |
Policentrismo |
Rischio del pensiero unico |
Scambio planetario |
Monopolio della comunicazione |
Domanda di Governo Mondiale |
Globalizzazione selvaggia a eti-ca zero |
Mobilità umana |
Sradicamento culturale, perdita dell’identità |
Riduzione del principio di so-vranità
economica dello stato-nazione |
Idolatria del mercato e darwi-nismo sociale |
Riscoperta del valore delle culture |
Evaporazione del territorio, de-
localizzazione della produzione |
Attaccamento alla memoria e all’identità |
Aumento delle patologie della insicurezza (stress,
bisogno di certezze, fondamentalismo, new age...) |
......... |
..... |
Sempre dal punto di vista di una lettura educativa, sembra a noi
importante mettere in risalto che la globalizzazione non è solo
un fatto quantitativo cumulativo, moltiplicativo, espansivo (aumento degli
scambi commerciali, aumento delle informazioni, ecc.) ma è soprattutto
un fatto qualitativo, interattivo, sistematico, reticolare... e proprio
per questo tende a espandersi, a dislocarsi, a trovare nuove connessioni,
nuove compenetrazioni, ad "agglutinare" in modo reticolare più che
sommativo.
Anche una considerazione interessante sul piano educativo è
quella riguardante le "Azioni di replicazione" da parte degli stessi
educatori. Anzi, forse è proprio questo il problema cruciale per
gli educatori: i modi ordinari con cui le persone riproducono nella
quotidianità i modelli culturali della globalizzazione nel momento
stesso in cui credono di combatterla!
2. Il
mercato globale
Affrontiamo ora il problema del Mercato globale dando la parola a cinque
economisti che, da angolature diverse, ci aiutano a comprendere la questione.
a) Peter Dicken: la globalizzazione non è una semplice internazionalizzazione
dell’economia
"Questi due termini vengono spesso adoperati come se fossero intercambiabili
pur non essendo sinonimi. Internazionalizzazione indica semplicemente
la crescente espansione geografica di attività economiche attraverso
le frontiere nazionali e in quanto tale essa non è un fenomeno affatto
nuovo. La globalizzazione delle attività economiche è
invece qualitativamente differente. Essa costituisce una forma più
avanzata e complessa di internazionalizzazione, che implica un grado d’integrazione
funzionale tra attività economiche dislocate a livello internazionale.
La globalizzazione è un fenomeno molto più recente dell’internazionalizzazione;
tuttavia sta emergendo come norma in una gamma crescente di attività
economiche".
(Cfr. Tony Spybey, Globalizzazione e società mondiale,
Asterios Editore, Trieste 1997, p. 93)
b) H.P. Martin - H. Schumann: La "trappola" della globalizzazione
e la società "20:80".
Dalla lettura del libro-provocazione di questi due autori veniamo in
possesso di informazioni che aumentano i nostri sospetti sulla globalizzazione.
Alla fine del settembre 1995, a San Francisco, si riunirono 500 fra statisti,
presidenti di multinazionali e scienziati di spicco, per discutere, in
assise segreta, le previsioni del XXI secolo. Il futuro venne abbozzato
in una coppia di numeri "20:80" ed in un termine tecnico "tittytainment".
La coppia di numeri starebbe ad indicare che, nel prossimo secolo, solo
il "20" per cento della popolazione mondiale (di tale percentuale farebbero
parte uomini di diverse aree geografiche) sarebbe in grado di far funzionare
la grande macchina dell’economia mondiale; mentre l’"80" per cento si riferirebbe
alla massa di disoccupati o comunque di emarginati in ricerca attiva di
lavoro. Questi, secondo lo statunitense Jeremy Rifkin, autore del libro
"La fine del lavoro", avranno enormi problemi; in futuro, per loro, si
tratterà "to have lunch or be lunch": "di mangiare o di essere mangiati".
Ecco, allora, la nascita del termine "tittytainment", coniato dal polacco
Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza di Jimmy Carter. Il vocabolo
è un incrocio tra "entertainment" e "tits": in pratica, scaturisce
dalla combinazione tra un intrattenimento, atto ad intontire le masse —
a tale scopo verrebbero impiegate le produzioni a basso costo e, a volte,
di infimo livello culturale dei più svariati mezzi di comunicazione
di massa — e "tits" che, nello slang americano, allude alla "nutrizione"
dei disoccupati al "seno" dei pochi privilegiati che producono. Lo scenario
inquietante, preannunciato per il XXI secolo, già ora rivelerebbe
i suoi inequivocabili segni che vengono acutamente descritti da Hans-Peter
Martin ed Harold Schumann.
Così scrivono:
"L’internazionalismo inventato dai capi operai socialdemocratici per
lottare contro i capitalisti guerrafondai è da tempo passato sull’altro
fronte. Oltre 40.000 imprese transnazionali grandi e meno grandi si servono
di stati contro altri stati e di lavoratori dipendenti contro altri lavoratori
dipendenti. [ ...]
Con un solo movimento delle sue tenaglie "globali" la nuova internazionale
del capitale scardina interi Stati e il loro ordinamento sociale".
(La trappola della globalizzazione. L’attacco alla democrazia e
al benessere, Edition Raetia, Bolzano 1997, p.14)
b) Susan George: il fine del mercato non è la giustizia
"Alla radice di tutti questi problemi vi è il mercato.
Non certo il mercatino rionale, quello dove andiamo a comprare i pomodori,
ma il mercato mondiale che è diventato "la misura di tutte le cose"
nella sua quadruplice espressione di mercato di beni e servizi, mercato
del lavoro, mercato della natura (ambiente), mercato finanziario.
Questi diversi mercati sono integrati fra di loro e si dà per
scontato che si auto-regolino. In realtà, il mercato è la
famosa mano invisibile che è capace di regolare tutto se noi lasciamo
che lo faccia. Se siamo pigri e lasciamo al mercato l’organizzazione della
società, il mercato la organizza, ma dobbiamo sapere che le sue
scelte non sono scelte sociali e che il risultato sarà un aumento
del numero degli esclusi, dei disoccupati. Non è un giudizio morale,
ma una semplice constatazione. Non ci si può aspettare giustizia
e scelte sociali dal mercato. Il mercato ascolta la voce di chi ha soldi
e non di chi non ne ha. La funzione del mercato non è quella di
fornire lavoro, occupazione. Il suo obiettivo è quello di produrre
realizzando il maggior profitto possibile, la maggior accumulazione di
ricchezza. Il mercato deve produrre per chi ha soldi e ridurre al minimo
i costi, per massimizzare i profitti.
Un esempio grottesco. Nel mondo vi sono oggi 358 miliardari in dollari.
L’ammontare del loro patrimonio è di 760 miliardi di dollari, equivalente
alla parte di prodotto nazionale lordo di due miliardi di persone nel Terzo
Mondo. Questo può dare un’idea dello squilibrio esistente oggi nel
mondo. Da una parte, un piccolo numero di miliardari, e dall’altra, due
miliardi di persone. Ma è una cosa assolutamente naturale, perché
il mercato dà a chi ha già".
(Crf. Susan George, La supremazia delle scelte economiche e l’acuirsi
degli squilibri sociali in A.A.V.V., Il futuro che ci unisce,
EMI, Bologna 1996, p. 23)
d) Serge Latouche: i nove paradossi dell’economia
Più l’immaginario del mercato si estende all’intero pianeta,
più la discordia, la miseria e l’esclusione sembrano guadagnare
terreno. Forte contraddizione di un modello astratto, messo in crisi dalla
complessità dolorosa della vita (...).
Così, almeno per quanto riguarda l’economia, si possono rilevare
nove paradossi:
-
Pure se conosciuta bene da tutti per necessità, l’economia rimane
molto misteriosa e incomprensibile alla maggioranza.
-
È pratica quotidiana della modernità, ma è anche una
disciplina teorica con pretesa di scientificità.
-
Questa disciplina, definita economia politica, certamente è la più
scientifica delle scienze umane ma, nello stesso tempo, la meno umana delle
discipline sociali.
-
Gli economisti sono diventati degli esperti indispensabili, ma la loro
fama è inversamente proporzionale alla loro capacità di fornire
diagnosi esatte e soluzioni soddisfacenti.
-
Nonostante la sua ossessione nel valutare ogni cosa, l’economia ignora
pezzi interi della realtà materiale, che si tratti della natura
o della vita domestica.
-
A dispetto della sua pretesa di universalismo, l’economia finisce per essere,
come pratica e teoria, molto provinciale, quella di un certo Occidente.
-
A rendere ancora più grave la sua posizione, l’economia, che si
vuole neutrale, pura e sana, finisce per essere una perversione con forti
sospetti sessisti.
-
È talmente labile il suo rapporto con la morale, che pensa di farne
a meno e pretende di sostituirsi ad essa.
-
Infine, vive anche molto male il suo rapporto con la Storia.
(Cfr. S. Latouche, L’economia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione,
Dedalo, Bari 1997, pp.11-12)
e) Riccardo Petrella: Il "bluff" della globalizzazione.
In realtà siamo di fronte alla "triadizzazione" mondiale dell’economia.
"La mondializzazione dell’economia attuale è tronca perché
essa non comporta delle visioni di sviluppo, delle strategie di investimento,
e delle azioni concrete sul terreno della valorizzazione delle risorse,
pensate e realizzate nell’interesse della popolazione mondiale. La carta
del mondo mentalmente e culturalmente concepita e vista dalla popolazione
e dai dirigenti dei paesi ricchi del Nord — Giapponesi, Nord Americani,
Europei occidentali —, così come dalle classi ricche dei paesi poveri
del Sud, è una carta deformata. Essi hanno l’impressione e sono
convinti che il mondo è sempre più piccolo ed unificato attorno
al polo dei paesi dei luoghi ricchi; pensano che il mondo che conta sul
piano economico, politico e culturale sia costituito dalla triade
America del Nord, Europa Occidentale, Giappone e i "piccoli draghi" del
Sud-Est asiatico. Per essi il maggiore problema mondiale dei prossimi vent’anni
è di sapere chi delle tre regioni sarà nel 2005 o nel 2010
la potenza leader tecnologica ed economica mondiale. Saremo noi nuovamente
gli Europei se, come si afferma, faremo fronte unito in quanto Unione Europa,
o gli Americani riconquisteranno in tutti i settori la leadership che hanno
perso in certi settori in favore dei Giapponesi, o saranno questi ultimi
ad affermarsi definitivamente come la potenza mondiale n.1? Il culto della
competitività rende tutto il resto semplice agitazione di periferia.
Piuttosto che di vera mondializzazione è più corretto parlare,
per il momento, di triadizzazione mondiale dell’economia. Le conseguenze
della congiunzione tra valorizzazione predominante delle tecnologie e mondializzazione
triadica dell’economia sotto il dominio e il governo di un soggetto privato
— l’impresa — sono notevoli e molteplici. Ne discendono tre aspetti che
stanno plasmando il corso della storia:
-
le popolazioni del Nord e delle sacche di ricchezza del Sud vivono in una
logica della sopravvivenza in un contesto, considerato inevitabile, di
guerra economica planetaria;
-
assistiamo ad una nuova alleanza tra impresa e stato che si traduce, fra
l’altro, nel farsi carico da parte dell’impresa, al posto dello stato,
della definizione dell’interesse pubblico generale;
-
è in corso lo smantellamento del contratto sociale che è
stato alla base dello sviluppo economico, politico e culturale delle società
occidentali, ed assistiamo all’emergenza generalizzata dell’esclusione
sociale su scala mondiale."
(Cfr. R. Petrella, L’economia attuale: una logica di guerra e di esclusione,
in Zamagni S. (a cura), Globalizzare l’economia, Ecp, Fiesole, 1995,
p.120)
Dieci libri per l’approfondimento
-
Amoroso, Della Globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996
-
H. Assman, F.J. Hinkeylammert, Idolatria del mercato. Saggio su economia
e teologia, Cittadella, Assisi 1993
-
Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Geografia del supermercato mondiale,
EMI, Bologna 1996
-
G. Corm, Il nuovo disordine economico mondiale, Bollati-Boringhieri,
Torino 1994
-
M. Featherstone (a cura di), Cultura globale: nazionalismo, globalizzazione
e modernità, Seam, Roma 1996
-
P. Hirst, G. Thompson, La globalizzazione dell’economia, Editori
Riuniti, Roma 1997
-
H. P. Martin, H. Schuman, La trappola della globalizzazione. L’attacco
alla democrazia e al benessere, Edition Raetia, Bolzano 1997
-
J. Naisbitt, Il paradosso globale: più cresce l’economia mondiale,
più i piccoli diventano protagonisti, Franco Angeli, Milano
1996
-
T. Spybey, Globalizzazione e società mondiale, Asterios Editore,
Trieste 1997
-
S. Zamagni (a cura), Globalizzare l’economia, ECP, Fiesole 1995
Etiche della mondialitá: 5 proposte
a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi
Il vero dramma sta proprio qui: l’economia si è globalizzata;
la comunicazione si è globalizzata; ma non si sono ancora globalizzate
né la politica, né l’etica, né l’educazione. Presentiamo
qui di seguito alcuni interessanti tentativi per l’elaborazione di un’etica
mondiale. Il libro di riferimento è quello curato da Roberto Mancini
e intitolato appunto "Etiche della mondialità" (Cittadella,
Assisi 1996). Ma non solo. Per ragioni di spazio ci limitiamo a richiamere
l’attenzione su 5 autori e un importante documento del "Parlamento delle
religioni mondiali".
-
Hans
Jonas: Solo un’etica del limite ci potrà salvare.
L’opera di Jonas, filosofo tedesco di origine ebraica scomparso nel
1993, costituisce un punto di vista obbligato per la ricerca consapevole
di una macro-etica dell’umanità.Il suo contributo, espresso dal
libro "Il principio di responsabilità" del 1979, deriva,
essenzialmente, dalla ridefinizione del rapporto tra ontologia ed etica.
Occorre dunque una riflessione filosofica originale che si confronti con
le nuove condizioni e con i nuovi problemi posti dal potere della tecnologia.
Una nuova etica, dunque, assai diversa da quella sviluppatasi fino
ad oggi e che è stata essenzialmente antropocentrica. Essa aveva
a che fare con "il qui e l’ora", con il breve termine e con gli spazi immediatamente
vicini. Tutto questo – scrive Jonas – deve mutare. La tecnica moderna "ha
introdotto azioni, oggetti e conseguenze di dimensioni così nuove
che l’ambito dell’etica tradizionale non è più in grado di
abbracciarli.
Oggi si impone all’etica una nuova dimensione della responsabilità,
mai prima immaginata.
L’etica tradizionale si rivela oggi debole. Incapace di guardare al
futuro. Lo trascura. Lo rimuove – il futuro – come categoria lontana, verso
il quale non si hanno doveri. L’etica odierna si è concentrata "sulla
qualità morale dell’atto momentaneo stesso". L’etica nuova deve
invece saper guardare lontano, sapendo costruire il limite – non è
un paradosso – all’agire di oggi.
Se è cambiato il potere dell’uomo deve cambiare il modo di concepire
l’etica.
Oggi la tecnica domina il mondo; si è trasformata "in un illimitato
impulso progressivo della specie, nella sua impresa più significativa,
il cui incessante superarsi e avanzare verso mete sempre più elevate
si è tentati di ravvisare come vocazione dell’uomo e il cui traguardo
di dominio sulle cose e sull’uomo stesso appare come l’adempimento della
sua destinazione".
Oggi, "un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che
l’intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle
cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo
potere". Dunque l’uomo e la tecnica sono sul banco degli accusati. E l’uomo
è insieme giudice e accusato. L’etica mette ordine alle azioni
degli uomini e regola il potere di agire; tanto più è necessaria
quanto più grandi sono le forze dell’agire che essa deve regolare.
La paura e la minaccia possono favorire la ricerca di questa nuova etica.
Questa nuova etica è qualcosa di vicino alla responsabilità
dei genitori verso i figli. Il futuro dell’umanità costituisce così
il primo dovere di ogni comportamento collettivo. Ma in esso è evidentemente
e necessariamente incluso, scrive Jonas, "il futuro della natura in quanto
condizione sine-qua-non" e la responsabilità nei suoi confronti.
Il nuovo dovere, la nuova responsabilità, spingono dunque necessariamente
"verso un’etica della conservazione, della salvaguardia, della prevenzione
e non del progresso e della perfezione". Si torna così al concetto
di limite, di confine da non superare; alla necessità di rallentare,
cercando più equilibrio invece che più crescita, più
qualità al posto di più quantità. Oggi occorre lasciare
aperta la porta alla "possibilità" del domani. Ed uscire dal vicolo
cieco – o dall’imbuto – della crescita per la crescita.
-
Raimundo
Panikkar: Non un’etica globale ma un’etica "condivisa".
Non un’etica "globale", che sarebbe una sorta di tentazione neocolonialista,
ma un’etica dialogica, condivisa, contemplativa, frutto di un disarmo culturale
dell’Occidente e dell’incontro con le culture e le fedi religiose "altre".
È questa, in sintesi, la proposta di Raimundo Panikkar, teologo
e filosofo per metà spagnolo e per metà indiano, da anni
impegnato nel confronto interreligioso.
Ecco alcuni passaggi tratti da una sua relazione intitolata "Dall’etica
globale all’etica condivisa" (Testo integrale riportato da "Adista"
26 febbraio 1994).
"La mia tesi si potrebbe così riassumere: non c’è un’etica
globale. E il suo corollario è che non ci può essere, perché
se ci fosse ridurrebbe gli uomini ad una uniformità totale, e l’etica
ad un’etica di deduzione dei principi. L’etica, invece, è qualcosa
di vissuto e non soltanto frutto di una deduzione di principi. Non si può
attuare eticamente costruendo sillogismi e traendone conseguenze. L’etica
è una spinta personale, che viene più dal cuore che dalla
mente. Non è soltanto una deduzione ragionevole di principi sublimi.
Trovare una struttura formale o comune per fondare un’etica è
impossibile. Tutti siamo d’accordo che si deve fare il bene: il problema
comincia quando si vuol delimitare cosa è il bene e cosa è
il male.
Un’etica unica, in un mondo multiculturale e multietnico, implicherebbe
che l’etica in quanto tale è sovra-culturale, e sovra-religiosa,
mentre il fondamento che ogni cultura ed ogni religione pongono alle rispettive
etiche è diverso. Per alcune culture le differenze tra quelli che
noi chiamiamo uomini e gli altri animali non sono così essenziali.
Ragione per cui un’etica mondiale dovrebbe essere al di sopra di qualsiasi
altro fondamento etico che hanno le diverse culture e le diverse religioni.
Ma ciò coincide con il colonialismo che è, appunto, la
credenza secondo cui è possibile avere, con parametri sufficientemente
depurati e cesellati, una percezione e una soluzione a tutti i problemi
dell’umanità. Dopo le lusinghe coloniali occorre passare al disarmo
di una siffatta cultura che si autoproclama universale e che pretende anche
di fondare un’etica universale.
L’unica forma di etica che abbia qualche forza, oggi, dev’essere
un’etica interculturale. L’imperativo è pragmatico, perché
non è fondato su un "a priori", ma semplicemente sul fatto che se
non ci fosse un’etica alternativa per il mondo attuale si andrebbe alla
mutua distruzione dell’umanità, allo sterminio tra gli uomini e
ai disastri ecologici.
Non ci facciamo illusioni: il mondo, anche politicamente parlando,
non tollererà più per molto tempo queste ingiustizie istituzionalizzate:
e se uno dovrà far ricorso all’incendio dei pozzi di petrolio o
al ricatto atomico, lo farà. Quindi l’imperativo è pragmatico,
perché l’alternativa è la distruzione. Non è l’imperativo
a priori: "perché così deve essere". L’etica non può
essere globale: ma deve essere oggi un’etica accettata nel mondo attuale
e si costituisce soltanto – o si scopre – nel dialogo interculturale.
E qui ritengo utile tratteggiare un decalogo dell’etica del dialogo.
Primo: l’altro esiste "per" ciascuno di noi. E l’altro è
il musulmano, l’altro è l’emarginato, l’altro è il marito,
l’altro è il bambino, il mondo ecc. Una specie di superamento inconscio
del solipsismo.
Secondo: l’altro esiste come soggetto e non soltanto come oggetto.
Esiste a sé stante e non mi ha chiesto il permesso di esistere.
Neanche la pietra, gli alberi, gli animali. In altre parole: non si possono
trasformare le pietre in pane.
Terzo: l’altro non è oggetto di conquista, di conversione,
di studi: è (s)oggetto con diritti propri, con lo stesso diritto
di interpellarmi, di interrogarmi, che ho io. La relazione è, quindi,
biunivoca: il dialogo è dialogo perché non è monologo.
Non è soltanto domandare, ma lasciarsi anche interpellare. Per questo
c’è una necessità di ascolto, di umiltà, di uguaglianza.
Quarto: anche se io penso che l’altro (e l’altro può
essere un sistema religioso o culturale) sbaglia, devo entrare in contatto
con lui, altrimenti non c’è dialogo e senza dialogo non c’è
pace.
Quinto: la disposizione a dialogare è il principio etico
supremo. Se ci si nega al dialogo, si finisce con il divorzio, con la guerra,
con la bancarotta, con il disastro.
Sesto: il dialogo deve essere totale. Come dicono gli inglesi:
non c’è niente di "non-negocial". Tutto deve essere messo sul tappeto,
altrimenti non è dialogo dialogale, non è dialogo umano,
è dialogo diplomatico. Si mira a vincere.
Settimo: l’etica è collegata al politico, dipende dal
religioso ed è frutto di una cultura.
Tutto ciò relativizza l’etica, ma la rende concreta ed efficace.
Ottavo: l’etica scaturisce dal dialogo religioso e allo stesso
tempo ne è la sua causa. È un circolo vitale come tutte le
cose ultime.
Nono: nessuno ha il diritto di promulgare un’etica. L’etica
non si promulga. Si scopre. E si scopre nel dialogo.
Inoltre in un contesto mondiale qual è quello di oggi a nessuno
viene riconosciuto il diritto di promulgare un’etica universale ed assoluta.
Decimo: l’etica contemporanea deve confrontarsi con un "novum"
che non si era mai verificato nella storia: il "novum" di tanta gente che
muore di fame, di sete, di stenti, di violenza. E che attende una redenzione
concreta: non annuncio di principî etici, ma un comportamento operativamente
salvifico, purificato di ogni pretesa messianica".
-
Edgar Morin:
Abitare la terra come patria
Edgar Morin propone un’impostazione proceduralista, cioè una
prospettiva concentrata sulla possibilità di una svolta antropologico-politica.
Infatti, sin dagli anni sessanta, la sua riflessione si è incentrata
sulla produzione di saggi dedicati al metodo della conoscenza, al pensiero
della complessità e alle sue implicazioni antropologiche. In sostanza
Morin ha inteso superare il mito della chiarificazione e dunque della semplificazione
totale dell’universo abbracciando invece la coscienza della sua multidimensionalità.
Nel libro "Terra-Patria", scritto insieme a Brigitte Kern e
pubblicato in Francia nel 1993, il filosofo sostiene che non si può
pretendere di concepire il globale attraverso un sapere specialistico e
settorializzato, che avrebbe lo scopo di semplificare l’universo tenendolo
perciò sotto controllo, ma invece attraverso una rivoluzione culturale
che conduca dal pensiero del semplice al pensiero del complesso.
"Più i problemi diventano multidimensionali, più c’è
incapacità di pensare la crisi, più progredisce l’incapacità
di pensare la crisi; più i problemi diventano planetari, più
diventano impensati. Invece di considerare il contesto e il complesso planetario,
l’intelligenza cieca rende incoscienti e irresponsabili".
In altri termini, l’etica di una "Terra come patria", unica e comune,
non si fonda sulla razionalizzazione, che è "cieca" e rende impossibile
comprendere i problemi attuali; pertanto più aumenta il modello
razionalizzatore, oggi prevalente, più, paradossalmente, aumenta
l’incoscienza, cioè l’incapacità di cogliere il contesto
planetario in tutte le sue urgenti problematiche. In sintesi: "La razionalità
autentica deve avere infatti le caratteristiche dell’apertura e della dialogicità.
Deve inoltre saper comprendere la sfera dell’affettività e dell’irrazionalità,
divenendo consapevole del grado di incertezza presente in ogni sua analisi
e mantenendosi aperta al mistero della vita: il fine della conoscenza è
quello di partecipare a un dialogo con l’universo".
In tale prospettiva, secondo Morin, l’Europa dovrebbe liberarsi di
qualsiasi pretesa egemonica e portare il suo contributo di democrazia politica
alla nascita di una nuova mondialità
In sintesi il sociologo ravvisa nell’epoca della complessità
l’opportunità di un’inedita pienezza umana in quanto solo ora siamo
in grado di cogliere la ricchezza del reale, la natura dialogica della
relazione uomo-mondo, il pluralismo delle interpretazioni, inteso come
espressione di maturità.
In ciò è l’unica salvezza che è data all’uomo,
il quale, anziché nell’immortalità, è chiamato a sperare
e a lottare per un mondo migliore, qui, su questa terra: "Dobbiamo coltivare
il nostro giardino terrestre, il che vuol dire civilizzare la terra. Il
vangelo degli uomini perduti della Terra-Patria ci dice: dobbiamo essere
fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti".
Emmanuel
Lévinas: L’etica del volto. Mai senza l’altro
La proposta di E. Lévinas, filosofo ebraico scomparso nel 1995,
pone in evidenza come l’etica non possa essere fondata, in quanto essa
avrebbe in sé il fondamento della stessa esperienza umana: dell’essere,
dell’agire, del sapere.
Il filosofo, denunciando l’idea dell’ecologia e della totalità,
ha posto in risalto i loro esatti contrari: l’alterità della proprietà
del "TU" e l’infinito.
Lévinas tenta di individuare una nuova fonte di senso che, non
solo trascenda ogni totalizzazione, ma emerga soprattutto per l’appello
etico che proviene dal primato assoluto dell’altro, dal suo "volto".
A tal riguardo, così, si esprime: "Ogni relazione sociale, al
pari di una derivata, risale alla presentazione dell’Altro a Medesimo,
senza nessuna mediazione di immagini o di segni, ma grazie alla sola espressione
del volto […]. Il fatto che tutti gli uomini siano fratelli non è
spiegato dalla loro somiglianza – né da una causa comune di cui
sarebbe l’effetto come succede per le medaglie che rinviano allo stesso
che le ha battute […]. Il fatto originario della fraternità è
costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi
guarda come assolutamente estraneo – e l’epifania del volto coincide con
questi due momenti".
Il volto per Lévinas è appello, domanda, enigma ma soprattutto
visitazione. L’irruzione del volto dell’altro sconvolge l’egoismo dell’io.
Come spiega Emilio Baccarini:
"L’io perde la sua sovrana coincidenza con sé, la sua identificazione
in cui la coscienza ritorna trionfalmente a sé per appagarsi di
se stessa. Dinanzi all’esigenza di altri, l’io viene espulso da questo
riposo, senza identificarsi con la coscienza che già si vanta in
questo esilio".
La parola "io" significa "eccomi", rispondente di tutto e di tutti…
La responsabilità dell’io per ciò che l’io non aveva voluto,
cioè per gli altri".
Per Lévinas "etica" non è un atteggiamento morale
(volontario) del soggetto, ma la struttura originaria, metafisica: l’io,
il soggetto nasce strutturato "l’un per l’altro". L’io è capace
per-l’altro, in quanto è l’uno per l’altro, in quanto è già,
fin dall’inizio, implicato in un rapporto etico.
"L’etica, al di là della visione e della certezza, delinea la
struttura dell’esteriorità come tale. La morale non è un
ramo della filosofia, ma la filosofia prima".
-
Giuliano
Pontara: etica e generazioni future. Tre esempi per capire
Veramente le nostre azioni hanno il potere di condizionare la vita
di chi verrà dopo di noi? Ecco la risposta di Giuliano Pontara,
docente presso l’Università di Stoccolma, nel suo libro "Etica
e generazioni future" (Laterza, Roma-Bari 1995).
"Vediamo alcuni esempi di azioni che hanno avuto un impatto estremamente
negativo su generazioni successive.
Si prenda, come primo esempio, il graduale e sempre più intenso
disboscamento che nel corso dei secoli si è verificato nell’Italia
centro-meridionale. È opinione largamente condivisa che esso abbia
avuto come conseguenza vasti fenomeni di erosione, inondazioni, impaludimento
delle zone costiere, fenomeni i quali, a loro volta, hanno influito in
modo sempre più negativo sulla salute ed il tenore di vita di vaste
masse di popolazione appartenenti a molte generazioni.
Un altro, più vistoso esempio, è la politica coloniale
dei paesi occidentali dal ‘500 in poi: tra le sue conseguenze più
funeste sono generalmente annoverate la distruzione di grandi culture,
l’introduzione dello schiavismo su vasta scala e con ciò, di nuovo,
conseguenze estremamente negative per masse di persone appartenenti ad
un gran numero di generazioni.
Un ulteriore, più recente, esempio è quello costituito
dalle esplosioni nucleari sperimentali, susseguitesi dal ’44 in poi: quantunque
le stime dei danni da esse prodotte varino, gli scienziati competenti sono
generalmente d’accordo che esse hanno causato un aumento di cancro e di
danni genetici che si protrarrà per diverse generazioni a venire.
E, secondo recenti stime della World Health Organization, l’"incidente"
di Cernobyl, nel 1986, sta causando e continuerà a causare tra i
bambini dell’Ucraina e della Bielorussia un forte aumento di cancro alla
tiroide".
-
Il
punto centrale è la trasformazione della coscienza umana.
Il 4 settembre 1993 a Chicago, al termine dell’incontro del "Parlamento
delle Religioni Mondiali" Circa 250 leader religiosi di ogni parte del
mondo hanno approvato una dichiarazione intitolata "Verso un’etica globale".
Il documento, elaborato in buona parte da Hans Küng e poi sottoscritto,
tra gli altri, dal card. Joseph Bernardin di Chicago, dal Dalai Lama e
dai rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, vuole
essere un "punto di inizio" nella ricerca di un’etica interreligiosa comune.
Riprendiamo la parte conclusiva del documento.
"L’esperienza storica dimostra questo: la Terra non può essere
cambiata in meglio se non perseguiamo una trasformazione nella coscienza
degli individui e nella vita pubblica. Le possibilità di trasformazione
sono state già intraviste in ambiti come quello della guerra e della
pace, dell’economia, dell’ecologia, in cui negli ultimi decenni si sono
avuti cambiamenti fondamentali. Questa trasformazione deve essere ancora
conseguita nel campo dell’etica e dei valori!
Ciascun individuo ha una dignità intrinseca e dei diritti
inalienabili, e ciascuno ha anche una ineluttabile responsabilità
per ciò che lei o lui fanno o non fanno. Tutte le nostre decisioni
e le nostre azioni, persino le nostre omissioni ed i nostri errori, hanno
delle conseguenze.
Mantenere vivo questo senso di responsabilità, approfondirlo
e trasmetterlo alle future generazioni è il compito speciale delle
religioni.
Noi siamo realisti su ciò che abbiamo raggiunto in questo consenso,
e perciò esortiamo a che si tenga presente quanto segue:
-
Un consenso universale su alcune questioni etiche discusse (dalla bioetica
e dall’etica sessuale, attraverso i mass-media e l’etica scientifica all’etica
economica e politica) sarà difficile da raggiungere. Tuttavia, persino
per alcune questioni controverse occorre raggiungere soluzioni appropriate
nello spirito dei principi fondamentali che noi qui abbiamo congiuntamente
sviluppato.
-
In diversi campi della vita una nuova coscienza di responsabilità
etica è già emersa. Perciò ci piacerebbe se più
professioni possibili, come quelle dei fisici, degli scienziati, degli
uomini d’affari, dei giornalisti e politici, volessero sviluppare un aggiornamento
dei codici deontologici che possono fornire specifiche linee guida per
le questioni oggetto di dibattito, in riferimento a queste particolari
professioni.
-
Soprattutto, esortiamo le varie comunità di fede a formulare le
loro etiche veramente specifiche. Che cosa ciascuna tradizione ha da dire,
per esempio, sul significato della vita e della morte, sulla sopportazione
della sofferenza, sul perdono della colpa, sul sacrificio altruistico e
sulla necessità della rinuncia, sulla compassione e la gioia. Queste
approfondiranno e renderanno più specifica l’etica globale che già
viene individuata.
In conclusione, facciamo appello a tutti gli abitanti di questo pianeta.
La Terra non può essere cambiata in meglio se non cambia la coscienza
degli individui. Noi ci impegniamo a lavorare per una tale trasformazione
nella coscienza individuale e collettiva, per il risveglio della nostra
forza spirituale attraverso la riflessione, la meditazione, la preghiera
o il pensiero positivo per una conversione del cuore. Insieme possiamo
smuovere le montagne! Senza una volontà di assumere dei rischi ed
una disponibilità al sacrificio, non ci può essere nessun
fondamentale cambiamento nella nostra situazione! Ci impegniamo quindi
per un’etica globale comune, per una migliore comprensione reciproca, così
come anche per modi di vivere socialmente buoni, promotori di pace e rispettosi
della Terra.
Invitiamo tutti gli uomini e le donne, credenti e non credenti a fare
la stessa cosa".
Tredici libri per l’approfondimento
-
Apel K.O., Etica della comunicazione, Jaca Book, Milano 1992
-
Bori P.C., Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova
1991
-
Jonas H., Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà
tecnologica, Einaudi, Torino 1993
-
Kung H., Progetto per un’etica mondiale, Rizzoli, Milano 1991
-
Lévinas E., L’etica come filosofia prima, Guerini, Milano
1989
-
Mancini R. (e altri), Etiche della mondialità, Cittadella,
Assisi 1996
-
Morin E. – Kern B., Terra-Patria, Ed. R. Cortina, Milano 1994
-
Panikkar R., Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità
della Terra, Cittadella, Assisi 1993
-
Pinto De Oliveira C. J., La dimensione mondiale dell’etica, Dehoniane,
Bologna 1986
-
Pontara G., Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995
-
Sen A., Etica ed economia, Laterza, Roma-Bari 1988
-
Todorov T., Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995
-
Viano C. A. (a cura), Teorie
PEDAGOGIA INTERCULTURALE
Uno schema di riferimento: dalla monocultura all’interculturalitá
Perché l’educazione interculturale sia seguita e monitorata costantemente,
occorre anzitutto conoscere le esperienze in atto, a partire dall’indagine,
attivata dalla C.M. 308, sull’educazione interculturale e sulla presenza
di stranieri nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie. In secondo
luogo occorre pensare ad un vero e proprio osservatorio sulla educazione
interculturale, per valutare l’efficacia delle singole iniziative e per
formulare proposte di adeguamento.
Dalla monocultura all’interculturalità
Dimensioni Atteggiamento monoculturale Atteggiamento interculturale
Dimensioni Considera il tempo come successione e passaggio da una fase
all’altra: come cumulativo, irreversibile: intrinsecamente finalistico.
Vive il tempo come una contemporaneità di esperienze che fra loro
interagiscono senza soluzione di continuità. Il tempo è una
produzione interiore e casuale.
Lo spazio Valuta lo spazio come un punto di riferimento unico e immodificabile
da difendere o dilatare in funzione di un potere maggiore sugli spazi degli
altri. Lo spazio è il proprio territorio che ci si porta appresso
anche nel viaggio. Ritiene lo spazio un bisogno contingente e, soprattutto,
un dato psicologico necessario alla propria autonomia. È disponibile
ad abitare più spazi contemporaneamente e a crearli in funzione
delle necessità, riconoscendo agli altri il loro.
L’identità Considera l’identità una struttura immodificabile
e data una volta per tutte, sulla quale poggiare la manifestazione dei
valori ritenuti gli “organizzatori” stabili della realtà e del rapporto
con gli altri. L’identità qui si afferma a spese degli altri o nel
conflitto, perché le proprie mappe possano sostituire quelle degli
altri. L’identità è un processo in continuo divenire nelle
sue alterazioni progressive, dove continuità e discontinuità
si avvicendano. È necessariamente relazionale e quindi aperta al
cambiamento delle esperienze e alla sostituzione dei punti di riferimento.
I valori sono qui mappe e bussole provvisorie: si accetta di confrontare
le proprie con le mappe degli altri per migliorarle.
L’educazione L’educazione si è compiuta una volta per tutte
e non sopporta revisioni e innovazioni. Poggia sui valori che possono fornire
al soggetto quella e soltanto quella configurazione mentale, affettiva
e comportamentale. Poggia su fondamenti e certezze e sulla loro ripetizione
e trasmessibilità. L’educazione si compie in una perenne dialettica
tra il vecchio e il nuovo, l’educazione è un’esperienza che conferisce
un’identità contingente e pratica, necessaria a risolvere problemi
sempre diversi. Poggia sul metodo per affrontare l’incertezza, accettata
come condizione vitale.
(da: D. Demetrio – G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale,
La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. XII).
Pedagogia e interculturalitá
a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi
Ha scritto Vaclav Havel: “non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori
che non abbiamo mai piantato”. Ciò vuol dire che dobbiamo avere
il coraggio di “osare”, di avere fiducia e speranza almeno nel “piantare”,
nel gettare semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo.
Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi
orizzonti. Non è facile costruire insieme una “paideia” per il nuovo
millennio ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni
precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte
ad un passaggio d’epoca e dunque ad un cambio di paradigmi. Non si tratta
di operare un cambiamento di mentalità ma di acquistare una mentalità
di cambiamento, una spiritualità da viandanti, un pensiero nomade.
“Paideia” è una parola antica che indica il complesso dell’offerta
formativa che il mondo adulto tenta di elaborare e di proporre alle nuove
generazioni, per assicurare continuità e cambiamento, tradizione
e novità. Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione
filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio “conosci te stesso”
(... tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano,
infedele ...). Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto
ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è
di questo principio quando l’altro è proprio diverso e io non riesco
più a considerarlo un barbaro, un estraneo, ne a restare indifferente
di fronte a lui? La svolta antropologica da compiere sta proprio qui.
Questa metanoia diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio
verso l’altro, come viandanti, uomini e donne “in esodo”. Sono in molti
a sottolineare che l’altro è oggi la questione del pensiero. Ma
un’etica del volto e una cultura della reciprocità non si improvvisano.
Tale scelta è possibile soltanto se il soggetto storicamente dominante
accetta il proprio depotenziamento e la propria auto-decostruzione (un
atteggiamento antropologico che affonda le sue radici nella teologia della
Kenosi). In questo modo nascerà la possibilità di un incontro
vero, perché ci si colloca in una situazione di parità reale
e non solo fittizia, nella quale non si chiede che sia soltanto l’altro
a cambiare, ma siamo anche noi a porci nella situazione di cambiamento.
Proprio perché assumiamo un atteggiamento severo di depotenziamento,
l’altro è invitato a fare altrettanto. Si crea così il principio
di reciprocità: ognuno può dare e può ricevere qualcosa.
A chi ha paura di perdere la propria identità culturale, facciamo
notare che non è dalla reciprocità che deve temere questo,
semmai dall’imperialismo economico che tende a omogeneizzare i comportamenti
e le mentalità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché
si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che
finisce inevitabilmente per produrre “asimmetria” e “squilibrio”. La vera
sfida che abbiamo davanti è allora la seguente: come passare dalla
“conflittualità” delle differenze alla “convivialità” delle
differenze (o almeno ad un riduzione della conflittualità). Una
comunità formata da soggetti appartenenti a diverse religioni, culture
ed etnie (si pensi a Nevé Shalom deve essere consapevole di rappresentare
un luogo profetico e di costituire il terreno più avanzato di sperimentazione
della convivenza, e merita pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a
cuore il futuro “conviviale” dell’umanità.
Alcuni compagni di viaggio
Nella prospettiva di una nuova paideia per il Terzo Millennio scegliamo
alcuni compagni di viaggio fra i molti possibili. Comenio per l’Europa,
Tagore per l’Asia, Paulo Freire per l’America Latina, Hampata Bâ
per l’Africa.
1. JAN AMOS KOMENSKY (Moravia)
Come ha scritto G. Fornizzi nel bel saggio L’interculturalità
nella storia della pedagogia, Komensky, nell’età moderna, è
stato certamente il primo a voler abbattere certe frontiere: omnes significa
per lui tutti, assolutamente tutti, proprio in contrapposizione con le
tradizionali chiusure, con precisazioni che già rompono steccati
secolari e anticipano convinzioni trasformatesi poi in capisaldi ovvii
e indiscutibili. E indicare in quegli omnes i bambini, le donne, i vecchi,
e perfino gli anormali ecc. voleva già dire aprirsi nuovi varchi,
calcare nuove strade.
Il suo pensiero pedagogico è fortemente caratterizzato da un
respiro universale quale mai prima di lui si era visto e sentito in campo
educativo. La via della luce scritta nel 1640 su richiesta di alcuni amici
parlamentari e uomini di cultura inglesi, può a buon diritto essere
considerata un’opera — la prima della storia della pedagogia — scritta
all’insegna dell’intercultura. In esso la cultura viene rappresentata come
la luce che deve illuminare tutti gli uomini. Perché questa luce
divenga accessibile ad ogni uomo — si dice uomo, senza badare a niente
altro che alla qualifica prima e imprescindibile: l’umanità — Komensky
propone:
1. libri universali,
2. scuole universali,
3. collegio universale,
4. lingua universale.
I valori particolari restano con i loro contenuti di autenticità,
tuttavia se non concorrono a formare l’uomo in quanto tale diventano deleteri,
distruttivi, appartengono alla follia delle separazioni, delle discordie,
delle guerre, invece che all’utopia costruttrice della pace, all’ideale
umano universale dell’unità.
2. TAGORE
Rabindranath Tagore (1861 - 1941), che è stato un “poeta universale”,
sollecitato dalla sua premiazione con il Nobel per la Letteratura del 1913
e dalla sua desolazione per le miserie della prima guerra mondiale, creerà
una casa di incontro per uomini di tutto il mondo, a qualunque gruppo etnico,
classe sociale o credo appartenessero. La piccola scuola della “Casa della
pace” a Santieneketon, trasformata in una Università Mondiale dal
nome di Bisso Bharoti, tra i suoi obiettivi aveva il seguente : “l’uomo
in qualsiasi posto egli sia, se ha prodotto qualcosa di valore eterno,
non può reclamarlo esclusivamente per se stesso e per il suo popolo,
perché appartiene, come i diritti acquisiti sin dalla nascita come
essere umano, ad ogni uomo” (cfr., Tagore R., Sissu, ed. Guaneb, 1979).
3. FREIRE
Paulo Freire (n.1912) ha parlato del superamento di una coscienza intransitiva
in una direzione di una coscienza transitiva: la prima indica la chiusura
invalicabile nel proprio concreto vivere situazionale senza alcuna possibilità
di critico superamento; la seconda si muove nella direzione di formare
l’uomo come persona critica, coscienzatizzata, autonoma, creativa e democratica,
non più “oppressa”: “...Quando dico educazione penso ad un processo
di acquisizione di conoscenza a favore non della libertà, bensì
della liberazione... Non si smette mai di cercare la libertà...”
(cfr., Freire P., Il canto della liberazione, in Bambini ‘90, VI (1990),
n.8).
4. HAMPATÈ BÂ
La civiltà africana, non solo negata ma resa inammissibile durante
il secolo del colonialismo, ha ritrovato attualmente le sue voci. Nel processo
evolutivo delle reazioni tra l’Occidente e il Terzo Mondo, grande peso
hanno avuto politici, letterati, filosofi e artisti nativi. Tra questi
un posto di rilevo occupa A. Hampatè Bâ che ha dedicato la
sua vita a conservare e difendere la cultura africana; ma ciò non
con mentalità statica rivolta sterilmente ad un passato nostalgico;
bensì con mentalità dinamica: “la tradizione orale dei popoli
africani e la realtà su cui si deve poggiare una cultura viva e
vitale, che si evolve nel contatto con le culture esterne senza perciò
perdere la propria identità (cfr., Introduzione, a cura di Volpini
D., in A. Hampatè Bâ, Aspetti della civiltà africana.
Mutamento culturale ed Evangelizzazione, Biblioteca Nigrizia, Bologna 1975).
A tal riguardo, così ha scritto il filosofo africano: “La riabilitazione
delle lingue africane di base permetterebbe, da parte sua, di valorizzare
la tradizione originale di ogni etnia, di pensare nella sua lingua, di
raccogliere le tradizioni nella loro lingua senza perderne il sapore e
la finezza, come accade invece, inevitabilmente, nelle traduzioni, che
“mancano di sale” rispetto all’originale [...]. Si tratta secondo me di
aiutare l’Africa a conservare ed a sviluppare la propria personalità,
e di permettere di parlare di se stessa. Spetta infatti agli Africani di
parlare dell’Africa agli stranieri, e non a questi ultimi, per colti che
essi siano, di parlare dell’Africa agli Africani. Come dice un proverbio
del Mali: “Quando si è in presenza di una capra, non si deve belare
in vece sua”. Troppo spesso, infatti, ci hanno attribuito delle intenzioni
che non abbiamo, hanno interpretato i nostri costumi o le nostre tradizioni
in funzione di una logica che, senza cessare di essere logica, non lo è
per noi. Le differenze di psicologia e di comprensione falsano le interpretazioni
date dall’esterno”. (Hampatè Bâ, op. cit., pp. 97-98)
Indicazioni bibliografiche
Acone G., L’ultima frontiera dell’educazione, La Scuola, Brescia 1986.
Formizzi G., L’interculturalità nella storia della pedagogia,
in Agosti A., (a cura), Interculturalità e insegnamento, SEI, Torino
1996.
Gianola P., Pedagogia all’appuntamento del 2000, in “Orientamenti Pedagogici”,
42 (1995), pp. 1175-1190.
Montessori M., Educazione e pace, Garzanti, Milano 1970.
Nanni A., Educare alla convivialità, EMI, Bologna 1994, 2a ed.
1995.
Nanni A., Pedagogia del volto. L’educazione dopo Lévinas, in
corso di pubblicazione presso la rivista “Testimonianze”.
Panikkar R., La torre di Babele, ECP, Fiesole 1990.
Vico G., L’educazione frammentata, La scuola, Brescia 1995.
Vico G. - Santerini M., Educare dopo Auschwitz, Ed. Vita e Pensiero,
Milano 1995.
Santerini M., Cittadini del mondo, La scuola, Brescia 1995.
Riprogettiamo la scuola in prospettiva interculturale
a cura di Antonio Nanni
Premessa
Per quel che riguarda l’educazione interculturale, in Italia siamo ancora
all'inizio di una alfabetizzazione interculturale, sia sul piano teorico-pedagogico,
sia sul piano pratico-didattico. Stando dentro questo cammino, tuttavia
lo sforzo di ciascuno di noi dovrebbe essere quello di offrire un contributo,
per quanto modesto, per far compiere un passo avanti nella direzione di
una sempre più matura e qualificata educazione interculturale.
1) Da dove partire?
Mi metto nei panni di un insegnante che è già convinto
della necessità di una educazione interculturale e che ora deve
affrontare non il problema della "motivazione" (che sente di aver risolto)
ma quello dell'operatività.
Il problema, cioè, non è più: "perchè l'interculturalità",
ma "come fare interculturalità?"
E in particolare: "da dove partire?"
A me sembra che uno dei possibili punti di partenza possa essere individuato
nelle indicazioni contenute nel "Documento di Sintesi del gruppo internazionale
di lavoro per l'educazione interculturale", che è stato reso noto
e veicolato con la Circolare Ministeriale nº 73 del 2 marzo 1994.
Le ragioni di questa scelta sono due: anzitutto perchè non avrebbe
senso che ognuno si inventasse il suo modello di interculturalità
nella scuola, ignorando gli orientamenti del Ministero, e rinunziando ad
una visione unitaria pur in un quadro di pluralismo, e poi perchè
il documento cui facciamo riferimento, anche se non provenisse dal Ministero,
sarebbe comunque un testo molto significativo, con interessanti indicazioni
operative e suggerimenti utili per promuovere iniziative ed interventi
specifici.
2) Interculturalità e continuità educativa
L'interculturalità non è una nuova disciplina, non richiede
la presenza di un "esperto" della materia. É invece una prospettiva
globale, una dimensione trasversale e pervasiva che investe l'intero sistema
educativo, dalla scuola materna all'Università.
Ciò non toglie che si possa - e che forse si debba - procedere
per gradi dando spazio ad iniziative specifiche e ad interventi mirati.
Ad esempio, per l'elaborazione di progetti specifici di studio potranno
essere istituiti nella scuola gruppi di lavoro, come espressione dei collegi
dei docenti.
In termini generali, tuttavia, l'educazione interculturale si esplica
nell'attività quotidiana dei docenti, sulla base di una rinnovata
professionalità e si sviluppa in un impegno progettuale e organizzativo
fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione.
Andiamo a vedere, allora, che cosa affermano le "premesse generali"
dei programmi dei vari ordini di scuola (materna, elementare, media, superiore)
in merito all'interculturalità intesa nella sua eccezione più
ampia.
a) Nella scuola materna
Un'enunciazione di portata generale è contenuta negli Orientamenti
didattici per la Scuola materna (3 giugno 1991):
"L'accentuarsi delle situazioni di natura multiculturale e plurietnica,
infine, di fronte alle quali si verificano talvolta atteggiamenti di intolleranza
quando non addirittura di razzismo, può tradursi in occasione di
arricchimento e di maturazione in vista di una convivenza basata sulla
cooperazione, lo scambio e l'accettazione produttiva delle diversità
come valori ed opportunità di crescita democratica".
Ed in seguito si osserva:
"Appare importante sviluppare nel bambino la libertà di pensiero,
anche come rispetto della divergenza personale, consentendogli di cogliere
il senso delle sue azioni nello spazio e nel tempo e di prendere coscienza
della realtà, nonché della possibilità di considerarla
e di modificarla sotto diversi punti di vista".
Ma forse le indicazioni più interessanti le troviamo quando
si illustra l'ultimo dei sei "campi di esperienza" del bambino e cioè
"il sé e l'altro". Si dice infatti:
"Le finalità specificamente considerate si volgono in primo
luogo all'assunzione personalizzata dei valori della propria cultura nel
quadro di quelli universalmente condivisi ed al rispetto attivo delle diversità.
In secondo luogo, si rapportano alla presenza nel bambino di una capacità
non soltanto di stare genericamente con gli altri, ma anche di comprendere,
condividere, aiutare e cooperare, e prendono in considerazione il fatto
che a questa età, in relazione con lo sviluppo cognitivo, si delinea
un iniziale interesse per la sfera del giudizio morale. In terzo luogo,
si riferiscono a strutture anche simbolico-culturali (organizzazioni sociali
e politiche, sistemi morali, religioni) che nella loro pluralità
e differenziazione hanno avuto ed hanno una presenza altamente significativa
e rilevante nella vita dell'uomo, nella storia e nella cultura del nostro
Paese (...)
Il bambino, infatti, si pone e pone domande impegnative per ogni persona,
e che per lui hanno anche una rilevanza cognitiva, alle quali si sono date
e si continuano a dare differenti risposte, nei cui confronti è
indispensabile sviluppare un atteggiamento di attenzione, comprensione,
rispetto e considerazione. Pertanto, lungi dall'impedirle, dallo scoraggiarle
o dal sentirsene turbati, occorre impegnarsi ad aprire con lui un dialogo
franco, sincero ed ispirato ad una chiara sensibilità multiculturale
(...).
Va pure sviluppata, sul piano relazionale, comunicativo e pratico,
la capacità di comprendere i bisogni e le intenzioni degli altri
e di rendere interpretabili i propri, di superare il proprio esclusivo
punto di vista, di accettare le diversità (in particolare quelle
legate a disabilità fisiche e mentali) e ad assumere autonomamente
ruoli e compiti.
Un risalto del tutto particolare spetta all'educazione alla multiculturalità,
che esige la maggior attenzione possibile per la conoscenza, il riconoscimento
e la valorizzazione delle diversità che si possono riscontrare nella
scuola stessa e nella vita sociale in senso ampio.
A tale proposito è utile che l'insegnante si soffermi accuratamente
sugli elementi di somiglianza che accomunano le esigenze proprie di ogni
essere umano e sugli elementi di differenza riscontrabili nelle diverse
risposte culturali, in modo da renderli comprensibili anche ai bambini
(...)
L'itinerario educativo va inteso e realizzato come un tirocinio morale
non forzato, che conduce dalla semplice scoperta dell'esistenza dell'altro
e dall'adattamento alla sua presenza al riconoscimento rispettoso dei suoi
modi di essere e delle sue esigenze fino alla acquisizione di una effettiva
capacità di collaborazione regolata da norme in un quadro di ideali
condivisi (...)
Una quarta articolazione riguarda lo sviluppo di un corretto atteggiamento
nei confronti della religiosità e delle religioni e delle scelte
dei non credenti, che è innanzitutto essenziale come motivo di reciprocità,
fratellanza, impegno costruttivo, spirito di pace e sentimento dell'unità
del genere umano in un'epoca di crescenti spinte all'interazione multiculturale
ed anche multiconfessionale. Questa situazione rende particolarmente rilevante
ogni intervento volto ad evitare le distorsioni (come l'assunzione di comportamenti
di discriminazione) che possono conseguire all'assenza di una equilibrata
azione
educativa.
b) Nella scuola elementare
I programmi per la Scuola Elementare del 12 febbraio 1985 rilevano che
«la Scuola deve operare... perchè il fanciullo abbia basilare
consapevolezza delle varie forme di diversità o di emarginazione
allo scopo di prevenire e contrastare la formazione di stereotipi e pregiudizi
nei confronti di persone e culture». Questi principi trovano convalida
nella legge di riforma dell'ordinamento della Scuola elementare (L. 5-6-1990,
n. 148) che inserisce, nelle finalità generali, «il rispetto
e la valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali».
Si dice, in seguito, che il fanciullo sarà portato a rendersi
conto che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali» (art. 3 Costituzione).
La scuola è impegnata ad operare perchè questo fondamentale
principio della convivenza democratica non venga inteso come passiva indifferenza
e sollecita gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili
delle proprie azioni, alla luce di criteri di condotta chiari e coerenti
che attuino valori riconosciuti (...), sia progressivamente guidato ad
ampliare l'orizzonte culturale e sociale oltre la realtà ambientale
più prossima, per riflettere, anche attingendo agli strumenti della
comunicazione sociale, sulla realtà culturale e sociale più
vasta, in uno spirito di comprensione e di cooperazione internazionale,
con particolare riferimento alla realtà europea ed al suo precesso
di integrazione (...).
É dovere della scuola elementare evitare, per quanto possibile,
che le "diversità" si trasformino in difficoltà di apprendimento
e in problemi di comportamento, perchè ciò quasi sempre prelude
a fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguentemente
a disuguaglianze sul piano sociale e civile.
c) Nella scuola media
Nei programmi d'insegnamento della scuola media, che risalgono al 6
febbraio 1979, troviamo un passaggio che potrebbe essere stato scritto
oggi per la sua fortissima attualità:
"Ponendo gli alunni a contatto con i problemi e le culture di società
diverse da quella italiana, la scuola media favorirà anche la formazione
del cittadino dell'Europa e del mondo, educando ad un atteggiamento mentale
di comprensione che superi ogni visione unilaterale dei problemi e ci avvicini
all'intuizione di valori comuni agli uomini pur nella diversità
delle civiltà, delle culture e delle strutture politiche".
Di grande interesse anche il paragrafo dove si parla dell'unità
del sapere come "interdisciplinarità". Qui si osserva che:
" I vari insegnamenti esprimono modi diversi di articolazione del sapere,
di accostamento alla realtà, di conquista, sistemazione e trasformazione
di essa, e a tal fine utilizzano specifici linguaggi che convergono verso
un unico obiettivo educativo: lo sviluppo della persona nella quale si
realizza l'unità del sapere (...).
In tutte le discipline deve trovare spazio l'operatività, che
non è solo compito dell'educazione tecnica e dell'educazione scientifica,
al fine di superare la separazione tra attività intellettuale e
attività manuale".
E anche nel paragrafo finale sulla "socializzazione" troviamo una indicazione
da non dimenticare:
"Utile sarà anche un avvio alle metodologie del vivere in democrazia
che educhi ad un dibattito tanto più corretto quanto più
fondato sulla tolleranza e sul rispetto reciproci e su una conoscenza della
realtà, la più documentata possibile e che valga ad evitare
forme distorte di competitività".
d) Nella scuola superiore
Ci rifacciamo al progetto della Commissione Brocca, ossia ai "Piani
di studio della scuola secondaria superiore e programmi del biennio" (cfr.
Editrice La Scuola, Brescia) e ai "Programmi del triennio" (cfr. Annali
della P.I., Editrice Le Monnier, Firenze).
Come è noto gli indirizzi di scuola secondaria previsti dal
progetto della Commissione sono, in ordine alfabetico, i seguenti: artistici,
classico, economico, linguistico, professionali, scientifico, scientifico-tecnologico,
socio-psicopedagogico, tecnologici. Gli indirizzi artistici, professionali
e tecnologici hanno ulteriori suddivisioni interne.
Nel biennio delle superiori (quelle riformate) le discipline sonoa
scuola superiore in questi termini:
"Per i programmi vigenti nella Scuola secondaria superiore è
necessario un sistematico impegno ad esplorare e interpretare le potenzialità
interculturali di ogni disciplina. I recenti programmi sperimentali per
la Scuola secondaria superiore (1992) riscontrano una «situazione
socio-ambientale caratterizzata da forte complessità e da un accentuato
pluralismo di modelli e di valori» e contengono significativi spunti
di carattere interculturale nella trattazione delle varie discipline.
Essi si pongono così anche come possibile chiave di rilettura
degli stessi programmi vigenti. Ad esempio i programmi di lingua straniera
per il biennio propongono la finalità della «formazione umana,
sociale e culturale mediante il contatto con altre realtà, in un'educazione
interculturale che porti a ridefinire i propri atteggiamenti nei confronti
del diverso da sé».
Nella Scuola secondaria superiore, dove la presenza straniera è
più limitata e meno problematica, assumono maggiore rilevanza il
motivo del confronto culturale a distanza ed il tema della prevenzione
e del contrasto del razzismo e dell'antisemitismo (v. c.m. 11-3-1993, n.
71 relativa al piano nazionale di aggiornamento e c.m. 25-1-1994, n. 20
relativa all'adozione dei libri di testo).
3) L'obiettivo più ambizioso: l'interculturalità per via
interdisciplinare
Non v'è dubbio che l'interculturalità esalta l'unità
dell'educazione, tutela il pluralismo, integra e armonizza le differenze.
E ciò è perfettamente in linea con le indicazioni ministeriali,
secondo cui:
"se correttamente interpretate, tutte le discipline curriculari - sia
pure in forme diverse - promuovono nell'allievo comportamenti cognitivi,
gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati
verificabili, esigono che l'organizzazione concettuale e la verifica degli
apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati. Nella loro
differenziata specificità le discipline sono, dunque, strumento
e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni,
conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione
di persone responsabili e in grado di compiere scelte. Si tratta del resto
di soddisfare l'esigenza che il preadolescente manifesta, passando da esperienze
di vita più globali e di cultura più indifferenziate, proprie
della scuola primaria, a quelle più articolate e specifiche della
scuola secondaria di primo grado, sulla linea della necessaria ed
appropriata pluralità delle discipline e dei contributi che esse
forniscono.
L'elaborazione di progetti interdisciplinari consente poi un ampiamento
di prospettive e una convalida del discorso interculturale con un approccio
a più voci, coinvolgente per gli alunni. La presentazione di altre
culture in un'ottica interdisciplinare, che investa le espressioni letterarie,
artistiche e musicali, gli elementi storici e geografici e gli aspetti
della tecnica e del lavoro risulta assai più significativa. Più
in generale l'allineamento temporale dello svolgimento dei programmi a
livello secondario consente di cogliere gli intrecci delle correnti di
pensiero, letterarie ed artistiche di determinati periodi storici. Collegamenti
utili anche in funzione interculturale possono essere sviluppati tra gli
insegnamenti relativi ai linguaggi non verbali che, nella terminologia
dei programmi per la Scuola elementare, assumono la denominazione di "educazione
all'immagine", "educazione al suono e alla musica" ed "educazione motoria".
É anche da valorizzare l'ulteriore riferimento dell'educazione motoria
alle attività ludiche. L'educazione alla convivenza democratica
(nella Scuola elementare) o civica (nella Scuola secondaria), ponendosi
come approccio trasversale alle discipline mette in luce la convergenza
degli insegnamenti e si avvale degli interventi coordinati dei docenti
per promuovere comportamenti civilmente e socialmente responsabili.
Anche in questo ambito si possono seguire i fili conduttori dei diritti
dell'uomo, della pace, della collaborazione internazionale, del rapporto
con i Paesi in via di sviluppo, dell'equilibrio ecologico.
IL CLIMA NELLA CLASSE E NELLA SCUOLA
Alcune schede di lavoro
1. Clima della classe
2. Ascoltare
3. Incoraggiare
4. Feed-back
1. CLIMA DELLA CLASSE: la qualità della vita nella classe come
riflesso della relazione insegnante-allievi e fra allievi stessi.
Un numero crescente di insegnanti giunge a riconoscere che uno dei contributi
chiave per un efficace apprendimento dei ragazzi è un clima nella
classe di positivo sostegno. La responsabilità principale perché
ciò avvenga resta all’insegnante e dipenderà in larga misura
dagli assunti sugli alunni ed il loro apprendimento che hanno contribuito
a formare un particolare stile di insegnamento.
Tradizionalmente le classi sono state considerate come i luoghi dove
gli alunni eseguono i compiti necessari all’apprendimento prescritto. La
tendenza nelle interazioni interpersonali è stata quella fra l’insegnante
e la classe presa nel suo complesso, con alcuni scambi fra l’insegnante
ed alunni particolari. Questa tradizione parte da un apprendimento passivo
e non attivo. Se vogliamo che il processo dell’istruzione sia rilevante
per le vite che li studenti effettivamente conducono, allora la classe
deve diventare un posto dove gli aspetti di queste vite possano essere
messi a confronto. Ciò comporta il creare nelle nostre classi un'enfasi
sul vivere interpersonale in modo che i ragazzi abbiano l’opportunità
di sviluppare una coscienza dell’effetto che le esperienze nella classe
stanno avendo su di loro.
Come osservano Canfield e Wells in “100 Waus to Enhance Self Concept
in the classroom”.
“Gli studenti hanno un interesse riguardo all’ambiente emozionale della
classe. Gli insegnanti e gli studenti dovrebbero trovarsi insieme e discutere
liberamente di cooperazione e competizione, fiducia e paura, apertura e
rifiuto e così via. La discussione in incontri di classe di questi
ed altri argomenti aiuto a creare il tipo di clima che stimola una crescita
totale degli alunni”.
Un clima positivo nella classe ha la tendenza a svilupparsi quando
gli insegnanti si comportano in modo “facilitativo” (vedi: L’insegnamento
centrato sulla persona). Ciò può essere stimolato attraverso
comunicazioni positive a vari livelli e gli insegnanti devono incoraggiare
gli alunni a portare nel loro apprendimento una sintesi del proprio benessere
fisico, emozionale e intellettuale. È di importanza cruciale l’impegno
di strategie di insegnamento che sviluppino nei ragazzi un senso dell’essere
completamente coinvolti nel proprio apprendimento.
In termini generali una classe positivamente “facilitativa” si realizza
quando gli insegnanti:
1. Apprezzano le relazioni con i propri alunni.
2. Esprimono i propri bisogni e desideri di ai ragazzi.
3. Sono comprensivi e disponibili verso i ragazzi.
4. Incoraggiano e stimolano relazioni calde e amichevoli fra gli alunni.
5. Impiegano più tempo ad ascoltare gli alunni che a parlargli.
In termini specifici il clima della classe può essere agevolato
mantenendo la comunicazione. Esempi di questo stile nel comunicare sono:
1. Affrontare gli avvenimenti interpersonali importanti nel momento
in cui si presentano, senza rimandare al futuro.
2. Parlare direttamente agli alunni piuttosto che parlare di qualcuno
alla classe nel suo complesso.
3. Rivolgersi agli alunni con cortesia, interesse e considerazione.
4. Essere coscienti dell’importanza del contatto visivo e della comunicazione
non verbale.
5. Evitare gli ostacoli comuni ad un’efficace comunicazione: il giudicare,
criticare, indicare, comandare, fare del moralismo.
Anche se nella maggior parte delle scuole dell’obbligo oggi si dispongono
i mobili in modo da agevolare l’interazione fra i ragazzi, una buona parte
delle classi nelle scuole secondarie è ancora organizzata in file
di banchi rivolti tutti nella stessa direzione. Se la tua classe deve ospitare
laboratori per l’interazione anche i mobili devono agevolare lo scopo.
Le nuove scuole stanno riflettendo sempre più questa direzione disponendo
di tappeti, sedie più comode, schermi, zone calme e della presenza
di piante, mostre vivaci e interessanti e di lay-outs (addobbi) flessibili.
Quando tutti gli alunni affrontano l’insegnante, l’interazione fra
gli alunni diventa molto difficile. Gli alunni hanno bisogno di comunicare
direttamente l’uno con l’altro senza dover passare attraverso la presenza
dell’insegnante che sta loro di fronte. Questo comporta soprattutto che
la disposizione dei posti a sedere agevoli il contatto visivo.
Alcune domande fondamentali:
1. Come descriverei il clima che creo nella classe?
2. Quali sono i miei assunti sui ragazzi?
3. Come mi comporto con gli alunni che non mi piacciono?
4. Che tipo di rapporti interpersonali incoraggio nella mia classe
sia formalmente che informalmente?
5. Come descriverei il mio modo di insegnare?
6. Quanto di me stesso/a apro agli alunni?
7. Come affronto avvenimenti relazionali nella mia classe?
8. Come dispongo i mobili nel cercare un ambiente più interattivo?
Alcuni suggerimenti pratici:
1. Considera l’organizzazione fisica nella tua classe. Cerca di trovare
i modi perché possa indurre maggiormente ad un clima interattivo.
2. Fa esperimenti con varie disposizioni dei posti a sedere.
3. Cerca un collega che osservi il tuo modo di insegnare. Prova ad
ottenere dei suggerimenti positivi riguardo a quegli aspetti del tuo insegnamento
in cui ti stai impegnando.
4. Parla con gli alunni della classe e del clima dell’apprendimento.
2. ASCOLTARE: una combinazione del sentire ciò che un altro dice
e di un attivo coinvolgimento in ciò che dice
Una delle capacità chiave negli insegnanti altamente “facilitativi”
è stata dimostrata essere l’abilità dell’ascoltare efficacemente.
Nonostante sia una delle dimensioni cruciali di una comunicazione efficace,
l’ascoltare è stato quasi completamente ignorato dal processo scolastico.
Non solo è importante per gli insegnanti, che con ogni probabilità
occupano più tempo a parlare che non ad ascoltare gli allievi, per
la praticità e lo sviluppo di capacità di ascolto attivo,
ma anche per i ragazzi perché possano avere l’opportunità
di costruire quella facilità di ascolto che è naturalmente
presente nella loro infanzia.
La capacità di essere un buon ascoltatore dipende dall’uso appropriato
di alcune abilità chiave:
Essere attenti (attending)
Ciò richiede:
1. una postura che faciliti il coinvolgimento;
2. un uso corrente del linguaggio del corpo appropriato;
3. un buon contatto visivo;
4. un ambiente che distragga il meno possibile.
Questa prima serie di abilità riguarda lo stabilire le condizioni
appropriate perché possa avvenire un’interazione di mutuo vantaggio.
Queste condizioni dipendono in larga misura dalla sensazione di chi parla
che noi siamo interessati, impegnati, disposti ad ascoltare. Ciò
viene trasmesso dal modo in cui siamo seduti rispetto a chi parla, faccia
a faccia, piuttosto che di profilo e inclinati leggermente in avanti piuttosto
che indietro. Le mani e le braccia dovrebbero essere aperte piuttosto che
incrociate sul corpo. Un buon contatto visivo con chi parla dimostra un
senso di coinvolgimento.
Seguire:
Ciò richiede:
1. saltuarie interruzioni di chi parla: “Vorresti parlare di più
di quest’ultimo argomento?”;
2. qualche incoraggiamento: cenni della testa e “capisco”, “vai avanti”,
“sì”;
3. porre domande circoscritte;
4. attento silenzio.
Una volta stimolata l’altra persona a parlare, è importante che
possa continuare, in modo che le questioni che devono venir affrontate
possano essere tirate fuori. Ciò implica una buona comunicazione
non verbale ed alcune risposte verbali minime. È difficile evitare
la tentazione di intervenire e portar via l’iniziativa a chi parla. Il
mantenere un silenzio attento è la capacità chiave da coltivare
se si vuole evitare che questo avvenga.
Riflettere:
Ciò richiede:
1. occasionali parafrasi di quello che ha detto l’altra persona;
2. riflettere i sentimenti dell’altro;
3. riflettere i significati dell’altro;
4. riassumere i progressi di quando in quando.
È la facilitazione che segna la differenza con questa serie di
abilità fra l’ascolto attivo ed efficace ed il semplice sentire.
Quando chi parla sente sinceramente che l’ascoltatore è veramente
interessato ed è nella condizione di coinvolgersi all’argomento
presentato senza intervenire per giudicare, allora si può affermare
che è avvenuta una comunicazione efficace. La sezione sull’empatia
affronta più in dettaglio un atteggiamento di risposta che rifletta
quanto si ascolta.
Il modo migliore per gli insegnanti per sviluppare le proprie capacità
di ascolto è di cambiare l’equilibrio fra il parlare e l’ascoltare
nelle loro interazioni con la classe. Troppo spesso utilizziamo i periodi
in cui dovremmo ascoltare per ripetere a noi stessi quello che diremo in
seguito. Un ascolto più efficace comporta la capacità di
concentrarsi sugli interessi e le preoccupazioni di un’altra persona. Nella
conversazione, naturalmente, parlare ed ascoltare sono ugualmente importanti,
ma in una relazione di aiuto come quella fra alunno e insegnante, l’ascoltare
acquista una funzione più importante, che può costituire
la differenza fra una crescita ed uno sviluppo sano ed un fallimento nell’apprendere.
Orecchio Inserire simbolo tu
occhi
attenzione
unitaria
cuore Questi caratteri, che formano il verbo “ascoltare”, indicano come
i cinesi comprendano molto bene l’atto dell’ascoltare
INCORAGGIARE: relazione interpersonale che ha un effetto positivo sugli
altri. È un fattore chiave in ogni efficace relazione, aiutando
a sviluppare negli altri il coraggio interiore che agevola un positivo
apprendimento ed una sana crescita individuale.
Uno dei principi educativi che frequentemente vengono ripetuti dice
che un efficace apprendimento viene facilitato dall’ottenimento di successi.
L’incoraggiamento è quel processo che aiuta gli altri ad assumersi
quei rischi che portano al successo nella vita e nell’apprendimento. Nel
tentare di spiegare i vari aspetti del comportamento dell’incoraggiare
è necessario distinguere fra l’incoraggiare e il fare complimenti.
Il fare complimenti assegna meriti basati sui risultati mentre l’incoraggiare
prende in esame le risorse dell’individuo ed il modo in cui vengono utilizzate
per il miglioramento della persona. Il fare complimenti è spesso
usato come metodo di controllo per far sì che gli altri si conformino
ai nostri desideri, mentre con l’incoraggiamento si cerca di aiutare gli
alunni a sviluppare l’accettazione di se stessi ed il sentirsi utili. Fare
complimenti è una motivazione esterna; l’incoraggiare sviluppa le
motivazioni interne.
La maggior parte di noi utilizza tanto comportamenti incoraggianti
che scoraggianti nelle nostre vite personali. Nelle nostre relazioni con
gli alunni dobbiamo cercare di sviluppare dinamiche motivanti. Questo significa
il perseguire positivamente strategie incoraggianti evitando quelle scoraggianti.
STRATEGIE
SCORAGGIANTI STRATEGIE INCORAGGIANTI
- ascolto non efficace
- concentrarsi sugli aspetti negativi
- minacciare
- non coinvolgimento a livello affettivo
- enfasi sulla competizione e i confronti
- umiliare - ascolto efficace
- concentrarsi sugli aspetti positivi
- accettare
- coinvolgimento affettivo
- enfasi sulla cooperazione
- stimolare
È facile essere incoraggianti con coloro il cui lavoro e le cui
risposte ci fanno piacere, ma è molto più difficile esserlo
con coloro che hanno atteggiamenti che ci irritano o le cui risposte mostrano
una mancanza di comprensione. Molto dipenderà dal rispetto che nutriamo
per gli alunni (vedi “L’insegnamento centrato sulla persona”). La seguente
lista con domande di controllo può essere utile:
1. Credo onestamente in ciò che dico agli alunni?
2. Il mio entusiasmo per gli alunni si basa sul fare complimenti o
sull’incoraggiamento?
3. Credo veramente che tutti gli alunni con cui lavoro abbiano la capacità
di crescere?
4. In caso negativo, su cosa baso questo mio giudizio?
5. Fino a che punto sono in grado di sentire come ogni ragazzo vede
la vita dal suo punto di vista?
Un’altra trappola in cui si può cadere è il trattenersi
dall’incoraggiare perché un alunno non ha raggiunto i livelli che
avevano stabilito o quello che chiamiamo risultato medio (average standards).
Un sincero incoraggiamento è strettamente in sintonia con il livello
dei bisogni o delle aspirazioni di ogni alunno. L’incoraggiamento è
particolarmente efficace quando sentiamo di aver risposto ad una richiesta
ed abbiamo soddisfatto i nostri obiettivi, non quando abbiamo raggiunto
un qualche generale livello desiderato. Il rispondere in modo empatico
nelle nostre interazioni con gli alunni ci aiuterà a sviluppare
un’aumentata capacità per questo necessario sintonizzarsi in maniera
ottimale.
I prossimi punti vengono offerti come spunti per un ulteriore sviluppo
di relazioni positive e incoraggianti:
1. Nelle discussioni con gli alunni cerca di attenerti ai loro argomenti;
2. Cerca di trovare il tempo e di avere attenzione per ogni alunno;
3. Non ti preoccupare dei silenzi;
4. Impara i nomi propri degli alunni e utilizzali;
5. Rifletti ciò che senti essi provano e vogliono dire;
6. Evita di interrompere quando stanno parlando;
7. Ascolta più di quanto parli;
Di quando in quando riassumi quello di cui hai discusso. Un numero
di recenti studi sulla vita della classe ha indicato come in generale gli
alunni vengano incoraggiati in modo insufficiente dagli insegnanti. Il
sincero incoraggiamento di ciascun individuo ha la capacità di realizzare
quel senso di successo così necessario ad un apprendimento e una
crescita positiva. Apprendere è un processo dove si ottiene un risultato
e si lavora quindi per arrivare al passo successivo. Noi tutti abbiamo
diritto a crescere attraverso l’ottenimento di risultati. Come insegnanti
abbiamo la responsabilità di agevolarlo.
4. FEEDBACK: il processo del fornire informazioni ad una persona sul
suo comportamento e le relative conseguenze. È un aspetto vitale
della relazione fra insegnante e alunni ed aiuta gli alunni a crescere
nella consapevolezza del loro modo di influire sugli altri.
In un certo senso, ricevere feedback sul comportamento è tutto
ciò di cui si occupa l’istruzione. Come insegnanti e come genitori
lo forniamo ai ragazzi tutto il tempo anche se spesso con insufficiente
sensibilità per l’individuo che lo riceve. Come insegnanti dobbiamo
tenere a mente le qualità che rendono efficace l’apprendimento degli
alunni (vedi: “L’insegnamento centrato sulla persona”) e dobbiamo provare
a mettere in relazione il nostro fornire feedback con la personalità
ed i bisogni dell’individuo. Quando può contare su una relazione
“facilitativa” e di fiducia con il proprio insegnante, la maggior parte
degli alunni sarà disposta ad accettare di ricevere feedback ed
alcuni lo richiederanno consapevolmente.
Nel fornire feedback agli alunni è importante prestare attenzione
ai seguenti punti:
1. Dare una descrizione del comportamento la più concreta possibile.
2. Basare le descrizioni sull’osservazione e non sull’inferenza.
3. Affrontare il comportamento presente (qui ed ora) piuttosto che
ciò che è accaduto qualche tempo prima.
4. Lasciare spazio alle reazioni e alla rielaborazione attraverso la
discussione delle implicazioni di quanto osservato.
5. Fornire feedback su comportamenti con cui gli alunni sono in grado
di confrontarsi.
6. Sviluppare un modo di fornire feedback caldo, empatico e con interesse
per gli altri.
Il cercare di ottenere feedback riguardo ai propri comportamenti è
pure una parte vitale della crescita e dello sviluppo dell’insegnante.
La finestra Jo-Hari è un utile strumento per prendere in esame il
modo di insegnare e di interagire con gli alunni in classe. Diventare un
insegnante più efficace dipende in larga misura dal saper estendere
i limiti dell’area conosciuta dentro le aree nascoste e cieche. Ciò
richiede un potenziamento della nostra capacità di condividere con
gli alunni i nostri pensieri e sentimenti sui modi creativi in cui gli
alunni possono fornirci il loro feedback sul nostro comportamento in classe.
Un modo positivo ed efficace di ricercare feedback sul nostro comportamento
come insegnanti è quello di invitare un collega di cui ci fidiamo
a passare un po’ del suo tempo osservando la nostra classe mentre lavora.
Questa presenza non dovrebbe essere vista come una procedura di controllo,
ma piuttosto come un mezzo per scoprire di più sui nostri punti
forti e deboli sia a livello professionale sia a livello personale. Per
ottenere il massimo da questa esperienza l’insegnante che verrà
osservato deve identificare l’area di osservazione. L’area va definita
in modo preciso:
? durante la prossima ora potresti osservare quanto tempo dedico ad
ognuno degli alunni;
? durante questa lezione potresti prestare particolare attenzione al
modo in cui mi rapporto agli interrogativi degli alunni e verificare se
a te sembra che i loro bisogni vengano soddisfatti;
? quello che mi interessa sapere è fino a che punto sono riuscito/a
ad organizzare il lavoro di gruppo.
Questo tipo di approccio aperto all’esterno per quello che riguarda
il lavoro con gli alunni nella classe va incoraggiato. Ogni lezione è
un’opportunità nuova per imparare qualcosa di più sul come
divenire un “facilitatore” più efficace della crescita e dell’apprendimento
degli alunni.
Un modo utile e pratico per essere in relazione con i propri sentimenti
riguardo all’essere un insegnante è quello di utilizzare un questionario
simile a quello della sezione “Me stesso come insegnante”.
MONDIALITÁ E NUOVE TECNOLOGIE INFORMATICHE
Multimedia e scuole europee
La maggior parte dei sistemi scolastici nazionali dell’Unione Europea
sembra giá aver scelto o apprestarsi a mettere in moto questa seconda
ondata di informatizzazione delle strutture. A breve scadenza (si parla
del 2000-2002) avremo potenzialmente tutte le scuole con dotazioni multimediali
e collegamenti in rete (on-line). Avremo anche un processo di riflessione
e formazione adeguato a questo abbraccio ai nuovi media digitali? Fino
a che punto siamo consapevoli del modo in cui queste tecnologie interagiscono
con la nostra mente (e probabilmente accentuano la dicotomia corpo-mente
tipica della societá industriale)?
L’Unione Europea ha giá operato una netta scelta di campo e fin
dal 1995 ha detto a chiare lettere che intendeva colmare il ritardo rispetto
agli Stati Uniti sulla societá dell’informazione. A luglio del 1996
la Commissione Europea ha diffuso il Rapporto della Task Force “Educational
Software and Multimedia”, l’organo “interministeriale” cui é stato
affidato il compito di fare il punto della situazione e di indicare le
linee guida per l’immediato futuro. Vi si legge fra l’altro:
“Le tecnologie multimediali hanno dimostrato la propria efficacia pedagogica
in numerosi esperimenti pilota. Potranno essere utilizzate nella pratica
quotidiana dell’insegnamento solo se i processi di innovazione dell’insegnamento
saranno meglio recepiti sia delle istituzioni educative, sia dalla societá
nel suo complesso.” In che modo sará stata valutata l’efficacia
di queste azioni pilota? Abbiamo giá dei criteri di monitoraggio
e verifica comuni a livello europeo?
Piú recentemente, la Commissione ha pubblicato un Piano d’Azione
per il 1996-1998 intitolato “Apprendere nella societá dell’informazione”
che vede ancora una volta la cooperazione fra responsabili dell’industria
e dell’educazione e suggerisce quattro ambiti principali di intervento:
1. sostegno alla messa in rete delle scuole e all’innovazione dei progetti
educativi attraverso le tecnologie multimediali
2. sviluppo e disseminazione di “contenuti” educativi di interesse
europeo, per esempio stimolando la cooperazione fra canali televisivi,
editori multimediali e produttori di servizi educativi
3. formazione e sostegno agli insegnanti per l’utilizzo delle tecnologie
multimediali all’interno della pratica di insegnamento
4. creazione di un forum per la circolazione di informazioni relative
alle tecnologie multimediali, tanto attraverso Intenet che attraverso i
media tradizionali.
Si impone sempre più l’esigenza di confrontarci con i nuovi ruoli
che l’introduzione di queste nuove tecnologie riserva all’insegnante e
all’educatore in genere e soprattutto con la domanda chiave: Che cosa vogliono
i bambini dal computer? A questo proposito proviamo a sentire alcune risposte
collezionate dalla Microsoft: “Un replay della memoria, poter rivivere
i momenti piú belli della mia vita; che trasformi le parole dette
in parole scritte; poter vedere il mondo con gli occhi di un’altra
persona; farmi vedere giá grande; ricreare piante e animali estinti”
(da “Confucio nel computer”, di Furio Colombo, Rizzoli, 1996). Il computer
rende estremo, soprattutto nei frequentatori piú giovani il senso
di identitá é la conclusione, tutt’altro che priva di conseguenze,
di Furio Colombo. In che modo il computer e l’accesso alle nuove tecnologie
dell’informazione contribuirà inoltre a definire la mappa dell’emarginazione
a livello europeo e planetario?
Forse non manca molto all’introduzione nei nostri atlanti tematici della
descrizione dell’accesso (o meno) e della qualitá delle linee telefoniche
e dei collegamenti Internet nelle diverse regioni del globo. Anche senza
allontanarsi dall’Europa, é interessante notare come queste nuove
tecnologie favoriscano, almeno per il momento, i membri storici dell’Unione
Europea, paesi dove si riscontra una media di 11 interruzioni telefoniche
all’anno ogni cento linee, mentre la Grecia (ma in generale i paesi
mediterranei) arrivano anche a cinque volte tanto. Ma é fra Nord
e Sud del mondo che le nuove tecnologie dell’informazione potrebbero scavare
un fossato ancora piú profondo di quello di cui siamo testimoni
oggi.
Sord-Nud?
Apparentemente Internet offre maggiori occasioni e strumenti di comunicazione
Nord-Sud. Fra gli esempi positivi, per esempio livello delle organizzazioni
non governative di cooperazione allo sviluppo, vale la pena di conoscere
da vicino le attivita di APC (Association for Progressive Communication,
www.apc.org), un’organizzazione che sostiene attivamente (e per quanto
possibile con tecnologie appropriate le organizzazioni locali e internazionali
di cooperazione allo sviluppo e che ha saputo assumere un ruolo di primo
piano nelle ultime conferenze internazionali sui temi dello sviluppo e
dell’ambiente.
Ma Internet é anche fonte di informazioni aggiornate su quasi
tutte le aree geografiche. Vediamo per esempio tre indirizzi:
------------
? LANIC (lanic.utexas.edu/) con informazioni sul continente latinoamericano;
? SOUTH ASIA RESOURCES (www.lib.virginia.edu/area-studies/SouthAsia/southAsia.html)
? AFRICA ON-LINE (www.africaonline.com/).
Non sorprenderá i piú che questi ed altri siti sono in
genere gestiti da organizzazioni con sede negli Stati Uniti. Persino il
sito degli zapatisti messicani con i comunicati e le poesie del Comandante
Marcos non sono certo messi “on-line” dalla Selva Lacandona, ma piuttosto
dal server di un’universitá statunitense (con una pagina intitolata
naturalmente “Ya basta!”). Questo nulla toglie ai servizi che questo eccellente
server ha reso alla diffusione di notizie ed appelli per il rispetto dei
diritti umani.
Il problema piú scottante messo in evidenza é quello di
un’accresciuta distanza dra Nord e Sud del mondo. Vediamo qualche dato
esemplificativo:
? Almeno l’80% della popolazione mondiale non dispone dei servizi telefonici
di base.
? Il prezzo di un modem in India é quattro volte superiore al
prezzo di un modem negli Stati Uniti.
? La velocitá di connessione di un modem in Costa d’Avorio puó
raggiungere al massimo 9.600 bits al secondo.
? In termini reali, l’accesso ad Internet costa in Indonesia dodici
volte piú che negli Stati Uniti.
? Alcuni governi, per esempio in Cina, Singapore e Vietnam stanno giá
applicando la censura al flusso delle informazioni disponibili su Internet.
Per che vuole approfondire la dimensione regionale di questi squilibri
puó risultare molto interessante la lettura di un recente rapporto
del Panos Institute intitolato “The Internet and the South: Superhighway
or Dirt-Track?” (disponibile anche all’indirizzo http://www.oneworld.org/panos).
Per cominciare, l’accesso a Internet era limitato nel 1996 a circa 110
paesi. 50 altri paesi hanno un semplice accesso alla posta elettronica
( o e-mail). Le aree “escluse” sono soprattutto il sud-est asiatico e l’Africa.
E anche quando sono incluse: chi si puó permettere oltre duecentomila
lire di abbonamento mensile ad Internet in Tanzania?
In genere, si concorda su un dato: chi non riesce a stare al passo e
a trarre vantaggio dalla “rivoluzione” delle tecnologie dell’informazione
ne subirá gli effetti negativi. Si fa eco alle profezie di Negroponte:
o dentro le nuove tecnologie o marginalizzati ad affrontare la recessione
economica. Ma non mancano anche esempi positivi riguardo ai rapporti Nord-Sud
e alle nuove tecnologie informative: pensiamo alle reazioni per l’assassinio
di Chico Mendes generate dai messaggi di posta elettronica mirati delle
organizzazioni di base brasiliane o al dibattito che con lungimiranza Vandana
Shiva ha attivato sul rispetto (o meno) degli impegni presi dai governi
a Rio nel 1992, riuscendo a metter indifficoltá persino gli Stati
Uniti. Piú recentemente, ecco l’Earth Market Place, il progetto
di informazione e ricerca che (sembra con successo) facilita la comunicazione
fra gli agricoltori del Sud e i consumatori del Nord. Il mondo della politica
e dell’economia sembra aver scelto con circospezione la rete. Il mondo
dell’educazione ci si é giá buttato a capofitto. Strategia
di marketing? Per il momento le famiglie con computer e modem sono il 2%
in Francia, il 5% in Germania e l’8% in Gran Bretagna. Nell’Unione Europea
ci sono 320.000 di scuole (e potenzialmente la capacitá di arrivare
a quasi tutti i consumatori): ci si occuperá solo della percentuale
di scuole europee on-line o anche del loro nuovo ruolo in una rete che
comincia ad assomigliare pericolosamente al mondo reale?
Di fronte a queste sfide assume ancora maggior importanza un adeguamento
delle politiche di educazione interculturale sia a livello dei progetti
e degli scambi internazionali, sia a livello locale. Vediamo alcuni concetti
chiave nelle parole di esperti del settore.
VIRTUALE
Che cosa intende per virtuale?
(Levy)Credo che sia importante sottolineare, in primo luogo, che virtuale
non è il contrario di reale: un oggetto virtuale non è qualcosa
di inesistente; ciò che è virtuale esiste senza esser là,
esiste senza avere, perciò, delle coordinate spazio-temporali precise.
Si può fare un esempio molto semplice: la parola 'albero' o la parola
'virtuale', non si può dire dove siano. Sono nella lingua, ma dov'è
la lingua? E' in uno spazio virtuale. Viceversa, una parola si attualizza
ogni volta che qualcuno la pronuncia, ogni volta che qualcuno la scrive,
si attualizza ogni volta con un senso diverso in un contesto diverso. In
questo senso, il virtuale è qualcosa che esiste potenzialmente,
con possibilità di attualizzazione inventiva. A mio avviso il virtuale
è assolutamente costitutivo dell'umano, poiché l'essere umano
non vive semplicemente; vive anche in un mondo virtuale: il mondo del linguaggio,
il mondo dell'organizzazione sociale complessa
Esiste un'identità nella vita reale e una quando si è
collegati, oppure l'identità si sceglie man mano che cambiano spazio
e tempo?
(Rheingold) La comunicazione online ha effetti diversi rispetto ad altre
forme di comunicazione. Noi tutti utilizziamo identità diverse nella
vita quotidiana; si hanno identità diverse a seconda che ci si trovi
con i propri genitori, con il proprio coniuge, con il collega di lavoro,
oppure con uno sconosciuto. Siamo tutti abituati nel presentare facce diverse,
maschere diverse per gente diversa. Con il collegamento è possibile
creare diverse identità: se si è un uomo si può diventare
una donna, se si è adolescente si può fingere di essere adulto.
Quando si hanno dodici anni e si è particolarmente intelligenti
risulta difficile farsi ascoltare dagli adulti; in Rete, gli stessi adulti
possono pensare che si è un professore o un esperto perché
non possono sapere la reale età dell'interlocutore. Tutti questi
vantaggi possono anche diventare svantaggi: è facile prendersi gioco
della gente, e se si pensa di comunicare con un adulto e si realizza di
parlare con un dodicenne o con un uomo mentre si pensava di discutere con
una donna, non ci si sente molto bene, in seguito; ci si sente, in qualche
modo, traditi. La gente utilizza l'abilità di mascherarsi per divertimento.
Ci sono delle comunità conosciute come MUD, ossia multi-users dungeons,
nelle quali si assumono ruoli diversi: ci sono principi e principesse,
draghi e maghi. Invece di andare al cinema o di leggere un libro per divertirsi,
lì, le persone creano il loro proprio film, il proprio libro nel
quale giocano i loro rispettivi ruoli. In queste particolari comunità,
la gente capisce che deve assumere ruoli diversi. Ci possono essere altre
discussioni, anche molto serie, nelle quali i partecipanti non capiscono
che altri possano avere opinioni politiche molto diverse rispetto alle
loro. Entriamo, così, nel mondo online, dove la propria identità
è molto più malleabile rispetto alla vita reale. Come, ciò,
influenzerà il modo in cui ci sentiamo?
GLOBALIZZAZIONE
Lei crede che, in futuro, assisteremo a una globalizzazione della cultura
a scapito delle culture locali proprio attraverso le nuove tecnologie?
(Maldonado) Oggi si parla molto di globalizzazione; cominciamo con il
dire che essa ha tre componenti. La prima è la globalizzazione economica,
che consiste nella possibilità di accedere senza confine a tutti
i mercati possibili e non solo al mercato delle merci ma anche a quello
del lavoro, in una maniera al di fuori di ogni limite; questo è
l'aspetto più clamoroso del fenomeno Internet; in secondo luogo
emerge l'aspetto della globalizzazione tecnologica, nella quale è
insita l'evoluzione del concetto di globalizzazione e di tutti gli strumenti
che consentono la comunicazione telematica. Questa componente è
la base tecnica strumentale del fenomeno della globalizzazione. In ultima
analisi emerge la globalizzazione culturale; non si può parlare
di globalizzazione dei mercati senza avere un'idea di globalizzazione tecnica
e globalizzazione culturale. Naturalmente, la globalizzazione economica
può essere discussa, è un argomento che molti economisti
criticano o cercano di vederne il limite; altri, invece, enfatizzano la
sua importanza straordinaria nel nostro secolo, e lo stesso dibattito emerge
per quanto riguarda la parte tecnologica del concetto di globalizzazione.
Per quanto riguarda la globalizzazione culturale, noi tutti dobbiamo sollevare
una seria riflessione e essere molto vigili sui processi in atto, perché
globalizzazione culturale significa egemonia di una determinata cultura;
d'altra parte, non è tanto misteriosa questa cultura: è quella
americana, evidentemente, poiché nella cultura statunitense c'è
un'omologazione generale, così come accade con Mc Donald! Non si
parla di "mc donaldizzazione"? Con Internet non si è ancora arrivati
a tale diffusione mondiale, è un fenomeno ancora piuttosto limitato
e coinvolge un certo settore della popolazione mondiale; pertanto non dobbiamo
esagerare sulla sua importanza immediata, tuttavia, questi sono problemi
che dovremo affrontare nel futuro e rifletterci sopra lo ritengo necessario.
Con le nuove tecnologie non si corre il rischio della deterritorializzazione,
nel senso della scomparsa dei luoghi fisici per la realizzazione di una
relazione? Oggi, con la virtualizzazione dei rapporti, a che rischi si
va incontro?
(Levy) Questa storia dei luoghi fisici è molto importante, molto
interessante. Si immagina comunemente che ci sia un solo spazio reale,
lo spazio fisico e geografico; questo è falso, perché esiste
un gran numero di spazi: c'è lo spazio fisico e geografico, c'è
lo spazio affettivo. Se non le dispiace, mia moglie mi è più
vicina, nello spazio affettivo, anche se in questo momento è a Parigi,
di lei che è a due metri da me. Lo spazio affettivo non coincide
con lo spazio fisico e lo spazio semantico, a sua volta, può essere
differente dallo spazio affettivo e dallo spazio territoriale. Esiste un
gran numero di spazi sovrapposti gli uni agli altri; se non ho alcuna relazione
economica con il mio dirimpettaio, perché non gli vendo e non gli
compro niente, ma faccio invece commercio internazionale con uno che si
trova a Hong Kong, nello spazio economico sono più vicino a Hong
Kong che al mio dirimpettaio.
Ora, quando tutti erano contadini e abitavano in piccoli alloggi, lo
spazio fisico, geografico, territoriale era identico allo spazio affettivo:
tutti quelli che si potevano conoscere, che si potevano amare, appartenevano
al villaggio. Lo stesso si dica dello spazio economico, perché non
si potevano avere relazioni economiche che con la gente del proprio villaggio.
Dunque, un tempo c'era una sovrapposizione di spazi, mentre tutta l'evoluzione
sociale, da due o tre secoli a questa parte, va verso una dissociazione
degli spazi gli uni rispetto agli altri. Quello che avverrà con
lo sviluppo della cybercultura è un prolungamento di questo processo
di dissociazione. Ma bisogna comprendere che, in effetti, la cybercultura
realizza un avvicinamento delle persone: avvicina coloro che si muovono
nella stessa sfera di interessi; nel cyberspazio, queste persone possono
contattarsi realmente. Non c'è perdita della realtà o perdita
del territorio o perdita del corpo! La perdita, in un certo senso, è
nella dissociazione degli spazi gli uni in rapporto agli altri. La verità
è che lo spazio fisico non corrisponde più allo spazio economico,
allo spazio semantico, allo spazio relazionale.
RETE, MULTIMEDIA E EDUCAZIONE
E' importante far utilizzare il computer ad un bambino?
(Gage) E' importante fare utilizzare i computer ai bambini, perché
sono loro che creeranno le nuove idee, le nuove società e la nuova
economia. La generazione che cresce nell'era dei computer si confronta
con un linguaggio e un modo di percepire il mondo diverso dalle vecchie
generazioni; il computer crea un genere di letteratura, per esempio, che
non è accessibile a quanti di noi non vivono nel mondo della rete.
Per chi ne fa uso, si tratta di una esperienza che genera una nuova costruzione
letteraria: libri collegati tra loro, frasi collegate, pensieri collegati.
L'intero sistema informatico diventa una biblioteca più complicata
di quella che ha descritto Umberto Eco. In questa prospettiva, la questione
più importante è quella di fornire una via d'accesso ai bambini,
in modo che possano venire coinvolti in tutto questo. Ogni classe, in Italia,
dovrebbe essere fornita di un accesso per ogni alunno. Gli strumenti per
realizzare ciò, in passato, costavano duemila o tremila dollari:
troppo. Questi prezzi sono scesi. e macchine per i videogiochi, come Sega
e Nintendo, sono computer di rete molto potenti: collegati in rete daranno
accesso a tutte le biblioteche del mondo. Gli studenti dovrebbero usare
questa nuova finestra per entrare nelle biblioteche di tutto il mondo,
accesso reso disponibile da un computer collegato in rete. Quando il prezzo
di questi computer arriverà a dieci dollari - cosa che avverrà:
i telefoni cellulari negli Stati Uniti si vendono a cinque o dieci dollari-
tutti potranno permettersi di avere a casa il computer. Una volta che si
è stabilito il modo di collegare gli studenti tra loro, la domanda
che ci porremo sarà: se abbiamo un nuovo strumento per produrre
letteratura, chi crea le nuove opere letterarie? Chi scrive, chi legge,
chi disegna, chi comunica?
Quali sono le opportunità offerte dalle nuove tecnologie nell'ambito
dell'educazione?
(Rheingold) Le nuove tecnologie, le nuove industrie e i nuovi modi di
vivere arrivano così velocemente che quello che si è imparato
a scuola, o quello che è stato versato nella testa dello studente,
diventa obsoleto entro il diploma. Oggi, per preparare gli studenti ad
essere cittadini in un mondo che cambia rapidamente, affetto dalle tecnologie,
nel quale i ruoli cambiano più rapidamente di quanto siamo abituati,
è importante insegnargli a pensare per se stessi, a pensare criticamente
ed insegnare loro come imparare a muoversi. Molti genitori e molte
società non vogliono trattare i bambini come gli adulti, non vogliono
insegnare loro a pensare criticamente. Un altro grande problema è
che (…) la scuola è una parte della società dalla quale dipendiamo
tutti ma non siamo d'accordo nell'aiutarla a crescere, quando ciò
implica un impegno economico. L'educazione è in crisi e alcuni pensano
che aggiungendo tecnologia tutto si risolverà. Oggi sono arrivati
Internet e i computer, strumenti che creano un vantaggio didattico eccezionale.
Nelle piccole scuole, lontane dai centri metropolitani, dove è difficile
viaggiare d'inverno, può darsi che ci sia una piccola biblioteca.
Uno studente o un gruppo di studenti brillanti, forse più intelligenti
del loro professore, saranno limitati alle risorse della piccola biblioteca.
Avendo una connessione ad Internet, questi possono accedere alle più
grandi biblioteche del mondo. Avrebbero accesso a più informazioni
e a più sapere di quanto ne potrebbero mai avere dalla loro piccola
biblioteca. Ancora più importante, avrebbero un contatto diretto
con i professori e con altri studenti che possono dar loro un aiuto per
imparare insieme. Se si tratta di uno studente di matematica avanzata,
egli potrà studiare con qualcuno del MIT, anche se si trova in una
piccola città australiana. Esistono modi di utilizzare il computer
per costruire simulazioni e per utilizzare modelli grafici che permettono
agli studenti di studiare molto più attivamente che con la vecchia
lavagna. Tuttavia, aggiungere Internet e i computer nelle aule non garantisce
che tutti sappiano utilizzarli. I professori devono essere formati e devono
esserci fondi per la formazione continua. Inoltre, questi strumenti necessitano
di una manutenzione tecnica, necessaria quasi ogni giorno. Molto spesso
le scuole dispongono di fondi per l'acquisto di computer e per la connessione
Internet ma non per la formazione e per l'assistenza. Bisogna, dunque,
destinare una parte del budget alla formazione e all'assistenza. Non penso
valga la pena utilizzare un nuovo strumento per continuare con vecchie
tecniche educative; se si utilizza il computer per collaborare, allora
credo che Internet rappresenti un'opportunità fantastica per l'educazione.
Basti guardare i migliori professori in tutto il mondo che hanno trovato
il modo di utilizzare al meglio la Rete per insegnare ed imparare. Queste
opportunità andranno perdute se non si inizia a pensare realmente
alla tecnologia e all'educazione: dobbiamo capire che aggiungere tecnologia
al sistema scolastico non risolverà il più ampio problema
sociale dell'educazione nella nostra società".
Anche il ruolo della scuola è molto importante per trovare lavoro
o aiutare le persone che restano escluse dall'uso delle nuove tecnologie.
Lei pensa che la scuola, l'educazione possa avere un ruolo in questo settore?
(Levy) Sì, forse. Dico una cosa poco originale, ma credo che,
contrariamente a quello che si pensa, lo sviluppo del cyberspazio non rappresenta
affatto la fine della lettura e della scrittura, ma, al contrario, mostra
che scrittura e lettura sono sempre più importanti. Che cosa si
fa quando si naviga su Internet o quando si usa la posta elettronica? Si
legge e si scrive, molto più di quanto non si guardino le immagini.
La scuola primaria, la scuola elementare nel suo ruolo d'insegnamento della
lettura e della scrittura è assolutamente fondamentale perché,
in fondo, ogni esclusione concernente il rapporto con il sapere comincia
là, comincia quando non si potenziano gli strumenti di base della
comunicazione scritta; non si tratta soltanto di sapere leggere e scrivere,
ma anche di sapersi servire di un dizionario, sapersi servire di un indice,
sapersi orientare in un centro di documentazione. Le operazioni cognitive
che ho enunciato possono essere perfettamente usate anche per orientarsi
nel cyberspazio o nel World Wide Web e nelle nuove condizioni ambientali
informatizzate.
Quale può essere il suo consiglio pratico ad un professore che
ha la possibilità di usare i nuovi media?
(Landow) Gli studenti devono cominciare ad usare i nuovi media molto
giovani, dunque durante il corso di studi che precede l'università.
Ma, di nuovo, quando parlo dei nuovi media, mi interessa, nel complesso,
l'ipertesto come immagine testuale più che come immagini in movimento.
Michael Joyce, il teorico dell'ipertesto, programmatore e scrittore di
ipertesti narrativi, ha sostenuto varie volte che l'ipertesto è
la vendetta del testo sulla televisione. Io penso che molti dei nuovi media
cerchino, in realtà, di tenere sotto controllo quella modalità
di trasmissione, mentre il grande valore educativo dell'ipertesto sta nell'offrire
a chi impara ciò che desidera imparare quando vuole impararlo; esso
è rivolto a chi impara. L'ipertesto didattico e le cose migliori
dei nuovi media didattici sono ambienti di apprendimento, non di insegnamento.
Questo tipo di attivazione dello studente in maniera costruttiva deve predominare
se vuole essere efficiente! Non penso, inoltre, che il video, la trasmissione
televisiva siano il sistema più efficiente per far apprendere, poiché
immettono gli studenti nelle stesse vecchie grandi aule per ascoltare qualcuno
che - per quanto brillante sia - parla loro 'dall'alto'. Certo, ascoltare
è importante e necessario, ma è molto più importante
se lo studente agisce per ottenere un risultato; si impara molto di più
quando si fa qualcosa. Una cosa che ho scoperto è che gli studenti
scrivono molto meglio quando sanno che stanno scrivendo per un altro lettore;
appena vengono a conoscenza del fatto che il loro lavoro verrà letto
da altri studenti o da persone in altre parti del mondo, vi tornano sopra
per migliorarlo. Questo è un esempio di conseguenza positiva, involontaria
dello scrivere per un ambiente collegato in rete. L'abitudine di pensare
ad un modello di trasmissione televisiva come ad una cosa suprema è
molto pericoloso per i nuovi media. Stiamo parlando di cose come la push
technology, per la quale uno accende il proprio computer collegato a WWW
e questo diventa una specie di televisore attraverso cui gli vengono "lanciate"
le informazioni. Penso che ci sia sempre bisogno della televisione; tuttavia,
per quanto riguarda l'insegnamento penso che sia necessario che gli studenti
facciano scelte e guidino questi media. Ciò non significa che questi
ultimi si debbano limitare a giocherellare senza scopo, viceversa, devono
avere dei compiti che li rendano attivi, sia per scoprire sia per produrre
conoscenza. Le persone non vanno in biblioteca e non usano materiale didattico
ed educativo senza scopo, lo fanno perché hanno da svolgere un compito
o hanno uno scopo o vogliono imparare qualcosa.
IPERTESTI
Qual è la sua definizione di ipertesto?
(Landow) Definirei l'ipertesto come qualsiasi forma di testualità
- parole, immagini, suoni - che si presenti in blocchi o lessie o unità
di lettura collegati da link. Si tratta, essenzialmente, di una forma di
testo che permette al lettore di abbracciare o di percorrere una grande
quantità di informazione in modi scelti dal lettore stesso, e, nel
contempo, in modi previsti dall'autore. Se dovessi definire l'ipertesto
con una o due frasi, direi che l'ipertesto è una forma di testo
composta da blocchi di "scrittura" e immagini collegati da link, che permette
una lettura multilineare: non una lettura non lineare o non sequenziale,
ma una lettura multisequenziale.
Come usa i nuovi media e gli ipertesti nella sua attività di
insegnante?
(Landow) Ci sono tre modi in cui io ho usato e continuo ad usare l'ipertesto
nell'insegnamento. Il primo è come grande biblioteca elettronica
o strumento di riferimento attraverso cui gli studenti possono contestualizzare
una determinata opera o fenomeno letterario e scoprire cosa succedeva nella
società, nella teoria politica, nella critica letteraria, nell'economia,
a quel tempo. Il secondo modo è quello di usare l'ipertesto nella
sua forma più dinamica come un ambiente di lavoro collaborativo
che cambia continuamente; ogni studente può aggiungere il proprio
testo alla biblioteca elettronica, cosicché gli studenti diventano
automaticamente parte del testo. Ci si ritrova, in questo modo, ad aver
creato una specie di appendice riassuntiva del corso. Certi corsi - quelli
che in America chiamiamo "course", ovvero una serie di conferenze - riuniscono
attorno a sé persone che, magari, si sono laureate una decina d'anni
prima ma fanno ancora parte del seminario. Si può, infine, usare
l'ipertesto nell'insegnamento per sviluppare modi di scrittura, moduli
retorici, per imparare come argomentare e come scrivere sia una prosa creativa
e discorsiva nell'ambiente elettronico, sia in maniera ipertestuale ma
facendo riferimento ad altre forme di testo digitale. Ci sono molti testi
digitali nel WWW che non sono propriamente ipertestuali; c'è narrativa
ipertestuale nella rete e c'è una narrativa digitale vera e propria
che consiste in lunghissime sequenze di testo con animazioni, suoni e colori
che non si potrebbero avere in un libro ma che, tuttavia, non hanno le
ramificazioni proprie dell'ipertesto".
Quale può essere il suo consiglio pratico ad un professore che
ha la possibilità di usare i nuovi media?
(Landow) Gli studenti devono cominciare ad usare i nuovi media molto
giovani, dunque durante il corso di studi che precede l'università.
Ma, di nuovo, quando parlo dei nuovi media, mi interessa, nel complesso,
l'ipertesto come immagine testuale più che come immagini in movimento.
Michael Joyce, il teorico dell'ipertesto, programmatore e scrittore di
ipertesti narrativi, ha sostenuto varie volte che l'ipertesto è
la vendetta del testo sulla televisione. Io penso che molti dei nuovi media
cerchino, in realtà, di tenere sotto controllo quella modalità
di trasmissione, mentre il grande valore educativo dell'ipertesto sta nell'offrire
a chi impara ciò che desidera imparare quando vuole impararlo; esso
è rivolto a chi impara. L'ipertesto didattico e le cose migliori
dei nuovi media didattici sono ambienti di apprendimento, non di insegnamento.
Questo tipo di attivazione dello studente in maniera costruttiva deve predominare
se vuole essere efficiente! Non penso, inoltre, che il video, la trasmissione
televisiva siano il sistema più efficiente per far apprendere, poiché
immettono gli studenti nelle stesse vecchie grandi aule per ascoltare qualcuno
che - per quanto brillante sia - parla loro 'dall'alto'. Certo, ascoltare
è importante e necessario, ma è molto più importante
se lo studente agisce per ottenere un risultato; si impara molto di più
quando si fa qualcosa. Una cosa che ho scoperto è che gli studenti
scrivono molto meglio quando sanno che stanno scrivendo per un altro lettore;
appena vengono a conoscenza del fatto che il loro lavoro verrà letto
da altri studenti o da persone in altre parti del mondo, vi tornano sopra
per migliorarlo. Questo è un esempio di conseguenza positiva, involontaria
dello scrivere per un ambiente collegato in rete. L'abitudine di pensare
ad un modello di trasmissione televisiva come ad una cosa suprema è
molto pericoloso per i nuovi media. Stiamo parlando di cose come la push
technology, per la quale uno accende il proprio computer collegato a WWW
e questo diventa una specie di televisore attraverso cui gli vengono "lanciate"
le informazioni. Penso che ci sia sempre bisogno della televisione; tuttavia,
per quanto riguarda l'insegnamento penso che sia necessario che gli studenti
facciano scelte e guidino questi media. Ciò non significa che questi
ultimi si debbano limitare a giocherellare senza scopo, viceversa, devono
avere dei compiti che li rendano attivi, sia per scoprire sia per produrre
conoscenza. Le persone non vanno in biblioteca e non usano materiale didattico
ed educativo senza scopo, lo fanno perché hanno da svolgere un compito
o hanno uno scopo o vogliono imparare qualcosa".
CENSURA
Cosa pensa della censura in rete?
(Ortoleva) Anche la censura in rete è un problema complesso,
quindi, cercherò di essere brevissimo. Ci troviamo qui di fronte
a due posizioni molto schematiche, contrapposte, una che dice: nessuna
censura; l'altra dice: aiuta i bambini. In realtà, il problema è
in parte simbolico, in parte reale. In parte simbolico nel senso che, di
fronte a un nuovo mezzo di comunicazione, per di più pervasivo e
potente, una delle prime reazioni è preoccuparsi delle conseguenze
psichiche, morali che potrà determinare. E, tipicamente, in questi
casi, si ha paura per le giovani generazioni. Se noi vediamo i report famosi
degli anni Venti negli Stati Uniti, su quello che il cinema provocava nei
bambini, troviamo esattamente quello che si dice, adesso, sul videogame
da una parte e su Internet dall'altra. Secondo questi report il cinema
rendeva epilettici i bambini, era un luogo dove venivano adescati da adulti
senza scrupoli. Le stesse cose che sentiamo ora di Internet. Quando arriva
un nuovo medium c'è una preoccupazione, non incomprensibile, per
gli effetti incontrollati che può provocare. La sensoria, naturalmente,
è una facile, e corrisponde alla censura. In fondo, l'idea di curare
l'alcolismo col proibizionismo, è americana. Il proibizionismo è
stata una risposta sbagliata, ma il problema era giusto. In rete circolano
messaggi spaventosi, il problema è come combatterli. La censura,
a mio avviso, non funziona. Sostenere, viceversa, che tutte le idee devono
essere libere, significa riconoscere lo status di idee a cose che sono
immondizia pura. Ma non si tratta di censurarle, si tratta di capire se
è possibile combattere delle battaglie di idee contro le idee sbagliate.
Questo, invece, è ciò a cui stiamo sempre di più rinunciando,
perché siamo in una società della permissività più
che in una società del dibattito.
Navigare su Internet può anche essere pericoloso per i ragazzi.
Vorrei, a questo proposito, sapere cosa pensa del controllo di accesso
a Internet.
(Gage) La questione più difficile riguardo all'educazione è
cosa si insegna. Quando lo studente finisce la scuola dovrà fare
delle scelte, ed è importante, per lasciare un accesso libero ad
Internet, dare la possibilità alle persone di imparare a scegliere.
Gli studenti che sono troppo giovani per avere dei riferimenti hanno bisogno
dell'aiuto dei loro genitori, della famiglia, dei loro insegnanti, della
loro chiesa. Tutte queste influenze che guidano i nostri gusti devono essere
applicate all'uso di Internet. Ci sono dei mezzi tecnici per bloccare pagine
di cui si sa già che sono dannose, come i sexy-show dal vivo ad
Amsterdam. Sappiamo subito che non è una cosa che un bambino dovrebbe
vedere. Più difficili da bloccare, invece, sono le persone che dicono
cose false. In questo caso abbiamo bisogno della presenza costante di studenti
e insegnanti che lavorino insieme per scoprire, e per questa ragione è
così importante che il collegamento in rete avvenga nelle scuole
dove c'è controllo da parte degli insegnanti che guidano a scegliere,
o nelle case dove i genitori dovrebbero assolvere a questa funzione. Molto
spesso questi ultimi lasciano guardare la televisione ai ragazzi senza
controllare ciò che guardano, e questa libertà, in realtà,
può essere pericolosa. C'è sempre stato il dibattito sull'arte
come potenziale fonte di danno per i giovani. Personalmente penso che potendo
avere accesso a qualsiasi informazione si impari presto che cosa ha valore
per noi; si impara crescendo quali sono le cose su cui vogliamo perdere
tempo e cosa può avere valore per gli altri; si dovrebbe avere accesso
a tutto. La biblioteca di Umberto Eco ha delle sezioni con libri che la
Chiesa ha proibito a chiunque di leggere; la Chiesa ha tuttora un elenco
di opere che ritiene inopportune per i credenti.
PRIVACY
La privacy è un problema etico che va affrontato in questa società
dell'informazione.
(Levy) Da questo punto di vista non c'è nulla da temere visto
che abbiamo già il peggio! In ogni caso, già esistono dei
software che percorrono la rete senza tregua e che registrano tutto quello
che succede nel Web o nei newsgroup. Tutto viene analizzato sistematicamente
e riportato in immense banche dati dei servizi segreti americani. Mi chiedo
cosa facciano di tutte queste informazioni! Bisogna anche sapere che un
individuo medio generalmente esiste in più di duecento schede nominative.
Oggi esistono metodi per recuperare queste diverse schede, anche se, ovviamente,
le legislazioni nazionali cercano di impedirlo. Tutto ciò già
esiste e mi chiedo cosa cambierà per noi. Solo con le carte di credito
possiamo sapere tutto ciò che si compra registrando gli spostamenti
dell'utente sul WWW e leggendo la posta elettronica. C'è un modo
di rendere l'individuo completamente trasparente, molto più di prima,
e di questo bisogna esserne veramente coscienti. Ecco perché, innanzi
tutto, bisogna tenere duro sull'aspetto legale. Sul piano tecnico siamo
completamente trasparenti e l'individuo deve essere assolutamente protetto
legalmente. D'altra parte, ci sono delle possibilità tecniche per
proteggere la vita privata come con i sistemi di criptaggio; io sono d'accordo
per lo sviluppo e la libertà di utilizzo di questi sistemi che fanno,
in qualche modo, da contrappeso allo straordinario potere di coloro che
potrebbero avere tutta l'informazione disponibile di un individuo.
COMUNITA’ VIRTUALI
In che modo le comunità virtuali si differiscono da quelle reali?
(Rheingold) Il vantaggio delle comunità virtuali è nel
poter incontrare persone che dividono i nostri stessi interessi, anche
se questi ultimi sono singolari, e, normalmente, di difficile condivisione,
come l'interesse all'allevamento di una razza canina rara, per esempio;
si possono trovare, in una comunità virtuale, persone disposte a
parlare di qualsiasi argomento. Su Internet si possono incontrare persone
che dividono i nostri interessi anche se si trovano in paesi lontani: partecipa
a questo scambio gente proveniente da centinaia di paesi diversi! Uno dei
vantaggi di Internet è che non si deve essere perennemente collegati
per conversare; tramite l'utilizzo della bacheca si può lasciare
un messaggio e tornarci più tardi per controllare le risposte. Alcune
conversazioni durano settimane o mesi, addirittura anni; in questo "luogo"
si trascendono tempo e spazio, poiché non si deve essere tutti collegati
contemporaneamente e nello stesso posto. Inoltre, molti pregiudizi cadono
poiché non necessariamente si conosce l'età o il sesso o,
ancora, l'appartenenza ad una cultura dell'interlocutore. Sono molte le
barriere comunicative che vengono meno con questo medium. Tuttavia, esistono
anche degli svantaggi in questa forma di comunicazione; intanto, non si
ha una persona reale di fronte a sé e, probabilmente, non la si
incontrerà mai. Ecco perché, forse, non si avrà lo
stesso senso di responsabilità che si ha con il vicino di casa.
In secondo luogo, è facile, una volta collegato, mascherare la propria
identità fingendo di essere qualcun altro. Le persone poco gentili
possono fingere di esserlo e viceversa. Alcuni cercano di ingannarci in
comunicazioni sociali o economiche per le quali è possibile non
sentirsi preparati.
CITTADINANZA ATTIVA
L'uso e la possibilità di accedere alle nuove tecnologie, in
fondo, potrebbe allargare la frattura, in futuro, fra i paesi del Nord
e quelli del Sud del mondo, ma anche fra generazioni...
(Ortoleva) Il problema, senza alcun dubbio, esiste, perché le
tecnologie, in particolare quelle informatiche, non sono equamente distribuite.
Rischiamo, però, di assistere a una sorta di dibattito ripetitivo
se da una parte alcuni ci ricordano il dato materiale della scarsa equità
nella distribuzione delle tecnologie, e altri, invece, insistono sulla
facilità di accesso all'uso delle stesse. Il problema, io credo
che sia un poco più complesso e che riguardi, fondamentalmente,
non solo e non tanto l'uso immediato di queste tecnologie, quanto il controllo
complessivo di rete. Quando dico che c'è un problema di democrazia
sulle tecnologie, intendo sostenere che oggi, la scelta di determinate
tecniche, addirittura la forma che si dà alle reti, sta diventando
uno dei problemi politici fondamentali della società contemporanea,
perché, nella sostanza, a seconda della forma che si dà alla
rete, si stabilisce qual è il centro e qual è la periferia
della società stessa; in futuro, il fatto di essere in una zona
ben connessa o meno ben connessa potrà essere veramente un problema
fondamentale, così come potrà essere un problema davvero
fondamentale quello di avere la possibilità, per esempio, di accesso,
oltre che alla rete di telecomunicazione, a una rete di trasporti funzionante,
perché la società delle telecomunicazioni, contrariamente
all'apparenza, rende maggiore, non minore, il bisogno di trasporto. E in
una situazione in cui si dispone di tutte le telecomunicazioni possibili,
ma non si possono utilizzare, si è, in realtà, tagliati fuori
anche più di prima. Da questo punto di vista qual è il nodo,
chi decide la forma della rete? Questo è un problema politico, insisto,
fondamentale, che però non viene presentato come problema politico,
ma come problema banalmente tecnico. Solo una cittadinanza che può
capire che le scelte tecnologiche sono scelte di portata politica è
in grado di intervenire in questo complesso dibattito. Per ora non vediamo
l'ombra di tale dubbio, interrogativo, in nessun paese.
PERCORSI E STRUMENTI
Pedagogia narrativa
Obiettivi
? sensibilizzare i giovani sui temi dell’interculturalità
? incoraggiare riflessioni e azioni locali sui temi dell’intercultura
e del dialogo interreligioso
? incoraggiare contatti e scambi con gruppi del Sud e con gruppi europei
impegnati in progetti di educazione interculturale
? incoraggiare a progettare il proprio futuro, e a comportamenti di
cittadinanza attiva
Metodologia
? divulgazione didattica di percorsi di cittadinanza attiva
? proposta di percorsi educativi che approfondiscano i temi del dialogo
interculturale e interreligioso
? approccio dal basso alle tecnologie informatiche per facilitare scambi
a livello nazionale e internazionale
? integrazione nei percorsi educativi della dimensione del futuro
Riassunto del progetto
Le attività hanno durata triennale, oltre ad una fase di preparazione
del progetto, nel corso dell’anno scolastico 1998-1999. Intendono stimolare
la sperimentazione di strumenti educativi relativi al dialogo interculturale
e interreligioso. Fra gli strumenti a disposizione privilegia la serie
dei Quaderni dell’intercultura e la cooperazione con altri centri e gruppi
stranieri con esperienza di dialogo interculturale e interreligioso.
Fasi del progetto (primo anno)
? Prima fase (luglio-settembre 1999): definizione di temi e strumenti
educativi chiave in relazione all’intercultura e al dialogo interreligioso;
proposta di corsi di formazione; raccolta di contributi didattici italiani
ed esteri per la messa a punto di un testo di riferimento comune; contatti
con insegnanti di ogni parte d’Italia; disseminazione delle informazioni
e invito a partecipare al progetto a diverse realtà educative attraverso
la rivista “CEM/Mondialità.
? Seconda fase (ottobre 1999-aprile 2000): sperimentazione di almeno
un testo a carattere interreligioso; realizzazione dei corsi; sperimentazioni
educative; co-ordinamento delle sperimentazioni in Italia e disseminazione
dei risultati attraverso la rivista “CEM/Mondialità” e la pagina
Web di CEM; ricerca e verifica di contatti in Europa e nel Sud del mondo.
? Terza fase (maggio-giugno 2000): coordinamento partecipanti; iniziative
di rete; valutazione del lavoro svolto; disseminazione dei risultati in
Italia e all’estero; progettazione del periodo luglio 2000-giugno 2002;
ricerca di contatti per l’adattamento in italiano di materiali reperiti
all’estero.
Agenda 21
Obiettivi
? sensibilizzare giovani e studenti sui temi dello sviluppo sostenibile
e dei rapporti Nord-Sud
? incoraggiare riflessioni e azioni locali in vista dei dieci anni
dal Vertice di Rio de Janeiro (1992)
? incoraggiare contatti e scambi con gruppi del Sud e con gruppi europei
impegnati ad attuare l’Agenda 21
? incoraggiare la partecipazione attiva dei giovani nel progettare
il proprio futuro nell’ambito di una cittadinanza globale
Metodologia
? divulgazione didattica dell’Agenda 21 e di percorsi di cittadinanza
attiva
? proposta di percorsi educativi centrati sulla persona, sulle relazioni
con il territorio, sulle impronte ecologiche, sulla solidarietà
internazionale
? approccio dal basso alle tecnologie informatiche per facilitare scambi
a livello nazionale e internazionale
? integrazione nei percorsi educativi della dimensione del futuro
Introduzione:
I temi della globalizzazione e del ripensamento dell’attuale modello
di sviluppo a partire da rapporti di solidarietà Nord-Sud è
stato più volte al centro delle riflessioni promosse da CEM attraverso
la rivista “CEM/Mondialità”, il convegno annuale, i corsi di formazione,
con il contributo di esperti quali Riccardo Petrella e Wolfgang Sachs.
Riassunto del progetto
Le attività hanno durata triennale e intendono stimolare una
riflessione critica e azioni concrete in vista dei dieci anni dal Vertice
della Terra (Rio de Janeiro, 1992). A partire dall’interesse già
manifestato da insegnanti ed educatori per le tematiche della globalizzazione
affrontate dalla rivista e dai corsi promossi da CEM, si intende costituire
una rete di esperienze educative italiane legate all’Agenda 21 che possa
gradualmente stringere contatti e scambiare esperienze con gruppi analoghi
in Europa e nel Sud del mondo. In collaborazione con la Libreria dei Popoli,
CEM selezionerà materiali educativi da offrire a insegnanti ed educatori
attraverso la rivista “CEM/Mondialità”, una pagina Web e i corsi
promossi a livello locale e nazionale. Fin dall’inizio verranno anche selezionati
alcuni esempi di materiali didattici, soprattutto a carattere multimediale,
prodotti all’estero per un eventuale adattamento alla realtà italiana.
Il primo anno del progetto (1999-2000) intende gettare le basi per costituire
la rete italiana, alcuni contatti internazionali, testare a livello ristretto
e far circolare presso un vasto numero di insegnanti ed educatori strumenti
e ipotesi di progetti educativi centrati sull’Agenda 21.
Fasi del progetto (primo anno)
? Prima fase (luglio-settembre 1999): definizione di temi e strumenti
educativi chiave in relazione all’Agenda 21; proposta di corsi di formazione;
contatti con insegnanti di ogni parte d’Italia; disseminazione delle informazioni
e invito a partecipare al progetto a diverse realtà educative attraverso
la rivista “CEM/Mondialità.
? Seconda fase (ottobre 1999-aprile 2000): realizzazione dei corsi;
sperimentazioni educative; co-ordinamento delle sperimentazioni in Italia
e disseminazione dei risultati attraverso la rivista “CEM/Mondialità”
e la pagina Web di CEM; ricerca e verifica di contatti in Europa e nel
Sud del mondo.
? Terza fase (maggio-giugno 2000): coordinamento partecipanti; iniziative
di rete; valutazione del lavoro svolto; disseminazione dei risultati in
Italia e all’estero; progettazione del periodo luglio 2000-giugno 2002;
ricerca di contatti per l’adattamento in italiano di materiali reperiti
all’estero.
ATTIVITÀ
1. RICERCA AZIONE
La ricerca-azione è una metodologia di lavoro mirata a superare
la tradizionale dicotomia fra teoria e pratica e la separazione fra ambito
educativo ed applicativo. In generale richiede attenzione ai processi di
comunicazione e al lavoro collettivo. E’ anche una metodologia flessibile
che permette e anzi dovrebbe indurre a introdurre modifiche nella propria
programmazione mano a mano che si procede nel lavoro. L’attenzione è
rivolta in primo luogo ai processi.
FASI DI LAVORO
Organizzazione del gruppo
Verifica che esista un interesse comune dei membri del gruppo rispetto
ad un tema su cui lavorare
Impegno di ciascun membro del gruppo a contribuire al lavoro collettivo
Verifica della disponibilità dei singoli e definizione della
frequenza con cui scadenzare incontri e impegni di lavoro
Definizione di massima di un piano di lavoro e delle responsabilità,
per esempio relative al coordinamento e alla memoria scritta del lavoro
Selezione di un problema specifico: suggerimenti
Eliminare problemi troppo generali
Cercare attivamente di identificare pregiudizi presenti nel gruppo
riguardo al tema prescelto
Approfondire le caratteristiche che permettono di focalizzare meglio
il problema
Scegliere un problema che sia ipotizzabile risolvere in un lasso di
tempo ragionevole
Assicurarsi che il problema scelto rivesta interesse per i componenti
del gruppo
Mettere in evidenza elementi che facilitano l’innovazione pedagogica
Definizione degli obiettivi: caratteristiche
Chiari: vanno formulati in modo comprensibile e preciso
Realisti: devono ragionevolmente poter essere raggiunti a partire dalla
metodologia e dalle risorse a disposizione
Pertinenti: devono essere in relazione e rispettare la natura del problema
in esame
Selezione di una ipotesi di lavoro
Identificazione delle cause del problema
Formulazione di ipotesi su sviluppi e possibili soluzioni
Definizione degli strumenti di lavoro: domande
Come raccogliere i dati?
Come si intende osservare (dall’esterno, in modo partecipativo...)?
Svolgimento
Realizzazione del piano di lavoro
Osservazione e riflessione di elementi quali: pratica di lavoro del
gruppo, ruolo dei diversi attori, metodologia e risultati
Raccolta dati
Annotazione delle osservazioni durante il processo di ricerca-azione
Riflessione sui necessari cambiamenti al piano di lavoro iniziale (cause,
effetti)
Valutazione
Verifica in gruppo dei risultati
Riflessione sui cambiamenti prodotti
Identificazione di relazioni con problemi simili
Ridefinizione del problema
Riflessione teorica sui cambiamenti prodotti
Ipotesi di nuove azioni ed eventuale riproposizione del ciclo
STRUMENTI DI VALUTAZIONE
Nonostante siano stati concepiti vent’anni fa, i criteri proposti da
Robin Richardson in “Debates and Decision” rimangono una griglia stimolante
e valida per la valutazione di testi e strumenti di educazione interculturale.
Recentemente sono stati riproposti dall’Unesco e dall’IPRA (l’Associazione
Internazionale per le Ricerche sulla Pace) nel manuale “Handbook Resource
and Teaching Material in Conflict Resolution, Education for Human Rights,
Peace and Democracy” (Parigi, 1994), frutto della cooperazione con insegnanti
libanesi particolarmente interessati alla mediazione dei conflitti. Le
domande sono divise secondo quattro aree di interesse: contenuti;
immagini ed etnocentrismo; metodologia; impostazione di fondo. In appendice
vengono inoltre riportate venti domande per una verifica generale di un
progetto educativo.
Contenuti
Strumenti appropriati di educazione alla mondialità affrontano
il modo di vita delle persone nelle rispettive comunità in modo
da mettere in luce come si svolgono le relazioni fra le persone e fra le
comunità. Ciò include vari aspetti, per esempio: economia,
vita sociale, vita individuale (sentimenti, emozioni), politica, cultura,
storia, ambiente etc.
1. Si entra nel merito dell’esistenza delle persone in altre comunità?
2. Si mettono in relazione le loro vite con quelle delle persone nella
propria comunità?
3. Vengono descritte le vite di persone in altre comunità in
modo pluralista?
4. Viene affrontato ciò che le comunità hanno in comune
e ciò che le divide? Per esempio differenze di tipo socio-economico
in merito a disparità in ricchezza, abitazioni etc.
5. Vengono affrontati diversi aspetti di argomenti attinenti alla pace,
ai diritti umani e alla democrazia?
6. Viene affrontato il modo in cui le diverse comunità possono
cooperare a beneficio della collettività?
7. Vengono affrontati diversi modelli e punti di vista sulle possibilità
di migliorare le relazioni fra le comunità e la società di
cui fanno parte?
Immagini, etnocentrismo, pregiudizi
Strumenti di educazione alla mondialità non dovrebbero includere
informazioni di tipo etnocentrico e evocare l’idea della supremazia della
propria comunità. In una prospettiva interculturale è importante
sottolineare che ciascuna comunità segue il proprio cammino di sviluppo,
un cammino non necessariamente simile a quello di altre comunità.
Va evitata l’inclusione nei materiali educativi di testi ed illustrazioni
che contengano una caratterizzazione negativa della vita in altre comunità
così come vanno evitate indicazioni che indichino la superiorità
di una comunità rispetto alle altre. Tali caratterizzazioni ed immagini
negative vanno anche evitate nei confronti delle donne. In generale l’informazione
non dovrebbe contenere elementi di razzismo, stereotipi e pregiudizi. L’immagine
degli altri e di altre comunità dovrebbe poter presentare sfumature
diverse e saper mettere in luce le differenze che esistono fra persone
e fra comunità.
1. Si incontrano informazioni a carattere etnocentrico o descrizioni
relative all’altro e ad altre comunità di tipo negativo e che denotano
un atteggiamento di superiorità?
2. Si assume, implicitamente o esplicitamente, che gli altri popoli
e comunità siano passati attraverso gli stessi stadi di sviluppo
della propria comunità, ma non siano egualmente avanzati?
3. Vengono menzionati i pregiudizi relativi a gruppi, comunità
e culture cui appartengono le persone cui si fa riferimento?
4. Vengono utilizzati termini sessisti?
5. Vengono utilizzati termini razzisti?
6. Si suscita il rispetto per i valori e le norme degli altri e di
altre comunità?
7. Si mette in luce il fatto che esistono sia differenze sia tratti
in comune?
8. Si mette in luce che le comunità possono differire una dall’altra
e che queste differenze influenzano la vita dei rispettivi abitanti?
9. Si mette in luce che esistono differenze anche all’interno delle
comunità?
10. Viene prestata attenzione al ruolo delle donne e delle ragazze
nell’ambito dei processi di transizione?
Metodologia
Strumenti di educazione alla mondialità dovrebbero fare riferimento
alla vita di tutti i giorni e alle esperienze concrete di chi apprende
ed essere in grado di suscitarne l’interesse e l’attenzione in riferimento
ai temi trattati.
1. Si cerca un collegamento con l’esperienza di chi utilizza i materiali,
ciò che già sanno, osservano etc.?
2. I contenuti vengono presentati in modo che chi utilizza i materiali
ci si possa relazionare? Vi è una possibilità di riconoscersi
nelle storie che vengono narrate?
3. Vengono offerte sufficienti possibilità di identificarsi
anche a chi proviene da un contesto diverso rispetto alla cultura in cui
i materiali sono stati prodotti?
4. Vengono presentate prospettive sufficientemente generali e/o personali
per quel che riguarda la possibilità di agire in prima persona?
Si suggerisce che il mondo non può essere cambiato o che chi apprende
può dare il proprio contributo a ricercare soluzioni possibili?
5. Si richiede a chi utilizza i materiali di impegnarsi ed assumere
responsabilità in prima persona?
6. Viene utilizzato un tono moralizzante o di predica?
Impostazione di fondo
Strumenti di educazione alla mondialità dovrebbero saper riallacciarsi
al livello iniziale di chi apprende ed offrire occasioni per mettere in
discussione tali condizioni di partenza. Dovrebbero avere un’influenza
sia a livello delle conoscenze, sia delle abilità, sia degli atteggiamenti.
1. I materiali possono venire capiti dalle persone a cui sono indirizzati?
2. Sono materiali che possono risultare stimolanti per il tipo di scuola
e di alunni per cui sono pensati?
3. Vengono offerte informazioni significative e a sufficienza? in altre
parole, chi apprende ha l’opportunità di aumentare il proprio sapere?
4. Vengono offerte possibilità a chi apprende per sviluppare
abilità?
5. Vengono offerte opportunità per influenzare gli atteggiamenti
di chi apprende?
6. Il linguaggio utilizzato è da ritenersi chiaro ed appropriato?
VENTI DOMANDE DI VERIFICA
Nella definizione e verifica di un progetto educativo è utile
porsi le seguenti domande per ciascuna attività o nucleo di lavoro:
1. Come posso applicarlo nella mia pratica educativa?
2. Perché? Risponde alle finalità della scuola/della
mia scuola? E’ praticabile da parte di un insegnante/da parte mia?
3. Cosa? Presenta obiettivi di sviluppo cognitivo, di abilità,
di atteggiamenti, di valori?
Le seguenti venti domande possono essere utilizzate per riflettere sull’efficacia
educativa degli strumenti utilizzati nel facilitare l’apprendimento degli
studenti e come verifica generale di progetti e processi educativi soprattutto
da un punto di vista interculturale:
1. ANALISI DEL CONTESTO
Viene stimolata la conoscenza del contesto relativo ai problemi contemporanei
- per esempio relativo a questioni di potere, autorità, processi
decisionali, distribuzione della ricchezza, conflitti di interesse, divergenze
di opinioni?
2. APPREZZAMENTO DI ALTRE CULTURE
Viene incoraggiato l’apprezzamento delle conquiste e delle idee proprie
di altri contesti culturali - per esempio in campi quali la letteratura,
la musica, le arti visive, l’architettura, il design etc., e la comprensione
delle religioni e delle ideologie politiche?
3. COMUNICAZIONE INTERCULTURALE
Vengono forniti strumenti per sviluppare abilità nell’ambito
della comunicazione interculturale? Per esempio, come affrontare situazioni
sociali in cui si viene discriminati a causa di pregiudizi o in cui si
può essere condizionati dai propri pregiudizi?
4. CONCETTI RELATIVI ALL’AZIONE
Vengono sviluppati concetti quali: azione dei governi, iniziative locali,
riforme, rivoluzioni, gruppi di pressione, costituzione, ruolo della legge,
lotta armata, nonviolenza, diritti?
5. EMPATIA
Vengono suggerite e incoraggiati modi di mettersi nei panni degli altri,
immaginare con profondità i sentimenti, le percezioni, le aspettative,
le intenzioni delle altre persone, includendo persone che appartengono
a culture o società diversa dalla propria?
6. PROBLEMI GLOBALI
Viene stimolata la comprensione di problemi per i quali è necessario
analizzare il contesto globale e che vanno gestiti nell’ambito di una cooperazione
internazionale, per esempio problemi quali la povertà, la violenza,
l’oppressione, l’ambiente?
7. INFORMAZIONE
Viene incoraggiato l’apprendimento di fatti e dati chiave riguardo
al mondo moderno quali date, eventi, nomi e posizione di paesi, personalità
rilevanti, materie prime, sistemi politici, fede religiosa?
8. ACQUISIRE MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DALLO STUDIO DI ALTRE CULTURE
Vi è uno sviluppo, da parte di chi apprende, della comprensione
della natura umana e delle società umane e quindi una maggiore comprensione
della propria cultura e società attraverso lo studio di altre culture
e società?
9. GIUSTIZIA
Si incoraggia che apprende a considerare che le relazioni fra gli esseri
umani e fra gruppi di esseri umani dovrebbero esser basate sui principi
di giustizia?
10. PRECONCETTI
Viene favorita la consapevolezza dei modi in cui i propri punti di
vista e le proprie percezioni vengono influenzate e limitate da fattori
quali la propria cultura, società, nazionalità etc.?
11. PARTECIPAZIONE A LIVELLO LOCALE
Viene favorito lo sviluppo di abilità importanti per la partecipazione
alla vita sociale e politica della propria comunità - per esempio
riguardo ai processi decisionali, alla comunicazione e alle regole base
della partecipazione democratica?
12. PARTECIPAZIONE NELLA SCUOLA
Viene favorito lo sviluppo di competenze relative a prendere o influenzare
decisioni che riguardano la propria vita a scuola - per esempio su come
viene gestita la scuola e l’organizzazione degli studi?
13. PARTECIPAZIONE NELLA SOCIETA’ MONDIALE
Viene favorito lo sviluppo di competenze relative ad influenzare la
società mondiale nel suo complesso, per esempio attraverso un consumo
critico, l’uso del tempo libero, l’attività politica, la raccolta
di fondi per azioni specifiche, modi di influenzare l’opinione pubblica,
condizionare i processi decisionali?
14. RELAZIONI PERSONALI
Si incoraggia chi apprende a sviluppare rispetto per i diritti e i
sentimenti delle persone con cui sono in più stretto contatto -
fra di loro, in famiglia, nei rapporti di coppia?
15. RISPETTO PER MOTIVAZIONI E VERITA’
Si incoraggia chi apprende ad esaminare le idee in modo critico, a
fornire e richiedere motivazioni e ragioni per le opinioni espresse e a
modificare il proprio punto di vista di fronte all’emergere di nuovi elementi?
16. LA SCUOLA NELLA SOCIETA’
Si favorisce una comprensione da parte di chi apprende dei modi in
cui l’educazione in generale e la propria educazione in particolare è
condizionata dalla distribuzione del potere e della
17. AUTOSTIMA
Vengono create le condizioni per far sì che chi apprende sviluppi
confidenza in sè stesso/a - un senso del proprio valore come individuo,
una fiducia realistica nelle proprie abilità, un senso di
rispetto per la propria cultura?
18. I PROPRI INTERESSI E LA SOCIETA’ MONDIALE
Si incoraggia chi apprende a considerare che cercare di realizzare
i propri interessi richiede, in un mondo interdipendente, la cooperazione
e il coordinamento con persone di altri paesi?
19. SOLIDARIETA’
Si creano le condizioni per sviluppare partecipazione e solidarietà
con le vittime di particolari eventi e processi sociali? In particolare,
viene stimolata solidarietà con I poveri e gli oppressi anche in
paesi diversi dal proprio?
20. ELEMENTI IN COMUNE
Si incoraggia chi apprende ad identificare le cose principali che tutti
gli esseri umani hanno in comune, indipendentemente dalla loro cultura
o nazionalità - in particolare le aspirazioni evocate da termini
quali autorealizzazione, autostima, significato, creatività?
ALLEGATI
Circolare n.73, prot. N.28935/JR del 2 marzo 1994
Il dialogo interculturale e la convivenza democratica
Bibliografia di riferimento
|