http://www.spazzaparola.net/grandebastardo/dahome/num5/naomiklein_interview.htm
Un'intervista a Naomi Klein
di Sheri Herndon (dal sito indymedia.org)

titolo originale dell'Intervista :

"No Logo: A Conversation with Naomi Klein" apparsa du Indymedia lunedì 28 agosto 2000

Naomi Klein è l'autrice del libro inedito (in realtà edito nel 2001 n.d.r.) in Italia : "NO LOGO : taking aim at the brand bullies". In questa intervista pubblicata sul sito indipendente indymedia, Naomi parla della nascita del movimento antimondializzazione e sviluppa altri temi dal suo libro.

traduzione di Esther Feretto
Naomi : Quando ho scritto il libro non esisteva un movimento vero e proprio contro le multinazionali. Ho visto questo movimento materializzarsi mentre stavo facendo la mia ricerca. Ho avuto l’impressione che muovessero i primi passi piccoli gruppi di attivisti anti-multinazionali e di media indipendenti e che molto materiale venisse raccolto sul web, ma in scala veramente ridotta. Non era organizzato.  Le uniche persone collegate quando ho cominciato 5 anni fa erano gli anarchici on line.

A quel tempo c’erano poche campagna contro le multinazionali, come la campagna Nike, la Monsanto e la Shell, ma non erano collegate le une alle altre. Ho notato questa convergenza e l’ho trasformata in quelle che ritengo essere le prime fasi di un movimento di massa.   Ossia quello che sta succedendo a Los Angeles questa settimana, ciò che è accaduto a Seattle e quello che avverrà a Praga.   Vediamo tutti i gruppi riunirsi. Ma non appena c’è un movimento reale, in qualche modo credo che si perda di vista l’importanza di continuare a comunicare.   Perchè quando non si ha il potere e non ci si sente forti, tutto quello che si possiede è la capacità di esternare il proprio messaggio. Almeno per provare. E credo che in fondo questa posizione di svantaggio mi abbia personalmente incoraggiato a provare, a continuare a cercare di scoprire nuovi modi per introdurvi nuova gente.

Quando ci si sente un po' più forti, credo si abbia la tendenza a impigrirsi, ad essere sincera. E mi ci includo anche io. A volte divento più retorica e in un certo modo faccio affidamento su parole roboanti piuttosto che cercare di spiegare in modo tale che anche chi non conosce l’argomento possa capire.

Sheri :  Per chi non ha letto il tuo libro, quali sono gli argomenti e i contenuti basilari?

Naomi : Il libro parte dalla premessa che il prossimo movimento politico principale sarà un movimento contro le multinazionali. Ciò che prova a fare, oltre a documentarne i primi passi come Reclaim The Street, la campagna Nike e Shell, e le varie iniziative guidate dalla RAN (RAN: Rainforest Action Network), è proporre un’ipotesi sul perchè il futuro movimento sarà contrario alle multinazionali.

Ho analizzato la questione dei marchi corporativi (marchi di fabbrica) perchè credo che se capiamo il marchio, possiamo comprendere ciò che spinge le persone a scendere in piazza. Ho preso in esame il fenomeno dell’ideologia delle multinazionali che ha tenuto in pugno Wall Street per 15 anni e ha mutato il modo delle multinazionali di fare affari: se vuoi avere successo, devi produrre un marchio, non un prodotto. Cioè, i prodotti, le sneakers (scarpe da ginnastica), il caffè, i computer sono elementi secondari rispetto al vero prodotto di una compagnia internazionale di successo che è la creazione di idee, di significati all’interno della nostra cultura. Per esempio la Starbucks dirà: "non ci occupiamo di caffè; certo, noi vendiamo caffè ma in realtà rappresentiamo l’idea di comunità. Questo è il senso del nostro marchio." E si possono portare altri esempi sciocchi del genere: "noi non ci occupiamo di sneakers, ma della trascendenza attraverso lo sport". Ci sono molte persone che vengono pagate un sacco di soldi per entrare a far parte di queste logge multinazionali e inventarsi uno slogan che faccia capire "questo è il nostro significato". E’ veramente spirituale. E tirano fuori frasi del tipo: "noi siamo un lubrificante sociale" dice la Polaroid o chi per essa. Apparentemente sembra un processo del tutto innocuo ma ciò che io intendo sottolineare è il fatto che se tu decidi di rappresentare un’idea e non un prodotto, allora quest’ultimo si rivela un aspetto secondario.

Innanzitutto è un processo che modifica la cultura dal momento che un’idea che rimane inespressa risulta senza senso. Quindi, quello che queste aziende creatrici di idee fanno è esaminare la cultura alla ricerca di spazi dove poter proiettare il loro significato. Sono costantemente in cerca di idee nuove, di nuovi significati per il proprio marchio. In questo modo le marche hanno costruito un rapporto decisamente parassitario nei confronti della cultura giovanile alla quale continuano a guardare per carpirne l’ultima tendenza, qualunque essa sia, anche contraria alle multinazionali, a patto che sia nuova e faccia tendenza e abbia a che fare con lo Zeitgeist (spirito del tempo).

I nostri spazi e le nostre idee, quindi, vengono cooptati.

Inoltre l’elaborazione di un’idea per il marchio richiede l’uso di diversi media e di differenti linguaggi, così che non è abbastanza occuparsi solo di caffè se tu sei Starbucks, devi avere a disposizione una rivista di tendenza per mostrare l’identità del tuo marchio e magari creare anche una linea di arredamento.

Fondamentalmente l’idea dietro il marchio non è il lancio sul mercato di un prodotto bensì la creazione di uno stile di vita che sia abbastanza completo da permetterci di entrarvi con tutto il nostro bagaglio.Il livello più alto di questo processo è rappresentato dalla Florida dove si trova la città "marchiata" Disney nella quale ci si può davvero trasferire con la famiglia, muovendosi all’interno di un marchio.

Sheri : Che mi dici del modo in cui il movimento anti corporativo crea un significato di per sè e il processo di creazione di quel dato significato? E cosa fa questo mezzo per il movimento quando noi vogliamo non solo dire no alle cose ma anche si ?

Naomi : E‘ una sfida perchè significa che noi stiamo gareggiando. Chiunque stia provando ad esprimere un’idea si pone in competizione con queste corporazioni multinazionali le quali hanno a che vedere con il mondo delle idee, il che spiega il perchè io ritenga che la sfida per la sinistra sia troppo grande a questo punto.

Ma credo anche che sia a causa del processo che sto descrivendo che così tanti giovani scendono in piazza, si sentono perseguitati dalla commercializzazione. Sono esausti e stufi del fatto che i loro rapporti e la loro identità vengano marchiati. Gli viene detto di diventare un marchio chiamato tu o io, di pensare a loro come a una corporazione. Penso che la gente stia si protestando contro gli abusi delle multinazionali ma sia anche alla ricerca di esperienze non mercificate. E credo che l’ Indipendent Media Center sia una parte importante di questo processo. Stavo giusto parlando con alcuni giovani video attivisti che si trovavano qui e stavano discutendo su quanto fosse bello andare all’Indipendent media Center qui a Los Angeles e scambiare il proprio materiale video. E’ come se qui avessimo mercificato qualcosa e ci avessimo posto un prezzo e venisse sempre venuto e comprato, e noi non lo venderemo, lo smercificheremo!

E così via, da una parte si ha questo processo di smercificazione dell’esperienza umana e Reclaim the Street ne fa parte – sezionando una sfera privata di un certo tipo e rendendola pubblica. Inoltre stiamo defeticizzando i marchi. Quello di cui si occupa il marchio è proprio la feticizzazione di certi beni di consumo basilari, metterli su di un piedistallo a simbolo di cose che non hanno niente a che fare con l’oggetto in questione. Non si arrendono e ciò può favorire il gruppo anti corporativo. Queste compagnie possono vendere idee potenti relative alla ribellione mentre in realtà stanno vendendo magliette e scarpe da ginnastica, perchè c’è sempre un trucco. Questo spiega il perchè questo desiderio che abbiamo non può essere realizzato tramite lo shopping dal momento che rimaniamo sempre insoddisfatti. Compriamo l’idea di qualcosa e quando torniamo a casa ci rendiamo conto che è solo una copertura a questa insoddisfazione. Così molto persone cercano di soddisfare questo desideroso uscendo con la voglia di comprare qualcos’altro.

Sheri : Il che è perfetto per una cultura capitalista consumistica

Naomi : Esattamente. Ma credo che se un’altra forza entrasse e dicesse: " hey, vendiamo la cosa vera", questa potrebbe essere veramente potente e penso che questo sia il nostro compito. Io non ce l’ho con il marketing ma con i trucchi del sistema che ho descritto.

Sheri : Abbiamo parlato prima degli eventi a cui stiamo assistendo a partire da Seattle per arrivare a DC a Philadelphia e ora a Los Angeles. Come vedi la differenza tra questi eventi e quelli di Seattle e DC data la loro connessione con la cultura globale?

Naomi :Per dire la verità riguardo a quest’argomento ho mescolato diverse situazioni. Quando ho appreso a Washington che la "nuova Seattle " – Ci sono state un sacco di "nuove Seattle" come ben sai – si sarebbe tenuta intorno alle conventions dei Democratici e dei Repubblicani, ero un po' spaventata in parte perchè ha un senso il fatto che questo movimento sia decollato da Seattle, sia stato creato lì. Parliamo di Seattle come il luogo di nascita del movimento.

Seattle ha dato origine a questo movimento negli Stati Uniti ma non a livello internazionale, in effetti Seattle rappresentava l’unione degli attivisti americani e qualcosa di analogo accadeva anche a Londra, a New Delhi e un po' in tutto il mondo.Abbiamo avuto imponenti dimostrazioni quando abbiamo ospitato il summit APEC a Vancouver che ha coinvolto la polizia ma non la stampa americana. non mi riferisco alla stampa a diffusione nazionale ma a quella di sinistra che negli USA non ha preso parte a questa mobilitazione che stava coinvolgendo tutto il pianeta. Allora Seattle è successa e credo che sia stata fantastica ma sono turbata da quel tipo di centrismo americano perchè ritengo che la forza di questo movimento sia proprio il suo internazionalismo. Quello che mi ha eccitato di Seattle non sono stati tanto i camionisti e le tartarughe quanto il fatto che truccatori e operai delle acciaierie camminassero fianco a fianco e c’era Jose Bove alla testa del movimento contadino per le Filippine: è questo che stiamo perdendo di vista e io ne sono preoccupata. Diciamocelo, sappiamo che la destra e la sinistra americane sono inclini ad un provincialismo miope ed è difficile non esserlo, questo è un paese molto grande e potente e incredibilmente interessante. Non credo, però, che diverrà la forza del movimento, sono intimorita dalla sua perdita di internazionalismo.

Sheri : Allora, cosa suggerisci?sta sopraggiungendo Praga e IMC si sta organizzando on line già da parecchio tempo.

Naomi : C’è un pò di cinismo in me a parlarne. Ma ritengo anche, giusto per tornare alla tua domanda iniziale, che ciò che io penso relativamente a quanto sta succedendo a Los angeles, sia decisamente positivo, il gruppo contro le multinazionali ha fatto tutto il possibile, è il riconoscimento, all’interno di una nuova generazione di attivisti, del fatto che le corporazioni sono più potenti dei governi. Loro lo capiscono ma non ne sono paralizzati, dicono solo bene, se il potere si è spostato, noi andremo da chi ce l’ha, faremo l’ultimo giro intorno ai nostri governi e poi ci dirigeremo direttamente verso le corporazioni. In effetti, in molti casi, gli attivisti finirono per ottenere responsi legislative dopo aver messo in imbarazzo le corporazioni. Questo è quello che è successo con le campagne contro l'ingegneria genetica in Inghilterra. Prima hanno corteggiato i supermercati e i grandi marchi alimentari e poi le società hanno iniziato a lamentarsi coi legislatori che erano bersagliate,che erano prese di mira, dobbiamo creare una linea di riferimento, forse è l'etichetta.

Ciò che sta succedendo intorno alle conventions credo sia un ritorno alla politica. Deve essere un ritorno alla politica. Stiamo andando alla radice del perchè le corporazioni sono più potenti dei governi. Secondo me queste conventions saranno ricordate come incontri dove il denaro veniva respinto. Tutto questo è stato una conseguenza del denaro, anche gli incontri rimasti all’ombra, ma soprattutto le proteste di strada.Credo che ciò abbia avuto un ampio effetto, ha spinto i media principali a coprire di più i finanziamenti delle campagne. Credo che questo stia portando alla scoperta delle cause dell’erosione della nostra democrazia

E’ una strategia politica imprevidente.

Perciò credo che quello che stiamo facendo sia seguire un logo attraverso il sistema politico ed economico.

Sheri : Che tipo di tattiche e strategie si devono seguire in questo processo di creazione di un movimento globale?

Naomi : Parte di questo ha a che fare con la paura che se non si organizza al più presto un’altra grande protesta l’intera cosa sia destinata a scomparire. Facciamo troppo affidamento sulle proteste. L’altra parte è il fatto che Seattle, parlando dal punto di vista di un osservatore esterno, ha colto la sinistra di sorpresa. Cosa li sorprendeva? Già l fatto che esistessero e che fossero in grado di mobilitare le persone era allarmante. E ‘ come un Oh, noi esistiamo, ma loro quasi non ci credevano e così hanno dovuto provarlo. Credo che Washington sia stata scelta troppo presto come meta della futura protesta, forse non era un punto strategico perchè non era un incontro importante, diversamente da quello di Praga.

Il significato di Seattle è l’aver posto fine ai negoziati. Non c’è stato qualcosa di simile a Washington, era più simbolico. Penso che la cosa importante di Seattle sia stata l’aver abbandonato il carattere puramente simbolico della protesta. Ritengo che l’essenza dell’azione diretta non sia la protesta come dimostrazione ma come raggiungimento di un risultato concreto.

Così tutte le risorse, l’organizzazione e la creatività sono state mescolate per creare la prossima protesta e sarà coperta come i giochi sportivi o qualcosa del genere. Beh è una specie di gara e le persone stanno dicendo NO, il movimento di Seattle è morto, è chiaramente in declino, il che è da pazzi, perchè è il significato politico delle negoziazioni a Seattle e L'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organisation) quello che ha mobilizzato queste persone.E' quello per cui erano tutti là. E' stato un incontro veramente importante (Seattle) e la gente voleva fermarlo. Oggi, al contrario, pare si voglia scendere in piazza perchè la gente è sempre di meno, per cui se non si partecipa se ne perderà ancora. Non sono certa che questo sia il metodo per scegliere il luogo della protesta, bisogna sceglierlo in base a specifiche ragioni politiche, altrimenti si perdono di vista le questioni dell’internazionalismo dal momento che è molto difficile organizzare queste cose e necessita di ogni nostra risorsa.

Sheri : Cosa mi dici di Praga? Come movimento non siamo più in territorio americano

Naomi : E’ possibile che libererà un sacco di persone creative che si erano occupate dell’organizzazione a Washington, Los Angeles e Philadelphia per pensare un po' più in grande, per fare un po' più di lavoro teorico che è molto importante.

Sheri : Definisci il lavoro teorico

Naomi : Credo che per qualunque coalizione l’obiettivo sia di creare qualcosa di più forte della somma delle parti, unirsi e raggiungere un livello politico e intellettuale superiore.

Queste proteste sono coalizioni.Il pericolo è cadere in un attivismo che assomigli ad una lista della spesa. C’è un elenco delle cose alle quali siamo contrari. Quello che voglio dire è che serve un lavoro teorico. Ho paragonato la struttura del movimento anti corporativo ad internet, l’internet precedente la centralizzazione e la corporazione naturalmente. E’ una rete e credo che il lavoro teorico che necessita interessi tutti coloro che hanno a cuore il movimento, non solo per dire ci possiamo incontrare tutti sullo stesso angolo della strada a dare il via ad una protesta insieme, ma veramente lavorare per capire quali sono i fili di questa rete, cosa significano, quali sono le reali connessioni, qual è il rapporto tra la militarizzazione del mondo e la repressione della protesta a casa nostra.

Non una semplice lista della spesa relativa alle cose a cui siamo contrario ma un lavoro intellettuale più intenso perchè credo sia questo ciò che induce le persone quando ascoltano qualcosa e cliccano e dicono "si" e non "toh guarda, queste persone sono contrarie a ciò che anch’io ritengo ingiusto, credo che mi unirò a loro!!" La gente non è attratta da questo ma da qualcuno che gli dica qualcosa alla quale non aveva mai pensato.



Il libro di Naomi Klein nelle edizioni Picador

L'articolo JUST DO IT ? già apparso sul GRANBA

Il sito ufficiale di Naomi Klein