PER CAPIRE LA GLOBALIZZAZIONE
 
 

Interculturalitá e globalizzazione: 10 concetti chiave

1. Per una lettura "educativa" della globalizzazione

Non è la prima volta che una "parola" prende il sopravvento sulle altre e per qualche tempo sembra essere quella giusta, quella che racchiude in sé la magia di far comprendere un’epoca. È il caso del termine "globalizzazione", che indica un fenomeno troppo importante per essere liquidato come la "moda" del momento. Al contrario: globalizzazione è una delle parole destinate a creare le connessioni interpretative più profonde (e di lunga durata) tra il presente e il futuro a livello planetario.
Tuttavia la globalizzazione si presenta oggi come un processo caratterizzato soprattutto da una forte ambiguità. Una lettura "educativa" di questo nuovo processo storico, economico e sociale riteniamo che non possa liquidarlo come un fatto tutto negativo o tutto positivo. Appare invece necessario e urgente impegnarsi in un’operazione di discernimento, di analisi critica, di vero e proprio "studio". Chiedersi, ad esempio, quali siano le cause e i fattori che hanno dato vita alla globalizzazione; così pure domandarsi quali siano i suoi effetti positivi e negativi; e ancora, verificare dove ci stia portando la globalizzazione e come si configurino gli scenari futuri; infine, sarebbe quanto mai "educativo" individuare le risorse umane e culturali che potrebbero aiutarci, in questa fase storica, a "resistere" alle tendenze omologatrici della globalizzazione e a promuovere un cammino planetario nuovo partendo dalle "alterità negate".

Due libri per cominciare:

  1. Villaggio globale. La vita ai tempi della globalizzazione, numero monografico di "Internazionale", 1996
  2. B. Amoruso, Della globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996.
2. Il mercato globale

Il nostro è un tempo idolatrico. Non v’è dubbio che una delle idolatrie più diffuse e pericolose sia quella del Mercato. Nel mondo di oggi l’economia appare dominata, pressoché esclusivamente, dalla logica della massimizzazione del profitto e da imprese economiche a carattere sempre più multinazionale che presentano una concentrazione di potere e di ricchezza superiore a molti Stati nazionali. Un dato eloquente: 358 supermiliardari del pianeta posseggono una ricchezza pari a circa la metà della popolazione mondiale. Siamo dunque dinanzi ad un processo di globalizzazione "a etica zero".
All’economia si riserva il posto di comando, in nome di un "realismo" e di un "pragmatismo" derivati dalla convinzione che il capitalismo non abbia alternative, essendo lo stato naturale della società. Il sistema economico mondiale dovrebbe pertanto sbarazzarsi di ogni vincolo sociale perché l’economia è sovrana e qualsiasi riferimento a regole extraeconomiche apparirebbe come un regresso. Ma dove ci sta portando questa razionalità economica del tutto sganciata da una razionalità etica?

Due libri per cominciare

  1. S. Zamagni (a cura), Globalizzare l’economia, ECP, Fiesole 1995
  2. S. Latouche (a cura), L’economia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione, Dedalo, Bari 1997.
3. La comunicazione multimediale

La radio, la televisione, il computer, le reti telematiche e telefoniche, i satelliti e Internet ci hanno introdotto nella dimensione planetaria delle comunicazioni di massa. Viviamo in una società fin troppo "iconizzata" dove tutto si trasforma in spettacolo.
Si parla sempre più spesso di una società "virtuale" dove l’esperienza diretta, il rapporto vitale con le cose, il contatto emozionale con le altre persone vengono messi in pericolo. C’è chi parla della "morte del reale" in una società dei simulacri dove trionfano le apparenze, le ombre, le maschere.
È necessario ricordare che il sistema dei media è, appunto, un "sistema", cioè un tessuto di relazioni, un organismo complesso, nel quale ogni singolo medium è in rapporto di complicità o di interdipendenza con gli altri media.
Leggiamo dal "Libro Bianco su Istruzione e formazione. Insegnare e apprendere, verso la società conoscitiva": "La mondializzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie, in particolare l’avvento della società dell’informazione hanno aperto agli individui maggiori possibilità di accesso all’informazione e al sapere... la società del futuro sarà dunque una società conoscitiva".
Sarà importante, di qui in avanti, approfondire di più i rischi e le opportunità che si aprono dinanzi alle nuove generazioni che — almeno nei paesi del Nord — già vivono in quella che viene chiamata "società conoscitiva" dove bisogna acquisire le competenze per informarsi in "tempo reale" sui cambiamenti in atto nella società, altrimenti si è "out", si resta emarginati come analfabeti.

Due libri per cominciare

  1. IRRSAE Puglia, L’educazione interculturale, Curriculo dei media, Quaderno n.30, Bari 1996
  2. P. Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996.
4. Il pensiero unico

L’idolatria del mercato e il sistema della comunicazione multimediale si stringono la mano in un abbraccio fatale, dando vita al pensiero unico che altro non è che la trasposizione in termini ideologici (che si pretendono universali) degli interessi di quelle forze economiche, che nel loro insieme, rappresentano il capitale internazionale.
A "fondamento" del pensiero unico c’è appunto il primato dell’economia sulla politica. La diffusione della mega-macchina dell’Occidente fa aumentare solo l’uniformità a scapito della creatività locale: l’esito è il mimetismo, tragica caricatura dell’universalità.
L’etnocidio, inteso come aggressione simbolica, genocidio culturale, si effettua ancor oggi, tramite il dono: è donando che l’occidente acquista ulteriore potere e opera la destrutturazione culturale.
L’Occidente continua a dare senza accettare nulla, e continua ad appropriarsi senza riconoscere alcun debito e non intende prender lezioni da nessuno.
Chi sa se, proprio in virtù delle loro specificità, le culture oggi negate e disprezzate non saranno, domani, le più adatte ad accettare le sfide della storia?

Due libri per cominciare

  1. VV., Il pensiero unico e i nuovi padroni del mondo, Ed. Strategia della Lumaca, Roma 1996
  2. S. Vandana, Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
5. Il Governo mondiale

Con la caduta del Muro di Berlino, il traguardo del Governo Mondiale sembrava essere dietro l’angolo, a portata di mano. Poi, il crac, il tracollo, la scomparsa del tema dall’agenda internazionale. Che cosa è accaduto? Come mai dopo l’ubriacatura del "Villaggio globale", dell’"arancia blù", del "piccolo pianeta", della "Terra-Patria", della "Interdipendenza"... l’obiettivo del Governo Mondiale invece di decollare a livello politico è naufragato nel nulla?
Certamente non perché sia venuto meno il carattere mondiale delle "emergenze", che sono tutte lì, ieri come oggi: i flussi migratori, i conflitti regionali, le vecchie e nuove povertà, le ferite ambientali, le risorse energetiche, le armi nucleari, le ricerche biotecnologiche, il sistema dell’informazione, le condizioni igienico-sanitarie, l’analfabetismo, gli squilibri Nord-Sud e via elencando. Tutte le organizzazioni internazionali, politiche ed economiche, create fino ad oggi sono caratterizzate da un grave deficit democratico. Nel senso che sono malate di scarsa democrazia interna. L’ONU, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO (ex GATT) ecc.
Come dire: a livello internazionale la democrazia è ferita.
"L’epoca planetaria è già iniziata da un pezzo", ripete Edgard Morin, "ma la conoscenza dell’uomo è ancora all’età del ferro dell’era planetaria".

Due libri per cominciare

  1. F. Lotti, N. Giandomenico (a cura), L’ONU dei Popoli, EGA, Torino 1996
  2. R. Sapienza, Un mondo da governare, SEI, Torino 1995.
6. Ripartire dalle "Alterità negate"

Ma forse il problema che più di tutti concentra su di sé il dibattito culturale contemporaneo è quello dell’altro. Tra i pensatori che criticano la tradizione occidentale per la rimozione e l’oblio dell’alterità spicca il nome di Lévinas, che ha elaborato una concezione dell’uomo a partire dall’altro, dal Tu, dal volto.
Si tratta di comprendere, in maniera "etica" ma non moralistica, che l’altro ci cambia, ci educa, ci interpella; ci costringe a prendere una posizione, a uscire dall’indifferenza, a dare una "risposta" (respondere, da cui deriva il senso pieno e fondante di "responsabilità").
Ripartire dalle "Alterità negate" significa guardare altrove, saltare la siepe e lasciarsi contaminare. Tra le realtà che sono state fino ad oggi emarginate, fra le cosiddette "esternalità", cioè tra le "pietre scartate" (per dirla col Vangelo) è possibile trovare nuovi significati da cui partire per la ricostruzione di una Umanità Nuova.
Giovanni Paolo II, nel suo discorso all’ONU del 5 ottobre 1995, ha affermato che "ogni cultura ha diritto di essere rispettata perché costituisce un tentativo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell’uomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente della vita". E precisa che estraniarsi dalla realtà della diversità o tentare di estinguerla "significa precludersi la possibilità di sondare il mistero della vita umana (...). La differenza, che alcuni trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell’esistenza umana".

Due libri per cominciare

  1. C. Di Sante, Responsabilità. L’Io per l’Altro, Edizioni Lavoro, Roma 1996
  2. B. Borsato, L’alterità come etica. Una lettura di E. Lévinas, Dehoniane, Bologna 1995.
7. Il pensiero "al femminile"

La prima alterità negata, la prima risorsa di senso che il mondo ha a disposizione per poter sperare in una Umanità Nuova è il pensiero al femminile. Il problema dell’auto-liberazione della donna chiama in causa inevitabilmente l’universo maschile. I valori della nuova cultura "al femminile" rappresentano una grande opportunità di cambiamento dell’Ordine Simbolico globale del nostro sistema sociale.
La storia della nostra cultura occidentale (ma il discorso è transculturale) non lascia dubbi: al di là di rare accezioni, è una storia di sostanziale anti-femminismo: Atene, Gerusalemme e Roma appaiono alleate nel loro comune sguardo misogino. Come anche La Mecca e Benares. La nostra convinzione è che un nuovo umanesimo, una nuova paideia per il terzo millennio potrà affermarsi soltanto se gli educatori e le educatrici sapranno mettere in discussione, a partire da se stessi, l’Ordine Simbolico Maschile e i parametri sociali che ne derivano. Le vere rivoluzioni sono infatti quelle che rinnovano i paradigmi fondamentali della cultura.

Due libri per cominciare

  1. C.O.N. Moser, Pianificazione di genere e di sviluppo, Rosenberg Sellier, Torino 1996
  2. S. Ulivieri, Educare al femminile, Edizioni ETS, Pisa 1995
8. Le culture locali tra omologazione e resistenza

Se guardiamo al rapporto tra l’Occidente e le "altre" culture oggi nel mondo ci rendiamo conto che la situazione è fortemente squilibrata. Si può dire, in generale, che si sta affermando una nuova coscienza sulla necessità di salvare l’integrità della propria identità culturale, una sorta di contrappeso alle tendenze omologanti, e si avverte l’esigenza di conoscere in modo profondo altre culture e di valorizzare le differenze in un ordine di reciprocità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio".
Lo studio di Serge Latouche sui processi di "occidentalizzazione" diventa quanto mai interessante.
L’aspetto unico, che definisce l’Occidente è la sua cultura:

  • la credenza in un tempo lineare e cumulativo che riguarda tutta l’umanità
  • l’attribuzione all’uomo della missione di dominare la natura
  • la credenza nella ragione calcolatrice dell’uomo per organizzare la sua azione, ecc.
Chi sono gli Altri?
Sono tutte le società dotate di un senso antico e tradizionale della vita e quindi di pratiche sociali di integrazione del "negativo", della morte, della miseria, della sofferenza. Queste resistenze "culturali" alla seduzione dell’Occidente sono una fonte di speranza, perché lasciano intravedere che la crisi epocale dell’Occidente non sarà necessariamente la fine del mondo...

Due libri per cominciare

  1. L. Bergnach, G. Delli Zotti, Etnie, confini, Europa, Angeli, Milano 1994
  2. V. Bernardi, L’insalatiera etnica, Ed. Neri Pozza, Padova 1992
9. Etiche della mondialità

Il nostro mondo sta sperimentando una crisi fondamentale: una crisi dell’economia mondiale, dell’ecologia mondiale e della politica mondiale. La mancanza d’una visione completa, il groviglio di problemi non risolti, la paralisi politica, la mediocre leadership con poca capacità d’intuire o di prevedere, e in generale un troppo scarso senso del bene comune si percepiscono ovunque. Troppe sono le vecchie risposte a sfide nuove.
Non esisterà alcun nuovo ordine mondiale senza una nuova etica mondiale!
L’esperienza storica dimostra che non si può migliorare la Terra se non otteniamo una trasformazione della coscienza degli individui e della vita pubblica.
Occorre una "svolta etica interculturale", un consenso etico delle culture per riorientare la convivenza mondiale. Senza una Carta fondamentale dei valori non è immaginabile la pacifica convivenza dei Popoli. Possono aiutarci le opere di autori come Jonas, Kung, Boff, Panikkar, Balducci, Morin, Apel, Moltmann, Ricoeur, Lévinas, e altri.
La nascita di una coscienza planetaria non si improvvisa. Ma nessun educatore che abbia il senso della storia potrà sottrarsi a questo compito essenziale e decisivo per il futuro dell’umanità.

Due libri per cominciare

  1. AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996
  2. P. C. Bori, Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova 1991.
10. L’Occidente come "siepe". Andare oltre

Nonostante tutto è possibile riscontrare segnali positivi anche all’interno di questa nostra società malata. Esistono infatti germi che ispirano fiducia e promettono speranza; si ascoltano voci di protesta, sorgono iniziative e movimenti civili e religiosi (ecologici, pacifisti, femministi, antirazzisti, spirituali, ecc..) che intendono battersi per rinnovare questa società, per dare corpo e vitalità ai grandi valori della vita, della comunità, dello spirito.
Vaclav Havel, Presidente della Repubblica Ceca, ha scritto: "Non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato".
Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare i semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo.
Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme "una paideia" per il nuovo millennio, ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio d’epoca, ad un cambio di paradigmi.
Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (... tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele...). Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di tale principio quando l’altro è proprio diverso da me e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, né a restare indifferente di fronte a lui?
La svolta antropologica sta tutta qui. Andare oltre la "siepe" dell’io, della propria cultura e aprirsi al mistero dell’Altro.

Due libri per cominciare

  1. S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992
  2. O. Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Mondadori, Milano 1997.
 Il mercato globale: 5 letture

1. Lettura "educativa" della globalizzazione

Nel numero programmatico abbiamo illustrato il cammino che percorreremo nell’anno scolastico 1997-98. Per ragioni di spazio, tuttavia, non è stato possibile sviluppare quasi niente del primo punto: la lettura "educativa" della globalizzazione. Proprio per questo, in questo numero, prima di passare al tema del "Mercato globale" (peraltro già studiatissimo) ci soffermiamo brevemente sulla lettura "educativa", cioè sull’importanza di non demonizzare la globalizzazione, di non cadere nel manicheismo, ma di aiutarci anzitutto a conoscere, a comprendere, a operare un discernimento, un’analisi critica in vista di una valutazione non solo economica ma anche etica e non antropologica. Questo contributo va ricollegato con l’articolo "Interculturalità ed economia" che è stato pubblicato su CEM Mondialitàdel novembre 1996. Invitiamo allora ogni educatore a rispondere alla seguente domanda, integrando, emendando, correggendo ciò che noi stessi suggeriamo in partenza: quali sono gli aspetti positivi e negativi della globalizzazione?

GLOBALIZZAZIONE
 
Aspetti positivi Aspetti negativi
Apertura a tutto campo Concentrazione del potere
Sprovincializzazione Tendenze alla omologazione

culturale

Policentrismo Rischio del pensiero unico
Scambio planetario Monopolio della comunicazione
Domanda di Governo Mondiale Globalizzazione selvaggia a eti-ca zero
Mobilità umana Sradicamento culturale, perdita dell’identità
Riduzione del principio di so-vranità economica dello stato-nazione Idolatria del mercato e darwi-nismo sociale
Riscoperta del valore delle culture Evaporazione del territorio, de-

localizzazione della produzione

Attaccamento alla memoria e all’identità Aumento delle patologie della insicurezza (stress, bisogno di certezze, fondamentalismo, new age...)
......... .....

 Sempre dal punto di vista di una lettura educativa, sembra a noi importante mettere in risalto che la globalizzazione non è solo un fatto quantitativo cumulativo, moltiplicativo, espansivo (aumento degli scambi commerciali, aumento delle informazioni, ecc.) ma è soprattutto un fatto qualitativo, interattivo, sistematico, reticolare... e proprio per questo tende a espandersi, a dislocarsi, a trovare nuove connessioni, nuove compenetrazioni, ad "agglutinare" in modo reticolare più che sommativo.
Anche una considerazione interessante sul piano educativo è quella riguardante le "Azioni di replicazione" da parte degli stessi educatori. Anzi, forse è proprio questo il problema cruciale per gli educatori: i modi ordinari con cui le persone riproducono nella quotidianità i modelli culturali della globalizzazione nel momento stesso in cui credono di combatterla!

2. Il mercato globale

Affrontiamo ora il problema del Mercato globale dando la parola a cinque economisti che, da angolature diverse, ci aiutano a comprendere la questione.

a) Peter Dicken: la globalizzazione non è una semplice internazionalizzazione dell’economia

"Questi due termini vengono spesso adoperati come se fossero intercambiabili pur non essendo sinonimi. Internazionalizzazione indica semplicemente la crescente espansione geografica di attività economiche attraverso le frontiere nazionali e in quanto tale essa non è un fenomeno affatto nuovo. La globalizzazione delle attività economiche è invece qualitativamente differente. Essa costituisce una forma più avanzata e complessa di internazionalizzazione, che implica un grado d’integrazione funzionale tra attività economiche dislocate a livello internazionale. La globalizzazione è un fenomeno molto più recente dell’internazionalizzazione; tuttavia sta emergendo come norma in una gamma crescente di attività economiche". 

(Cfr. Tony Spybey, Globalizzazione e società mondiale, Asterios Editore, Trieste 1997, p. 93)

b) H.P. Martin - H. Schumann: La "trappola" della globalizzazione e la società "20:80".

Dalla lettura del libro-provocazione di questi due autori veniamo in possesso di informazioni che aumentano i nostri sospetti sulla globalizzazione. Alla fine del settembre 1995, a San Francisco, si riunirono 500 fra statisti, presidenti di multinazionali e scienziati di spicco, per discutere, in assise segreta, le previsioni del XXI secolo. Il futuro venne abbozzato in una coppia di numeri "20:80" ed in un termine tecnico "tittytainment". La coppia di numeri starebbe ad indicare che, nel prossimo secolo, solo il "20" per cento della popolazione mondiale (di tale percentuale farebbero parte uomini di diverse aree geografiche) sarebbe in grado di far funzionare la grande macchina dell’economia mondiale; mentre l’"80" per cento si riferirebbe alla massa di disoccupati o comunque di emarginati in ricerca attiva di lavoro. Questi, secondo lo statunitense Jeremy Rifkin, autore del libro "La fine del lavoro", avranno enormi problemi; in futuro, per loro, si tratterà "to have lunch or be lunch": "di mangiare o di essere mangiati".
Ecco, allora, la nascita del termine "tittytainment", coniato dal polacco Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza di Jimmy Carter. Il vocabolo è un incrocio tra "entertainment" e "tits": in pratica, scaturisce dalla combinazione tra un intrattenimento, atto ad intontire le masse — a tale scopo verrebbero impiegate le produzioni a basso costo e, a volte, di infimo livello culturale dei più svariati mezzi di comunicazione di massa — e "tits" che, nello slang americano, allude alla "nutrizione" dei disoccupati al "seno" dei pochi privilegiati che producono. Lo scenario inquietante, preannunciato per il XXI secolo, già ora rivelerebbe i suoi inequivocabili segni che vengono acutamente descritti da Hans-Peter Martin ed Harold Schumann.
Così scrivono:
"L’internazionalismo inventato dai capi operai socialdemocratici per lottare contro i capitalisti guerrafondai è da tempo passato sull’altro fronte. Oltre 40.000 imprese transnazionali grandi e meno grandi si servono di stati contro altri stati e di lavoratori dipendenti contro altri lavoratori dipendenti. [ ...]
Con un solo movimento delle sue tenaglie "globali" la nuova internazionale del capitale scardina interi Stati e il loro ordinamento sociale".
(La trappola della globalizzazione. L’attacco alla democrazia e al benessere, Edition Raetia, Bolzano 1997, p.14)

b) Susan George: il fine del mercato non è la giustizia

"Alla radice di tutti questi problemi vi è il mercato. Non certo il mercatino rionale, quello dove andiamo a comprare i pomodori, ma il mercato mondiale che è diventato "la misura di tutte le cose" nella sua quadruplice espressione di mercato di beni e servizi, mercato del lavoro, mercato della natura (ambiente), mercato finanziario.
Questi diversi mercati sono integrati fra di loro e si dà per scontato che si auto-regolino. In realtà, il mercato è la famosa mano invisibile che è capace di regolare tutto se noi lasciamo che lo faccia. Se siamo pigri e lasciamo al mercato l’organizzazione della società, il mercato la organizza, ma dobbiamo sapere che le sue scelte non sono scelte sociali e che il risultato sarà un aumento del numero degli esclusi, dei disoccupati. Non è un giudizio morale, ma una semplice constatazione. Non ci si può aspettare giustizia e scelte sociali dal mercato. Il mercato ascolta la voce di chi ha soldi e non di chi non ne ha. La funzione del mercato non è quella di fornire lavoro, occupazione. Il suo obiettivo è quello di produrre realizzando il maggior profitto possibile, la maggior accumulazione di ricchezza. Il mercato deve produrre per chi ha soldi e ridurre al minimo i costi, per massimizzare i profitti.
Un esempio grottesco. Nel mondo vi sono oggi 358 miliardari in dollari. L’ammontare del loro patrimonio è di 760 miliardi di dollari, equivalente alla parte di prodotto nazionale lordo di due miliardi di persone nel Terzo Mondo. Questo può dare un’idea dello squilibrio esistente oggi nel mondo. Da una parte, un piccolo numero di miliardari, e dall’altra, due miliardi di persone. Ma è una cosa assolutamente naturale, perché il mercato dà a chi ha già".
(Crf. Susan George, La supremazia delle scelte economiche e l’acuirsi degli squilibri sociali in A.A.V.V., Il futuro che ci unisce, EMI, Bologna 1996, p. 23)

d) Serge Latouche: i nove paradossi dell’economia

Più l’immaginario del mercato si estende all’intero pianeta, più la discordia, la miseria e l’esclusione sembrano guadagnare terreno. Forte contraddizione di un modello astratto, messo in crisi dalla complessità dolorosa della vita (...).

Così, almeno per quanto riguarda l’economia, si possono rilevare nove paradossi:

  1. Pure se conosciuta bene da tutti per necessità, l’economia rimane molto misteriosa e incomprensibile alla maggioranza.
  2. È pratica quotidiana della modernità, ma è anche una disciplina teorica con pretesa di scientificità.
  3. Questa disciplina, definita economia politica, certamente è la più scientifica delle scienze umane ma, nello stesso tempo, la meno umana delle discipline sociali.
  4. Gli economisti sono diventati degli esperti indispensabili, ma la loro fama è inversamente proporzionale alla loro capacità di fornire diagnosi esatte e soluzioni soddisfacenti.
  5. Nonostante la sua ossessione nel valutare ogni cosa, l’economia ignora pezzi interi della realtà materiale, che si tratti della natura o della vita domestica.
  6. A dispetto della sua pretesa di universalismo, l’economia finisce per essere, come pratica e teoria, molto provinciale, quella di un certo Occidente.
  7. A rendere ancora più grave la sua posizione, l’economia, che si vuole neutrale, pura e sana, finisce per essere una perversione con forti sospetti sessisti.
  8. È talmente labile il suo rapporto con la morale, che pensa di farne a meno e pretende di sostituirsi ad essa.
  9. Infine, vive anche molto male il suo rapporto con la Storia.
(Cfr. S. Latouche, L’economia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione, Dedalo, Bari 1997, pp.11-12)

e) Riccardo Petrella: Il "bluff" della globalizzazione. In realtà siamo di fronte alla "triadizzazione" mondiale dell’economia.

"La mondializzazione dell’economia attuale è tronca perché essa non comporta delle visioni di sviluppo, delle strategie di investimento, e delle azioni concrete sul terreno della valorizzazione delle risorse, pensate e realizzate nell’interesse della popolazione mondiale. La carta del mondo mentalmente e culturalmente concepita e vista dalla popolazione e dai dirigenti dei paesi ricchi del Nord — Giapponesi, Nord Americani, Europei occidentali —, così come dalle classi ricche dei paesi poveri del Sud, è una carta deformata. Essi hanno l’impressione e sono convinti che il mondo è sempre più piccolo ed unificato attorno al polo dei paesi dei luoghi ricchi; pensano che il mondo che conta sul piano economico, politico e culturale sia costituito dalla triade America del Nord, Europa Occidentale, Giappone e i "piccoli draghi" del Sud-Est asiatico. Per essi il maggiore problema mondiale dei prossimi vent’anni è di sapere chi delle tre regioni sarà nel 2005 o nel 2010 la potenza leader tecnologica ed economica mondiale. Saremo noi nuovamente gli Europei se, come si afferma, faremo fronte unito in quanto Unione Europa, o gli Americani riconquisteranno in tutti i settori la leadership che hanno perso in certi settori in favore dei Giapponesi, o saranno questi ultimi ad affermarsi definitivamente come la potenza mondiale n.1? Il culto della competitività rende tutto il resto semplice agitazione di periferia. Piuttosto che di vera mondializzazione è più corretto parlare, per il momento, di triadizzazione mondiale dell’economia. Le conseguenze della congiunzione tra valorizzazione predominante delle tecnologie e mondializzazione triadica dell’economia sotto il dominio e il governo di un soggetto privato — l’impresa — sono notevoli e molteplici. Ne discendono tre aspetti che stanno plasmando il corso della storia:

  • le popolazioni del Nord e delle sacche di ricchezza del Sud vivono in una logica della sopravvivenza in un contesto, considerato inevitabile, di guerra economica planetaria;
  • assistiamo ad una nuova alleanza tra impresa e stato che si traduce, fra l’altro, nel farsi carico da parte dell’impresa, al posto dello stato, della definizione dell’interesse pubblico generale;
  • è in corso lo smantellamento del contratto sociale che è stato alla base dello sviluppo economico, politico e culturale delle società occidentali, ed assistiamo all’emergenza generalizzata dell’esclusione sociale su scala mondiale."
(Cfr. R. Petrella, L’economia attuale: una logica di guerra e di esclusione, in Zamagni S. (a cura), Globalizzare l’economia, Ecp, Fiesole, 1995, p.120)

Dieci libri per l’approfondimento

  1. Amoroso, Della Globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996
  2. H. Assman, F.J. Hinkeylammert, Idolatria del mercato. Saggio su economia e teologia, Cittadella, Assisi 1993
  3. Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Geografia del supermercato mondiale, EMI, Bologna 1996
  4. G. Corm, Il nuovo disordine economico mondiale, Bollati-Boringhieri, Torino 1994
  5. M. Featherstone (a cura di), Cultura globale: nazionalismo, globalizzazione e modernità, Seam, Roma 1996
  6. P. Hirst, G. Thompson, La globalizzazione dell’economia, Editori Riuniti, Roma 1997
  7. H. P. Martin, H. Schuman, La trappola della globalizzazione. L’attacco alla democrazia e al benessere, Edition Raetia, Bolzano 1997
  8. J. Naisbitt, Il paradosso globale: più cresce l’economia mondiale, più i piccoli diventano protagonisti, Franco Angeli, Milano 1996
  9. T. Spybey, Globalizzazione e società mondiale, Asterios Editore, Trieste 1997
  10. S. Zamagni (a cura), Globalizzare l’economia, ECP, Fiesole 1995
Etiche della mondialitá: 5 proposte

 a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi

 Il vero dramma sta proprio qui: l’economia si è globalizzata; la comunicazione si è globalizzata; ma non si sono ancora globalizzate né la politica, né l’etica, né l’educazione. Presentiamo qui di seguito alcuni interessanti tentativi per l’elaborazione di un’etica mondiale. Il libro di riferimento è quello curato da Roberto Mancini e intitolato appunto "Etiche della mondialità" (Cittadella, Assisi 1996). Ma non solo. Per ragioni di spazio ci limitiamo a richiamere l’attenzione su 5 autori e un importante documento del "Parlamento delle religioni mondiali". 

  1. Hans Jonas: Solo un’etica del limite ci potrà salvare.

  2.  

     

    L’opera di Jonas, filosofo tedesco di origine ebraica scomparso nel 1993, costituisce un punto di vista obbligato per la ricerca consapevole di una macro-etica dell’umanità.Il suo contributo, espresso dal libro "Il principio di responsabilità" del 1979, deriva, essenzialmente, dalla ridefinizione del rapporto tra ontologia ed etica. Occorre dunque una riflessione filosofica originale che si confronti con le nuove condizioni e con i nuovi problemi posti dal potere della tecnologia.
    Una nuova etica, dunque, assai diversa da quella sviluppatasi fino ad oggi e che è stata essenzialmente antropocentrica. Essa aveva a che fare con "il qui e l’ora", con il breve termine e con gli spazi immediatamente vicini. Tutto questo – scrive Jonas – deve mutare. La tecnica moderna "ha introdotto azioni, oggetti e conseguenze di dimensioni così nuove che l’ambito dell’etica tradizionale non è più in grado di abbracciarli.
    Oggi si impone all’etica una nuova dimensione della responsabilità, mai prima immaginata.
    L’etica tradizionale si rivela oggi debole. Incapace di guardare al futuro. Lo trascura. Lo rimuove – il futuro – come categoria lontana, verso il quale non si hanno doveri. L’etica odierna si è concentrata "sulla qualità morale dell’atto momentaneo stesso". L’etica nuova deve invece saper guardare lontano, sapendo costruire il limite – non è un paradosso – all’agire di oggi.
    Se è cambiato il potere dell’uomo deve cambiare il modo di concepire l’etica.
    Oggi la tecnica domina il mondo; si è trasformata "in un illimitato impulso progressivo della specie, nella sua impresa più significativa, il cui incessante superarsi e avanzare verso mete sempre più elevate si è tentati di ravvisare come vocazione dell’uomo e il cui traguardo di dominio sulle cose e sull’uomo stesso appare come l’adempimento della sua destinazione".
    Oggi, "un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che l’intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere". Dunque l’uomo e la tecnica sono sul banco degli accusati. E l’uomo è insieme giudice e accusato. L’etica mette ordine alle azioni degli uomini e regola il potere di agire; tanto più è necessaria quanto più grandi sono le forze dell’agire che essa deve regolare. La paura e la minaccia possono favorire la ricerca di questa nuova etica.
    Questa nuova etica è qualcosa di vicino alla responsabilità dei genitori verso i figli. Il futuro dell’umanità costituisce così il primo dovere di ogni comportamento collettivo. Ma in esso è evidentemente e necessariamente incluso, scrive Jonas, "il futuro della natura in quanto condizione sine-qua-non" e la responsabilità nei suoi confronti. Il nuovo dovere, la nuova responsabilità, spingono dunque necessariamente "verso un’etica della conservazione, della salvaguardia, della prevenzione e non del progresso e della perfezione". Si torna così al concetto di limite, di confine da non superare; alla necessità di rallentare, cercando più equilibrio invece che più crescita, più qualità al posto di più quantità. Oggi occorre lasciare aperta la porta alla "possibilità" del domani. Ed uscire dal vicolo cieco – o dall’imbuto – della crescita per la crescita.

  3. Raimundo Panikkar: Non un’etica globale ma un’etica "condivisa".

  4. Non un’etica "globale", che sarebbe una sorta di tentazione neocolonialista, ma un’etica dialogica, condivisa, contemplativa, frutto di un disarmo culturale dell’Occidente e dell’incontro con le culture e le fedi religiose "altre". È questa, in sintesi, la proposta di Raimundo Panikkar, teologo e filosofo per metà spagnolo e per metà indiano, da anni impegnato nel confronto interreligioso.
    Ecco alcuni passaggi tratti da una sua relazione intitolata "Dall’etica globale all’etica condivisa" (Testo integrale riportato da "Adista" 26 febbraio 1994).
    "La mia tesi si potrebbe così riassumere: non c’è un’etica globale. E il suo corollario è che non ci può essere, perché se ci fosse ridurrebbe gli uomini ad una uniformità totale, e l’etica ad un’etica di deduzione dei principi. L’etica, invece, è qualcosa di vissuto e non soltanto frutto di una deduzione di principi. Non si può attuare eticamente costruendo sillogismi e traendone conseguenze. L’etica è una spinta personale, che viene più dal cuore che dalla mente. Non è soltanto una deduzione ragionevole di principi sublimi.
    Trovare una struttura formale o comune per fondare un’etica è impossibile. Tutti siamo d’accordo che si deve fare il bene: il problema comincia quando si vuol delimitare cosa è il bene e cosa è il male.
    Un’etica unica, in un mondo multiculturale e multietnico, implicherebbe che l’etica in quanto tale è sovra-culturale, e sovra-religiosa, mentre il fondamento che ogni cultura ed ogni religione pongono alle rispettive etiche è diverso. Per alcune culture le differenze tra quelli che noi chiamiamo uomini e gli altri animali non sono così essenziali. Ragione per cui un’etica mondiale dovrebbe essere al di sopra di qualsiasi altro fondamento etico che hanno le diverse culture e le diverse religioni.
    Ma ciò coincide con il colonialismo che è, appunto, la credenza secondo cui è possibile avere, con parametri sufficientemente depurati e cesellati, una percezione e una soluzione a tutti i problemi dell’umanità. Dopo le lusinghe coloniali occorre passare al disarmo di una siffatta cultura che si autoproclama universale e che pretende anche di fondare un’etica universale.
    L’unica forma di etica che abbia qualche forza, oggi, dev’essere un’etica interculturale. L’imperativo è pragmatico, perché non è fondato su un "a priori", ma semplicemente sul fatto che se non ci fosse un’etica alternativa per il mondo attuale si andrebbe alla mutua distruzione dell’umanità, allo sterminio tra gli uomini e ai disastri ecologici.
    Non ci facciamo illusioni: il mondo, anche politicamente parlando, non tollererà più per molto tempo queste ingiustizie istituzionalizzate: e se uno dovrà far ricorso all’incendio dei pozzi di petrolio o al ricatto atomico, lo farà. Quindi l’imperativo è pragmatico, perché l’alternativa è la distruzione. Non è l’imperativo a priori: "perché così deve essere". L’etica non può essere globale: ma deve essere oggi un’etica accettata nel mondo attuale e si costituisce soltanto – o si scopre – nel dialogo interculturale.
    E qui ritengo utile tratteggiare un decalogo dell’etica del dialogo.
    Primo: l’altro esiste "per" ciascuno di noi. E l’altro è il musulmano, l’altro è l’emarginato, l’altro è il marito, l’altro è il bambino, il mondo ecc. Una specie di superamento inconscio del solipsismo.
    Secondo: l’altro esiste come soggetto e non soltanto come oggetto. Esiste a sé stante e non mi ha chiesto il permesso di esistere. Neanche la pietra, gli alberi, gli animali. In altre parole: non si possono trasformare le pietre in pane.
    Terzo: l’altro non è oggetto di conquista, di conversione, di studi: è (s)oggetto con diritti propri, con lo stesso diritto di interpellarmi, di interrogarmi, che ho io. La relazione è, quindi, biunivoca: il dialogo è dialogo perché non è monologo. Non è soltanto domandare, ma lasciarsi anche interpellare. Per questo c’è una necessità di ascolto, di umiltà, di uguaglianza.
    Quarto: anche se io penso che l’altro (e l’altro può essere un sistema religioso o culturale) sbaglia, devo entrare in contatto con lui, altrimenti non c’è dialogo e senza dialogo non c’è pace.
    Quinto: la disposizione a dialogare è il principio etico supremo. Se ci si nega al dialogo, si finisce con il divorzio, con la guerra, con la bancarotta, con il disastro.
    Sesto: il dialogo deve essere totale. Come dicono gli inglesi: non c’è niente di "non-negocial". Tutto deve essere messo sul tappeto, altrimenti non è dialogo dialogale, non è dialogo umano, è dialogo diplomatico. Si mira a vincere.
    Settimo: l’etica è collegata al politico, dipende dal religioso ed è frutto di una cultura.
    Tutto ciò relativizza l’etica, ma la rende concreta ed efficace.
    Ottavo: l’etica scaturisce dal dialogo religioso e allo stesso tempo ne è la sua causa. È un circolo vitale come tutte le cose ultime.
    Nono: nessuno ha il diritto di promulgare un’etica. L’etica non si promulga. Si scopre. E si scopre nel dialogo.
    Inoltre in un contesto mondiale qual è quello di oggi a nessuno viene riconosciuto il diritto di promulgare un’etica universale ed assoluta.
    Decimo: l’etica contemporanea deve confrontarsi con un "novum" che non si era mai verificato nella storia: il "novum" di tanta gente che muore di fame, di sete, di stenti, di violenza. E che attende una redenzione concreta: non annuncio di principî etici, ma un comportamento operativamente salvifico, purificato di ogni pretesa messianica".
  5. Edgar Morin: Abitare la terra come patria

  6. Edgar Morin propone un’impostazione proceduralista, cioè una prospettiva concentrata sulla possibilità di una svolta antropologico-politica.
    Infatti, sin dagli anni sessanta, la sua riflessione si è incentrata sulla produzione di saggi dedicati al metodo della conoscenza, al pensiero della complessità e alle sue implicazioni antropologiche. In sostanza Morin ha inteso superare il mito della chiarificazione e dunque della semplificazione totale dell’universo abbracciando invece la coscienza della sua multidimensionalità.
    Nel libro "Terra-Patria", scritto insieme a Brigitte Kern e pubblicato in Francia nel 1993, il filosofo sostiene che non si può pretendere di concepire il globale attraverso un sapere specialistico e settorializzato, che avrebbe lo scopo di semplificare l’universo tenendolo perciò sotto controllo, ma invece attraverso una rivoluzione culturale che conduca dal pensiero del semplice al pensiero del complesso.
    "Più i problemi diventano multidimensionali, più c’è incapacità di pensare la crisi, più progredisce l’incapacità di pensare la crisi; più i problemi diventano planetari, più diventano impensati. Invece di considerare il contesto e il complesso planetario, l’intelligenza cieca rende incoscienti e irresponsabili".
    In altri termini, l’etica di una "Terra come patria", unica e comune, non si fonda sulla razionalizzazione, che è "cieca" e rende impossibile comprendere i problemi attuali; pertanto più aumenta il modello razionalizzatore, oggi prevalente, più, paradossalmente, aumenta l’incoscienza, cioè l’incapacità di cogliere il contesto planetario in tutte le sue urgenti problematiche. In sintesi: "La razionalità autentica deve avere infatti le caratteristiche dell’apertura e della dialogicità. Deve inoltre saper comprendere la sfera dell’affettività e dell’irrazionalità, divenendo consapevole del grado di incertezza presente in ogni sua analisi e mantenendosi aperta al mistero della vita: il fine della conoscenza è quello di partecipare a un dialogo con l’universo".
    In tale prospettiva, secondo Morin, l’Europa dovrebbe liberarsi di qualsiasi pretesa egemonica e portare il suo contributo di democrazia politica alla nascita di una nuova mondialità
    In sintesi il sociologo ravvisa nell’epoca della complessità l’opportunità di un’inedita pienezza umana in quanto solo ora siamo in grado di cogliere la ricchezza del reale, la natura dialogica della relazione uomo-mondo, il pluralismo delle interpretazioni, inteso come espressione di maturità.
    In ciò è l’unica salvezza che è data all’uomo, il quale, anziché nell’immortalità, è chiamato a sperare e a lottare per un mondo migliore, qui, su questa terra: "Dobbiamo coltivare il nostro giardino terrestre, il che vuol dire civilizzare la terra. Il vangelo degli uomini perduti della Terra-Patria ci dice: dobbiamo essere fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti".

    Emmanuel Lévinas: L’etica del volto. Mai senza l’altro
    La proposta di E. Lévinas, filosofo ebraico scomparso nel 1995, pone in evidenza come l’etica non possa essere fondata, in quanto essa avrebbe in sé il fondamento della stessa esperienza umana: dell’essere, dell’agire, del sapere.
    Il filosofo, denunciando l’idea dell’ecologia e della totalità, ha posto in risalto i loro esatti contrari: l’alterità della proprietà del "TU" e l’infinito.
    Lévinas tenta di individuare una nuova fonte di senso che, non solo trascenda ogni totalizzazione, ma emerga soprattutto per l’appello etico che proviene dal primato assoluto dell’altro, dal suo "volto".
    A tal riguardo, così, si esprime: "Ogni relazione sociale, al pari di una derivata, risale alla presentazione dell’Altro a Medesimo, senza nessuna mediazione di immagini o di segni, ma grazie alla sola espressione del volto […]. Il fatto che tutti gli uomini siano fratelli non è spiegato dalla loro somiglianza – né da una causa comune di cui sarebbe l’effetto come succede per le medaglie che rinviano allo stesso che le ha battute […]. Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi guarda come assolutamente estraneo – e l’epifania del volto coincide con questi due momenti".
    Il volto per Lévinas è appello, domanda, enigma ma soprattutto visitazione. L’irruzione del volto dell’altro sconvolge l’egoismo dell’io. Come spiega Emilio Baccarini:
    "L’io perde la sua sovrana coincidenza con sé, la sua identificazione in cui la coscienza ritorna trionfalmente a sé per appagarsi di se stessa. Dinanzi all’esigenza di altri, l’io viene espulso da questo riposo, senza identificarsi con la coscienza che già si vanta in questo esilio".
    La parola "io" significa "eccomi", rispondente di tutto e di tutti… La responsabilità dell’io per ciò che l’io non aveva voluto, cioè per gli altri".
    Per Lévinas "etica" non è un atteggiamento morale (volontario) del soggetto, ma la struttura originaria, metafisica: l’io, il soggetto nasce strutturato "l’un per l’altro". L’io è capace per-l’altro, in quanto è l’uno per l’altro, in quanto è già, fin dall’inizio, implicato in un rapporto etico. 
    "L’etica, al di là della visione e della certezza, delinea la struttura dell’esteriorità come tale. La morale non è un ramo della filosofia, ma la filosofia prima".

  7. Giuliano Pontara: etica e generazioni future. Tre esempi per capire

  8. Veramente le nostre azioni hanno il potere di condizionare la vita di chi verrà dopo di noi? Ecco la risposta di Giuliano Pontara, docente presso l’Università di Stoccolma, nel suo libro "Etica e generazioni future" (Laterza, Roma-Bari 1995).
    "Vediamo alcuni esempi di azioni che hanno avuto un impatto estremamente negativo su generazioni successive.
    Si prenda, come primo esempio, il graduale e sempre più intenso disboscamento che nel corso dei secoli si è verificato nell’Italia centro-meridionale. È opinione largamente condivisa che esso abbia avuto come conseguenza vasti fenomeni di erosione, inondazioni, impaludimento delle zone costiere, fenomeni i quali, a loro volta, hanno influito in modo sempre più negativo sulla salute ed il tenore di vita di vaste masse di popolazione appartenenti a molte generazioni.
    Un altro, più vistoso esempio, è la politica coloniale dei paesi occidentali dal ‘500 in poi: tra le sue conseguenze più funeste sono generalmente annoverate la distruzione di grandi culture, l’introduzione dello schiavismo su vasta scala e con ciò, di nuovo, conseguenze estremamente negative per masse di persone appartenenti ad un gran numero di generazioni.
    Un ulteriore, più recente, esempio è quello costituito dalle esplosioni nucleari sperimentali, susseguitesi dal ’44 in poi: quantunque le stime dei danni da esse prodotte varino, gli scienziati competenti sono generalmente d’accordo che esse hanno causato un aumento di cancro e di danni genetici che si protrarrà per diverse generazioni a venire. E, secondo recenti stime della World Health Organization, l’"incidente" di Cernobyl, nel 1986, sta causando e continuerà a causare tra i bambini dell’Ucraina e della Bielorussia un forte aumento di cancro alla tiroide".
  9. Il punto centrale è la trasformazione della coscienza umana.

  10. Il 4 settembre 1993 a Chicago, al termine dell’incontro del "Parlamento delle Religioni Mondiali" Circa 250 leader religiosi di ogni parte del mondo hanno approvato una dichiarazione intitolata "Verso un’etica globale". Il documento, elaborato in buona parte da Hans Küng e poi sottoscritto, tra gli altri, dal card. Joseph Bernardin di Chicago, dal Dalai Lama e dai rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, vuole essere un "punto di inizio" nella ricerca di un’etica interreligiosa comune. Riprendiamo la parte conclusiva del documento.
    "L’esperienza storica dimostra questo: la Terra non può essere cambiata in meglio se non perseguiamo una trasformazione nella coscienza degli individui e nella vita pubblica. Le possibilità di trasformazione sono state già intraviste in ambiti come quello della guerra e della pace, dell’economia, dell’ecologia, in cui negli ultimi decenni si sono avuti cambiamenti fondamentali. Questa trasformazione deve essere ancora conseguita nel campo dell’etica e dei valori!
    Ciascun individuo ha una dignità intrinseca e dei diritti inalienabili, e ciascuno ha anche una ineluttabile responsabilità per ciò che lei o lui fanno o non fanno. Tutte le nostre decisioni e le nostre azioni, persino le nostre omissioni ed i nostri errori, hanno delle conseguenze.
    Mantenere vivo questo senso di responsabilità, approfondirlo e trasmetterlo alle future generazioni è il compito speciale delle religioni.
    Noi siamo realisti su ciò che abbiamo raggiunto in questo consenso, e perciò esortiamo a che si tenga presente quanto segue:
  1. Un consenso universale su alcune questioni etiche discusse (dalla bioetica e dall’etica sessuale, attraverso i mass-media e l’etica scientifica all’etica economica e politica) sarà difficile da raggiungere. Tuttavia, persino per alcune questioni controverse occorre raggiungere soluzioni appropriate nello spirito dei principi fondamentali che noi qui abbiamo congiuntamente sviluppato.
  2. In diversi campi della vita una nuova coscienza di responsabilità etica è già emersa. Perciò ci piacerebbe se più professioni possibili, come quelle dei fisici, degli scienziati, degli uomini d’affari, dei giornalisti e politici, volessero sviluppare un aggiornamento dei codici deontologici che possono fornire specifiche linee guida per le questioni oggetto di dibattito, in riferimento a queste particolari professioni.
  3. Soprattutto, esortiamo le varie comunità di fede a formulare le loro etiche veramente specifiche. Che cosa ciascuna tradizione ha da dire, per esempio, sul significato della vita e della morte, sulla sopportazione della sofferenza, sul perdono della colpa, sul sacrificio altruistico e sulla necessità della rinuncia, sulla compassione e la gioia. Queste approfondiranno e renderanno più specifica l’etica globale che già viene individuata.
In conclusione, facciamo appello a tutti gli abitanti di questo pianeta. La Terra non può essere cambiata in meglio se non cambia la coscienza degli individui. Noi ci impegniamo a lavorare per una tale trasformazione nella coscienza individuale e collettiva, per il risveglio della nostra forza spirituale attraverso la riflessione, la meditazione, la preghiera o il pensiero positivo per una conversione del cuore. Insieme possiamo smuovere le montagne! Senza una volontà di assumere dei rischi ed una disponibilità al sacrificio, non ci può essere nessun fondamentale cambiamento nella nostra situazione! Ci impegniamo quindi per un’etica globale comune, per una migliore comprensione reciproca, così come anche per modi di vivere socialmente buoni, promotori di pace e rispettosi della Terra.
Invitiamo tutti gli uomini e le donne, credenti e non credenti a fare la stessa cosa".

Tredici libri per l’approfondimento

     
  1. Apel K.O., Etica della comunicazione, Jaca Book, Milano 1992
  2. Bori P.C., Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova 1991
  3. Jonas H., Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1993
  4. Kung H., Progetto per un’etica mondiale, Rizzoli, Milano 1991
  5. Lévinas E., L’etica come filosofia prima, Guerini, Milano 1989
  6. Mancini R. (e altri), Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996
  7. Morin E. – Kern B., Terra-Patria, Ed. R. Cortina, Milano 1994
  8. Panikkar R., Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della Terra, Cittadella, Assisi 1993
  9. Pinto De Oliveira C. J., La dimensione mondiale dell’etica, Dehoniane, Bologna 1986
  10. Pontara G., Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995
  11. Sen A., Etica ed economia, Laterza, Roma-Bari 1988
  12. Todorov T., Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995
  13. Viano C. A. (a cura), Teorie


PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Uno schema di riferimento: dalla monocultura all’interculturalitá

Perché l’educazione interculturale sia seguita e monitorata costantemente, occorre anzitutto conoscere le esperienze in atto, a partire dall’indagine, attivata dalla C.M. 308, sull’educazione interculturale e sulla presenza di stranieri nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie. In secondo luogo occorre pensare ad un vero e proprio osservatorio sulla educazione interculturale, per valutare l’efficacia delle singole iniziative e per formulare proposte di adeguamento.

Dalla monocultura all’interculturalità
Dimensioni Atteggiamento monoculturale Atteggiamento interculturale
Dimensioni Considera il tempo come successione e passaggio da una fase all’altra: come cumulativo, irreversibile: intrinsecamente finalistico. Vive il tempo come una contemporaneità di esperienze che fra loro interagiscono senza soluzione di continuità. Il tempo è una produzione interiore e casuale.
Lo spazio Valuta lo spazio come un punto di riferimento unico e immodificabile da difendere o dilatare in funzione di un potere maggiore sugli spazi degli altri. Lo spazio è il proprio territorio che ci si porta appresso anche nel viaggio. Ritiene lo spazio un bisogno contingente e, soprattutto, un dato psicologico necessario alla propria autonomia. È disponibile ad abitare più spazi contemporaneamente e a crearli in funzione delle necessità, riconoscendo agli altri il loro. 
L’identità Considera l’identità una struttura immodificabile e data una volta per tutte, sulla quale poggiare la manifestazione dei valori ritenuti gli “organizzatori” stabili della realtà e del rapporto con gli altri. L’identità qui si afferma a spese degli altri o nel conflitto, perché le proprie mappe possano sostituire quelle degli altri. L’identità è un processo in continuo divenire nelle sue alterazioni progressive, dove continuità e discontinuità si avvicendano. È necessariamente relazionale e quindi aperta al cambiamento delle esperienze e alla sostituzione dei punti di riferimento. I valori sono qui mappe e bussole provvisorie: si accetta di confrontare le proprie con le mappe degli altri per migliorarle.
L’educazione L’educazione si è compiuta una volta per tutte e non sopporta revisioni e innovazioni. Poggia sui valori che possono fornire al soggetto quella e soltanto quella configurazione mentale, affettiva e comportamentale. Poggia su fondamenti e certezze e sulla loro ripetizione e trasmessibilità. L’educazione si compie in una perenne dialettica tra il vecchio e il nuovo, l’educazione è un’esperienza che conferisce un’identità contingente e pratica, necessaria a risolvere problemi sempre diversi. Poggia sul metodo per affrontare l’incertezza, accettata come condizione vitale.

(da: D. Demetrio – G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale, La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. XII).
 

 Pedagogia e interculturalitá
 

a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi
 

Ha scritto Vaclav Havel: “non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato”. Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di “osare”, di avere fiducia e speranza almeno nel “piantare”, nel gettare semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo. Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme una “paideia” per il nuovo millennio ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio d’epoca e dunque ad un cambio di paradigmi. Non si tratta di operare un cambiamento di mentalità ma di acquistare una mentalità di cambiamento, una spiritualità da viandanti, un pensiero nomade. “Paideia” è una parola antica che indica il complesso dell’offerta formativa che il mondo adulto tenta di elaborare e di proporre alle nuove generazioni, per assicurare continuità e cambiamento, tradizione e novità. Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio “conosci te stesso” (... tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele ...). Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di questo principio quando l’altro è proprio diverso e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, ne a restare indifferente di fronte a lui? La svolta antropologica da compiere sta proprio qui.
Questa metanoia diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio verso l’altro, come viandanti, uomini e donne “in esodo”. Sono in molti a sottolineare che l’altro è oggi la questione del pensiero. Ma un’etica del volto e una cultura della reciprocità non si improvvisano. Tale scelta è possibile soltanto se il soggetto storicamente dominante accetta il proprio depotenziamento e la propria auto-decostruzione (un atteggiamento antropologico che affonda le sue radici nella teologia della Kenosi). In questo modo nascerà la possibilità di un incontro vero, perché ci si colloca in una situazione di parità reale e non solo fittizia, nella quale non si chiede che sia soltanto l’altro a cambiare, ma siamo anche noi a porci nella situazione di cambiamento. Proprio perché assumiamo un atteggiamento severo di depotenziamento, l’altro è invitato a fare altrettanto. Si crea così il principio di reciprocità: ognuno può dare e può ricevere qualcosa. A chi ha paura di perdere la propria identità culturale, facciamo notare che non è dalla reciprocità che deve temere questo, semmai dall’imperialismo economico che tende a omogeneizzare i comportamenti e le mentalità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre “asimmetria” e “squilibrio”. La vera sfida che abbiamo davanti è allora la seguente: come passare dalla “conflittualità” delle differenze alla “convivialità” delle differenze (o almeno ad un riduzione della conflittualità). Una comunità formata da soggetti appartenenti a diverse religioni, culture ed etnie (si pensi a Nevé Shalom deve essere consapevole di rappresentare un luogo profetico e di costituire il terreno più avanzato di sperimentazione della convivenza, e merita pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a cuore il futuro “conviviale” dell’umanità.

Alcuni compagni di viaggio
Nella prospettiva di una nuova paideia per il Terzo Millennio scegliamo alcuni compagni di viaggio fra i molti possibili. Comenio per l’Europa, Tagore per l’Asia, Paulo Freire per l’America Latina, Hampata Bâ per l’Africa.

1. JAN AMOS KOMENSKY (Moravia)
Come ha scritto G. Fornizzi nel bel saggio L’interculturalità nella storia della pedagogia, Komensky, nell’età moderna, è stato certamente il primo a voler abbattere certe frontiere: omnes significa per lui tutti, assolutamente tutti, proprio in contrapposizione con le tradizionali chiusure, con precisazioni che già rompono steccati secolari e anticipano convinzioni trasformatesi poi in capisaldi ovvii e indiscutibili. E indicare in quegli omnes i bambini, le donne, i vecchi, e perfino gli anormali ecc. voleva già dire aprirsi nuovi varchi, calcare nuove strade.
Il suo pensiero pedagogico è fortemente caratterizzato da un respiro universale quale mai prima di lui si era visto e sentito in campo educativo. La via della luce scritta nel 1640 su richiesta di alcuni amici parlamentari e uomini di cultura inglesi, può a buon diritto essere considerata un’opera — la prima della storia della pedagogia — scritta all’insegna dell’intercultura. In esso la cultura viene rappresentata come la luce che deve illuminare tutti gli uomini. Perché questa luce divenga accessibile ad ogni uomo — si dice uomo, senza badare a niente altro che alla qualifica prima e imprescindibile: l’umanità — Komensky propone:
1. libri universali,
2. scuole universali,
3. collegio universale,
4. lingua universale.

I valori particolari restano con i loro contenuti di autenticità, tuttavia se non concorrono a formare l’uomo in quanto tale diventano deleteri, distruttivi, appartengono alla follia delle separazioni, delle discordie, delle guerre, invece che all’utopia costruttrice della pace, all’ideale umano universale dell’unità.

2. TAGORE
Rabindranath Tagore (1861 - 1941), che è stato un “poeta universale”, sollecitato dalla sua premiazione con il Nobel per la Letteratura del 1913 e dalla sua desolazione per le miserie della prima guerra mondiale, creerà una casa di incontro per uomini di tutto il mondo, a qualunque gruppo etnico, classe sociale o credo appartenessero. La piccola scuola della “Casa della pace” a Santieneketon, trasformata in una Università Mondiale dal nome di Bisso Bharoti, tra i suoi obiettivi aveva il seguente : “l’uomo in qualsiasi posto egli sia, se ha prodotto qualcosa di valore eterno, non può reclamarlo esclusivamente per se stesso e per il suo popolo, perché appartiene, come i diritti acquisiti sin dalla nascita come essere umano, ad ogni uomo” (cfr., Tagore R., Sissu, ed. Guaneb, 1979).

3. FREIRE
Paulo Freire (n.1912) ha parlato del superamento di una coscienza intransitiva in una direzione di una coscienza transitiva: la prima indica la chiusura invalicabile nel proprio concreto vivere situazionale senza alcuna possibilità di critico superamento; la seconda si muove nella direzione di formare l’uomo come persona critica, coscienzatizzata, autonoma, creativa e democratica, non più “oppressa”: “...Quando dico educazione penso ad un processo di acquisizione di conoscenza a favore non della libertà, bensì della liberazione... Non si smette mai di cercare la libertà...” (cfr., Freire P., Il canto della liberazione, in Bambini ‘90, VI (1990), n.8).

4. HAMPATÈ BÂ
La civiltà africana, non solo negata ma resa inammissibile durante il secolo del colonialismo, ha ritrovato attualmente le sue voci. Nel processo evolutivo delle reazioni tra l’Occidente e il Terzo Mondo, grande peso hanno avuto politici, letterati, filosofi e artisti nativi. Tra questi un posto di rilevo occupa A. Hampatè Bâ che ha dedicato la sua vita a conservare e difendere la cultura africana; ma ciò non con mentalità statica rivolta sterilmente ad un passato nostalgico; bensì con mentalità dinamica: “la tradizione orale dei popoli africani e la realtà su cui si deve poggiare una cultura viva e vitale, che si evolve nel contatto con le culture esterne senza perciò perdere la propria identità (cfr., Introduzione, a cura di Volpini D., in A. Hampatè Bâ, Aspetti della civiltà africana. Mutamento culturale ed Evangelizzazione, Biblioteca Nigrizia, Bologna 1975).
A tal riguardo, così ha scritto il filosofo africano: “La riabilitazione delle lingue africane di base permetterebbe, da parte sua, di valorizzare la tradizione originale di ogni etnia, di pensare nella sua lingua, di raccogliere le tradizioni nella loro lingua senza perderne il sapore e la finezza, come accade invece, inevitabilmente, nelle traduzioni, che “mancano di sale” rispetto all’originale [...]. Si tratta secondo me di aiutare l’Africa a conservare ed a sviluppare la propria personalità, e di permettere di parlare di se stessa. Spetta infatti agli Africani di parlare dell’Africa agli stranieri, e non a questi ultimi, per colti che essi siano, di parlare dell’Africa agli Africani. Come dice un proverbio del Mali: “Quando si è in presenza di una capra, non si deve belare in vece sua”. Troppo spesso, infatti, ci hanno attribuito delle intenzioni che non abbiamo, hanno interpretato i nostri costumi o le nostre tradizioni in funzione di una logica che, senza cessare di essere logica, non lo è per noi. Le differenze di psicologia e di comprensione falsano le interpretazioni date dall’esterno”. (Hampatè Bâ, op. cit., pp. 97-98)

Indicazioni bibliografiche
Acone G., L’ultima frontiera dell’educazione, La Scuola, Brescia 1986.
Formizzi G., L’interculturalità nella storia della pedagogia, in Agosti A., (a cura), Interculturalità e insegnamento, SEI, Torino 1996.
Gianola P., Pedagogia all’appuntamento del 2000, in “Orientamenti Pedagogici”, 42 (1995), pp. 1175-1190.
Montessori M., Educazione e pace, Garzanti, Milano 1970.
Nanni A., Educare alla convivialità, EMI, Bologna 1994, 2a ed. 1995.
Nanni A., Pedagogia del volto. L’educazione dopo Lévinas, in corso di pubblicazione presso la rivista “Testimonianze”.
Panikkar R., La torre di Babele, ECP, Fiesole 1990.
Vico G., L’educazione frammentata, La scuola, Brescia 1995.
Vico G. - Santerini M., Educare dopo Auschwitz, Ed. Vita e Pensiero, Milano 1995.
Santerini M., Cittadini del mondo, La scuola, Brescia 1995.

 Riprogettiamo la scuola in prospettiva interculturale

a cura di Antonio Nanni
 

Premessa

Per quel che riguarda l’educazione interculturale, in Italia siamo ancora all'inizio di una alfabetizzazione interculturale, sia sul piano teorico-pedagogico, sia sul piano pratico-didattico. Stando dentro questo cammino, tuttavia lo sforzo di ciascuno di noi dovrebbe essere quello di offrire un contributo, per quanto modesto, per far compiere un passo avanti nella direzione di una sempre più matura e qualificata educazione interculturale. 

1) Da dove partire?

Mi metto nei panni di un insegnante che è già convinto della necessità di una educazione interculturale e che ora deve affrontare non il problema della "motivazione" (che sente di aver risolto) ma quello dell'operatività.
Il problema, cioè, non è più: "perchè l'interculturalità", ma "come fare interculturalità?"
E in particolare: "da dove partire?"
A me sembra che uno dei possibili punti di partenza possa essere individuato nelle indicazioni contenute nel "Documento di Sintesi del gruppo internazionale di lavoro per l'educazione interculturale", che è stato reso noto e veicolato con la Circolare Ministeriale nº 73 del 2 marzo 1994.
Le ragioni di questa scelta sono due: anzitutto perchè non avrebbe senso che ognuno si inventasse il suo modello di interculturalità nella scuola, ignorando gli orientamenti del Ministero, e rinunziando ad una visione unitaria pur in un quadro di pluralismo, e poi perchè il documento cui facciamo riferimento, anche se non provenisse dal Ministero, sarebbe comunque un testo molto significativo, con interessanti indicazioni operative e suggerimenti utili per promuovere iniziative ed interventi specifici.

2) Interculturalità e continuità educativa

L'interculturalità non è una nuova disciplina, non richiede la presenza di un "esperto" della materia. É invece una prospettiva globale, una dimensione trasversale e pervasiva che investe l'intero sistema educativo, dalla scuola materna all'Università.
Ciò non toglie che si possa - e che forse si debba - procedere per gradi dando spazio ad iniziative specifiche e ad interventi mirati. Ad esempio, per l'elaborazione di progetti specifici di studio potranno essere istituiti nella scuola gruppi di lavoro, come espressione dei collegi dei docenti.
In termini generali, tuttavia, l'educazione interculturale si esplica nell'attività quotidiana dei docenti, sulla base di una rinnovata professionalità e si sviluppa in un impegno progettuale e organizzativo fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione.
Andiamo a vedere, allora, che cosa affermano le "premesse generali" dei programmi dei vari ordini di scuola (materna, elementare, media, superiore) in merito all'interculturalità intesa nella sua eccezione più ampia.

a) Nella scuola materna

Un'enunciazione di portata  generale è contenuta negli Orientamenti didattici per la Scuola materna (3 giugno 1991): 
"L'accentuarsi delle situazioni di natura multiculturale e plurietnica, infine, di fronte alle quali si verificano talvolta atteggiamenti di intolleranza quando non addirittura di razzismo, può tradursi in occasione di arricchimento e di maturazione in vista di una convivenza basata sulla cooperazione, lo scambio e l'accettazione produttiva delle diversità come valori ed opportunità di crescita democratica".
Ed in seguito si osserva:
"Appare importante sviluppare nel bambino la libertà di pensiero, anche come rispetto della divergenza personale, consentendogli di cogliere il senso delle sue azioni nello spazio e nel tempo e di prendere coscienza della realtà, nonché della possibilità di considerarla e di modificarla sotto diversi punti di vista".
Ma forse le indicazioni più interessanti le troviamo quando si illustra l'ultimo dei sei "campi di esperienza" del bambino e cioè "il sé e l'altro". Si dice infatti:
"Le finalità specificamente considerate si volgono in primo luogo all'assunzione personalizzata dei valori della propria cultura nel quadro di quelli universalmente condivisi ed al rispetto attivo delle diversità. In secondo luogo, si rapportano alla presenza nel bambino di una capacità non soltanto di stare genericamente con gli altri, ma anche di comprendere, condividere, aiutare e cooperare, e prendono in considerazione il fatto che a questa età, in relazione con lo sviluppo cognitivo, si delinea un iniziale interesse per la sfera del giudizio morale. In terzo luogo, si riferiscono a strutture anche simbolico-culturali (organizzazioni sociali e politiche, sistemi morali, religioni) che nella loro pluralità e differenziazione hanno avuto ed hanno una presenza altamente significativa e rilevante nella vita dell'uomo, nella storia e nella cultura del nostro Paese (...)
Il bambino, infatti, si pone e pone domande impegnative per ogni persona, e che per lui hanno anche una rilevanza cognitiva, alle quali si sono date e si continuano a dare differenti risposte, nei cui confronti è indispensabile sviluppare un atteggiamento di attenzione, comprensione, rispetto e considerazione. Pertanto, lungi dall'impedirle, dallo scoraggiarle o dal sentirsene turbati, occorre impegnarsi ad aprire con lui un dialogo franco, sincero ed ispirato ad una chiara sensibilità multiculturale (...).
Va pure sviluppata, sul piano relazionale, comunicativo e pratico, la capacità di comprendere i bisogni e le intenzioni degli altri e di rendere interpretabili i propri, di superare il proprio esclusivo punto di vista, di accettare le diversità (in particolare quelle legate a disabilità fisiche e mentali) e ad assumere autonomamente ruoli e compiti.

Un risalto del tutto particolare spetta all'educazione alla multiculturalità, che esige la maggior attenzione possibile per la conoscenza, il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità che si possono riscontrare nella scuola stessa e nella vita sociale in senso ampio. 
A tale proposito è utile che l'insegnante si soffermi accuratamente sugli elementi di somiglianza che accomunano le esigenze proprie di ogni essere umano e sugli elementi di differenza riscontrabili nelle diverse risposte culturali, in modo da renderli comprensibili anche ai bambini (...)
L'itinerario educativo va inteso e realizzato come un tirocinio morale non forzato, che conduce dalla semplice scoperta dell'esistenza dell'altro e dall'adattamento alla sua presenza al riconoscimento rispettoso dei suoi modi di essere e delle sue esigenze fino alla acquisizione di una effettiva capacità di collaborazione regolata da norme in un quadro di ideali condivisi (...)

Una quarta articolazione riguarda lo sviluppo di un corretto atteggiamento nei confronti della religiosità e delle religioni e delle scelte dei non credenti, che è innanzitutto essenziale come motivo di reciprocità, fratellanza, impegno costruttivo, spirito di pace e sentimento dell'unità del genere umano in un'epoca di crescenti spinte all'interazione multiculturale ed anche multiconfessionale. Questa situazione rende particolarmente rilevante ogni intervento volto ad evitare le distorsioni (come l'assunzione di comportamenti di discriminazione) che possono conseguire all'assenza di una equilibrata azione educativa.

b) Nella scuola elementare

I programmi per la Scuola Elementare del 12 febbraio 1985 rilevano che «la Scuola deve operare... perchè il fanciullo abbia basilare consapevolezza delle varie forme di diversità o di emarginazione allo scopo di prevenire e contrastare la formazione di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture». Questi principi trovano convalida nella legge di riforma dell'ordinamento della Scuola elementare (L. 5-6-1990, n. 148) che inserisce, nelle finalità generali, «il rispetto e la valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali».
Si dice, in seguito, che il fanciullo sarà portato a rendersi conto che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3 Costituzione).
La scuola è impegnata ad operare perchè questo fondamentale principio della convivenza democratica non venga inteso come passiva indifferenza e sollecita gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni, alla luce di criteri di condotta chiari e coerenti che attuino valori riconosciuti (...), sia progressivamente guidato ad ampliare l'orizzonte culturale e sociale oltre la realtà ambientale più prossima, per riflettere, anche attingendo agli strumenti della comunicazione sociale, sulla realtà culturale e sociale più vasta, in uno spirito di comprensione e di cooperazione internazionale, con particolare riferimento alla realtà europea ed al suo precesso di integrazione (...).
É dovere della scuola elementare evitare, per quanto possibile, che le "diversità" si trasformino in difficoltà di apprendimento e in problemi di comportamento, perchè ciò quasi sempre prelude a fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguentemente a disuguaglianze sul piano sociale e civile.
 

c) Nella scuola media

Nei programmi d'insegnamento della scuola media, che risalgono al 6 febbraio 1979, troviamo un passaggio che potrebbe essere stato scritto oggi per la sua fortissima attualità: 
"Ponendo gli alunni a contatto con i problemi e le culture di società diverse da quella italiana, la scuola media favorirà anche la formazione del cittadino dell'Europa e del mondo, educando ad un atteggiamento mentale di comprensione che superi ogni visione unilaterale dei problemi e ci avvicini all'intuizione di valori comuni agli uomini pur nella diversità delle civiltà, delle culture e delle strutture politiche".
Di grande interesse anche il paragrafo dove si parla dell'unità del sapere come "interdisciplinarità". Qui si osserva che:
" I vari insegnamenti esprimono modi diversi di articolazione del sapere, di accostamento alla realtà, di conquista, sistemazione e trasformazione di essa, e a tal fine utilizzano specifici linguaggi che convergono verso un unico obiettivo educativo: lo sviluppo della persona nella quale si realizza l'unità del sapere (...).

In tutte le discipline deve trovare spazio l'operatività, che non è solo compito dell'educazione tecnica e dell'educazione scientifica, al fine di superare la separazione tra attività intellettuale e attività manuale".
E anche nel paragrafo finale sulla "socializzazione" troviamo una indicazione da non dimenticare:
"Utile sarà anche un avvio alle metodologie del vivere in democrazia che educhi ad un dibattito tanto più corretto quanto più fondato sulla tolleranza e sul rispetto reciproci e su una conoscenza della realtà, la più documentata possibile e che valga ad evitare forme distorte di competitività".
 
 

d) Nella scuola superiore

Ci rifacciamo al progetto della Commissione Brocca, ossia ai "Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi del biennio" (cfr. Editrice La Scuola, Brescia) e ai "Programmi del triennio" (cfr. Annali della P.I., Editrice Le Monnier, Firenze).
Come è noto gli indirizzi di scuola secondaria previsti dal progetto della Commissione sono, in ordine alfabetico, i seguenti: artistici, classico, economico, linguistico, professionali, scientifico, scientifico-tecnologico, socio-psicopedagogico, tecnologici. Gli indirizzi artistici, professionali e tecnologici hanno ulteriori suddivisioni interne.
Nel biennio delle superiori (quelle riformate) le discipline sonoa scuola superiore in questi termini:
"Per i programmi vigenti nella Scuola secondaria superiore è necessario un sistematico impegno ad esplorare e interpretare le potenzialità interculturali di ogni disciplina. I recenti programmi sperimentali per la Scuola secondaria superiore (1992) riscontrano una «situazione socio-ambientale caratterizzata da forte complessità e da un accentuato pluralismo di modelli e di valori» e contengono significativi spunti di carattere interculturale nella trattazione delle varie discipline.
Essi si pongono così anche come possibile chiave di rilettura degli stessi programmi vigenti. Ad esempio i programmi di lingua straniera per il biennio propongono la finalità della «formazione umana, sociale e culturale mediante il contatto con altre realtà, in un'educazione interculturale che porti a ridefinire i propri atteggiamenti nei confronti del diverso da sé».
Nella Scuola secondaria superiore, dove la presenza straniera è più limitata e meno problematica, assumono maggiore rilevanza il motivo del confronto culturale a distanza ed il tema della prevenzione e del contrasto del razzismo e dell'antisemitismo (v. c.m. 11-3-1993, n. 71 relativa al piano nazionale di aggiornamento e c.m. 25-1-1994, n. 20 relativa all'adozione dei libri di testo).
 

3) L'obiettivo più ambizioso: l'interculturalità per via interdisciplinare

Non v'è dubbio che l'interculturalità esalta l'unità dell'educazione, tutela il pluralismo, integra e armonizza le differenze. E ciò è perfettamente in linea con le indicazioni ministeriali, secondo cui:
"se correttamente interpretate, tutte le discipline curriculari - sia pure in forme diverse - promuovono nell'allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l'organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati. Nella loro differenziata specificità le discipline sono, dunque, strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte. Si tratta del resto di soddisfare l'esigenza che il preadolescente manifesta, passando da esperienze di vita più globali e di cultura più indifferenziate, proprie della scuola primaria, a quelle più articolate e specifiche della scuola  secondaria di primo grado, sulla linea della necessaria ed appropriata pluralità delle discipline e dei contributi che esse forniscono.

L'elaborazione di progetti interdisciplinari consente poi un ampiamento di prospettive e una convalida del discorso interculturale con un approccio a più voci, coinvolgente per gli alunni. La presentazione di altre culture in un'ottica interdisciplinare, che investa le espressioni letterarie, artistiche e musicali, gli elementi storici e geografici e gli aspetti della tecnica e del lavoro risulta assai più significativa. Più in generale l'allineamento temporale dello svolgimento dei programmi a livello secondario consente di cogliere gli intrecci delle correnti di pensiero, letterarie ed artistiche di determinati periodi storici. Collegamenti utili anche in funzione interculturale possono essere sviluppati tra gli insegnamenti relativi ai linguaggi non verbali che, nella terminologia dei programmi per la Scuola elementare, assumono la denominazione di "educazione all'immagine", "educazione al suono e alla musica" ed "educazione motoria". É anche da valorizzare l'ulteriore riferimento dell'educazione motoria alle attività ludiche. L'educazione alla convivenza democratica (nella Scuola elementare) o civica (nella Scuola secondaria), ponendosi come approccio trasversale alle discipline mette in luce la convergenza degli insegnamenti e si avvale degli interventi coordinati dei docenti per promuovere comportamenti civilmente e socialmente responsabili.
Anche in questo ambito si possono seguire i fili conduttori dei diritti dell'uomo, della pace, della collaborazione internazionale, del rapporto con i Paesi in via di sviluppo, dell'equilibrio ecologico.
 

IL CLIMA NELLA CLASSE E NELLA SCUOLA

Alcune schede di lavoro

1. Clima della classe
2. Ascoltare
3. Incoraggiare
4. Feed-back
 

1. CLIMA DELLA CLASSE: la qualità della vita nella classe come riflesso della relazione insegnante-allievi e fra allievi stessi.

Un numero crescente di insegnanti giunge a riconoscere che uno dei contributi chiave per un efficace apprendimento dei ragazzi è un clima nella classe di positivo sostegno. La responsabilità principale perché ciò avvenga resta all’insegnante e dipenderà in larga misura dagli assunti sugli alunni ed il loro apprendimento che hanno contribuito a formare un particolare stile di insegnamento.
Tradizionalmente le classi sono state considerate come i luoghi dove gli alunni eseguono i compiti necessari all’apprendimento prescritto. La tendenza nelle interazioni interpersonali è stata quella fra l’insegnante e la classe presa nel suo complesso, con alcuni scambi fra l’insegnante ed alunni particolari. Questa tradizione parte da un apprendimento passivo e non attivo. Se vogliamo che il processo dell’istruzione sia rilevante per le vite che li studenti effettivamente conducono, allora la classe deve diventare un posto dove gli aspetti di queste vite possano essere messi a confronto. Ciò comporta il creare nelle nostre classi un'enfasi sul vivere interpersonale in modo che i ragazzi abbiano l’opportunità di sviluppare una coscienza dell’effetto che le esperienze nella classe stanno avendo su di loro.
Come osservano Canfield e Wells in “100 Waus to Enhance Self Concept in the classroom”.
“Gli studenti hanno un interesse riguardo all’ambiente emozionale della classe. Gli insegnanti e gli studenti dovrebbero trovarsi insieme e discutere liberamente di cooperazione e competizione, fiducia e paura, apertura e rifiuto e così via. La discussione in incontri di classe di questi ed altri argomenti aiuto a creare il tipo di clima che stimola una crescita totale degli alunni”.
Un clima positivo nella classe ha la tendenza a svilupparsi quando gli insegnanti si comportano in modo “facilitativo” (vedi: L’insegnamento centrato sulla persona). Ciò può essere stimolato attraverso comunicazioni positive a vari livelli e gli insegnanti devono incoraggiare gli alunni a portare nel loro apprendimento una sintesi del proprio benessere fisico, emozionale e intellettuale. È di importanza cruciale l’impegno di strategie di insegnamento che sviluppino nei ragazzi un senso dell’essere completamente coinvolti nel proprio apprendimento.
In termini generali una classe positivamente “facilitativa” si realizza quando gli insegnanti:
1. Apprezzano le relazioni con i propri alunni.
2. Esprimono i propri bisogni e desideri di ai ragazzi.
3. Sono comprensivi e disponibili verso i ragazzi.
4. Incoraggiano e stimolano relazioni calde e amichevoli fra gli alunni.
5. Impiegano più tempo ad ascoltare gli alunni che a parlargli.
In termini specifici il clima della classe può essere agevolato mantenendo la comunicazione. Esempi di questo stile nel comunicare sono:
1. Affrontare gli avvenimenti interpersonali importanti nel momento in cui si presentano, senza rimandare al futuro.
2. Parlare direttamente agli alunni piuttosto che parlare di qualcuno alla classe nel suo complesso.
3. Rivolgersi agli alunni con cortesia, interesse e considerazione.
4. Essere coscienti dell’importanza del contatto visivo e della comunicazione non verbale.
5. Evitare gli ostacoli comuni ad un’efficace comunicazione: il giudicare, criticare, indicare, comandare, fare del moralismo.
Anche se nella maggior parte delle scuole dell’obbligo oggi si dispongono i mobili in modo da agevolare l’interazione fra i ragazzi, una buona parte delle classi nelle scuole secondarie è ancora organizzata in file di banchi rivolti tutti nella stessa direzione. Se la tua classe deve ospitare laboratori per l’interazione anche i mobili devono agevolare lo scopo. Le nuove scuole stanno riflettendo sempre più questa direzione disponendo di tappeti, sedie più comode, schermi, zone calme e della presenza di piante, mostre vivaci e interessanti e di lay-outs (addobbi) flessibili.
Quando tutti gli alunni affrontano l’insegnante, l’interazione fra gli alunni diventa molto difficile. Gli alunni hanno bisogno di comunicare direttamente l’uno con l’altro senza dover passare attraverso la presenza dell’insegnante che sta loro di fronte. Questo comporta soprattutto che la disposizione dei posti a sedere agevoli il contatto visivo.

Alcune domande fondamentali:
1. Come descriverei il clima che creo nella classe?
2. Quali sono i miei assunti sui ragazzi?
3. Come mi comporto con gli alunni che non mi piacciono?
4. Che tipo di rapporti interpersonali incoraggio nella mia classe sia formalmente che informalmente?
5. Come descriverei il mio modo di insegnare?
6. Quanto di me stesso/a apro agli alunni?
7. Come affronto avvenimenti relazionali nella mia classe?
8. Come dispongo i mobili nel cercare un ambiente più interattivo?

Alcuni suggerimenti pratici:
1. Considera l’organizzazione fisica nella tua classe. Cerca di trovare i modi perché possa indurre maggiormente ad un clima interattivo.
2. Fa esperimenti con varie disposizioni dei posti a sedere.
3. Cerca un collega che osservi il tuo modo di insegnare. Prova ad ottenere dei suggerimenti positivi riguardo a quegli aspetti del tuo insegnamento in cui ti stai impegnando.
4. Parla con gli alunni della classe e del clima dell’apprendimento.
 

2. ASCOLTARE: una combinazione del sentire ciò che un altro dice e di un attivo coinvolgimento in ciò che dice

Una delle capacità chiave negli insegnanti altamente “facilitativi” è stata dimostrata essere l’abilità dell’ascoltare efficacemente.
Nonostante sia una delle dimensioni cruciali di una comunicazione efficace, l’ascoltare è stato quasi completamente ignorato dal processo scolastico. Non solo è importante per gli insegnanti, che con ogni probabilità occupano più tempo a parlare che non ad ascoltare gli allievi, per la praticità e lo sviluppo di capacità di ascolto attivo, ma anche per i ragazzi perché possano avere l’opportunità di costruire quella facilità di ascolto che è naturalmente presente nella loro infanzia.
La capacità di essere un buon ascoltatore dipende dall’uso appropriato di alcune abilità chiave:

Essere attenti (attending)
Ciò richiede:
1. una postura che faciliti il coinvolgimento;
2. un uso corrente del linguaggio del corpo appropriato;
3. un buon contatto visivo;
4. un ambiente che distragga il meno possibile.

Questa prima serie di abilità riguarda lo stabilire le condizioni appropriate perché possa avvenire un’interazione di mutuo vantaggio. Queste condizioni dipendono in larga misura dalla sensazione di chi parla che noi siamo interessati, impegnati, disposti ad ascoltare. Ciò viene trasmesso dal modo in cui siamo seduti rispetto a chi parla, faccia a faccia, piuttosto che di profilo e inclinati leggermente in avanti piuttosto che indietro. Le mani e le braccia dovrebbero essere aperte piuttosto che incrociate sul corpo. Un buon contatto visivo con chi parla dimostra un senso di coinvolgimento.

Seguire:
Ciò richiede:
1. saltuarie interruzioni di chi parla: “Vorresti parlare di più di quest’ultimo argomento?”;
2. qualche incoraggiamento: cenni della testa e “capisco”, “vai avanti”, “sì”;
3. porre domande circoscritte;
4. attento silenzio.

Una volta stimolata l’altra persona a parlare, è importante che possa continuare, in modo che le questioni che devono venir affrontate possano essere tirate fuori. Ciò implica una buona comunicazione non verbale ed alcune risposte verbali minime. È difficile evitare la tentazione di intervenire e portar via l’iniziativa a chi parla. Il mantenere un silenzio attento è la capacità chiave da coltivare se si vuole evitare che questo avvenga.

Riflettere:
Ciò richiede:
1. occasionali parafrasi di quello che ha detto l’altra persona;
2. riflettere i sentimenti dell’altro;
3. riflettere i significati dell’altro;
4. riassumere i progressi di quando in quando.

È la facilitazione che segna la differenza con questa serie di abilità fra l’ascolto attivo ed efficace ed il semplice sentire. Quando chi parla sente sinceramente che l’ascoltatore è veramente interessato ed è nella condizione di coinvolgersi all’argomento presentato senza intervenire per giudicare, allora si può affermare che è avvenuta una comunicazione efficace. La sezione sull’empatia affronta più in dettaglio un atteggiamento di risposta che rifletta quanto si ascolta.
Il modo migliore per gli insegnanti per sviluppare le proprie capacità di ascolto è di cambiare l’equilibrio fra il parlare e l’ascoltare nelle loro interazioni con la classe. Troppo spesso utilizziamo i periodi in cui dovremmo ascoltare per ripetere a noi stessi quello che diremo in seguito. Un ascolto più efficace comporta la capacità di concentrarsi sugli interessi e le preoccupazioni di un’altra persona. Nella conversazione, naturalmente, parlare ed ascoltare sono ugualmente importanti, ma in una relazione di aiuto come quella fra alunno e insegnante, l’ascoltare acquista una funzione più importante, che può costituire la differenza fra una crescita ed uno sviluppo sano ed un fallimento nell’apprendere.

Orecchio Inserire simbolo tu

occhi

attenzione
unitaria

cuore Questi caratteri, che formano il verbo “ascoltare”, indicano come i cinesi comprendano molto bene l’atto dell’ascoltare
 

INCORAGGIARE: relazione interpersonale che ha un effetto positivo sugli altri. È un fattore chiave in ogni efficace relazione, aiutando a sviluppare negli altri il coraggio interiore che agevola un positivo apprendimento ed una sana crescita individuale.

Uno dei principi educativi che frequentemente vengono ripetuti dice che un efficace apprendimento viene facilitato dall’ottenimento di successi. L’incoraggiamento è quel processo che aiuta gli altri ad assumersi quei rischi che portano al successo nella vita e nell’apprendimento. Nel tentare di spiegare i vari aspetti del comportamento dell’incoraggiare è necessario distinguere fra l’incoraggiare e il fare complimenti.
Il fare complimenti assegna meriti basati sui risultati mentre l’incoraggiare prende in esame le risorse dell’individuo ed il modo in cui vengono utilizzate per il miglioramento della persona. Il fare complimenti è spesso usato come metodo di controllo per far sì che gli altri si conformino ai nostri desideri, mentre con l’incoraggiamento si cerca di aiutare gli alunni a sviluppare l’accettazione di se stessi ed il sentirsi utili. Fare complimenti è una motivazione esterna; l’incoraggiare sviluppa le motivazioni interne.
La maggior parte di noi utilizza tanto comportamenti incoraggianti che scoraggianti nelle nostre vite personali. Nelle nostre relazioni con gli alunni dobbiamo cercare di sviluppare dinamiche motivanti. Questo significa il perseguire positivamente strategie incoraggianti evitando quelle scoraggianti.

STRATEGIE 
SCORAGGIANTI STRATEGIE INCORAGGIANTI
- ascolto non efficace
- concentrarsi sugli aspetti negativi
- minacciare
- non coinvolgimento a livello affettivo
- enfasi sulla competizione e i confronti
- umiliare - ascolto efficace
- concentrarsi sugli aspetti positivi
- accettare
- coinvolgimento affettivo
- enfasi sulla cooperazione
- stimolare

È facile essere incoraggianti con coloro il cui lavoro e le cui risposte ci fanno piacere, ma è molto più difficile esserlo con coloro che hanno atteggiamenti che ci irritano o le cui risposte mostrano una mancanza di comprensione. Molto dipenderà dal rispetto che nutriamo per gli alunni (vedi “L’insegnamento centrato sulla persona”). La seguente lista con domande di controllo può essere utile:

1. Credo onestamente in ciò che dico agli alunni?
2. Il mio entusiasmo per gli alunni si basa sul fare complimenti o sull’incoraggiamento?
3. Credo veramente che tutti gli alunni con cui lavoro abbiano la capacità di crescere?
4. In caso negativo, su cosa baso questo mio giudizio?
5. Fino a che punto sono in grado di sentire come ogni ragazzo vede la vita dal suo punto di vista?

Un’altra trappola in cui si può cadere è il trattenersi dall’incoraggiare perché un alunno non ha raggiunto i livelli che avevano stabilito o quello che chiamiamo risultato medio (average standards). Un sincero incoraggiamento è strettamente in sintonia con il livello dei bisogni o delle aspirazioni di ogni alunno. L’incoraggiamento è particolarmente efficace quando sentiamo di aver risposto ad una richiesta ed abbiamo soddisfatto i nostri obiettivi, non quando abbiamo raggiunto un qualche generale livello desiderato. Il rispondere in modo empatico nelle nostre interazioni con gli alunni ci aiuterà a sviluppare un’aumentata capacità per questo necessario sintonizzarsi in maniera ottimale.
I prossimi punti vengono offerti come spunti per un ulteriore sviluppo di relazioni positive e incoraggianti:
1. Nelle discussioni con gli alunni cerca di attenerti ai loro argomenti;
2. Cerca di trovare il tempo e di avere attenzione per ogni alunno;
3. Non ti preoccupare dei silenzi;
4. Impara i nomi propri degli alunni e utilizzali;
5. Rifletti ciò che senti essi provano e vogliono dire;
6. Evita di interrompere quando stanno parlando;
7. Ascolta più di quanto parli;
Di quando in quando riassumi quello di cui hai discusso. Un numero di recenti studi sulla vita della classe ha indicato come in generale gli alunni vengano incoraggiati in modo insufficiente dagli insegnanti. Il sincero incoraggiamento di ciascun individuo ha la capacità di realizzare quel senso di successo così necessario ad un apprendimento e una crescita positiva. Apprendere è un processo dove si ottiene un risultato e si lavora quindi per arrivare al passo successivo. Noi tutti abbiamo diritto a crescere attraverso l’ottenimento di risultati. Come insegnanti abbiamo la responsabilità di agevolarlo.

4. FEEDBACK: il processo del fornire informazioni ad una persona sul suo comportamento e le relative conseguenze. È un aspetto vitale della relazione fra insegnante e alunni ed aiuta gli alunni a crescere nella consapevolezza del loro modo di influire sugli altri.

In un certo senso, ricevere feedback sul comportamento è tutto ciò di cui si occupa l’istruzione. Come insegnanti e come genitori lo forniamo ai ragazzi tutto il tempo anche se spesso con insufficiente sensibilità per l’individuo che lo riceve. Come insegnanti dobbiamo tenere a mente le qualità che rendono efficace l’apprendimento degli alunni (vedi: “L’insegnamento centrato sulla persona”) e dobbiamo provare a mettere in relazione il nostro fornire feedback con la personalità ed i bisogni dell’individuo. Quando può contare su una relazione “facilitativa” e di fiducia con il proprio insegnante, la maggior parte degli alunni sarà disposta ad accettare di ricevere feedback ed alcuni lo richiederanno consapevolmente.
Nel fornire feedback agli alunni è importante prestare attenzione ai seguenti punti:

1. Dare una descrizione del comportamento la più concreta possibile.
2. Basare le descrizioni sull’osservazione e non sull’inferenza.
3. Affrontare il comportamento presente (qui ed ora) piuttosto che ciò che è accaduto qualche tempo prima.
4. Lasciare spazio alle reazioni e alla rielaborazione attraverso la discussione delle implicazioni di quanto osservato.
5. Fornire feedback su comportamenti con cui gli alunni sono in grado di confrontarsi.
6. Sviluppare un modo di fornire feedback caldo, empatico e con interesse per gli altri.

Il cercare di ottenere feedback riguardo ai propri comportamenti è pure una parte vitale della crescita e dello sviluppo dell’insegnante. La finestra Jo-Hari è un utile strumento per prendere in esame il modo di insegnare e di interagire con gli alunni in classe. Diventare un insegnante più efficace dipende in larga misura dal saper estendere i limiti dell’area conosciuta dentro le aree nascoste e cieche. Ciò richiede un potenziamento della nostra capacità di condividere con gli alunni i nostri pensieri e sentimenti sui modi creativi in cui gli alunni possono fornirci il loro feedback sul nostro comportamento in classe.
Un modo positivo ed efficace di ricercare feedback sul nostro comportamento come insegnanti è quello di invitare un collega di cui ci fidiamo a passare un po’ del suo tempo osservando la nostra classe mentre lavora. Questa presenza non dovrebbe essere vista come una procedura di controllo, ma piuttosto come un mezzo per scoprire di più sui nostri punti forti e deboli sia a livello professionale sia a livello personale. Per ottenere il massimo da questa esperienza l’insegnante che verrà osservato deve identificare l’area di osservazione. L’area va definita in modo preciso:

? durante la prossima ora potresti osservare quanto tempo dedico ad ognuno degli alunni;
? durante questa lezione potresti prestare particolare attenzione al modo in cui mi rapporto agli interrogativi degli alunni e verificare se a te sembra che i loro bisogni vengano soddisfatti;
? quello che mi interessa sapere è fino a che punto sono riuscito/a ad organizzare il lavoro di gruppo.

Questo tipo di approccio aperto all’esterno per quello che riguarda il lavoro con gli alunni nella classe va incoraggiato. Ogni lezione è un’opportunità nuova per imparare qualcosa di più sul come divenire un “facilitatore” più efficace della crescita e dell’apprendimento degli alunni.
Un modo utile e pratico per essere in relazione con i propri sentimenti riguardo all’essere un insegnante è quello di utilizzare un questionario simile a quello della sezione “Me stesso come insegnante”.
 
 
 
 

MONDIALITÁ E NUOVE TECNOLOGIE INFORMATICHE

Multimedia e scuole europee

La maggior parte dei sistemi scolastici nazionali dell’Unione Europea sembra giá aver scelto o apprestarsi a mettere in moto questa seconda ondata di informatizzazione delle strutture. A breve scadenza (si parla del 2000-2002) avremo potenzialmente tutte le scuole con dotazioni multimediali e collegamenti in rete (on-line). Avremo anche un processo di riflessione e formazione adeguato a questo abbraccio ai nuovi media digitali? Fino a che punto siamo consapevoli del modo in cui queste tecnologie interagiscono con la nostra mente (e probabilmente accentuano la dicotomia corpo-mente tipica della societá industriale)?

L’Unione Europea ha giá operato una netta scelta di campo e fin dal 1995 ha detto a chiare lettere che intendeva colmare il ritardo rispetto agli Stati Uniti sulla societá dell’informazione. A luglio del 1996 la Commissione Europea ha diffuso il Rapporto della Task Force “Educational Software and Multimedia”, l’organo “interministeriale” cui é stato affidato il compito di fare il punto della situazione e di indicare le linee guida per l’immediato futuro. Vi si legge fra l’altro:
“Le tecnologie multimediali hanno dimostrato la propria efficacia pedagogica in numerosi esperimenti pilota. Potranno essere utilizzate nella pratica quotidiana dell’insegnamento solo se i processi di innovazione dell’insegnamento saranno meglio recepiti sia delle istituzioni educative, sia dalla societá nel suo complesso.” In che modo sará stata valutata l’efficacia di queste azioni pilota? Abbiamo giá dei criteri di monitoraggio e verifica comuni a livello europeo?

Piú recentemente, la Commissione ha pubblicato un Piano d’Azione per il 1996-1998 intitolato “Apprendere nella societá dell’informazione” che vede ancora una volta la cooperazione fra responsabili dell’industria e dell’educazione e suggerisce quattro ambiti principali di intervento:

1. sostegno alla messa in rete delle scuole e all’innovazione dei progetti educativi attraverso le tecnologie multimediali
2. sviluppo e disseminazione di “contenuti” educativi di interesse europeo, per esempio stimolando la cooperazione fra canali televisivi, editori multimediali e produttori di servizi educativi
3. formazione e sostegno agli insegnanti per l’utilizzo delle tecnologie multimediali all’interno della pratica di insegnamento
4. creazione di un forum per la circolazione di informazioni relative alle tecnologie multimediali, tanto attraverso Intenet che attraverso i media tradizionali.

Si impone sempre più l’esigenza di confrontarci con i nuovi ruoli che l’introduzione di queste nuove tecnologie riserva all’insegnante e all’educatore in genere e soprattutto con la domanda chiave: Che cosa vogliono i bambini dal computer? A questo proposito proviamo a sentire alcune risposte collezionate dalla Microsoft:  “Un replay della memoria, poter rivivere i momenti piú belli della mia vita; che trasformi le parole dette in parole scritte; poter  vedere il mondo con gli occhi di un’altra persona; farmi vedere giá grande; ricreare piante e animali estinti” (da “Confucio nel computer”, di Furio Colombo, Rizzoli, 1996). Il computer rende estremo, soprattutto nei frequentatori piú giovani il senso di identitá é la conclusione, tutt’altro che priva di conseguenze, di Furio Colombo. In che modo il computer e l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione contribuirà inoltre a definire la mappa dell’emarginazione a livello europeo e planetario?

Forse non manca molto all’introduzione nei nostri atlanti tematici della descrizione dell’accesso (o meno) e della qualitá delle linee telefoniche e dei collegamenti Internet nelle diverse regioni del globo. Anche senza allontanarsi dall’Europa, é interessante notare come queste nuove tecnologie favoriscano, almeno per il momento, i membri storici dell’Unione Europea, paesi dove si riscontra una media di 11 interruzioni telefoniche all’anno ogni cento linee, mentre la Grecia  (ma in generale i paesi mediterranei) arrivano anche a cinque volte tanto. Ma é fra Nord e Sud del mondo che le nuove tecnologie dell’informazione potrebbero scavare un fossato ancora piú profondo di quello di cui siamo testimoni oggi.

Sord-Nud?

Apparentemente Internet offre maggiori occasioni e strumenti di comunicazione Nord-Sud. Fra gli esempi positivi, per esempio livello delle organizzazioni non governative di cooperazione allo sviluppo, vale la pena di conoscere da vicino le attivita di APC (Association for Progressive Communication, www.apc.org), un’organizzazione che sostiene attivamente (e per quanto possibile con tecnologie appropriate le organizzazioni locali e internazionali di cooperazione allo sviluppo e che ha saputo assumere un ruolo di primo piano nelle ultime conferenze internazionali sui temi dello sviluppo e dell’ambiente.

Ma Internet é anche fonte di informazioni aggiornate su quasi tutte le aree geografiche. Vediamo per esempio tre indirizzi: 
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? LANIC (lanic.utexas.edu/) con informazioni sul continente latinoamericano;
? SOUTH ASIA RESOURCES (www.lib.virginia.edu/area-studies/SouthAsia/southAsia.html)
? AFRICA ON-LINE (www.africaonline.com/).

Non sorprenderá i piú che questi ed altri siti sono in genere gestiti da organizzazioni con sede negli Stati Uniti. Persino il sito degli zapatisti messicani con i comunicati e le poesie del Comandante Marcos non sono certo messi “on-line” dalla Selva Lacandona, ma piuttosto dal server di un’universitá statunitense (con una pagina intitolata naturalmente “Ya basta!”). Questo nulla toglie ai servizi che questo eccellente server ha reso alla diffusione di notizie ed appelli per il rispetto dei diritti umani.

Il problema piú scottante messo in evidenza é quello di un’accresciuta distanza dra Nord e Sud del mondo. Vediamo qualche dato esemplificativo:

? Almeno l’80% della popolazione mondiale non dispone dei servizi telefonici di base.
? Il prezzo di un modem in India é quattro volte superiore al prezzo di un modem negli Stati Uniti.
? La velocitá di connessione di un modem in Costa d’Avorio puó raggiungere al massimo 9.600 bits al secondo.
? In termini reali, l’accesso ad Internet costa in Indonesia dodici volte piú che negli Stati Uniti.
? Alcuni governi, per esempio in Cina, Singapore e Vietnam stanno giá applicando la censura al flusso delle informazioni disponibili su Internet.

Per che vuole approfondire la dimensione regionale di questi squilibri puó risultare molto interessante la lettura di un recente rapporto del Panos Institute intitolato “The Internet and the South: Superhighway or Dirt-Track?”  (disponibile anche all’indirizzo http://www.oneworld.org/panos). Per cominciare, l’accesso a Internet era limitato nel 1996 a circa 110 paesi. 50 altri paesi hanno un semplice accesso alla posta elettronica ( o e-mail). Le aree “escluse” sono soprattutto il sud-est asiatico e l’Africa. E anche quando sono incluse: chi si puó permettere oltre duecentomila lire di abbonamento mensile ad Internet in Tanzania?

In genere, si concorda su un dato: chi non riesce a stare al passo e a trarre vantaggio dalla “rivoluzione” delle tecnologie dell’informazione ne subirá gli effetti negativi. Si fa eco alle profezie di Negroponte: o dentro le nuove tecnologie o marginalizzati ad affrontare la recessione economica. Ma non mancano anche esempi positivi riguardo ai rapporti Nord-Sud e alle nuove tecnologie informative: pensiamo alle reazioni per l’assassinio di Chico Mendes generate dai messaggi di posta elettronica mirati delle organizzazioni di base brasiliane o al dibattito che con lungimiranza Vandana Shiva ha attivato sul rispetto (o meno) degli impegni presi dai governi a Rio nel 1992, riuscendo a metter indifficoltá persino gli Stati Uniti. Piú recentemente, ecco l’Earth Market Place, il progetto di informazione e ricerca che (sembra con successo) facilita la comunicazione fra gli agricoltori del Sud e i consumatori del Nord. Il mondo della politica e dell’economia sembra aver scelto con circospezione la rete. Il mondo dell’educazione ci si é giá buttato a capofitto. Strategia di marketing? Per il momento le famiglie con computer e modem sono il 2% in Francia, il 5% in Germania e l’8% in Gran Bretagna. Nell’Unione Europea ci sono 320.000 di scuole (e potenzialmente la capacitá di arrivare a quasi tutti i consumatori): ci si occuperá solo della percentuale di scuole europee on-line o anche del loro nuovo ruolo in una rete che comincia ad assomigliare pericolosamente al mondo reale?

Di fronte a queste sfide assume ancora maggior importanza un adeguamento delle politiche di educazione interculturale sia a livello dei progetti e degli scambi internazionali, sia a livello locale. Vediamo alcuni concetti chiave nelle parole di esperti del settore.
 

VIRTUALE

Che cosa intende per virtuale? 

(Levy)Credo che sia importante sottolineare, in primo luogo, che virtuale non è il contrario di reale: un oggetto virtuale non è qualcosa di inesistente; ciò che è virtuale esiste senza esser là, esiste senza avere, perciò, delle coordinate spazio-temporali precise. Si può fare un esempio molto semplice: la parola 'albero' o la parola 'virtuale', non si può dire dove siano. Sono nella lingua, ma dov'è la lingua? E' in uno spazio virtuale. Viceversa, una parola si attualizza ogni volta che qualcuno la pronuncia, ogni volta che qualcuno la scrive, si attualizza ogni volta con un senso diverso in un contesto diverso. In questo senso, il virtuale è qualcosa che esiste potenzialmente, con possibilità di attualizzazione inventiva. A mio avviso il virtuale è assolutamente costitutivo dell'umano, poiché l'essere umano non vive semplicemente; vive anche in un mondo virtuale: il mondo del linguaggio, il mondo dell'organizzazione sociale complessa
 

Esiste un'identità nella vita reale e una quando si è collegati, oppure l'identità si sceglie man mano che cambiano spazio e tempo?

(Rheingold) La comunicazione online ha effetti diversi rispetto ad altre forme di comunicazione. Noi tutti utilizziamo identità diverse nella vita quotidiana; si hanno identità diverse a seconda che ci si trovi con i propri genitori, con il proprio coniuge, con il collega di lavoro, oppure con uno sconosciuto. Siamo tutti abituati nel presentare facce diverse, maschere diverse per gente diversa. Con il collegamento è possibile creare diverse identità: se si è un uomo si può diventare una donna, se si è adolescente si può fingere di essere adulto. Quando si hanno dodici anni e si è particolarmente intelligenti risulta difficile farsi ascoltare dagli adulti; in Rete, gli stessi adulti possono pensare che si è un professore o un esperto perché non possono sapere la reale età dell'interlocutore. Tutti questi vantaggi possono anche diventare svantaggi: è facile prendersi gioco della gente, e se si pensa di comunicare con un adulto e si realizza di parlare con un dodicenne o con un uomo mentre si pensava di discutere con una donna, non ci si sente molto bene, in seguito; ci si sente, in qualche modo, traditi. La gente utilizza l'abilità di mascherarsi per divertimento. Ci sono delle comunità conosciute come MUD, ossia multi-users dungeons, nelle quali si assumono ruoli diversi: ci sono principi e principesse, draghi e maghi. Invece di andare al cinema o di leggere un libro per divertirsi, lì, le persone creano il loro proprio film, il proprio libro nel quale giocano i loro rispettivi ruoli. In queste particolari comunità, la gente capisce che deve assumere ruoli diversi. Ci possono essere altre discussioni, anche molto serie, nelle quali i partecipanti non capiscono che altri possano avere opinioni politiche molto diverse rispetto alle loro. Entriamo, così, nel mondo online, dove la propria identità è molto più malleabile rispetto alla vita reale. Come, ciò, influenzerà il modo in cui ci sentiamo? 
 

GLOBALIZZAZIONE

Lei crede che, in futuro, assisteremo a una globalizzazione della cultura a scapito delle culture locali proprio attraverso le nuove tecnologie?

(Maldonado) Oggi si parla molto di globalizzazione; cominciamo con il dire che essa ha tre componenti. La prima è la globalizzazione economica, che consiste nella possibilità di accedere senza confine a tutti i mercati possibili e non solo al mercato delle merci ma anche a quello del lavoro, in una maniera al di fuori di ogni limite; questo è l'aspetto più clamoroso del fenomeno Internet; in secondo luogo emerge l'aspetto della globalizzazione tecnologica, nella quale è insita l'evoluzione del concetto di globalizzazione e di tutti gli strumenti che consentono la comunicazione telematica. Questa componente è la base tecnica strumentale del fenomeno della globalizzazione. In ultima analisi emerge la globalizzazione culturale; non si può parlare di globalizzazione dei mercati senza avere un'idea di globalizzazione tecnica e globalizzazione culturale. Naturalmente, la globalizzazione economica può essere discussa, è un argomento che molti economisti criticano o cercano di vederne il limite; altri, invece, enfatizzano la sua importanza straordinaria nel nostro secolo, e lo stesso dibattito emerge per quanto riguarda la parte tecnologica del concetto di globalizzazione. Per quanto riguarda la globalizzazione culturale, noi tutti dobbiamo sollevare una seria riflessione e essere molto vigili sui processi in atto, perché globalizzazione culturale significa egemonia di una determinata cultura; d'altra parte, non è tanto misteriosa questa cultura: è quella americana, evidentemente, poiché nella cultura statunitense c'è un'omologazione generale, così come accade con Mc Donald! Non si parla di "mc donaldizzazione"? Con Internet non si è ancora arrivati a tale diffusione mondiale, è un fenomeno ancora piuttosto limitato e coinvolge un certo settore della popolazione mondiale; pertanto non dobbiamo esagerare sulla sua importanza immediata, tuttavia, questi sono problemi che dovremo affrontare nel futuro e rifletterci sopra lo ritengo necessario.

Con le nuove tecnologie non si corre il rischio della deterritorializzazione, nel senso della scomparsa dei luoghi fisici per la realizzazione di una relazione? Oggi, con la virtualizzazione dei rapporti, a che rischi si va incontro?

(Levy) Questa storia dei luoghi fisici è molto importante, molto interessante. Si immagina comunemente che ci sia un solo spazio reale, lo spazio fisico e geografico; questo è falso, perché esiste un gran numero di spazi: c'è lo spazio fisico e geografico, c'è lo spazio affettivo. Se non le dispiace, mia moglie mi è più vicina, nello spazio affettivo, anche se in questo momento è a Parigi, di lei che è a due metri da me. Lo spazio affettivo non coincide con lo spazio fisico e lo spazio semantico, a sua volta, può essere differente dallo spazio affettivo e dallo spazio territoriale. Esiste un gran numero di spazi sovrapposti gli uni agli altri; se non ho alcuna relazione economica con il mio dirimpettaio, perché non gli vendo e non gli compro niente, ma faccio invece commercio internazionale con uno che si trova a Hong Kong, nello spazio economico sono più vicino a Hong Kong che al mio dirimpettaio.
Ora, quando tutti erano contadini e abitavano in piccoli alloggi, lo spazio fisico, geografico, territoriale era identico allo spazio affettivo: tutti quelli che si potevano conoscere, che si potevano amare, appartenevano al villaggio. Lo stesso si dica dello spazio economico, perché non si potevano avere relazioni economiche che con la gente del proprio villaggio. Dunque, un tempo c'era una sovrapposizione di spazi, mentre tutta l'evoluzione sociale, da due o tre secoli a questa parte, va verso una dissociazione degli spazi gli uni rispetto agli altri. Quello che avverrà con lo sviluppo della cybercultura è un prolungamento di questo processo di dissociazione. Ma bisogna comprendere che, in effetti, la cybercultura realizza un avvicinamento delle persone: avvicina coloro che si muovono nella stessa sfera di interessi; nel cyberspazio, queste persone possono contattarsi realmente. Non c'è perdita della realtà o perdita del territorio o perdita del corpo! La perdita, in un certo senso, è nella dissociazione degli spazi gli uni in rapporto agli altri. La verità è che lo spazio fisico non corrisponde più allo spazio economico, allo spazio semantico, allo spazio relazionale.
 

RETE, MULTIMEDIA E EDUCAZIONE

E' importante far utilizzare il computer ad un bambino?

(Gage) E' importante fare utilizzare i computer ai bambini, perché sono loro che creeranno le nuove idee, le nuove società e la nuova economia. La generazione che cresce nell'era dei computer si confronta con un linguaggio e un modo di percepire il mondo diverso dalle vecchie generazioni; il computer crea un genere di letteratura, per esempio, che non è accessibile a quanti di noi non vivono nel mondo della rete. Per chi ne fa uso, si tratta di una esperienza che genera una nuova costruzione letteraria: libri collegati tra loro, frasi collegate, pensieri collegati. L'intero sistema informatico diventa una biblioteca più complicata di quella che ha descritto Umberto Eco. In questa prospettiva, la questione più importante è quella di fornire una via d'accesso ai bambini, in modo che possano venire coinvolti in tutto questo. Ogni classe, in Italia, dovrebbe essere fornita di un accesso per ogni alunno. Gli strumenti per realizzare ciò, in passato, costavano duemila o tremila dollari: troppo. Questi prezzi sono scesi. e macchine per i videogiochi, come Sega e Nintendo, sono computer di rete molto potenti: collegati in rete daranno accesso a tutte le biblioteche del mondo. Gli studenti dovrebbero usare questa nuova finestra per entrare nelle biblioteche di tutto il mondo, accesso reso disponibile da un computer collegato in rete. Quando il prezzo di questi computer arriverà a dieci dollari - cosa che avverrà: i telefoni cellulari negli Stati Uniti si vendono a cinque o dieci dollari- tutti potranno permettersi di avere a casa il computer. Una volta che si è stabilito il modo di collegare gli studenti tra loro, la domanda che ci porremo sarà: se abbiamo un nuovo strumento per produrre letteratura, chi crea le nuove opere letterarie? Chi scrive, chi legge, chi disegna, chi comunica?
 

Quali sono le opportunità offerte dalle nuove tecnologie nell'ambito dell'educazione?

(Rheingold) Le nuove tecnologie, le nuove industrie e i nuovi modi di vivere arrivano così velocemente che quello che si è imparato a scuola, o quello che è stato versato nella testa dello studente, diventa obsoleto entro il diploma. Oggi, per preparare gli studenti ad essere cittadini in un mondo che cambia rapidamente, affetto dalle tecnologie, nel quale i ruoli cambiano più rapidamente di quanto siamo abituati, è importante insegnargli a pensare per se stessi, a pensare criticamente ed insegnare loro come imparare a muoversi.  Molti genitori e molte società non vogliono trattare i bambini come gli adulti, non vogliono insegnare loro a pensare criticamente. Un altro grande problema è che (…) la scuola è una parte della società dalla quale dipendiamo tutti ma non siamo d'accordo nell'aiutarla a crescere, quando ciò implica un impegno economico. L'educazione è in crisi e alcuni pensano che aggiungendo tecnologia tutto si risolverà. Oggi sono arrivati Internet e i computer, strumenti che creano un vantaggio didattico eccezionale. Nelle piccole scuole, lontane dai centri metropolitani, dove è difficile viaggiare d'inverno, può darsi che ci sia una piccola biblioteca. Uno studente o un gruppo di studenti brillanti, forse più intelligenti del loro professore, saranno limitati alle risorse della piccola biblioteca. Avendo una connessione ad Internet, questi possono accedere alle più grandi biblioteche del mondo. Avrebbero accesso a più informazioni e a più sapere di quanto ne potrebbero mai avere dalla loro piccola biblioteca. Ancora più importante, avrebbero un contatto diretto con i professori e con altri studenti che possono dar loro un aiuto per imparare insieme. Se si tratta di uno studente di matematica avanzata, egli potrà studiare con qualcuno del MIT, anche se si trova in una piccola città australiana. Esistono modi di utilizzare il computer per costruire simulazioni e per utilizzare modelli grafici che permettono agli studenti di studiare molto più attivamente che con la vecchia lavagna. Tuttavia, aggiungere Internet e i computer nelle aule non garantisce che tutti sappiano utilizzarli. I professori devono essere formati e devono esserci fondi per la formazione continua. Inoltre, questi strumenti necessitano di una manutenzione tecnica, necessaria quasi ogni giorno. Molto spesso le scuole dispongono di fondi per l'acquisto di computer e per la connessione Internet ma non per la formazione e per l'assistenza. Bisogna, dunque, destinare una parte del budget alla formazione e all'assistenza. Non penso valga la pena utilizzare un nuovo strumento per continuare con vecchie tecniche educative; se si utilizza il computer per collaborare, allora credo che Internet rappresenti un'opportunità fantastica per l'educazione. Basti guardare i migliori professori in tutto il mondo che hanno trovato il modo di utilizzare al meglio la Rete per insegnare ed imparare. Queste opportunità andranno perdute se non si inizia a pensare realmente alla tecnologia e all'educazione: dobbiamo capire che aggiungere tecnologia al sistema scolastico non risolverà il più ampio problema sociale dell'educazione nella nostra società".
 

Anche il ruolo della scuola è molto importante per trovare lavoro o aiutare le persone che restano escluse dall'uso delle nuove tecnologie. Lei pensa che la scuola, l'educazione possa avere un ruolo in questo settore?

(Levy) Sì, forse. Dico una cosa poco originale, ma credo che, contrariamente a quello che si pensa, lo sviluppo del cyberspazio non rappresenta affatto la fine della lettura e della scrittura, ma, al contrario, mostra che scrittura e lettura sono sempre più importanti. Che cosa si fa quando si naviga su Internet o quando si usa la posta elettronica? Si legge e si scrive, molto più di quanto non si guardino le immagini. La scuola primaria, la scuola elementare nel suo ruolo d'insegnamento della lettura e della scrittura è assolutamente fondamentale perché, in fondo, ogni esclusione concernente il rapporto con il sapere comincia là, comincia quando non si potenziano gli strumenti di base della comunicazione scritta; non si tratta soltanto di sapere leggere e scrivere, ma anche di sapersi servire di un dizionario, sapersi servire di un indice, sapersi orientare in un centro di documentazione. Le operazioni cognitive che ho enunciato possono essere perfettamente usate anche per orientarsi nel cyberspazio o nel World Wide Web e nelle nuove condizioni ambientali informatizzate.

Quale può essere il suo consiglio pratico ad un professore che ha la possibilità di usare i nuovi media?

(Landow) Gli studenti devono cominciare ad usare i nuovi media molto giovani, dunque durante il corso di studi che precede l'università. Ma, di nuovo, quando parlo dei nuovi media, mi interessa, nel complesso, l'ipertesto come immagine testuale più che come immagini in movimento. Michael Joyce, il teorico dell'ipertesto, programmatore e scrittore di ipertesti narrativi, ha sostenuto varie volte che l'ipertesto è la vendetta del testo sulla televisione. Io penso che molti dei nuovi media cerchino, in realtà, di tenere sotto controllo quella modalità di trasmissione, mentre il grande valore educativo dell'ipertesto sta nell'offrire a chi impara ciò che desidera imparare quando vuole impararlo; esso è rivolto a chi impara. L'ipertesto didattico e le cose migliori dei nuovi media didattici sono ambienti di apprendimento, non di insegnamento. Questo tipo di attivazione dello studente in maniera costruttiva deve predominare se vuole essere efficiente! Non penso, inoltre, che il video, la trasmissione televisiva siano il sistema più efficiente per far apprendere, poiché immettono gli studenti nelle stesse vecchie grandi aule per ascoltare qualcuno che - per quanto brillante sia - parla loro 'dall'alto'. Certo, ascoltare è importante e necessario, ma è molto più importante se lo studente agisce per ottenere un risultato; si impara molto di più quando si fa qualcosa. Una cosa che ho scoperto è che gli studenti scrivono molto meglio quando sanno che stanno scrivendo per un altro lettore; appena vengono a conoscenza del fatto che il loro lavoro verrà letto da altri studenti o da persone in altre parti del mondo, vi tornano sopra per migliorarlo. Questo è un esempio di conseguenza positiva, involontaria dello scrivere per un ambiente collegato in rete. L'abitudine di pensare ad un modello di trasmissione televisiva come ad una cosa suprema è molto pericoloso per i nuovi media. Stiamo parlando di cose come la push technology, per la quale uno accende il proprio computer collegato a WWW e questo diventa una specie di televisore attraverso cui gli vengono "lanciate" le informazioni. Penso che ci sia sempre bisogno della televisione; tuttavia, per quanto riguarda l'insegnamento penso che sia necessario che gli studenti facciano scelte e guidino questi media. Ciò non significa che questi ultimi si debbano limitare a giocherellare senza scopo, viceversa, devono avere dei compiti che li rendano attivi, sia per scoprire sia per produrre conoscenza. Le persone non vanno in biblioteca e non usano materiale didattico ed educativo senza scopo, lo fanno perché hanno da svolgere un compito o hanno uno scopo o vogliono imparare qualcosa. 
 

IPERTESTI

Qual è la sua definizione di ipertesto?

(Landow) Definirei l'ipertesto come qualsiasi forma di testualità - parole, immagini, suoni - che si presenti in blocchi o lessie o unità di lettura collegati da link. Si tratta, essenzialmente, di una forma di testo che permette al lettore di abbracciare o di percorrere una grande quantità di informazione in modi scelti dal lettore stesso, e, nel contempo, in modi previsti dall'autore. Se dovessi definire l'ipertesto con una o due frasi, direi che l'ipertesto è una forma di testo composta da blocchi di "scrittura" e immagini collegati da link, che permette una lettura multilineare: non una lettura non lineare o non sequenziale, ma una lettura multisequenziale. 
 

Come usa i nuovi media e gli ipertesti nella sua attività di insegnante?

(Landow) Ci sono tre modi in cui io ho usato e continuo ad usare l'ipertesto nell'insegnamento. Il primo è come grande biblioteca elettronica o strumento di riferimento attraverso cui gli studenti possono contestualizzare una determinata opera o fenomeno letterario e scoprire cosa succedeva nella società, nella teoria politica, nella critica letteraria, nell'economia, a quel tempo. Il secondo modo è quello di usare l'ipertesto nella sua forma più dinamica come un ambiente di lavoro collaborativo che cambia continuamente; ogni studente può aggiungere il proprio testo alla biblioteca elettronica, cosicché gli studenti diventano automaticamente parte del testo. Ci si ritrova, in questo modo, ad aver creato una specie di appendice riassuntiva del corso. Certi corsi - quelli che in America chiamiamo "course", ovvero una serie di conferenze - riuniscono attorno a sé persone che, magari, si sono laureate una decina d'anni prima ma fanno ancora parte del seminario. Si può, infine, usare l'ipertesto nell'insegnamento per sviluppare modi di scrittura, moduli retorici, per imparare come argomentare e come scrivere sia una prosa creativa e discorsiva nell'ambiente elettronico, sia in maniera ipertestuale ma facendo riferimento ad altre forme di testo digitale. Ci sono molti testi digitali nel WWW che non sono propriamente ipertestuali; c'è narrativa ipertestuale nella rete e c'è una narrativa digitale vera e propria che consiste in lunghissime sequenze di testo con animazioni, suoni e colori che non si potrebbero avere in un libro ma che, tuttavia, non hanno le ramificazioni proprie dell'ipertesto".

Quale può essere il suo consiglio pratico ad un professore che ha la possibilità di usare i nuovi media?

(Landow) Gli studenti devono cominciare ad usare i nuovi media molto giovani, dunque durante il corso di studi che precede l'università. Ma, di nuovo, quando parlo dei nuovi media, mi interessa, nel complesso, l'ipertesto come immagine testuale più che come immagini in movimento. Michael Joyce, il teorico dell'ipertesto, programmatore e scrittore di ipertesti narrativi, ha sostenuto varie volte che l'ipertesto è la vendetta del testo sulla televisione. Io penso che molti dei nuovi media cerchino, in realtà, di tenere sotto controllo quella modalità di trasmissione, mentre il grande valore educativo dell'ipertesto sta nell'offrire a chi impara ciò che desidera imparare quando vuole impararlo; esso è rivolto a chi impara. L'ipertesto didattico e le cose migliori dei nuovi media didattici sono ambienti di apprendimento, non di insegnamento. Questo tipo di attivazione dello studente in maniera costruttiva deve predominare se vuole essere efficiente! Non penso, inoltre, che il video, la trasmissione televisiva siano il sistema più efficiente per far apprendere, poiché immettono gli studenti nelle stesse vecchie grandi aule per ascoltare qualcuno che - per quanto brillante sia - parla loro 'dall'alto'. Certo, ascoltare è importante e necessario, ma è molto più importante se lo studente agisce per ottenere un risultato; si impara molto di più quando si fa qualcosa. Una cosa che ho scoperto è che gli studenti scrivono molto meglio quando sanno che stanno scrivendo per un altro lettore; appena vengono a conoscenza del fatto che il loro lavoro verrà letto da altri studenti o da persone in altre parti del mondo, vi tornano sopra per migliorarlo. Questo è un esempio di conseguenza positiva, involontaria dello scrivere per un ambiente collegato in rete. L'abitudine di pensare ad un modello di trasmissione televisiva come ad una cosa suprema è molto pericoloso per i nuovi media. Stiamo parlando di cose come la push technology, per la quale uno accende il proprio computer collegato a WWW e questo diventa una specie di televisore attraverso cui gli vengono "lanciate" le informazioni. Penso che ci sia sempre bisogno della televisione; tuttavia, per quanto riguarda l'insegnamento penso che sia necessario che gli studenti facciano scelte e guidino questi media. Ciò non significa che questi ultimi si debbano limitare a giocherellare senza scopo, viceversa, devono avere dei compiti che li rendano attivi, sia per scoprire sia per produrre conoscenza. Le persone non vanno in biblioteca e non usano materiale didattico ed educativo senza scopo, lo fanno perché hanno da svolgere un compito o hanno uno scopo o vogliono imparare qualcosa". 
 

CENSURA

Cosa pensa della censura in rete?

(Ortoleva) Anche la censura in rete è un problema complesso, quindi, cercherò di essere brevissimo. Ci troviamo qui di fronte a due posizioni molto schematiche, contrapposte, una che dice: nessuna censura; l'altra dice: aiuta i bambini. In realtà, il problema è in parte simbolico, in parte reale. In parte simbolico nel senso che, di fronte a un nuovo mezzo di comunicazione, per di più pervasivo e potente, una delle prime reazioni è preoccuparsi delle conseguenze psichiche, morali che potrà determinare. E, tipicamente, in questi casi, si ha paura per le giovani generazioni. Se noi vediamo i report famosi degli anni Venti negli Stati Uniti, su quello che il cinema provocava nei bambini, troviamo esattamente quello che si dice, adesso, sul videogame da una parte e su Internet dall'altra. Secondo questi report il cinema rendeva epilettici i bambini, era un luogo dove venivano adescati da adulti senza scrupoli. Le stesse cose che sentiamo ora di Internet. Quando arriva un nuovo medium c'è una preoccupazione, non incomprensibile, per gli effetti incontrollati che può provocare. La sensoria, naturalmente, è una facile, e corrisponde alla censura. In fondo, l'idea di curare l'alcolismo col proibizionismo, è americana. Il proibizionismo è stata una risposta sbagliata, ma il problema era giusto. In rete circolano messaggi spaventosi, il problema è come combatterli. La censura, a mio avviso, non funziona. Sostenere, viceversa, che tutte le idee devono essere libere, significa riconoscere lo status di idee a cose che sono immondizia pura. Ma non si tratta di censurarle, si tratta di capire se è possibile combattere delle battaglie di idee contro le idee sbagliate. Questo, invece, è ciò a cui stiamo sempre di più rinunciando, perché siamo in una società della permissività più che in una società del dibattito.
 

Navigare su Internet può anche essere pericoloso per i ragazzi. Vorrei, a questo proposito, sapere cosa pensa del controllo di accesso a Internet. 

(Gage) La questione più difficile riguardo all'educazione è cosa si insegna. Quando lo studente finisce la scuola dovrà fare delle scelte, ed è importante, per lasciare un accesso libero ad Internet, dare la possibilità alle persone di imparare a scegliere. Gli studenti che sono troppo giovani per avere dei riferimenti hanno bisogno dell'aiuto dei loro genitori, della famiglia, dei loro insegnanti, della loro chiesa. Tutte queste influenze che guidano i nostri gusti devono essere applicate all'uso di Internet. Ci sono dei mezzi tecnici per bloccare pagine di cui si sa già che sono dannose, come i sexy-show dal vivo ad Amsterdam. Sappiamo subito che non è una cosa che un bambino dovrebbe vedere. Più difficili da bloccare, invece, sono le persone che dicono cose false. In questo caso abbiamo bisogno della presenza costante di studenti e insegnanti che lavorino insieme per scoprire, e per questa ragione è così importante che il collegamento in rete avvenga nelle scuole dove c'è controllo da parte degli insegnanti che guidano a scegliere, o nelle case dove i genitori dovrebbero assolvere a questa funzione. Molto spesso questi ultimi lasciano guardare la televisione ai ragazzi senza controllare ciò che guardano, e questa libertà, in realtà, può essere pericolosa. C'è sempre stato il dibattito sull'arte come potenziale fonte di danno per i giovani. Personalmente penso che potendo avere accesso a qualsiasi informazione si impari presto che cosa ha valore per noi; si impara crescendo quali sono le cose su cui vogliamo perdere tempo e cosa può avere valore per gli altri; si dovrebbe avere accesso a tutto. La biblioteca di Umberto Eco ha delle sezioni con libri che la Chiesa ha proibito a chiunque di leggere; la Chiesa ha tuttora un elenco di opere che ritiene inopportune per i credenti. 

PRIVACY

La privacy è un problema etico che va affrontato in questa società dell'informazione.

(Levy) Da questo punto di vista non c'è nulla da temere visto che abbiamo già il peggio! In ogni caso, già esistono dei software che percorrono la rete senza tregua e che registrano tutto quello che succede nel Web o nei newsgroup. Tutto viene analizzato sistematicamente e riportato in immense banche dati dei servizi segreti americani. Mi chiedo cosa facciano di tutte queste informazioni! Bisogna anche sapere che un individuo medio generalmente esiste in più di duecento schede nominative. Oggi esistono metodi per recuperare queste diverse schede, anche se, ovviamente, le legislazioni nazionali cercano di impedirlo. Tutto ciò già esiste e mi chiedo cosa cambierà per noi. Solo con le carte di credito possiamo sapere tutto ciò che si compra registrando gli spostamenti dell'utente sul WWW e leggendo la posta elettronica. C'è un modo di rendere l'individuo completamente trasparente, molto più di prima, e di questo bisogna esserne veramente coscienti. Ecco perché, innanzi tutto, bisogna tenere duro sull'aspetto legale. Sul piano tecnico siamo completamente trasparenti e l'individuo deve essere assolutamente protetto legalmente. D'altra parte, ci sono delle possibilità tecniche per proteggere la vita privata come con i sistemi di criptaggio; io sono d'accordo per lo sviluppo e la libertà di utilizzo di questi sistemi che fanno, in qualche modo, da contrappeso allo straordinario potere di coloro che potrebbero avere tutta l'informazione disponibile di un individuo.
 

COMUNITA’ VIRTUALI

In che modo le comunità virtuali si differiscono da quelle reali?

(Rheingold) Il vantaggio delle comunità virtuali è nel poter incontrare persone che dividono i nostri stessi interessi, anche se questi ultimi sono singolari, e, normalmente, di difficile condivisione, come l'interesse all'allevamento di una razza canina rara, per esempio; si possono trovare, in una comunità virtuale, persone disposte a parlare di qualsiasi argomento. Su Internet si possono incontrare persone che dividono i nostri interessi anche se si trovano in paesi lontani: partecipa a questo scambio gente proveniente da centinaia di paesi diversi! Uno dei vantaggi di Internet è che non si deve essere perennemente collegati per conversare; tramite l'utilizzo della bacheca si può lasciare un messaggio e tornarci più tardi per controllare le risposte. Alcune conversazioni durano settimane o mesi, addirittura anni; in questo "luogo" si trascendono tempo e spazio, poiché non si deve essere tutti collegati contemporaneamente e nello stesso posto. Inoltre, molti pregiudizi cadono poiché non necessariamente si conosce l'età o il sesso o, ancora, l'appartenenza ad una cultura dell'interlocutore. Sono molte le barriere comunicative che vengono meno con questo medium. Tuttavia, esistono anche degli svantaggi in questa forma di comunicazione; intanto, non si ha una persona reale di fronte a sé e, probabilmente, non la si incontrerà mai. Ecco perché, forse, non si avrà lo stesso senso di responsabilità che si ha con il vicino di casa. In secondo luogo, è facile, una volta collegato, mascherare la propria identità fingendo di essere qualcun altro. Le persone poco gentili possono fingere di esserlo e viceversa. Alcuni cercano di ingannarci in comunicazioni sociali o economiche per le quali è possibile non sentirsi preparati.

CITTADINANZA ATTIVA

L'uso e la possibilità di accedere alle nuove tecnologie, in fondo, potrebbe allargare la frattura, in futuro, fra i paesi del Nord e quelli del Sud del mondo, ma anche fra generazioni...

(Ortoleva) Il problema, senza alcun dubbio, esiste, perché le tecnologie, in particolare quelle informatiche, non sono equamente distribuite. Rischiamo, però, di assistere a una sorta di dibattito ripetitivo se da una parte alcuni ci ricordano il dato materiale della scarsa equità nella distribuzione delle tecnologie, e altri, invece, insistono sulla facilità di accesso all'uso delle stesse. Il problema, io credo che sia un poco più complesso e che riguardi, fondamentalmente, non solo e non tanto l'uso immediato di queste tecnologie, quanto il controllo complessivo di rete. Quando dico che c'è un problema di democrazia sulle tecnologie, intendo sostenere che oggi, la scelta di determinate tecniche, addirittura la forma che si dà alle reti, sta diventando uno dei problemi politici fondamentali della società contemporanea, perché, nella sostanza, a seconda della forma che si dà alla rete, si stabilisce qual è il centro e qual è la periferia della società stessa; in futuro, il fatto di essere in una zona ben connessa o meno ben connessa potrà essere veramente un problema fondamentale, così come potrà essere un problema davvero fondamentale quello di avere la possibilità, per esempio, di accesso, oltre che alla rete di telecomunicazione, a una rete di trasporti funzionante, perché la società delle telecomunicazioni, contrariamente all'apparenza, rende maggiore, non minore, il bisogno di trasporto. E in una situazione in cui si dispone di tutte le telecomunicazioni possibili, ma non si possono utilizzare, si è, in realtà, tagliati fuori anche più di prima. Da questo punto di vista qual è il nodo, chi decide la forma della rete? Questo è un problema politico, insisto, fondamentale, che però non viene presentato come problema politico, ma come problema banalmente tecnico. Solo una cittadinanza che può capire che le scelte tecnologiche sono scelte di portata politica è in grado di intervenire in questo complesso dibattito. Per ora non vediamo l'ombra di tale dubbio, interrogativo, in nessun paese. 
 

 PERCORSI E STRUMENTI

Pedagogia narrativa

Obiettivi
? sensibilizzare i giovani sui temi dell’interculturalità
? incoraggiare riflessioni e azioni locali sui temi dell’intercultura e del dialogo interreligioso 
? incoraggiare contatti e scambi con gruppi del Sud e con gruppi europei impegnati in progetti di educazione interculturale
? incoraggiare a progettare il proprio futuro, e a comportamenti di cittadinanza attiva

Metodologia
? divulgazione didattica  di percorsi di cittadinanza attiva
? proposta di percorsi educativi che approfondiscano i temi del dialogo interculturale e interreligioso
? approccio dal basso alle tecnologie informatiche per facilitare scambi a livello nazionale e internazionale
? integrazione nei percorsi educativi della dimensione del futuro
 

Riassunto del progetto
Le attività hanno durata triennale, oltre ad una fase di preparazione del progetto, nel corso dell’anno scolastico 1998-1999. Intendono stimolare la sperimentazione di strumenti educativi relativi al dialogo interculturale e interreligioso. Fra gli strumenti a disposizione privilegia la serie dei Quaderni dell’intercultura e la cooperazione con altri centri e gruppi stranieri con esperienza di dialogo interculturale e interreligioso.

Fasi del progetto (primo anno)
? Prima fase (luglio-settembre 1999): definizione di temi e strumenti educativi chiave in relazione all’intercultura e al dialogo interreligioso; proposta di corsi di formazione; raccolta di contributi didattici italiani ed esteri per la messa a punto di un testo di riferimento comune; contatti con insegnanti di ogni parte d’Italia; disseminazione delle informazioni e invito a partecipare al progetto a diverse realtà educative attraverso la rivista “CEM/Mondialità.
? Seconda fase (ottobre 1999-aprile 2000): sperimentazione di almeno un testo a carattere interreligioso; realizzazione dei corsi; sperimentazioni educative; co-ordinamento delle sperimentazioni in Italia e disseminazione dei risultati attraverso la rivista “CEM/Mondialità” e la pagina Web di CEM; ricerca e verifica di contatti in Europa e nel Sud del mondo.
? Terza fase (maggio-giugno 2000): coordinamento partecipanti; iniziative di rete; valutazione del lavoro svolto; disseminazione dei risultati in Italia e all’estero; progettazione del periodo luglio 2000-giugno 2002; ricerca di contatti per l’adattamento in italiano di materiali reperiti all’estero.
 

Agenda 21

Obiettivi
? sensibilizzare giovani e studenti sui temi dello sviluppo sostenibile e dei rapporti Nord-Sud
? incoraggiare riflessioni e azioni locali in vista dei dieci anni dal Vertice di Rio de Janeiro (1992)
? incoraggiare contatti e scambi con gruppi del Sud e con gruppi europei impegnati ad attuare l’Agenda 21
? incoraggiare la partecipazione attiva dei giovani nel progettare il proprio futuro nell’ambito di una cittadinanza globale

Metodologia
? divulgazione didattica dell’Agenda 21 e di percorsi di cittadinanza attiva
? proposta di percorsi educativi centrati sulla persona, sulle relazioni con il territorio, sulle impronte ecologiche, sulla solidarietà internazionale
? approccio dal basso alle tecnologie informatiche per facilitare scambi a livello nazionale e internazionale
? integrazione nei percorsi educativi della dimensione del futuro

Introduzione:
I temi della globalizzazione e del ripensamento dell’attuale modello di sviluppo a partire da rapporti di solidarietà Nord-Sud è stato più volte al centro delle riflessioni promosse da CEM attraverso la rivista “CEM/Mondialità”, il convegno annuale, i corsi di formazione, con il contributo di esperti quali Riccardo Petrella e Wolfgang Sachs. 

Riassunto del progetto
Le attività hanno durata triennale e intendono stimolare una riflessione critica e azioni concrete in vista dei dieci anni dal Vertice della Terra (Rio de Janeiro, 1992). A partire dall’interesse già manifestato da insegnanti ed educatori per le tematiche della globalizzazione affrontate dalla rivista e dai corsi promossi da CEM, si intende costituire una rete di esperienze educative italiane legate all’Agenda 21 che possa gradualmente stringere contatti e scambiare esperienze con gruppi analoghi in Europa e nel Sud del mondo. In collaborazione con la Libreria dei Popoli, CEM selezionerà materiali educativi da offrire a insegnanti ed educatori attraverso la rivista “CEM/Mondialità”, una pagina Web e i corsi promossi a livello locale e nazionale. Fin dall’inizio verranno anche selezionati alcuni esempi di materiali didattici, soprattutto a carattere multimediale, prodotti all’estero per un eventuale adattamento alla realtà italiana. Il primo anno del progetto (1999-2000) intende gettare le basi per costituire la rete italiana, alcuni contatti internazionali, testare a livello ristretto e far circolare presso un vasto numero di insegnanti ed educatori strumenti e ipotesi di progetti educativi centrati sull’Agenda 21.

Fasi del progetto (primo anno)
? Prima fase (luglio-settembre 1999): definizione di temi e strumenti educativi chiave in relazione all’Agenda 21; proposta di corsi di formazione; contatti con insegnanti di ogni parte d’Italia; disseminazione delle informazioni e invito a partecipare al progetto a diverse realtà educative attraverso la rivista “CEM/Mondialità.
? Seconda fase (ottobre 1999-aprile 2000): realizzazione dei corsi; sperimentazioni educative; co-ordinamento delle sperimentazioni in Italia e disseminazione dei risultati attraverso la rivista “CEM/Mondialità” e la pagina Web di CEM; ricerca e verifica di contatti in Europa e nel Sud del mondo.
? Terza fase (maggio-giugno 2000): coordinamento partecipanti; iniziative di rete; valutazione del lavoro svolto; disseminazione dei risultati in Italia e all’estero; progettazione del periodo luglio 2000-giugno 2002; ricerca di contatti per l’adattamento in italiano di materiali reperiti all’estero.

 ATTIVITÀ
 

1. RICERCA AZIONE
 

La ricerca-azione è una metodologia di lavoro mirata a superare la tradizionale dicotomia fra teoria e pratica e la separazione fra ambito educativo ed applicativo. In generale richiede attenzione ai processi di comunicazione e al lavoro collettivo. E’ anche una metodologia flessibile che permette e anzi dovrebbe indurre a introdurre modifiche nella propria programmazione mano a mano che si procede nel lavoro. L’attenzione è rivolta in primo luogo ai processi.
 

FASI DI LAVORO

Organizzazione del gruppo
Verifica che esista un interesse comune dei membri del gruppo rispetto ad un tema su cui lavorare
Impegno di ciascun membro del gruppo a contribuire al lavoro collettivo
Verifica della disponibilità dei singoli e definizione della frequenza con cui scadenzare incontri e impegni di lavoro
Definizione di massima di un piano di lavoro e delle responsabilità, per esempio relative al coordinamento e alla memoria scritta del lavoro

Selezione di un problema specifico: suggerimenti
Eliminare problemi troppo generali
Cercare attivamente di identificare pregiudizi presenti nel gruppo riguardo al tema prescelto
Approfondire le caratteristiche che permettono di focalizzare meglio il problema
Scegliere un problema che sia ipotizzabile risolvere in un lasso di tempo ragionevole
Assicurarsi che il problema scelto rivesta interesse per i componenti del gruppo
Mettere in evidenza elementi che facilitano l’innovazione pedagogica

Definizione degli obiettivi: caratteristiche
Chiari: vanno formulati in modo comprensibile e preciso
Realisti: devono ragionevolmente poter essere raggiunti a partire dalla metodologia e dalle risorse a disposizione
Pertinenti: devono essere in relazione e rispettare la natura del problema in esame

Selezione di una ipotesi di lavoro
Identificazione delle cause del problema
Formulazione di ipotesi su sviluppi e possibili soluzioni

Definizione degli strumenti di lavoro: domande
Come raccogliere i dati?
Come si intende osservare (dall’esterno, in modo partecipativo...)?

Svolgimento
Realizzazione del piano di lavoro
Osservazione e riflessione di elementi quali: pratica di lavoro del gruppo, ruolo dei diversi attori, metodologia e risultati
 

Raccolta dati
Annotazione delle osservazioni durante il processo di ricerca-azione
Riflessione sui necessari cambiamenti al piano di lavoro iniziale (cause, effetti)

Valutazione
Verifica in gruppo dei risultati
Riflessione sui cambiamenti prodotti
Identificazione di relazioni con problemi simili

Ridefinizione del problema
Riflessione teorica sui cambiamenti prodotti
Ipotesi di nuove azioni ed eventuale riproposizione del ciclo
 

 STRUMENTI DI VALUTAZIONE
 

Nonostante siano stati concepiti vent’anni fa, i criteri proposti da Robin Richardson in “Debates and Decision” rimangono una griglia stimolante e valida per la valutazione di testi e strumenti di educazione interculturale. Recentemente sono stati riproposti dall’Unesco e dall’IPRA (l’Associazione Internazionale per le Ricerche sulla Pace) nel manuale “Handbook Resource and Teaching Material in Conflict Resolution, Education for Human Rights, Peace and Democracy” (Parigi, 1994), frutto della cooperazione con insegnanti libanesi particolarmente interessati alla mediazione dei conflitti. Le domande sono divise secondo quattro  aree di interesse: contenuti; immagini ed etnocentrismo; metodologia; impostazione di fondo. In appendice vengono inoltre riportate venti domande per una verifica generale di un progetto educativo.

Contenuti
Strumenti appropriati di educazione alla mondialità affrontano il modo di vita delle persone nelle rispettive comunità in modo da mettere in luce come si svolgono le relazioni fra le persone e fra le comunità. Ciò include vari aspetti, per esempio: economia, vita sociale, vita individuale (sentimenti, emozioni), politica, cultura, storia, ambiente etc.

1. Si entra nel merito dell’esistenza delle persone in altre comunità?
2. Si mettono in relazione le loro vite con quelle delle persone nella propria comunità?
3. Vengono descritte le vite di persone in altre comunità in modo pluralista?
4. Viene affrontato ciò che le comunità hanno in comune e ciò che le divide? Per esempio differenze di tipo socio-economico in merito a disparità in ricchezza, abitazioni etc. 
5. Vengono affrontati diversi aspetti di argomenti attinenti alla pace, ai diritti umani e alla democrazia?
6. Viene affrontato il modo in cui le diverse comunità possono cooperare a beneficio della collettività?
7. Vengono affrontati diversi modelli e punti di vista sulle possibilità di migliorare le relazioni fra le comunità e la società di cui fanno parte?

Immagini, etnocentrismo, pregiudizi
Strumenti di educazione alla mondialità non dovrebbero includere informazioni di tipo etnocentrico e evocare l’idea della supremazia della propria comunità. In una prospettiva interculturale è importante sottolineare che ciascuna comunità segue il proprio cammino di sviluppo, un cammino non necessariamente simile a quello di altre comunità. Va evitata l’inclusione nei materiali educativi di testi ed illustrazioni che contengano una caratterizzazione negativa della vita in altre comunità così come vanno evitate indicazioni che indichino la superiorità di una comunità rispetto alle altre. Tali caratterizzazioni ed immagini negative vanno anche evitate nei confronti delle donne. In generale l’informazione non dovrebbe contenere elementi di razzismo, stereotipi e pregiudizi. L’immagine degli altri e di altre comunità dovrebbe poter presentare sfumature diverse e saper mettere in luce le differenze che esistono fra persone e fra comunità.

1. Si incontrano informazioni a carattere etnocentrico o descrizioni relative all’altro e ad altre comunità di tipo negativo e che denotano un atteggiamento di superiorità?
2. Si assume, implicitamente o esplicitamente, che gli altri popoli e comunità siano passati attraverso gli stessi stadi di sviluppo della propria comunità, ma non siano egualmente avanzati?
3. Vengono menzionati i pregiudizi relativi a gruppi, comunità e culture cui appartengono le persone cui si fa riferimento?
4. Vengono utilizzati termini sessisti?
5. Vengono utilizzati termini razzisti?
6. Si suscita il rispetto per i valori e le norme degli altri e di altre comunità?
7. Si mette in luce il fatto che esistono sia differenze sia tratti in comune?
8. Si mette in luce che le comunità possono differire una dall’altra e che queste differenze influenzano la vita dei rispettivi abitanti?
9. Si mette in luce che esistono differenze anche all’interno delle comunità?
10. Viene prestata attenzione al ruolo delle donne e delle ragazze nell’ambito dei processi di transizione?

Metodologia
Strumenti di educazione alla mondialità dovrebbero fare riferimento alla vita di tutti i giorni e alle esperienze concrete di chi apprende ed essere in grado di suscitarne l’interesse e l’attenzione in riferimento ai temi trattati.

1. Si cerca un collegamento con l’esperienza di chi utilizza i materiali, ciò che già sanno, osservano etc.?
2. I contenuti vengono presentati in modo che chi utilizza i materiali ci si possa relazionare? Vi è una possibilità di riconoscersi nelle storie che vengono narrate?
3. Vengono offerte sufficienti possibilità di identificarsi anche a chi proviene da un contesto diverso rispetto alla cultura in cui i materiali sono stati prodotti?
4. Vengono presentate prospettive sufficientemente generali e/o personali per quel che riguarda la possibilità di agire in prima persona? Si suggerisce che il mondo non può essere cambiato o che chi apprende può dare il proprio contributo a ricercare soluzioni possibili?
5. Si richiede a chi utilizza i materiali di impegnarsi ed assumere responsabilità in prima persona?
6. Viene utilizzato un tono moralizzante o di predica?

Impostazione di fondo
Strumenti di educazione alla mondialità dovrebbero saper riallacciarsi al livello iniziale di chi apprende ed offrire occasioni per mettere in discussione tali condizioni di partenza. Dovrebbero avere un’influenza sia a livello delle conoscenze, sia delle abilità, sia degli atteggiamenti.

1. I materiali possono venire capiti dalle persone a cui sono indirizzati?
2. Sono materiali che possono risultare stimolanti per il tipo di scuola e di alunni per cui sono pensati?
3. Vengono offerte informazioni significative e a sufficienza? in altre parole, chi apprende ha l’opportunità di aumentare il proprio sapere?
4. Vengono offerte possibilità a chi apprende per sviluppare abilità?
5. Vengono offerte opportunità per influenzare gli atteggiamenti di chi apprende?
6. Il linguaggio utilizzato è da ritenersi chiaro ed appropriato?

VENTI DOMANDE DI VERIFICA

Nella definizione e verifica di un progetto educativo è utile porsi le seguenti domande per ciascuna attività o nucleo di lavoro:
1. Come posso applicarlo nella mia pratica educativa?
2. Perché? Risponde alle finalità della scuola/della mia scuola? E’ praticabile da parte di un insegnante/da parte mia?
3. Cosa? Presenta obiettivi di sviluppo cognitivo, di abilità, di atteggiamenti, di valori?

Le seguenti venti domande possono essere utilizzate per riflettere sull’efficacia educativa degli strumenti utilizzati nel facilitare l’apprendimento degli studenti e come verifica generale di progetti e processi educativi soprattutto da un punto di vista interculturale:

1. ANALISI DEL CONTESTO
Viene stimolata la conoscenza del contesto relativo ai problemi contemporanei - per esempio relativo a questioni di potere, autorità, processi decisionali, distribuzione della ricchezza, conflitti di interesse, divergenze di opinioni?
2. APPREZZAMENTO DI ALTRE CULTURE
Viene incoraggiato l’apprezzamento delle conquiste e delle idee proprie di altri contesti culturali - per esempio in campi quali la letteratura, la musica, le arti visive, l’architettura, il design etc., e la comprensione delle religioni e delle ideologie politiche?
3. COMUNICAZIONE INTERCULTURALE
Vengono forniti strumenti per sviluppare abilità nell’ambito della comunicazione interculturale? Per esempio, come affrontare situazioni sociali in cui si viene discriminati a causa di pregiudizi o in cui si può essere condizionati dai propri pregiudizi?
4. CONCETTI RELATIVI ALL’AZIONE
Vengono sviluppati concetti quali: azione dei governi, iniziative locali, riforme, rivoluzioni, gruppi di pressione, costituzione, ruolo della legge, lotta armata, nonviolenza, diritti?
5. EMPATIA
Vengono suggerite e incoraggiati modi di mettersi nei panni degli altri, immaginare con profondità i sentimenti, le percezioni, le aspettative, le intenzioni delle altre persone, includendo persone che appartengono a culture o società diversa dalla propria?
6. PROBLEMI GLOBALI
Viene stimolata la comprensione di problemi per i quali è necessario analizzare il contesto globale e che vanno gestiti nell’ambito di una cooperazione internazionale, per esempio problemi quali la povertà, la violenza, l’oppressione, l’ambiente?
7. INFORMAZIONE
Viene incoraggiato l’apprendimento di fatti e dati chiave riguardo al mondo moderno quali date, eventi, nomi e posizione di paesi, personalità rilevanti, materie prime, sistemi politici, fede religiosa?
8. ACQUISIRE MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DALLO STUDIO DI ALTRE CULTURE
Vi è uno sviluppo, da parte di chi apprende, della comprensione della natura umana e delle società umane e quindi una maggiore comprensione della propria cultura e società attraverso lo studio di altre culture e società?
9. GIUSTIZIA
Si incoraggia che apprende a considerare che le relazioni fra gli esseri umani e fra gruppi di esseri umani dovrebbero esser basate sui principi di giustizia?
10. PRECONCETTI
Viene favorita la consapevolezza dei modi in cui i propri punti di vista e le proprie percezioni vengono influenzate e limitate da fattori quali la propria cultura, società, nazionalità etc.?
11. PARTECIPAZIONE A LIVELLO LOCALE
Viene favorito lo sviluppo di abilità importanti per la partecipazione alla vita sociale e politica della propria comunità - per esempio riguardo ai processi decisionali, alla comunicazione e alle regole base della partecipazione democratica?
12. PARTECIPAZIONE NELLA SCUOLA
Viene favorito lo sviluppo di competenze relative a prendere o influenzare decisioni che riguardano la propria vita a scuola - per esempio su come viene gestita la scuola e l’organizzazione degli studi?
13. PARTECIPAZIONE NELLA SOCIETA’ MONDIALE
Viene favorito lo sviluppo di competenze relative ad influenzare la società mondiale nel suo complesso, per esempio attraverso un consumo critico, l’uso del tempo libero, l’attività politica, la raccolta di fondi per azioni specifiche, modi di influenzare l’opinione pubblica, condizionare i processi decisionali?
14. RELAZIONI PERSONALI
Si incoraggia chi apprende a sviluppare rispetto per i diritti e i sentimenti delle persone con cui sono in più stretto contatto - fra di loro, in famiglia, nei rapporti di coppia?
15. RISPETTO PER MOTIVAZIONI E VERITA’
Si incoraggia chi apprende ad esaminare le idee in modo critico, a fornire e richiedere motivazioni e ragioni per le opinioni espresse e a modificare il proprio punto di vista di fronte all’emergere di nuovi elementi?
16. LA SCUOLA NELLA SOCIETA’
Si favorisce una comprensione da parte di chi apprende dei modi in cui l’educazione in generale e la propria educazione in particolare è condizionata dalla distribuzione del potere e della 
17. AUTOSTIMA
Vengono create le condizioni per far sì che chi apprende sviluppi confidenza in sè stesso/a - un senso del proprio valore come individuo, una fiducia realistica nelle proprie abilità,  un senso di rispetto per la propria cultura?
18. I PROPRI INTERESSI E LA SOCIETA’ MONDIALE
Si incoraggia chi apprende a considerare che cercare di realizzare i propri interessi richiede, in un mondo interdipendente, la cooperazione e il coordinamento con persone di altri paesi? 
19. SOLIDARIETA’
Si creano le condizioni per sviluppare partecipazione e solidarietà con le vittime di particolari eventi e processi sociali? In particolare, viene stimolata solidarietà con I poveri e gli oppressi anche in paesi diversi dal proprio?
20. ELEMENTI IN COMUNE
Si incoraggia chi apprende ad identificare le cose principali che tutti gli esseri umani hanno in comune, indipendentemente dalla loro cultura o nazionalità - in particolare le aspirazioni evocate da termini quali autorealizzazione, autostima, significato, creatività?

 ALLEGATI

Circolare n.73, prot. N.28935/JR del 2 marzo 1994
Il dialogo interculturale e la convivenza democratica

Bibliografia di riferimento