ALTRINFORMAZIONE
http://www.peacelink.it/altrinformazione
 

Dossier Globalizzazione.

Schede di approfondimento sul G8


Come mai grandi?

I G8 non sono grandi per dimensioni - altrimenti dovrebbero includere Paesi come Cina o Brasile -, o per popolazione  dovrebbero entrare Cina, India e Nigeria - o cultura, ma per la loro potenza economica. I primi 6, tra cui l’Italia, hanno i prodotti interni lordi (PIL) più elevati. C’è poi il Canada, che avrebbe un PIL decisamente più basso di due “staterelli” come Cina e Brasile  ma ha l’appoggio degli USA, per equilibrare un vertice dei grandi con troppi paesi europei -, e quindi la Federazione Russa che si troverebbe in coda anche alla Spagna, l’India, il Messico, l’Olanda, la Corea, l’Argentina  ma bisognava in qualche modo tenerla buona, e poi quando ci sono certe  decisioni economico-finanziarie, la Russia è ancora esclusa dal Club… Nei G8 vive il 14.3 % della popolazione mondiale e si produce il 67.2 del PIL mondiale (se si esclude la Russia gli altri sette rappresentano l’11.8% della popolazione mondiale e il 66.2% del PIL mondiale). Qui si consuma la metà dei combustibili fossili ed oltre i tre quarti dell’energia nucleare, e si produce il 52% della CO2 (responsabile dell’effetto serra) (1).

Il reddito medio dei G8 è circa 22 volte più alto di quello dei paesi meno sviluppati ed i G8 detengono l’86.5 % del commercio mondiale di armamenti (soprattutto i 4 con diritto di veto al consiglio di sicurezza dell’ONU). Il mondo è sfregiato da linee di frattura e diseguaglianze persino più radicali. In primo luogo sul piano del reddito: quello di uno statunitense, che le statistiche ci dicono s’aggiri sui 29.000 dollari, quest’anno, è 78 volte quello di un indiano, accreditato di un reddito pro-capite pari a 370 dollari, 111 volte il reddito pro-capite di un nigeriano  - 260 dollari -, e sale a 290 volte quando si paragona al reddito di un etiope o  congolese - circa 100 dollari. Queste, ancora una volta, sono statistiche, quelle che mettono tutti insieme. Non si possono confrontare il reddito di un grande manager - di quelli che sono pagati in azioni -, e il reddito di un qualsiasi abitante dell’ultimo 20% di popolazione, sarebbe come rapportare l’infinito allo zero.

Il consumo d’energia
Lo stesso discorso vale per un altro indicatore di accesso alle risorse, anche più significativo del semplice reddito, che è l’accesso all’energia. E’ stato calcolato, che un cittadino americano medio ha a disposizione, grazie alla potenza del suo sistema Paese, un potenziale di energia di 250.000 Kcal ogni giorno, che gli servono per i più semplici atti della vita quotidiana: spostarsi in auto, scaldare la casa, fare una doccia o scaldarsi un hamburger. Un francese, ma anche un italiano, ne ha a disposizione 84.000, un giapponese, popolo più sobrio, 63.000; ma un indiano può contare solo su 4.500 Kcal, che sono la 25a parte di un americano; un pachistano su 1.700 che sono la 147a parte; un etiope su 588 che è la 425a parte.

L’impronta ecologica
I G8 determinano il 41% dell’impronta ecologica degli uomini sul pianeta, con una media pro capite di 8,1 ettari, mentre nel resto del mondo è a 2, quando la disponibilità di terra produttiva pro capite è di 2.2 ettari. Tenendo conto delle capacità bioproduttive degli ecosistemi e della necessità della conservazione di almeno il 10% della superficie terrestre, l'impronta ecologica degli abitanti della Terra non dovrebbe superare le 2 unità di superficie. Gli Stati Uniti hanno un'impronta ecologica che supera i 12 ettari pro capite, mentre quelle dei paesi dell'Europa occidentale vanno da 5 a quasi 10 ettari. In Italia abbiamo, secondo i più recenti calcoli, un’impronta ecologica di 4,2 ettari pro-capite, con una biocapacità nazionale di 1,5 ettari pro-capite e quindi un deficit ecologico di 2,8 ettari pro capite. E’ come se i 57 milioni di italiani occupassero una superficie complessiva di 2.414.000 di chilometri quadrati (la nostra Italia ha una superficie di 301.000 kmq). I paesi dell'Africa subsahariana sembrano appartenere ad un altro universo, perché presentano tutti impronte ecologiche inferiori a 2 ettari pro capite (quella dell'Eritrea e', ad esempio, di 0,35). Oggi i paesi poveri sono, quindi, hanno un  credito d’ambiente verso i Paesi del G8.

--- (1) Le stime dell’Intergovernamental Panel on Climatic Change (IPCC)  è la struttura delle Nazioni Unite che riunisce oltre 2.500 specialisti del clima  prevedono un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e un incremento della temperatura media terrestre tra 1 e 3,5° C entro il 2100. Si tratterebbe della più veloce variazione climatica dalla fine dell’ultima glaciazione.





Il G8 e la salute
Già nel summit di Okinawa i G8 hanno affrontato il problema delle malattie infettive (in particolare l’AIDS) e parassitarie, prendendo il solenne impegno di far diminuire del 25% il numero delle persone infette dal virus Hiv, di ridurre l’incidenza della tubercolosi del 50 per cento, di dimezzare la diffusione della malaria. Il tutto entro il 2010. Quindici milioni di persone muoiono ogni anno a causa di malattie infettive. Si trovano soprattutto tra le popolazioni più povere, che hanno grossi problemi di accesso ai farmaci per il loro elevato costo. I G8 si sono impegnati a facilitare questo accesso, ma a tutt’oggi i risultati sono deludenti. Basta pensare a quello che è successo con la causa intentata da 39 multinazionali farmaceutiche contro il governo sudafricano, "colpevole" di aver varato norme che consentono la produzione, in forma economica, di medicinali anti-AIDS; o al governo USA che aveva citato per la stessa ragione il suo omologo brasiliano davanti ai tribunali del WTO - fortunatamente queste iniziative sono naufragate per la pressione della società civile. Nel dicembre del 2000, viene nominato come coordinatore degli esperti sanitari per il vertice Eduardo Missoni, che si mette subito al lavoro. La prima bozza che presenta puntava a coinvolgere gruppi, movimenti, associazioni di volontariato, con l’obiettivo di ottenere il consenso di tutte le componenti della società civile, e non soltanto quello delle imprese. Insisteva inoltre sulla necessità di rendere più disponibili ed economicamente più accessibili i farmaci principali. Consegna il documento, con il tempo non se ne sente più parlare. In marzo, a pochi giorni dal vertice di Palermo, spunta un altro documento “Beyond debf relief”, messo a punto ad un economista della Banca d’Italia, incaricato dal ministero del Tesoro. La salute viene messa così nelle mani degli economisti, e si vede. La salute diventa un presupposto della crescita economica (se stai bene puoi produrre ricchezza, se no sei un ingranaggio rotto, dunque inutile), e “dimentica” di considerare che la salute è anche frutto di ciò che mangi o non mangi, dell’ambiente più o meno inquinato in cui vivi, delle condizioni in cui lavori, dell’istruzione, dell’accesso ai servizi sanitari che hai o non hai. Il punto più critico è la creazione di un “Trust Fund for Health Care”, un fondo che sarebbe alimentato da versamenti di 500 milioni di dollari dei Paesi del G8 (Russia esclusa), e di 500.000 dollari delle multinazionali farmaceutiche e non. Stando alle indicazioni avanzate da Palazzo Chigi, il Trust Fund for Health Care dovrebbe essere amministrato dalla Banca Mondiale, mentre le strategie e le decisioni sull’impiego dei soldi verrebbero adottate da un consiglio direttivo composto dai donatori, pubblici e privati, nazionali e internazionali, aziende incluse, dunque. Per un gigante farmaceutico come la Glaxo-SmithKline, la quota indicata rappresenterebbe l’equivalente del profitto realizzato in circa mezz’ora. Chiedere alle grandi multinazionali 500 mila dollari significa accontentarsi di contributi ridicoli a fronte di un enorme pubblicità positiva e  ad altri vantaggi, perché quelle imprese  potranno partecipare alla decisione su come usare i fondi. Destinandoli magari ad acquistare i farmaci prodotti dagli stessi "donatori". Un altro aspetto inaccettabile è affidare la gestione del Fondo alla Banca Mondiale, cioè proprio a quell’istituzione che con i suoi famigerati aggiustamenti strutturali ha obbligato numerose nazioni africane, asiatiche e latinoamericane a smantellare i rispettivi sistemi sociosanitari, escludendo così dalle cure milioni di persone. Un’ultima beffa: i 1000 miliardi che il governo italiano intende raccogliere con questa iniziativa, corrispondono a quello che il gruppo di 22 paesi che oggi sta beneficiando di alcune iniziative di riduzione del debito restituiscono ai paesi creditori in meno di tre mesi. Piuttosto che diventare il paravento di questa operazione, Eduardo Missoni (*) si è dimesso.

(*) Eduardo Missoni compirà 47 anni il 31 luglio. Ha sposato la cilena Maria Ines Bussi, nipote di Salvador Allende. Alle spalle ha una formazione cristiana maturata nell’Agesci (scout). È un medico esperto in malattie tropicali: tra il 1980 e il 1983 ha operato come volontario in Nicaragua. Dopo una parentesi all’Onu (funzionario dell’Unicef, in Messico, tra l’84 e l’87), da 14 anni lavora con il ministero degli Esteri italiano (Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo). Oggi è il responsabile delle iniziative di carattere sanitario che l’Italia promuove in America latina e in varie zone dell’Africa.



Il G8 e l’istruzione
Il documento “Beyond debt relief” conteneva anche proposte sul tema dell’istruzione. Nel testo sono richiamati gli obiettivi dell’istruzione per tutti entro il 2015 e l’abbattimento del divario tra istruzione maschile e femminile entro il 2005. Sono gli obiettivi che si era data la conferenza mondiale sull’istruzione, svoltasi nel 1990 a Jomtien, in Thailandia. Anche l’istruzione viene considerata una variabile economica, infatti nel testo si legge “L’investimento nell’istruzione migliora la competitività e la crescita arricchendo la qualità del mercato del lavoro. Accresce l’abilità della forza lavoro di adattarsi ai bisogni del mercato. Accresce l’abilità della forza lavoro di adattarsi ai bisogni del mercato. Accresce il tasso di attività e il potenziale outpout dell’economia. Conduce a maggior produttività e a maggiori salari. Una forza lavoro ben addestrata, consente anche il trasferimento di tecnologia che è uno dei motori chiavi dello sviluppo”. Siamo quasi agli antipodi dello spirito di Jomtien, e più ancora di quello della conferenza di Dakar, svoltasi nell’aprile del 2000. Nel documento finale si affermava che “L’istruzione è un fondamentale diritto umano. E’ la chiave per uno sviluppo sostenibile, per la pace e la stabilità, tra i paesi e al loro interno, e come tale un indispensabile mezzo di partecipazione nelle società e nelle economie del XXI secolo, colpite da una rapida globalizzazione”. Sostenibilità dello sviluppo, pace e crescita democratica sono semplicemente spariti. Nelle proposte di azione elaborate dalla conferenza di Dakar, i 180 paesi partecipanti si erano impegnati, tra le altre cose, a coinvolgere la società civile e le organizzazioni non governative, a ridurre il debito estero dei paesi poveri per liberare risorse da destinare all’istruzione, a creare un meccanismo di monitoraggio in grado di verificare l’impegno e la gestione dei fondi, a combattere il lavoro minorile e a incoraggiare specialmente l’istruzione femminile. Alcune di queste indicazioni restano anche nel documento pre-G8, ma lo spirito è stato stravolto. Quello che a Dakar era un diritto umano è diventato un investimento in “capitale umano”. La filosofia delle proposte che il governo farà agli altri grandi è evidente dalla struttura, in tre parti, del documento. La sezione A, la più lunga, è dedicata ai vantaggi che i paesi poveri avrebbero dalla riduzione delle tariffe e dal libero scambio. La sezione B analizza il ruolo degli investimenti privati. La sezione C, infine, tratta due campi specifici, la salute e l’istruzione “In cui il ruolo della Banca mondiale e delle Istituzioni multilaterali di sviluppo deve essere rafforzato. In questi due settori promuoviamo la creazione di fondi dedicati, costituiti da donazioni dei paesi industriali,  da integrare con gli attesi contributi dal settore privato. Questo costituirà una risorsa base per i paesi più poveri e promuoverà partnership tra il settore pubblico e quello privato, con l’obiettivo di espandere l’accesso ai servizi di base nella salute e nell’istruzione, arricchendo il capitale umano nei paesi più poveri”.

Il G8 ed il debito estero dei paesi poveri
Le pressioni esercitate dalle campagne nazionali Jubilee 2000 avevano portato a schierarsi tutti i grandi del mondo a favore della cancellazione del debito. Ma agli annunci non sono seguiti i fatti. Alle manifestazioni di Genova sarà presente anche “Drop the debt” la campagna che ha preso il posto di Jubilee 2000 per ottenere almeno la cancellazione di tutti i debiti dei 41 Paesi poveri ed altamente indebitati. Secondo il presidente Ciampi, l’Italia si impegnerà ad ottenere maggiori impegni dai Paesi del G8 (?).

Il G8 e l’ambiente
Il mondo è al limite del collasso ambientale. L’hanno recentemente confermato sia il World Watch Institute, sia l’istituto dell’ONU per l’ambiente, sia l’UNEP, l’agenzia internazionale delle Nazioni Unite, sia più di recente l’Accademia nazionale statunitense delle scienze. Gli accordi di Kyoto del 1997 rappresentano, a livello internazionale, il tentativo più avanzato di affrontare una tematica ambientale di interesse planetario in un’ottica di sostenibilità, anche se le riduzioni di inquinamento in esso richieste (5-6 %) sono decisamente inferiori a quelle richieste dagli scienziati (60-80%). Purtroppo la Conferenza dell’Aia del 2000, che avrebbe dovuto definire le procedure di attuazione del Protocollo di Kyoto, ha messo chiaramente in evidenza che non tutti i paesi industrializzati sono pronti ad impegnarsi per una riduzione del proprio impatto sul sistema climatico. Nonostante la gravissima situazione ambientale sia sotto gli occhi di tutti, i G8 sembra non abbiano nessuna intenzione di dare risposte serie a questo problema.

Il G8 e la finanza
Anche nel summit di Genova i G8 parleranno della cosiddetta “architettura finanziaria globale” e quindi del bisogno di ridefinire il ruolo, il mandato e gli strumenti delle Istituzioni Finanziarie Internazionali quali la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale. Tale esigenza è sempre più sentita di fronte alle frequenti crisi finanziarie, al tracollo delle economie del sud est Asiatico, della Russia e del Brasile, alla crescente diffusione della povertà ed alla emarginazione dei paesi più poveri. Da più parti della società civile si chiedono regole di equità, trasparenza ed accesso alle informazioni per il FMI, politiche economiche socialmente giuste ed ecologicamente sostenibili (l’applicazione delle prescrizioni del FMI e della BM hanno avuto effetti devastanti sullo sviluppo sociale e sull’ambiente), trasparenza e controllo dei movimenti di capitale. Altro tema del vertice sarà la gestione dei movimenti globali di capitale, per i quali si chiede di aumentare il grado di liberalizzazione: nessuno spazio quindi a provvedimenti quali la Tobin tax proposta da centinaia di associazione e cittadini in tutto il mondo.

Il G8 e le tecnologie informatiche
Ad Okinawa i G8 hanno enfatizzato l’importanza dell’Information Technology (IT) e come l’accesso ad essa deve essere consentito a tutti.  Secondo i dati Gartner group il 50% delle abitazioni americane è collegato al web. Cioè metà dei cittadini americani ne è tuttora escluso. Da noi la percentuale aumenta: solo 15 milioni di italiani accedono alla rete, e l'esclusione è legata a fattori generazionali, sociali, economici, culturali, ma anche alla diffusione delle infrastrutture indispensabili. Le politiche pubbliche nei paesi sviluppati possono riempire la frattura con programmi a vasto raggio come il progetto E-europe. Ma il divario digitale esaspera il rapporto iniquo tra nord e sud del mondo. Il 90% degli accessi a internet proviene dai paesi ricchi. Ma da soli, Stati Uniti e Canada raggruppano il 57% del totale, e appena l'1% viene da Africa e Medio oriente. In termini reali, in Africa solo 2 milioni e mezzo di persone navigano in rete, contro 136 milioni di americani, 83 milioni di europei e 679 mln in Asia, soprattutto in India, in Cina e nel sudest. Il gap è alla fonte: dei 94 milioni di provider nel mondo oltre il 95% ha sede nei paesi sviluppati, il resto si concentra tra Cina, Hong Kong, Israele, Singapore. Se pensiamo che appena la metà della popolazione mondiale dispone di luce elettrica e telefono, il quadro si completa. Ma chi installerà e gestirà le reti in paesi spesso del tutto privi di aziende e risorse umane? Secondo il Rapporto 2001 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, anche la produzione di nuove tecnologie si concentra nel mondo ricco, dove vive il 16% dei 6 miliardi di abitanti della terra. E` il nuovo orizzonte del divario: la colonizzazione tecnologica.


Il G8 ed il commercio mondiale
Al vertice di Birmingham nel 1998, e a quello di Colonia nel 1999, era chiaro che il lancio di un nuovo round di negoziati sul commercio richiedeva un accordo tra Europa, Nord America e Giappone. Ma in entrambi i summit non si raggiunse un accordo sui temi commerciali, così gli USA e l’Unione Europea giunsero alla conferenza di Seattle con agende diverse e in conflitto. Comunque entrambe furono rigettate dai paesi del Sud del mondo. Non fu possibile lanciare alcun nuovo negoziato sul commercio. L’anno scorso al vertice di Okinawa ci furono  grandi dichiarazioni sul coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo nel WTO, e sulla necessità di una sua maggiore trasparenza. Nulla è stato fatto. Quest’anno a Genova la delegazione italiana vuol dare un’alta priorità al commercio, per arrivare ad un accordo tra i G8 prima della conferenza ministeriale del WTO, a Doha, in Qatar, alla fine del 2001. Il rischio maggiore è una nuova spinta ai negoziati, che potrebbero portare ad accordi ancora più favorevoli per le imprese, e alla privatizzazione di scuola, sanità, e di tutti gli altri servizi di base (come l’acqua), con prestazioni di alto livello solo per chi può pagare, mentre gli altri si dovranno accontentare, quando non verrano semplicemente esclusi.


I G8, ovvero un governo informale del pianeta
I G7 erano nati come vertici economici. In seguito il loro campo d’azione si è esteso in modo considerevole, includendo questioni come i rapporti con i Paesi in via di sviluppo,  l’occupazione, l’ambiente, la criminalità organizzata, la droga, il terrorismo, l’energia, le reti d’informazione. Dal vertice di Birmingham nel 1998 poi, i “leader” del “summit” si sono concentrati sulla globalizzazione, perché innervosisce e preoccupa il loro elettorato, visto che sfugge al loro controllo. Da Okinawa i problemi sono tutti sul tavolo: il ruolo del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale; la ricaduta della crisi di paesi meno ricchi, come il Messico, sulle economie maggiori; i rapporti con i paesi in via di sviluppo. Insomma, non è un mistero che il  club dei G8 non discute di questioni interne, come tasse, scambi commerciali, accordi vari, ma si vuole occupare e si occupa di questioni mondiali. Senza nessuna legittimità democratica, perché i “grandi” non hanno ricevuto un mandato dell’ONU, non sono stati chiamati in causa dai governi del sud del mondo, né hanno chiesto l’avviso agli  elettori dei loro paesi. Questa mancanza di legittimità è stata rilevata anche da personaggi come Gorbaciov, il quale afferma che “La globalizzazione non rientra tra gli incarichi del G8, all'interno del quale sono tutelati solo gli interessi dei più forti. Proprio a causa della sua composizione il G8 non può assumersi la responsabilità di gestire il processo di globalizzazione”. Questo governo mondiale informale scavalca le istituzioni internazionali che, almeno in linea ipotetica, sarebbero competenti ad affrontare con cognizione di causa e con qualche pretesa di legittimità, i grandi problemi del mondo: le Nazioni Unite, innanzitutto, le agenzie ad esse collegate (tipo Unesco per i temi culturali, Organizzazione Mondiale per la Sanità, la Fao per i problemi agricoli, l'Acnur per i profughi ed i rifugiati, ecc.), e le convenzioni ad esse risalenti e da esse promosse (la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Trattato contro le mine anti-uomo e contro la tortura, la convenzione di Rio e il protocollo di Kyoto per i problemi ambientali, la Convenzione per i diritti dell'infanzia e per la non-discriminazione delle donne, ecc.).

Villaggio globale
Supponiamo per un attimo che il G8 sia legittimamente il luogo deputato al governo del mondo. Quali sono stati i risultati dell’azione dei “Grandi” della Terra negli ultimi dieci anni? Come scrive Kofi Annan, proviamo ad immaginare che il mondo sia un villaggio, composto da 1.000 abitanti fatto ad immagine della razza umana. Come sarà composto? Circa 150 abitanti vivono nei quartieri ricchi del villeggio, mentre 780 abitano nei sobborghi poveri, quelli che restano (70) vivono in un quartiere che è in transizione. 200 persone detengono l’86% di tutta la ricchezza, mentre gli altri 800 devono spartirsi il 14% residuo - e i 200 più poveri addirittura si devono accontentare dell’1%. L’aspettativa di vita nel quartiere ricco è di circa 78 anni, mentre nelle aree più povere scende a 64 e nelle zone poverissime è di soli 52 anni. E questo enorme divario è cresciuto negli ultimi anni. Come ricorda il rapporto sullo sviluppo umano del 1999 dell’UNDP - United Nations Development Programme - dedicato alla globalizzazione, il divario di reddito tra il 20% più ricco degli individui che vive nei Paesi occidentali, ed il 20% più povero che vive nel Terzo Mondo era di 30 a 1 nel 1960, di 60 a 1 nel 1990, e di 74 a 1 nel 1997. I 200 individui più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato il proprio patrimonio netto tra il 1994 e il  1997, fino ad arrivare a più di 1.000 miliardi di dollari. Le ricchezze dei primi tre miliardari in classifica superano ormai la somma dei Prodotti Nazionali Lordi di tutti i Paesi meno sviluppati, e dei loro 600 milioni di abitanti. Se classificate le prime 100 potenze economiche del mondo, nel 1995 avevate ancora 52 Stati e 48 imprese private. Nel 1999, le imprese erano diventate 58 e gli Stati 42. I primi venti posti sono occupati da paesi, poi è un susseguirsi continuo di multinazionali. General Motors risulta più grande della Danimarca, Ford della Norvegia e Mitsubishi  del Portogallo. Benché occupino solo 22 milioni di persone, le prime 200 multinazionali hanno un fatturato 18 volte più grande di quanto guadagnano tutti insieme i poveri assoluti del mondo. Qualcosa come un miliardo e mezzo di persone. Tutto questo è avvenuto mentre aumentavano i poveri: 800 milioni di esseri umani conoscono la fame, più di un miliardo di persone non hanno accesso all’acqua, o a un alloggio decente. Ogni anno circa 17 milioni di persone muoiono di malattie infettive parassitarie. Eppure negli anni Settanta l’ONU aveva fissato un obiettivo impegnativo: sradicare la povertà tra il 1990 e il 2000. Ma già nel 1995 a Copenhagen, 150 Paesi  constatarono che l’obiettivo dello sradicamento della povertà non era  realizzabile, e che anzi era aumentata: nella risoluzione finale l’obiettivo di eliminare la povertà nel mondo venne spostato al 2020. Cinque anni dopo, gli stessi governi al Copenhagen+5, riconoscono ormai che lo sradicamento della povertà non è possibile, ma che nel 2015 si deve arrivare a ridurre della metà i più poveri, che in quel periodo saranno tra i 2 e i 3 miliardi. Oramai nelle nostre élite è sparita l’idea di diritto a una vita decente per tutti: siamo in troppi  tra poco dovremmo essere 8 miliardi -, come si fa a garantirlo per tutti? E così durante il 2° forum mondiale dell’acqua, nel marzo del 2000, 118 governi hanno firmato la dichiarazione ministeriale dell’Aia - tra di loro c’erano anche quelli della cosiddetta “nuova sinistra”, compreso quello italiano -, nella quale l’accesso all’acqua non veniva considerato più un diritto umano ma un bisogno. Nel 1998, a Roma, durante il vertice mondiale dell’alimentazione, gli stessi governi hanno firmato le indicazioni ministeriali finali, nelle quali si dice che l’accesso al cibo non è un diritto, ma un bisogno. E nel 1996, a Istanbul, gli stessi governi che hanno firmato a Roma - e all’Aja -, hanno rifiutato di riconoscere che l’accesso all’alloggio è un diritto, ma solo un bisogno. Il diritto alla vita per i nostri dirigenti mondiali non esiste più. Stanno smantellando tutto, per affermare poi - come hanno fatto al vertice del Millennio delle Nazioni Unite, e anche al Copenhagen +5 a Ginevra, nel giugno del 2000 - l’inevitabilità della povertà come fatto strutturale dell’economia.



I grandi e il debito
Primi tentativi e iniziativa HIPC Allo scoppiare della crisi del debito  agosto 1982 -, i governi del Nord e le istituzioni finanziarie reagirono come si trattasse solo di una momentanea crisi di liquidità, preoccupandosi di tutelare solo le banche che avevano concesso avventatamente i prestiti. Malafede o solo incapacità? Qualunque sia la risposta, solo a partire dall’ottobre 1988, il G7 compie il primo tentativo di intervento nella giusta direzione, perché riduce il carico del debito in maniera non temporanea, e viene seguito poi da misure più sostanziose al vertice di Londra nel 1991, e di Napoli nel 1994. Peccato che questi interventi arrivino troppo tardi, e scalfiscano appena la montagna dei debiti accumulati. Nell’autunno 1996, dopo il vertice del G7 di Lione, FMI e Banca mondiale annunciano un’iniziativa per i paesi poveri altamente indebitati (HIPC, in tutto sono 41). L’obiettivo era la cancellazione di almeno l’80% dell’intero debito di questi stati. A pochi giorni dall’inizio degli Spring Meeting (26-30 aprile 2001) però, Banca Mondiale e Fondo Mondiale hanno reso pubblico un documento interno,  che mette in dubbio l’efficacia dell’iniziativa HIPC. Un’opinione condivisa anche dall’OCSE, che nel suo rapporto 2000 sul debito estero, afferma che “l’integrale applicazione dell’iniziativa non si tradurrà in una diminuzione del valore nominale del debito”. Difficile dargli torto, visto che secondo la stessa Banca mondiale, il debito dei paesi poveri altamente indebitati è passato da 141 a 214 miliardi di $ tra il 1989 e il 2001.

Le promesse di Pinocchio a Colonia Dal summit di Colonia del 1999 era uscita la promessa di cancellare i debiti dei 41 paesi più poveri ed altamente indebitati per 100 miliardi di dollari. Al momento solo 12 miliardi sono stati cancellati. 22 Paesi al momento stanno beneficiando dell'iniziativa HIPC: secondo la Banca mondiale, il servizio totale del debito passerà da 2,5 a 2,1 miliardi di dollari tra il 1999 e il 2005, e quasi un terzo dei paesi dovranno rimborsare nel 2005 più di quanto facevano nel 1999. I 22 paesi continuano a pagare 2 miliardi di dollari all'anno, così che gran parte dei governi interessati continuano a spendere più per ripagare il debito che per la sanità.



Il debito estero cancellato dall’Italia
Nel gennaio del 2001, la newsletter del Ministero del Tesoro ha pubblicato un articolo, firmato dal  direttore generale per i Rapporti finanziari internazionali, Lorenzo Bini Smaghi, su "I debiti cancellati dall'Italia", che fornisce importanti informazioni sull'attuale posizione dell'Italia e sugli impegni concretamente assunti in merito alla questione del debito estero dei paesi poveri. Secondo quanto dichiarato da Smaghi, "Nello spirito della legge, l'Italia ha già sottoscritto impegni di cancellazione di suoi crediti nei confronti di 22 paesi tra i più poveri e altamente indebitati (fra questi Uganda, Mozambico e Nicaragua) per un ammontare complessivo di 1,88 miliardi di dollari, pari a circa 4 mila miliardi di lire”. Complessivamente l’impegno preso dall’Italia con la legge approvata l’anno scorso è di cancellare crediti per 12.000 miliardi di lire. L’Italia è l’unico Paese ad essere andato al di là di impegni di facciata.

I grandi, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale
Il potere di voto di ogni stato è proporzionale al contributo che versa. BM e FMI sono perciò controllate esclusivamente dai Paesi ricchi del Nord: USA, Canada, Giappone, Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Russia e Arabia Saudita insieme detengono il 51% dei voti. Gli USA da soli hanno il 18,25% dei voti, seguiti a grande distanza dalla Germania e dal Giappone con il 5,67%. Il numero di voti si traduce in un potere di influenza sull’attività dell’istituto, perché, come ammise uno dei ministri del tesoro USA, Donald Regan, il “FMI è un’istituzione fondamentalmente apolitica… Questo non vuol dire che gli interessi politici e di sicurezza degli Stati Uniti non siano serviti dal FMI”.

Le due istituzioni e il debito Dopo lo scoppio della crisi del debito, furono concesse dilazioni di pagamento e riduzioni dei tassi d’interesse sui vecchi prestiti - oltre a nuove aperture di credito -, solo alle nazioni che ottennero finanziamenti dal Fondo e dalla Banca mondiale. Ma per ottenere un prestito dalle due istituzioni, il Paese richiedente doveva  e deve ancora oggi - accettare le condizioni dettate dal Fondo, cioè le “politiche di aggiustamento strutturale” (o PAS). Gli Stati poveri avevano  e hanno - bisogno di questa valuta straniera per andare avanti, e quindi hanno applicato tali misure. L’imperativo per loro diventa produrre sempre più e consumare sempre meno, in modo da disporre di un grande avanzo per ripagare il debito. Il solo comandamento è di “tirare la cinghia”, e per popoli già immersi nella miseria ciò significa scendere al di sotto del livello di sopravvivenza. Il taglio della spesa pubblica fa ricomparire malattie come malaria, tifo e colera, perché non c’è più una sanità pubblica, aumenta l’analfabetismo perché sono stati sospesi i servizi scolastici, cresce la fame perché sono stati sospesi gli interventi governativi per mantenere basso il prezzo dei generi alimentari, aumenta la repressione per soffocare la ribellione della gente. Secondo un rapporto del 1996, prodotto dalla stessa Banca mondiale per analizzare l’impatto sociale delle PAS, in 8 dei 23 paesi esaminati si è avuto un aumento della povertà, mentre in 11 dei rimanenti 15 paesi la povertà è diminuita meno del 2%. Le spese sociali pro capite, inoltre, sarebbero diminuite nel 60% dei paesi esaminati. I tagli alle spese sociali hanno portato ad un incremento della mortalità infantile e alla diminuzione del livello scolare, con un’inversione di tendenza rispetto ai successi degli anni Sessanta e Settanta. L'UNICEF ha calcolato che le PAS provocano ogni anno la morte di 500.000 bambini. Le privatizzazioni e la stretta monetaria hanno fatto crescere la disoccupazione. La svalutazione della moneta ha portato ad una riduzione del potere di acquisto dei salari nell'ordine del 50-60% nel giro di 15 anni. In Guatemala, solo tra il 1986 ed il 1990, su impulso delle PAS, i salari sono scesi del 30%, in Salvador il salario di un operaio copre appena il 15% delle spese familiari.



Alcuni esempi

1) Negli anni Ottanta lo Zimbabwe aveva ottenuto buoni risultati economici, accompagnati da una riduzione della mortalità infantile del 50% e da un aumento della speranza di vita da 56 a 64 anni.  Nel 1991 lo Zimbabwe ha ottenuto un finanziamento di 484 milioni di dollari dal FMI in cambio dell’eliminazione delle protezioni nel settore manifatturiero e della deregolamentazione del mercato del lavoro.  Nei cinque anni successivi gli addetti nel settore manifatturiero sono scesi del 9%, i salari reali hanno subito una contrazione del 26%, il PIL è sceso del 5,8%, gli investimenti privati del 9%, la spesa sanitaria è diminuita del 32% in un paese affetto dalla crescita esponenziale del virus dell’AIDS.

2) In seguito all’intervento di BM e FMI in Costa d’Avorio, il PIL è sceso del 15% e la percentuale di popolazione che vive con meno di 1 dollaro al giorno è passata dal 17,8% al 36,8%. La riduzione della spesa scolastica è stata del 35%.

3) La Banca Mondiale e il Fmi hanno il controllo sull'economia della Tanzania dal 1985. A quanto pare, quando hanno preso in mano la situazione il Paese socialista versava nella miseria, nella malattia e nei debiti. Gli esperti non sprecarono tempo e provvidero immediatamente ad abolire le barriere doganali, a ridurre i sussidi del governo e a svendere le industrie di stato. In soli quindici anni il PIL della Tanzania è crollato da 309 a 210 $ a testa, il tasso di alfabetizzazione sta calando e la percentuale di popolazione che versa ormai in condizioni di povertà assoluta ha raggiunto il 51%. Oggi, in Tanzania, l’8% della popolazione -  1.400.000 persone - sono colpite dall’AIDS. Il Fondo e la Banca hanno chiesto al Paese africano di far pagare le visite ospedaliere, che prima erano gratuite. Da allora il numero dei pazienti curati nei tre maggiori ospedali di Dar Es Salaam è diminuito del 53%. Il FMI e la Banca mondiale hanno anche imposto il pagamento delle tasse scolastiche: ora la la frequenza scolastica è passata dall'80 al 66%.



Cattivi progetti Secondo un documento interno della BM, datato giugno 1996, la valutazione di impatto ambientale non svolge un ruolo determinante nell’attuazione dei progetti poiché spesso viene svolta troppo tardi. Anche il monitoraggio degli effetti sociali viene trascurato in circa il 50% dei progetti della Banca, e i Piani di Aggiustamento Strutturale, che rappresentano almeno la metà di programmi della Banca, raramente sono sottoposti a tali valutazioni. La Banca mondiale ha finanziato progetti disastrosi sotto l’aspetto ambientale e sociale: negli anni Ottanta, ha concesso 4 miliardi di $ all’India per la costruzione di 8 centrali elettriche a carbone. 140.000 poveri vengono espulsi dalle loro terre senza essere risarciti per far posto alle centrali. Questo é il primo di una serie di prestiti che finanzieranno progetti nel settore energetico che  aumenterebbero di oltre il 3% i gas a effetto serra.  Nel 1996, in Camerun, la Banca mondiale approva un prestito di 60 milioni di $ al Camerun per aprire strade nella foresta tropicale.  Lo staff della Banca che si occupa del finanziamento non ha svolto un'analisi dell'impatto ambientale e sociale come previsto nelle procedure. Progetti simili sono previsti in Repubblica Centrafricana, Congo e Gabon. Rapporti interni alla Banca rivelano che oltre 2 milioni di persone sono state espulse dalle loro terre in seguito a progetti da  lei finanziati.

E' ora di cambiare  Le critiche non si fermano solo agli aspetti sociali e ambientali. Secondo alcuni rapporti della Banca mondiale, il 37% dei  progetti finanziati sono da considerarsi insoddisfacenti, e tutti, nel lungo periodo, hanno dimostrato di avere risultati molto limitati. Le politiche di aggiustamento strutturale non hanno posto un fine al problema del debito, e in molti Paesi non hanno nemmeno avuto un benefico influsso sull’economia. Secondo il World Economic Outlook del FMI "mentre negli ultimi decenni alcuni Paesi in via di sviluppo hanno fatto grandi progressi nell'elevare i livelli di vita, troppi altri Paesi, e circa 1/5 della popolazione del pianeta, hanno avuto una regressione in termini relativi ed in alcuni casi anche assoluti". All’interno della Banca mondiale e del FMI siano ben consci di ciò (nel 2000 l'autore principale del Rapporto sullo Sviluppo Mondiale, Ravi Kanbur, si è dimesso in segno di protesta dopo i tentativi da parte del management della BM di alterare parte dei risultati delle sue ricerche sulle cause della povertà.


I grandi e l’Organizzazione mondiale del commercio

Nel settembre del 1986, su invito dell’ amministrazione Reagan, 92 paesi  rappresentanti il 90% del commercio planetario  si ritrovano a Punta dell’Este in Uruguay, per l’inizio di un nuovo ciclo di negoziati sul commercio. Le negoziazioni sono più lunghe e difficili del previsto. I negoziati si interrompono più volte, ma il 15 dicembre 1993, i negoziatori europei ed americani firmano l’”atto finale” dell’Uruguay Round a Ginevra. Quattro mesi dopo  a Marrakech  arrivano le firme degli altri paesi membri del GATT. Con questa firma nasceva il WTO. Come ha affermato David Hartridge, ex-direttore della direzione servizi del WTO, senza l’enorme pressione delle compagnie transnazionali, e in particolare delle multinazionali finanziarie americane, non ci sarebbe stato nessun accordo e forse nessun Uruguay Round. L’influenza del settore industriale era evidente anche nella composizione della delegazione americana: la grande maggioranza dei suoi membri veniva dal mondo delle grandi imprese. All’apporto, per me determinante, delle transnazionali, bisogna poi aggiungere il peso  delle discussioni avvenute in quattro vertici del G7: da quello di Houston del 1990 a quello di Tokio del 1993. In tutti e quattro i vertici, i leader  discussero intensamente su come assicurare un completamento positivo dell'Uruguay Round, e si sono impegnarono a raggiungere tale obiettivo.

Breve (visto lo spazio) riassunto dei danni provocati dal WTO Le decisioni all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio si prendono per consenso, cioè quando tutti i paesi membri trovano un accordo su un testo. Ma come si arriva a questo punto? I paesi del quad, o quadrilaterale  Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Canada -, raggiungono un accordo su un testo e poi lo impongono agli altri paesi membri del WTO. Dov’è nato il quad? Nel vertice dei G7 del 1982, a Versailles. L’obiettivo dichiarato del WTO è “abbattere gli ostacoli al libero commercio”. Ma se il commercio è “un’attività economica fondata sullo scambio di merce con altra di valore equivalente, o con denaro” (definizione dello Zingarelli), perché il WTO si deve occupare anche di temi come la salute, l’educazione, l’ambiente, la stampa e gli audiovisivi? Durante i suoi primi sei anni di vita, l’Organizzazione mondiale del commercio ha imposto a diversi paesi membri, e a milioni di persone, la modifica di decine di leggi o regolamenti nazionali. Con la scusa di disciplinare gli scambi commerciali, l’OMC si è immischiata in quasi tutti i campi della vita dei paesi membri: dal tasso di DDT accettabile nelle verdure, alla presenza di organismi geneticamente modificati nei nostri piatti, fino al futuro dei nostri servizi pubblici. Ed ha quasi sempre considerato le esigenze di salute, ambiente e dei piccoli produttori, come ostacoli da rimuovere per arrivare al “libero commercio”. A vantaggio di chi va tutto questo? Dei molti paesi del Sud del mondo, per i quali la liberalizzazione dei mercati, provocata in buona parte dal WTO, si è tradotta “in un incremento nelle disuguaglianze, nel declino dell’occupazione e in una caduta in termini assoluti dei salari, dell’ordine del 20-30% nei soli paesi latinoamericani”, come scrive l’UNCTAD? Oppure delle multinazionali, i cui profitti sono cresciuti, nel 1999, del 10,3%, a doppia cifra per il quinto anno di fila?

La preparazione del vertice
La convocazione del vertice viene decisa in quello precedente che, su proposta del paese ospitante, stabilisce, generalmente, anche il luogo e la data di svolgimento della riunione. Il vertice non è un'organizzazione internazionale in senso tecnico: non si basa su un trattato internazionale, né vi è una struttura dotata di una certa autonomia rispetto ai singoli partecipanti. Fino ad oggi non è stato creato alcun Segretariato. La preparazione dei vertici inizia nell’anno che precede il summit: contatti personali, contatti giornalieri via telefono e via fax, e quattro o cinque riunioni per ogni vertice. Ad essi partecipano un gruppo di diplomatici per ogni Paese membro del G8. A capo della struttura c’è uno “sherpa”, scelto dal primo ministro, a cui si affiancano uno o due “vice-sherpa”, e i funzionari di alto livello dei ministeri del Tesoro e degli affari esteri. Lo sherpa italiano si chiama Francesco Olivieri, ed è stato designato all’inizio del 1999 da Massimo D’Alema. Subito dopo le elezioni del 13 maggio è stato affiancato, con un decreto del presidente della Repubblica, da Giovanni Castellaneta (ovviamente uomo di fiducia di Berlusconi).  Sotto di loro ci sono i due vice-sherpa, uno per il ministro degli affari esteri e l’altro per quello del Tesoro. Si tratta di Valerio Astraldi e Lorenzo Bini Smaghi. Ogni governo del G8 poi, invia anche una delegazione nel Paese ospitante, qualche mese prima del summit, per discutere di tutti i dettagli, come ad esempio gli aspetti logistici.

L’organizzazione logistica del vertice è stata affidata ad una speciale struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il responsabile di questa struttura è il ministro plenipotenziario agli Affari esteri Achille Vinci Giacchi, in carica dallo scorso ottobre, La sua collaboratrice più stretta è Emanuela D’Alessandro. Sotto di lui uno staff dirigenziale di una decina di responsabili. 

Di cosa discutono gli “sherpa” e gli alti funzionari? Oltre agli aspetti organizzativi,  devono stabilire l’agenda del vertice - Il Paese che organizza il vertice ha una maggiore influenza nella scelta dei temi da dibattere  e redigere le bozze della dichiarazione finale. Insomma, a parte alcune indicazioni generali dei capi di Stato e di governo, alcuni burocrati, di cui non conosciamo nemmeno il nome, decidono il contenuto del vertice dei “grandi” della Terra. In questa fase preparatoria possono svolgere un ruolo importante anche i gruppi di lavoro, creati  dal G7-G8 su temi finanziari, tecnologici e sociali:  ad essi viene affidato il compito di presentare specifici rapporti al G-7 o ai suoi rappresentanti personali. Un altro modo per influenzare il G8, restando nascosti dietro rapporti tecnici incomprensibili per i non addetti ai lavori.

 

E finalmente il vertice
La presidenza del vertice è assicurata dal leader del Paese ospitante, che ha il potere di fissare l'agenda dei lavori, dirigere e moderare la discussione, dare l'impulso necessario all'ordinato e proficuo svolgimento della fase preparatoria, ed emanare (se è il caso) un comunicato finale. Normalmente però le parti preferiscono adottare  una Dichiarazione congiunta. Le decisioni del vertice sono adottate con il metodo del consenso, cioè quando tutti i componenti del vertice sono d’accordo su un testo. Ciò conferisce un significativo potere di veto a ciascuno dei partecipanti. Il tempo disponibile è scarso - meno di dieci ore di discussioni utili. Affermare che un certo argomento è stato “trattato” al vertice significa, in molti casi, che non è stato oggetto di esame da parte dei leader, ma tutt’al più dei ministri degli esteri  o delle finanze che si riuniscono in contemporanea o, ancora peggio, che è stato discusso solo dagli sherpa nella loro attività di preparazione dei documenti finali. L'atto tipico del G7-G8 consiste nella Dichiarazione finale dei partecipanti alla riunione: questa Dichiarazione può suddividersi in due o più parti dedicate, rispettivamente, alle questioni economiche ed a quelle politiche; raramente, lo abbiamo già anticipato, le conclusioni della riunione, o almeno di una parte di essa, sono presentate sotto la forma di “Conclusioni della presidenza”. Questo imponente spettacolo mediatico sforna blandi comunicati  mai ratificati dai parlamenti degli Stati membri  dove vengono presi vaghi impegni comuni per la crescita e il benessere, invece di produrre accordi concreti. I summit dei G8 terminano sempre con dichiarazioni ufficiali orientate allo sviluppo dei popoli, o con impegni  - come quello sul debito estero del Sud del mondo a Colonia - che finiscono sempre per diventare carta straccia. Il G8 evidentemente rappresenta gli Stati più ricchi - e quindi più potenti - del pianeta, le scelte prese nel vertice avranno comunque, di fatto, ripercussioni sul resto del pianeta.  Non sopravvalutate però il potere del vertice. In realtà chi comanda il mondo non è il popolo sovrano, seppure con la mediazione di uomini e donne eletti nelle sedi istituzionali, ma una ristretta aristocrazia economica che ha acquisito il controllo della finanza, del commercio  e dei mezzi di informazione.

“Gli attori economici privati si muovono in uno spazio  la terra intera  e a una velocità impensabili per gli Stati nazionali, per cui si stanno sottraendo sempre più all’azione dei governi locali. All’economia globale non corrisponde in alcun modo un livello politico globale, e questo provoca un predominio dell’economia sulla società, che fa dire a Hans Tietmayer (ex-presidente della Bundesbank): ’I mercati svolgeranno sempre di più il ruolo di gendarme. I politici devono capire che sono sotto il controllo dei mercati finanziari?, e Michel Camdessus ’Lo Stato non deve dare ordini alle banche?. La classe politica, ma non solo, ha una forte sudditanza rispetto a questi poteri privati. Si chiama sindrome di TINA ed è una malattia assai diffusa, anche se poco conosciuta, che colpisce politici, alti funzionari, opinionisti, intellettuali, docenti universitari, dirigenti di grandi e piccole imprese, e anche milioni di persone che subiscono quotidianamente le scelte di chi gestisce la politica e l’economia. TINA è l’acronimo inglese di There Is No Alternative. Non ci sono alternative  vuol dire: questo mondo va piuttosto male, siamo noi i primi a riconoscerlo, aumentano le disuguaglianze, la disoccupazione e il numero dei poveri nel Nord come nel Sud del mondo, l’ambiente va in pezzi, ma questo è l’unico mondo possibile. E i Paesi dell’Est sono lì a ricordarci che chi lascia la via antica per la nuova… (Tratto da Bosio R., Verso l’alternativa, Edizioni EMI, pp. 14-15).



La genesi del G8
L’idea di organizzare un summit tra le più importanti nazioni del mondo, nacque da un’idea di  Valéry Giscard d’Estaing (presidente francese) e di Helmut Schmidt (cancelliere dell’allora Repubblica Federale Tedesca): tra il 15 e il 17 novembre 1975, si riunirono a Rambouillet, in Francia, i capi di governo di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Italia. Bisognava affrontare in maniera congiunta la crisi petrolifera che in quegli anni stava condizionando il mondo intero, e la fine del sistema di cambi fisso - gli accordi di Bretton Woods. Doveva essere un vertice unico, ma la crisi economica era lungi dall’essere risolta, così le sei potenze  alle quali si era unito il Canada  si ritrovarono un anno dopo a San Juan di Porto Rico. Era nato il vertice G7. Dopo un ampio dibattito tra i Paesi membri della Comunità Europea, al terzo vertice  Londra   venne ammessa a partecipare anche la Commissione europea, con il pretesto che uno dei principali temi in discussione, il commercio, ricadeva sotto la competenza esclusiva della Commissione.

Questo gruppo di Paesi rimane inalterato per diversi anni, anche se vennero stabiliti contatti con i rappresentanti di altri Paesi: fin dal 1981 con l'URSS e poi la Russia si è mantenuto un dialogo "post-Summit"; nel 1985 con i leader di 15 Paesi in via di sviluppo; nel 1989, al vertice “dell’Arche” a Parigi, Mitterand invitò a cena anche i leader di alcuni grandi Paesi in via di sviluppo  ma era un atto puramente formale; nel vertice di Tokio del 1993, infine, i giapponesi volevano invitare Suharto, ma dovettero ripiegare su un incontro a tre con Clinton e Myazawa, a causa dell'opposizione degli europei.

I Sette invitarono anche Gorbaciov a Londra (1991) e Eltsin a Monaco (1992) e a Tokio (1993), per  ottenere, con questa concessione e gli aiuti concessi, un comportamento “cooperativo” di Mosca nella gestione della guerra del Golfo - e nel conflitto dell’ex-Jugoslavia -, oltre a tenere sotto controllo i grandi rischi derivanti dall'esistenza dell'arsenale nucleare ex-sovietico.  Gli inviti non rafforzarono la stabilità dell’ex potenza sovietica: entrambi hanno dovuto subire due tentativi di golpe poco dopo aver partecipato al G7 (1991 e 1993). La Russia fu coinvolta progressivamente nelle attività del vertice: inizialmente  era il 1994  la partecipazione fu limitata alle discussioni politiche, per arrivare all’intera agenda del vertice di Denver nel 1997. Solo l’anno successivo, a Birmingham, il G7 diventa ufficialmente G8 (comunque quando si parla di soldi il vertice continua a riunire solo 7 Paesi). Il vertice negli ultimi due anni approda in Germania (Colonia) nel 1999, e in Giappone (Okinawa) nel 2000. Il summit del 2001 si terrà a Genova dal 20 al 22 luglio.
Quest’anno, oltre al vertice sono previste:
- le riunioni dei ministri della finanza e dei governatori delle Banche centrali (Palermo  17 febbraio -, Washington  28 aprile -, e nuovamente il 7 luglio);
- la riunione dei ministri degli esteri (18-19 luglio, Roma);
- ad Okinawa sono state decise anche riunioni dei ministri dell'Ambiente (a Trieste il 2-3-4 marzo), e dei ministri degli interni e della giustizia (Milano, 26-27 febbraio). La presidenza del G8  spetta a turno ad ogni Paese: l’Italia è la quarta volta che presiede il summit (le altre volte sono state nel 1980, nel 1987 e nel 1994).

 

I materiali qui riportati ci sono stati gentilmente inviati da Roberto Bosio (robertobosio@libero.it) autore del libro "Verso l'alternativa" (edizioni EMI, Bologna). Lo ringraziamo di cuore.

Homepage Altrinformazione