ALTRINFORMAZIONE
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Schede di approfondimento sul G8
Come mai grandi?
I G8 non sono grandi per dimensioni - altrimenti dovrebbero includere Paesi
come Cina o Brasile -, o per popolazione dovrebbero entrare Cina, India
e Nigeria - o cultura, ma per la loro potenza economica. I primi 6, tra cui
l’Italia, hanno i prodotti interni lordi (PIL) più elevati. C’è poi il Canada,
che avrebbe un PIL decisamente più basso di due “staterelli” come Cina e Brasile
ma ha l’appoggio degli USA, per equilibrare un vertice dei grandi con troppi
paesi europei -, e quindi la Federazione Russa che si troverebbe in coda anche
alla Spagna, l’India, il Messico, l’Olanda, la Corea, l’Argentina ma bisognava
in qualche modo tenerla buona, e poi quando ci sono certe decisioni economico-finanziarie,
la Russia è ancora esclusa dal Club… Nei G8 vive il 14.3 % della popolazione
mondiale e si produce il 67.2 del PIL mondiale (se si esclude la Russia gli
altri sette rappresentano l’11.8% della popolazione mondiale e il 66.2% del
PIL mondiale). Qui si consuma la metà dei combustibili fossili ed oltre i tre
quarti dell’energia nucleare, e si produce il 52% della CO2 (responsabile
dell’effetto serra) (1).
Il reddito medio dei G8 è circa 22 volte più alto di quello dei paesi meno sviluppati
ed i G8 detengono l’86.5 % del commercio mondiale di armamenti (soprattutto
i 4 con diritto di veto al consiglio di sicurezza dell’ONU). Il mondo è sfregiato
da linee di frattura e diseguaglianze persino più radicali. In primo luogo sul
piano del reddito: quello di uno statunitense, che le statistiche ci dicono
s’aggiri sui 29.000 dollari, quest’anno, è 78 volte quello di un indiano, accreditato
di un reddito pro-capite pari a 370 dollari, 111 volte il reddito pro-capite
di un nigeriano - 260 dollari -, e sale a 290 volte quando si paragona
al reddito di un etiope o congolese - circa 100 dollari. Queste, ancora
una volta, sono statistiche, quelle che mettono tutti insieme. Non si possono
confrontare il reddito di un grande manager - di quelli che sono pagati in azioni
-, e il reddito di un qualsiasi abitante dell’ultimo 20% di popolazione, sarebbe
come rapportare l’infinito allo zero.
Il consumo d’energia
Lo stesso discorso vale per un altro indicatore di accesso alle risorse, anche
più significativo del semplice reddito, che è l’accesso all’energia. E’ stato
calcolato, che un cittadino americano medio ha a disposizione, grazie alla potenza
del suo sistema Paese, un potenziale di energia di 250.000 Kcal ogni giorno,
che gli servono per i più semplici atti della vita quotidiana: spostarsi in
auto, scaldare la casa, fare una doccia o scaldarsi un hamburger. Un francese,
ma anche un italiano, ne ha a disposizione 84.000, un giapponese, popolo più
sobrio, 63.000; ma un indiano può contare solo su 4.500 Kcal, che sono la 25a
parte di un americano; un pachistano su 1.700 che sono la 147a parte;
un etiope su 588 che è la 425a parte.
L’impronta ecologica
I G8 determinano il 41% dell’impronta ecologica degli uomini sul pianeta, con
una media pro capite di 8,1 ettari, mentre nel resto del mondo è a 2, quando
la disponibilità di terra produttiva pro capite è di 2.2 ettari. Tenendo conto
delle capacità bioproduttive degli ecosistemi e della necessità della conservazione
di almeno il 10% della superficie terrestre, l'impronta ecologica degli abitanti
della Terra non dovrebbe superare le 2 unità di superficie. Gli Stati Uniti
hanno un'impronta ecologica che supera i 12 ettari pro capite, mentre quelle
dei paesi dell'Europa occidentale vanno da 5 a quasi 10 ettari. In Italia abbiamo,
secondo i più recenti calcoli, un’impronta ecologica di 4,2 ettari pro-capite,
con una biocapacità nazionale di 1,5 ettari pro-capite e quindi un deficit ecologico
di 2,8 ettari pro capite. E’ come se i 57 milioni di italiani occupassero una
superficie complessiva di 2.414.000 di chilometri quadrati (la nostra Italia
ha una superficie di 301.000 kmq). I paesi dell'Africa subsahariana sembrano
appartenere ad un altro universo, perché presentano tutti impronte ecologiche
inferiori a 2 ettari pro capite (quella dell'Eritrea e', ad esempio, di 0,35).
Oggi i paesi poveri sono, quindi, hanno un credito d’ambiente verso i
Paesi del G8.
--- (1) Le stime dell’Intergovernamental Panel on Climatic Change (IPCC)
è la struttura delle Nazioni Unite che riunisce oltre 2.500 specialisti del
clima prevedono un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica
nell’atmosfera e un incremento della temperatura media terrestre tra 1 e 3,5°
C entro il 2100. Si tratterebbe della più veloce variazione climatica dalla
fine dell’ultima glaciazione.
Il G8 e la salute
Già nel summit di Okinawa i G8 hanno affrontato il problema delle malattie infettive
(in particolare l’AIDS) e parassitarie, prendendo il solenne impegno
di far diminuire del 25% il numero delle persone infette dal virus Hiv, di ridurre
l’incidenza della tubercolosi del 50 per cento, di dimezzare la diffusione della
malaria. Il tutto entro il 2010. Quindici milioni di persone muoiono ogni anno
a causa di malattie infettive. Si trovano soprattutto tra le popolazioni più
povere, che hanno grossi problemi di accesso ai farmaci per il loro elevato
costo. I G8 si sono impegnati a facilitare questo accesso, ma a tutt’oggi i
risultati sono deludenti. Basta pensare a quello che è successo con la causa
intentata da 39 multinazionali farmaceutiche contro il governo sudafricano,
"colpevole" di aver varato norme che consentono la produzione, in
forma economica, di medicinali anti-AIDS; o al governo USA che aveva citato
per la stessa ragione il suo omologo brasiliano davanti ai tribunali del WTO
- fortunatamente queste iniziative sono naufragate per la pressione della società
civile. Nel dicembre del 2000, viene nominato come coordinatore degli esperti
sanitari per il vertice Eduardo Missoni, che si mette subito al lavoro. La prima
bozza che presenta puntava a coinvolgere gruppi, movimenti, associazioni di
volontariato, con l’obiettivo di ottenere il consenso di tutte le componenti
della società civile, e non soltanto quello delle imprese. Insisteva inoltre
sulla necessità di rendere più disponibili ed economicamente più accessibili
i farmaci principali. Consegna il documento, con il tempo non se ne sente più
parlare. In marzo, a pochi giorni dal vertice di Palermo, spunta un altro documento
“Beyond debf relief”, messo a punto ad un economista della Banca d’Italia, incaricato
dal ministero del Tesoro. La salute viene messa così nelle mani degli economisti,
e si vede. La salute diventa un presupposto della crescita economica (se stai
bene puoi produrre ricchezza, se no sei un ingranaggio rotto, dunque inutile),
e “dimentica” di considerare che la salute è anche frutto di ciò che mangi o
non mangi, dell’ambiente più o meno inquinato in cui vivi, delle condizioni
in cui lavori, dell’istruzione, dell’accesso ai servizi sanitari che hai o non
hai. Il punto più critico è la creazione di un “Trust Fund for Health Care”,
un fondo che sarebbe alimentato da versamenti di 500 milioni di dollari dei
Paesi del G8 (Russia esclusa), e di 500.000 dollari delle multinazionali farmaceutiche
e non. Stando alle indicazioni avanzate da Palazzo Chigi, il Trust Fund for
Health Care dovrebbe essere amministrato dalla Banca Mondiale, mentre le strategie
e le decisioni sull’impiego dei soldi verrebbero adottate da un consiglio direttivo
composto dai donatori, pubblici e privati, nazionali e internazionali, aziende
incluse, dunque. Per un gigante farmaceutico come la Glaxo-SmithKline, la quota
indicata rappresenterebbe l’equivalente del profitto realizzato in circa mezz’ora.
Chiedere alle grandi multinazionali 500 mila dollari significa accontentarsi
di contributi ridicoli a fronte di un enorme pubblicità positiva e ad
altri vantaggi, perché quelle imprese potranno partecipare alla decisione
su come usare i fondi. Destinandoli magari ad acquistare i farmaci prodotti
dagli stessi "donatori". Un altro aspetto inaccettabile è affidare
la gestione del Fondo alla Banca Mondiale, cioè proprio a quell’istituzione
che con i suoi famigerati aggiustamenti strutturali ha obbligato numerose nazioni
africane, asiatiche e latinoamericane a smantellare i rispettivi sistemi sociosanitari,
escludendo così dalle cure milioni di persone. Un’ultima beffa: i 1000 miliardi
che il governo italiano intende raccogliere con questa iniziativa, corrispondono
a quello che il gruppo di 22 paesi che oggi sta beneficiando di alcune iniziative
di riduzione del debito restituiscono ai paesi creditori in meno di tre mesi.
Piuttosto che diventare il paravento di questa operazione, Eduardo Missoni (*)
si è dimesso.
(*) Eduardo Missoni compirà 47 anni il 31 luglio. Ha sposato la cilena Maria
Ines Bussi, nipote di Salvador Allende. Alle spalle ha una formazione cristiana
maturata nell’Agesci (scout). È un medico esperto in malattie tropicali: tra
il 1980 e il 1983 ha operato come volontario in Nicaragua. Dopo una parentesi
all’Onu (funzionario dell’Unicef, in Messico, tra l’84 e l’87), da 14 anni lavora
con il ministero degli Esteri italiano (Direzione generale per la Cooperazione
allo sviluppo). Oggi è il responsabile delle iniziative di carattere sanitario
che l’Italia promuove in America latina e in varie zone dell’Africa.
Il G8 e l’istruzione
Il documento “Beyond debt relief” conteneva anche proposte sul tema dell’istruzione.
Nel testo sono richiamati gli obiettivi dell’istruzione per tutti entro il 2015
e l’abbattimento del divario tra istruzione maschile e femminile entro il 2005.
Sono gli obiettivi che si era data la conferenza mondiale sull’istruzione, svoltasi
nel 1990 a Jomtien, in Thailandia. Anche l’istruzione viene considerata una
variabile economica, infatti nel testo si legge “L’investimento nell’istruzione
migliora la competitività e la crescita arricchendo la qualità del mercato del
lavoro. Accresce l’abilità della forza lavoro di adattarsi ai bisogni del mercato.
Accresce l’abilità della forza lavoro di adattarsi ai bisogni del mercato. Accresce
il tasso di attività e il potenziale outpout dell’economia. Conduce a maggior
produttività e a maggiori salari. Una forza lavoro ben addestrata, consente
anche il trasferimento di tecnologia che è uno dei motori chiavi dello sviluppo”.
Siamo quasi agli antipodi dello spirito di Jomtien, e più ancora di quello della
conferenza di Dakar, svoltasi nell’aprile del 2000. Nel documento finale si
affermava che “L’istruzione è un fondamentale diritto umano. E’ la chiave per
uno sviluppo sostenibile, per la pace e la stabilità, tra i paesi e al loro
interno, e come tale un indispensabile mezzo di partecipazione nelle società
e nelle economie del XXI secolo, colpite da una rapida globalizzazione”. Sostenibilità
dello sviluppo, pace e crescita democratica sono semplicemente spariti. Nelle
proposte di azione elaborate dalla conferenza di Dakar, i 180 paesi partecipanti
si erano impegnati, tra le altre cose, a coinvolgere la società civile e le
organizzazioni non governative, a ridurre il debito estero dei paesi poveri
per liberare risorse da destinare all’istruzione, a creare un meccanismo di
monitoraggio in grado di verificare l’impegno e la gestione dei fondi, a combattere
il lavoro minorile e a incoraggiare specialmente l’istruzione femminile. Alcune
di queste indicazioni restano anche nel documento pre-G8, ma lo spirito è stato
stravolto. Quello che a Dakar era un diritto umano è diventato un investimento
in “capitale umano”. La filosofia delle proposte che il governo farà agli altri
grandi è evidente dalla struttura, in tre parti, del documento. La sezione A,
la più lunga, è dedicata ai vantaggi che i paesi poveri avrebbero dalla riduzione
delle tariffe e dal libero scambio. La sezione B analizza il ruolo degli investimenti
privati. La sezione C, infine, tratta due campi specifici, la salute e l’istruzione
“In cui il ruolo della Banca mondiale e delle Istituzioni multilaterali di sviluppo
deve essere rafforzato. In questi due settori promuoviamo la creazione di fondi
dedicati, costituiti da donazioni dei paesi industriali, da integrare
con gli attesi contributi dal settore privato. Questo costituirà una risorsa
base per i paesi più poveri e promuoverà partnership tra il settore pubblico
e quello privato, con l’obiettivo di espandere l’accesso ai servizi di base
nella salute e nell’istruzione, arricchendo il capitale umano nei paesi più
poveri”.
Il G8 ed il debito estero dei paesi poveri
Le pressioni esercitate dalle campagne nazionali Jubilee 2000 avevano portato
a schierarsi tutti i grandi del mondo a favore della cancellazione del debito.
Ma agli annunci non sono seguiti i fatti. Alle manifestazioni di Genova sarà
presente anche “Drop the debt” la campagna che ha preso il posto di Jubilee
2000 per ottenere almeno la cancellazione di tutti i debiti dei 41 Paesi poveri
ed altamente indebitati. Secondo il presidente Ciampi, l’Italia si impegnerà
ad ottenere maggiori impegni dai Paesi del G8 (?).
Il G8 e l’ambiente
Il mondo è al limite del collasso ambientale. L’hanno recentemente confermato
sia il World Watch Institute, sia l’istituto dell’ONU per l’ambiente, sia l’UNEP,
l’agenzia internazionale delle Nazioni Unite, sia più di recente l’Accademia
nazionale statunitense delle scienze. Gli accordi di Kyoto del 1997 rappresentano,
a livello internazionale, il tentativo più avanzato di affrontare una tematica
ambientale di interesse planetario in un’ottica di sostenibilità, anche se le
riduzioni di inquinamento in esso richieste (5-6 %) sono decisamente inferiori
a quelle richieste dagli scienziati (60-80%). Purtroppo la Conferenza dell’Aia
del 2000, che avrebbe dovuto definire le procedure di attuazione del Protocollo
di Kyoto, ha messo chiaramente in evidenza che non tutti i paesi industrializzati
sono pronti ad impegnarsi per una riduzione del proprio impatto sul sistema
climatico. Nonostante la gravissima situazione ambientale sia sotto gli occhi
di tutti, i G8 sembra non abbiano nessuna intenzione di dare risposte serie
a questo problema.
Il G8 e la finanza
Anche nel summit di Genova i G8 parleranno della cosiddetta “architettura finanziaria
globale” e quindi del bisogno di ridefinire il ruolo, il mandato e gli strumenti
delle Istituzioni Finanziarie Internazionali quali la Banca Mondiale ed il Fondo
Monetario Internazionale. Tale esigenza è sempre più sentita di fronte alle
frequenti crisi finanziarie, al tracollo delle economie del sud est Asiatico,
della Russia e del Brasile, alla crescente diffusione della povertà ed alla
emarginazione dei paesi più poveri. Da più parti della società civile si chiedono
regole di equità, trasparenza ed accesso alle informazioni per il FMI, politiche
economiche socialmente giuste ed ecologicamente sostenibili (l’applicazione
delle prescrizioni del FMI e della BM hanno avuto effetti devastanti sullo sviluppo
sociale e sull’ambiente), trasparenza e controllo dei movimenti di capitale.
Altro tema del vertice sarà la gestione dei movimenti globali di capitale, per
i quali si chiede di aumentare il grado di liberalizzazione: nessuno spazio
quindi a provvedimenti quali la Tobin tax proposta da centinaia di associazione
e cittadini in tutto il mondo.
Il G8 e le tecnologie informatiche
Ad Okinawa i G8 hanno enfatizzato l’importanza dell’Information Technology (IT)
e come l’accesso ad essa deve essere consentito a tutti. Secondo i dati
Gartner group il 50% delle abitazioni americane è collegato al web. Cioè metà
dei cittadini americani ne è tuttora escluso. Da noi la percentuale aumenta:
solo 15 milioni di italiani accedono alla rete, e l'esclusione è legata a fattori
generazionali, sociali, economici, culturali, ma anche alla diffusione delle
infrastrutture indispensabili. Le politiche pubbliche nei paesi sviluppati possono
riempire la frattura con programmi a vasto raggio come il progetto E-europe.
Ma il divario digitale esaspera il rapporto iniquo tra nord e sud del mondo.
Il 90% degli accessi a internet proviene dai paesi ricchi. Ma da soli,
Stati Uniti e Canada raggruppano il 57% del totale, e appena l'1% viene da Africa
e Medio oriente. In termini reali, in Africa solo 2 milioni e mezzo di
persone navigano in rete, contro 136 milioni di americani, 83 milioni di europei
e 679 mln in Asia, soprattutto in India, in Cina e nel sudest. Il gap è alla
fonte: dei 94 milioni di provider nel mondo oltre il 95% ha sede nei paesi sviluppati,
il resto si concentra tra Cina, Hong Kong, Israele, Singapore. Se pensiamo che
appena la metà della popolazione mondiale dispone di luce elettrica e telefono,
il quadro si completa. Ma chi installerà e gestirà le reti in paesi spesso del
tutto privi di aziende e risorse umane? Secondo il Rapporto 2001 dell'Organizzazione
internazionale del lavoro, anche la produzione di nuove tecnologie si concentra
nel mondo ricco, dove vive il 16% dei 6 miliardi di abitanti della terra. E`
il nuovo orizzonte del divario: la colonizzazione tecnologica.
Il G8 ed il commercio mondiale
Al vertice di Birmingham nel 1998, e a quello di Colonia nel 1999, era chiaro
che il lancio di un nuovo round di negoziati sul commercio richiedeva un accordo
tra Europa, Nord America e Giappone. Ma in entrambi i summit non si raggiunse
un accordo sui temi commerciali, così gli USA e l’Unione Europea giunsero alla
conferenza di Seattle con agende diverse e in conflitto. Comunque entrambe furono
rigettate dai paesi del Sud del mondo. Non fu possibile lanciare alcun nuovo
negoziato sul commercio. L’anno scorso al vertice di Okinawa ci furono
grandi dichiarazioni sul coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo nel WTO,
e sulla necessità di una sua maggiore trasparenza. Nulla è stato fatto. Quest’anno
a Genova la delegazione italiana vuol dare un’alta priorità al commercio, per
arrivare ad un accordo tra i G8 prima della conferenza ministeriale del WTO,
a Doha, in Qatar, alla fine del 2001. Il rischio maggiore è una nuova spinta
ai negoziati, che potrebbero portare ad accordi ancora più favorevoli per le
imprese, e alla privatizzazione di scuola, sanità, e di tutti gli altri servizi
di base (come l’acqua), con prestazioni di alto livello solo per chi può pagare,
mentre gli altri si dovranno accontentare, quando non verrano semplicemente
esclusi.
I G8, ovvero un governo informale del pianeta
I G7 erano nati come vertici economici. In seguito il loro campo d’azione
si è esteso in modo considerevole, includendo questioni come i rapporti con
i Paesi in via di sviluppo, l’occupazione, l’ambiente, la criminalità
organizzata, la droga, il terrorismo, l’energia, le reti d’informazione. Dal
vertice di Birmingham nel 1998 poi, i “leader” del “summit” si sono concentrati
sulla globalizzazione, perché innervosisce e preoccupa il loro elettorato, visto
che sfugge al loro controllo. Da Okinawa i problemi sono tutti sul tavolo: il
ruolo del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale; la ricaduta
della crisi di paesi meno ricchi, come il Messico, sulle economie maggiori;
i rapporti con i paesi in via di sviluppo. Insomma, non è un mistero che il
club dei G8 non discute di questioni interne, come tasse, scambi commerciali,
accordi vari, ma si vuole occupare e si occupa di questioni mondiali. Senza
nessuna legittimità democratica, perché i “grandi” non hanno ricevuto un mandato
dell’ONU, non sono stati chiamati in causa dai governi del sud del mondo, né
hanno chiesto l’avviso agli elettori dei loro paesi. Questa mancanza di
legittimità è stata rilevata anche da personaggi come Gorbaciov, il quale afferma
che “La globalizzazione non rientra tra gli incarichi del G8, all'interno del
quale sono tutelati solo gli interessi dei più forti. Proprio a causa della
sua composizione il G8 non può assumersi la responsabilità di gestire il processo
di globalizzazione”. Questo governo mondiale informale scavalca le istituzioni
internazionali che, almeno in linea ipotetica, sarebbero competenti ad affrontare
con cognizione di causa e con qualche pretesa di legittimità, i grandi problemi
del mondo: le Nazioni Unite, innanzitutto, le agenzie ad esse collegate (tipo
Unesco per i temi culturali, Organizzazione Mondiale per la Sanità, la Fao per
i problemi agricoli, l'Acnur per i profughi ed i rifugiati, ecc.), e le convenzioni
ad esse risalenti e da esse promosse (la Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani, il Trattato contro le mine anti-uomo e contro la tortura, la convenzione
di Rio e il protocollo di Kyoto per i problemi ambientali, la Convenzione per
i diritti dell'infanzia e per la non-discriminazione delle donne, ecc.).
Villaggio globale
Supponiamo per un attimo che il G8 sia legittimamente il luogo deputato al governo
del mondo. Quali sono stati i risultati dell’azione dei “Grandi” della Terra
negli ultimi dieci anni? Come scrive Kofi Annan, proviamo ad immaginare che
il mondo sia un villaggio, composto da 1.000 abitanti fatto ad immagine della
razza umana. Come sarà composto? Circa 150 abitanti vivono nei quartieri ricchi
del villeggio, mentre 780 abitano nei sobborghi poveri, quelli che restano (70)
vivono in un quartiere che è in transizione. 200 persone detengono l’86% di
tutta la ricchezza, mentre gli altri 800 devono spartirsi il 14% residuo - e
i 200 più poveri addirittura si devono accontentare dell’1%. L’aspettativa di
vita nel quartiere ricco è di circa 78 anni, mentre nelle aree più povere scende
a 64 e nelle zone poverissime è di soli 52 anni. E questo enorme divario è cresciuto
negli ultimi anni. Come ricorda il rapporto sullo sviluppo umano del 1999 dell’UNDP
- United Nations Development Programme - dedicato alla globalizzazione, il divario
di reddito tra il 20% più ricco degli individui che vive nei Paesi occidentali,
ed il 20% più povero che vive nel Terzo Mondo era di 30 a 1 nel 1960, di 60
a 1 nel 1990, e di 74 a 1 nel 1997. I 200 individui più ricchi del mondo hanno
più che raddoppiato il proprio patrimonio netto tra il 1994 e il 1997,
fino ad arrivare a più di 1.000 miliardi di dollari. Le ricchezze dei primi
tre miliardari in classifica superano ormai la somma dei Prodotti Nazionali
Lordi di tutti i Paesi meno sviluppati, e dei loro 600 milioni di abitanti.
Se classificate le prime 100 potenze economiche del mondo, nel 1995 avevate
ancora 52 Stati e 48 imprese private. Nel 1999, le imprese erano diventate 58
e gli Stati 42. I primi venti posti sono occupati da paesi, poi è un susseguirsi
continuo di multinazionali. General Motors risulta più grande della Danimarca,
Ford della Norvegia e Mitsubishi del Portogallo. Benché occupino solo
22 milioni di persone, le prime 200 multinazionali hanno un fatturato 18 volte
più grande di quanto guadagnano tutti insieme i poveri assoluti del mondo. Qualcosa
come un miliardo e mezzo di persone. Tutto questo è avvenuto mentre aumentavano
i poveri: 800 milioni di esseri umani conoscono la fame, più di un miliardo
di persone non hanno accesso all’acqua, o a un alloggio decente. Ogni anno circa
17 milioni di persone muoiono di malattie infettive parassitarie. Eppure negli
anni Settanta l’ONU aveva fissato un obiettivo impegnativo: sradicare la povertà
tra il 1990 e il 2000. Ma già nel 1995 a Copenhagen, 150 Paesi constatarono
che l’obiettivo dello sradicamento della povertà non era realizzabile,
e che anzi era aumentata: nella risoluzione finale l’obiettivo di eliminare
la povertà nel mondo venne spostato al 2020. Cinque anni dopo, gli stessi governi
al Copenhagen+5, riconoscono ormai che lo sradicamento della povertà non è possibile,
ma che nel 2015 si deve arrivare a ridurre della metà i più poveri, che in quel
periodo saranno tra i 2 e i 3 miliardi. Oramai nelle nostre élite è sparita
l’idea di diritto a una vita decente per tutti: siamo in troppi tra poco
dovremmo essere 8 miliardi -, come si fa a garantirlo per tutti? E così durante
il 2° forum mondiale dell’acqua, nel marzo del 2000, 118 governi hanno firmato
la dichiarazione ministeriale dell’Aia - tra di loro c’erano anche quelli della
cosiddetta “nuova sinistra”, compreso quello italiano -, nella quale l’accesso
all’acqua non veniva considerato più un diritto umano ma un bisogno. Nel 1998,
a Roma, durante il vertice mondiale dell’alimentazione, gli stessi governi hanno
firmato le indicazioni ministeriali finali, nelle quali si dice che l’accesso
al cibo non è un diritto, ma un bisogno. E nel 1996, a Istanbul, gli stessi
governi che hanno firmato a Roma - e all’Aja -, hanno rifiutato di riconoscere
che l’accesso all’alloggio è un diritto, ma solo un bisogno. Il diritto alla
vita per i nostri dirigenti mondiali non esiste più. Stanno smantellando tutto,
per affermare poi - come hanno fatto al vertice del Millennio delle Nazioni
Unite, e anche al Copenhagen +5 a Ginevra, nel giugno del 2000 - l’inevitabilità
della povertà come fatto strutturale dell’economia.
I grandi e il debito
Primi tentativi e iniziativa HIPC Allo scoppiare della crisi del
debito agosto 1982 -, i governi del Nord e le istituzioni finanziarie
reagirono come si trattasse solo di una momentanea crisi di liquidità, preoccupandosi
di tutelare solo le banche che avevano concesso avventatamente i prestiti. Malafede
o solo incapacità? Qualunque sia la risposta, solo a partire dall’ottobre 1988,
il G7 compie il primo tentativo di intervento nella giusta direzione, perché
riduce il carico del debito in maniera non temporanea, e viene seguito poi da
misure più sostanziose al vertice di Londra nel 1991, e di Napoli nel 1994.
Peccato che questi interventi arrivino troppo tardi, e scalfiscano appena la
montagna dei debiti accumulati. Nell’autunno 1996, dopo il vertice del G7 di
Lione, FMI e Banca mondiale annunciano un’iniziativa per i paesi poveri altamente
indebitati (HIPC, in tutto sono 41). L’obiettivo era la cancellazione di almeno
l’80% dell’intero debito di questi stati. A pochi giorni dall’inizio degli Spring
Meeting (26-30 aprile 2001) però, Banca Mondiale e Fondo Mondiale hanno reso
pubblico un documento interno, che mette in dubbio l’efficacia dell’iniziativa
HIPC. Un’opinione condivisa anche dall’OCSE, che nel suo rapporto 2000 sul debito
estero, afferma che “l’integrale applicazione dell’iniziativa non si tradurrà
in una diminuzione del valore nominale del debito”. Difficile dargli torto,
visto che secondo la stessa Banca mondiale, il debito dei paesi poveri altamente
indebitati è passato da 141 a 214 miliardi di $ tra il 1989 e il 2001.
Le promesse di Pinocchio a Colonia Dal summit di Colonia del 1999 era
uscita la promessa di cancellare i debiti dei 41 paesi più poveri ed altamente
indebitati per 100 miliardi di dollari. Al momento solo 12 miliardi sono stati
cancellati. 22 Paesi al momento stanno beneficiando dell'iniziativa HIPC: secondo
la Banca mondiale, il servizio totale del debito passerà da 2,5 a 2,1 miliardi
di dollari tra il 1999 e il 2005, e quasi un terzo dei paesi dovranno rimborsare
nel 2005 più di quanto facevano nel 1999. I 22 paesi continuano a pagare 2 miliardi
di dollari all'anno, così che gran parte dei governi interessati continuano
a spendere più per ripagare il debito che per la sanità.
Il debito estero cancellato dall’Italia
Nel gennaio del 2001, la newsletter del Ministero del Tesoro ha pubblicato
un articolo, firmato dal direttore generale per i Rapporti finanziari
internazionali, Lorenzo Bini Smaghi, su "I debiti cancellati dall'Italia",
che fornisce importanti informazioni sull'attuale posizione dell'Italia e sugli
impegni concretamente assunti in merito alla questione del debito estero dei
paesi poveri. Secondo quanto dichiarato da Smaghi, "Nello spirito della
legge, l'Italia ha già sottoscritto impegni di cancellazione di suoi crediti
nei confronti di 22 paesi tra i più poveri e altamente indebitati (fra questi
Uganda, Mozambico e Nicaragua) per un ammontare complessivo di 1,88 miliardi
di dollari, pari a circa 4 mila miliardi di lire”. Complessivamente l’impegno
preso dall’Italia con la legge approvata l’anno scorso è di cancellare crediti
per 12.000 miliardi di lire. L’Italia è l’unico Paese ad essere andato al di
là di impegni di facciata.
I grandi, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale
Il potere di voto di ogni stato è proporzionale al contributo che versa. BM
e FMI sono perciò controllate esclusivamente dai Paesi ricchi del Nord: USA,
Canada, Giappone, Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Russia e Arabia Saudita
insieme detengono il 51% dei voti. Gli USA da soli hanno il 18,25% dei voti,
seguiti a grande distanza dalla Germania e dal Giappone con il 5,67%. Il numero
di voti si traduce in un potere di influenza sull’attività dell’istituto, perché,
come ammise uno dei ministri del tesoro USA, Donald Regan, il “FMI è un’istituzione
fondamentalmente apolitica… Questo non vuol dire che gli interessi politici
e di sicurezza degli Stati Uniti non siano serviti dal FMI”.
Le due istituzioni e il debito Dopo lo scoppio della crisi del debito,
furono concesse dilazioni di pagamento e riduzioni dei tassi d’interesse sui
vecchi prestiti - oltre a nuove aperture di credito -, solo alle nazioni che
ottennero finanziamenti dal Fondo e dalla Banca mondiale. Ma per ottenere un
prestito dalle due istituzioni, il Paese richiedente doveva e deve ancora
oggi - accettare le condizioni dettate dal Fondo, cioè le “politiche di aggiustamento
strutturale” (o PAS). Gli Stati poveri avevano e hanno - bisogno di questa
valuta straniera per andare avanti, e quindi hanno applicato tali misure. L’imperativo
per loro diventa produrre sempre più e consumare sempre meno, in modo da disporre
di un grande avanzo per ripagare il debito. Il solo comandamento è di “tirare
la cinghia”, e per popoli già immersi nella miseria ciò significa scendere al
di sotto del livello di sopravvivenza. Il taglio della spesa pubblica fa ricomparire
malattie come malaria, tifo e colera, perché non c’è più una sanità pubblica,
aumenta l’analfabetismo perché sono stati sospesi i servizi scolastici, cresce
la fame perché sono stati sospesi gli interventi governativi per mantenere basso
il prezzo dei generi alimentari, aumenta la repressione per soffocare la ribellione
della gente. Secondo un rapporto del 1996, prodotto dalla stessa Banca mondiale
per analizzare l’impatto sociale delle PAS, in 8 dei 23 paesi esaminati si è
avuto un aumento della povertà, mentre in 11 dei rimanenti 15 paesi la povertà
è diminuita meno del 2%. Le spese sociali pro capite, inoltre, sarebbero diminuite
nel 60% dei paesi esaminati. I tagli alle spese sociali hanno portato ad un
incremento della mortalità infantile e alla diminuzione del livello scolare,
con un’inversione di tendenza rispetto ai successi degli anni Sessanta e Settanta.
L'UNICEF ha calcolato che le PAS provocano ogni anno la morte di 500.000 bambini.
Le privatizzazioni e la stretta monetaria hanno fatto crescere la disoccupazione.
La svalutazione della moneta ha portato ad una riduzione del potere di acquisto
dei salari nell'ordine del 50-60% nel giro di 15 anni. In Guatemala, solo tra
il 1986 ed il 1990, su impulso delle PAS, i salari sono scesi del 30%, in Salvador
il salario di un operaio copre appena il 15% delle spese familiari.
Alcuni esempi
1) Negli anni Ottanta lo Zimbabwe aveva ottenuto buoni risultati economici, accompagnati da una riduzione della mortalità infantile del 50% e da un aumento della speranza di vita da 56 a 64 anni. Nel 1991 lo Zimbabwe ha ottenuto un finanziamento di 484 milioni di dollari dal FMI in cambio dell’eliminazione delle protezioni nel settore manifatturiero e della deregolamentazione del mercato del lavoro. Nei cinque anni successivi gli addetti nel settore manifatturiero sono scesi del 9%, i salari reali hanno subito una contrazione del 26%, il PIL è sceso del 5,8%, gli investimenti privati del 9%, la spesa sanitaria è diminuita del 32% in un paese affetto dalla crescita esponenziale del virus dell’AIDS.
2)
3) La Banca Mondiale e il Fmi hanno il controllo sull'economia della Tanzania
dal 1985. A quanto pare, quando hanno preso in mano la situazione il Paese socialista
versava nella miseria, nella malattia e nei debiti. Gli esperti non sprecarono
tempo e provvidero immediatamente ad abolire le barriere doganali, a ridurre
i sussidi del governo e a svendere le industrie di stato. In soli quindici anni
il PIL della Tanzania è crollato da 309 a 210 $ a testa, il tasso di alfabetizzazione
sta calando e la percentuale di popolazione che versa ormai in condizioni di
povertà assoluta ha raggiunto il 51%. Oggi, in Tanzania, l’8% della popolazione
- 1.400.000 persone - sono colpite dall’AIDS. Il Fondo e la Banca hanno
chiesto al Paese africano di far pagare le visite ospedaliere, che prima erano
gratuite. Da allora il numero dei pazienti curati nei tre maggiori ospedali
di Dar Es Salaam è diminuito del 53%. Il FMI e la Banca mondiale hanno anche
imposto il pagamento delle tasse scolastiche: ora la la frequenza scolastica
è passata dall'80 al 66%.
Cattivi progetti Secondo un documento interno della BM, datato giugno
1996, la valutazione di impatto ambientale non svolge un ruolo determinante
nell’attuazione dei progetti poiché spesso viene svolta troppo tardi. Anche
il monitoraggio degli effetti sociali viene trascurato in circa il 50% dei progetti
della Banca, e i Piani di Aggiustamento Strutturale, che rappresentano almeno
la metà di programmi della Banca, raramente sono sottoposti a tali valutazioni.
La Banca mondiale ha finanziato progetti disastrosi sotto l’aspetto ambientale
e sociale: negli anni Ottanta, ha concesso 4 miliardi di $ all’India per la
costruzione di 8 centrali elettriche a carbone. 140.000 poveri vengono espulsi
dalle loro terre senza essere risarciti per far posto alle centrali. Questo
é il primo di una serie di prestiti che finanzieranno progetti nel settore energetico
che aumenterebbero di oltre il 3% i gas a effetto serra. Nel 1996,
in Camerun, la Banca mondiale approva un prestito di 60 milioni di $ al Camerun
per aprire strade nella foresta tropicale. Lo staff della Banca che si
occupa del finanziamento non ha svolto un'analisi dell'impatto ambientale e
sociale come previsto nelle procedure. Progetti simili sono previsti in Repubblica
Centrafricana, Congo e Gabon. Rapporti interni alla Banca rivelano che oltre
2 milioni di persone sono state espulse dalle loro terre in seguito a progetti
da lei finanziati.
E' ora di cambiare Le critiche non si fermano solo agli aspetti
sociali e ambientali. Secondo alcuni rapporti della Banca mondiale, il 37% dei
progetti finanziati sono da considerarsi insoddisfacenti, e tutti, nel lungo
periodo, hanno dimostrato di avere risultati molto limitati. Le politiche di
aggiustamento strutturale non hanno posto un fine al problema del debito, e
in molti Paesi non hanno nemmeno avuto un benefico influsso sull’economia. Secondo
il World Economic Outlook del FMI "mentre negli ultimi decenni alcuni Paesi
in via di sviluppo hanno fatto grandi progressi nell'elevare i livelli di vita,
troppi altri Paesi, e circa 1/5 della popolazione del pianeta, hanno avuto una
regressione in termini relativi ed in alcuni casi anche assoluti". All’interno
della Banca mondiale e del FMI siano ben consci di ciò (nel 2000 l'autore principale
del Rapporto sullo Sviluppo Mondiale, Ravi Kanbur, si è dimesso in segno di
protesta dopo i tentativi da parte del management della BM di alterare parte
dei risultati delle sue ricerche sulle cause della povertà.
I grandi e l’Organizzazione mondiale del commercio
Nel settembre del 1986, su invito dell’ amministrazione Reagan, 92 paesi
rappresentanti il 90% del commercio planetario si ritrovano a Punta dell’Este
in Uruguay, per l’inizio di un nuovo ciclo di negoziati sul commercio. Le negoziazioni
sono più lunghe e difficili del previsto. I negoziati si interrompono più volte,
ma il 15 dicembre 1993, i negoziatori europei ed americani firmano l’”atto finale”
dell’Uruguay Round a Ginevra. Quattro mesi dopo a Marrakech arrivano
le firme degli altri paesi membri del GATT. Con questa firma nasceva il WTO.
Come ha affermato David Hartridge, ex-direttore della direzione servizi del
WTO, senza l’enorme pressione delle compagnie transnazionali, e in particolare
delle multinazionali finanziarie americane, non ci sarebbe stato nessun accordo
e forse nessun Uruguay Round. L’influenza del settore industriale era evidente
anche nella composizione della delegazione americana: la grande maggioranza
dei suoi membri veniva dal mondo delle grandi imprese. All’apporto, per me determinante,
delle transnazionali, bisogna poi aggiungere il peso delle discussioni
avvenute in quattro vertici del G7: da quello di Houston del 1990 a quello di
Tokio del 1993. In tutti e quattro i vertici, i leader discussero intensamente
su come assicurare un completamento positivo dell'Uruguay Round, e si sono impegnarono
a raggiungere tale obiettivo.
Breve (visto lo spazio) riassunto dei danni provocati dal WTO Le decisioni
all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio si prendono per consenso,
cioè quando tutti i paesi membri trovano un accordo su un testo. Ma come si
arriva a questo punto? I paesi del quad, o quadrilaterale Stati Uniti,
Unione Europea, Giappone e Canada -, raggiungono un accordo su un testo e poi
lo impongono agli altri paesi membri del WTO. Dov’è nato il quad? Nel vertice
dei G7 del 1982, a Versailles. L’obiettivo dichiarato del WTO è “abbattere gli
ostacoli al libero commercio”. Ma se il commercio è “un’attività economica fondata
sullo scambio di merce con altra di valore equivalente, o con denaro” (definizione
dello Zingarelli), perché il WTO si deve occupare anche di temi come la salute,
l’educazione, l’ambiente, la stampa e gli audiovisivi? Durante i suoi primi
sei anni di vita, l’Organizzazione mondiale del commercio ha imposto a diversi
paesi membri, e a milioni di persone, la modifica di decine di leggi o regolamenti
nazionali. Con la scusa di disciplinare gli scambi commerciali, l’OMC si è immischiata
in quasi tutti i campi della vita dei paesi membri: dal tasso di DDT accettabile
nelle verdure, alla presenza di organismi geneticamente modificati nei nostri
piatti, fino al futuro dei nostri servizi pubblici. Ed ha quasi sempre considerato
le esigenze di salute, ambiente e dei piccoli produttori, come ostacoli da rimuovere
per arrivare al “libero commercio”. A vantaggio di chi va tutto questo? Dei
molti paesi del Sud del mondo, per i quali la liberalizzazione dei mercati,
provocata in buona parte dal WTO, si è tradotta “in un incremento nelle disuguaglianze,
nel declino dell’occupazione e in una caduta in termini assoluti dei salari,
dell’ordine del 20-30% nei soli paesi latinoamericani”, come scrive l’UNCTAD?
Oppure delle multinazionali, i cui profitti sono cresciuti, nel 1999, del 10,3%,
a doppia cifra per il quinto anno di fila?
La preparazione del vertice
La convocazione del vertice viene decisa in quello precedente che, su proposta
del paese ospitante, stabilisce, generalmente, anche il luogo e la data di svolgimento
della riunione. Il vertice non è un'organizzazione internazionale in senso tecnico:
non si basa su un trattato internazionale, né vi è una struttura dotata di una
certa autonomia rispetto ai singoli partecipanti. Fino ad oggi non è stato creato
alcun Segretariato. La preparazione dei vertici inizia nell’anno che precede
il summit: contatti personali, contatti giornalieri via telefono e via fax,
e quattro o cinque riunioni per ogni vertice. Ad essi partecipano un gruppo
di diplomatici per ogni Paese membro del G8. A capo della struttura c’è uno
“sherpa”, scelto dal primo ministro, a cui si affiancano uno o due “vice-sherpa”,
e i funzionari di alto livello dei ministeri del Tesoro e degli affari esteri.
Lo sherpa italiano si chiama Francesco Olivieri, ed è stato designato all’inizio
del 1999 da Massimo D’Alema. Subito dopo le elezioni del 13 maggio è stato affiancato,
con un decreto del presidente della Repubblica, da Giovanni Castellaneta (ovviamente
uomo di fiducia di Berlusconi). Sotto di loro ci sono i due vice-sherpa,
uno per il ministro degli affari esteri e l’altro per quello del Tesoro. Si
tratta di Valerio Astraldi e Lorenzo Bini Smaghi. Ogni governo del G8 poi, invia
anche una delegazione nel Paese ospitante, qualche mese prima del summit, per
discutere di tutti i dettagli, come ad esempio gli aspetti logistici.
L’organizzazione logistica del vertice è stata affidata ad una speciale struttura
di missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il responsabile di
questa struttura è il ministro plenipotenziario agli Affari esteri Achille Vinci
Giacchi, in carica dallo scorso ottobre, La sua collaboratrice più stretta è
Emanuela D’Alessandro. Sotto di lui uno staff dirigenziale di una decina di
responsabili.
Di cosa discutono gli “sherpa” e gli alti funzionari? Oltre agli aspetti organizzativi,
devono stabilire l’agenda del vertice - Il Paese che organizza il vertice ha
una maggiore influenza nella scelta dei temi da dibattere e redigere le
bozze della dichiarazione finale. Insomma, a parte alcune indicazioni generali
dei capi di Stato e di governo, alcuni burocrati, di cui non conosciamo nemmeno
il nome, decidono il contenuto del vertice dei “grandi” della Terra. In questa
fase preparatoria possono svolgere un ruolo importante anche i gruppi di lavoro,
creati dal G7-G8 su temi finanziari, tecnologici e sociali: ad essi
viene affidato il compito di presentare specifici rapporti al G-7 o ai suoi
rappresentanti personali. Un altro modo per influenzare il G8, restando nascosti
dietro rapporti tecnici incomprensibili per i non addetti ai lavori.
E finalmente il vertice
La presidenza del vertice è assicurata dal leader del Paese ospitante,
che ha il potere di fissare l'agenda dei lavori, dirigere e moderare la discussione,
dare l'impulso necessario all'ordinato e proficuo svolgimento della fase preparatoria,
ed emanare (se è il caso) un comunicato finale. Normalmente però le parti preferiscono
adottare una Dichiarazione congiunta. Le decisioni del vertice sono adottate
con il metodo del consenso, cioè quando tutti i componenti del vertice sono
d’accordo su un testo. Ciò conferisce un significativo potere di veto a ciascuno
dei partecipanti. Il tempo disponibile è scarso - meno di dieci ore di discussioni
utili. Affermare che un certo argomento è stato “trattato” al vertice
significa, in molti casi, che non è stato oggetto di esame da parte dei leader,
ma tutt’al più dei ministri degli esteri o delle finanze che si riuniscono
in contemporanea o, ancora peggio, che è stato discusso solo dagli sherpa nella
loro attività di preparazione dei documenti finali. L'atto tipico del G7-G8
consiste nella Dichiarazione finale dei partecipanti alla riunione: questa Dichiarazione
può suddividersi in due o più parti dedicate, rispettivamente, alle questioni
economiche ed a quelle politiche; raramente, lo abbiamo già anticipato, le conclusioni
della riunione, o almeno di una parte di essa, sono presentate sotto la forma
di “Conclusioni della presidenza”. Questo imponente spettacolo mediatico sforna
blandi comunicati mai ratificati dai parlamenti degli Stati membri
dove vengono presi vaghi impegni comuni per la crescita e il benessere, invece
di produrre accordi concreti. I summit dei G8 terminano sempre con dichiarazioni
ufficiali orientate allo sviluppo dei popoli, o con impegni - come quello
sul debito estero del Sud del mondo a Colonia - che finiscono sempre per diventare
carta straccia. Il G8 evidentemente rappresenta gli Stati più ricchi - e quindi
più potenti - del pianeta, le scelte prese nel vertice avranno comunque, di
fatto, ripercussioni sul resto del pianeta. Non sopravvalutate però il
potere del vertice. In realtà chi comanda il mondo non è il popolo sovrano,
seppure con la mediazione di uomini e donne eletti nelle sedi istituzionali,
ma una ristretta aristocrazia economica che ha acquisito il controllo della
finanza, del commercio e dei mezzi di informazione.
“Gli attori economici privati si muovono in uno spazio la terra intera
e a una velocità impensabili per gli Stati nazionali, per cui si stanno sottraendo
sempre più all’azione dei governi locali. All’economia globale non corrisponde
in alcun modo un livello politico globale, e questo provoca un predominio dell’economia
sulla società, che fa dire a Hans Tietmayer (ex-presidente della Bundesbank):
’I mercati svolgeranno sempre di più il ruolo di gendarme. I politici devono
capire che sono sotto il controllo dei mercati finanziari?, e Michel Camdessus
’Lo Stato non deve dare ordini alle banche?. La classe politica, ma non solo,
ha una forte sudditanza rispetto a questi poteri privati. Si chiama sindrome
di TINA ed è una malattia assai diffusa, anche se poco conosciuta, che colpisce
politici, alti funzionari, opinionisti, intellettuali, docenti universitari,
dirigenti di grandi e piccole imprese, e anche milioni di persone che subiscono
quotidianamente le scelte di chi gestisce la politica e l’economia. TINA è l’acronimo
inglese di There Is No Alternative. Non ci sono alternative vuol dire:
questo mondo va piuttosto male, siamo noi i primi a riconoscerlo, aumentano
le disuguaglianze, la disoccupazione e il numero dei poveri nel Nord come nel
Sud del mondo, l’ambiente va in pezzi, ma questo è l’unico mondo possibile.
E i Paesi dell’Est sono lì a ricordarci che chi lascia la via antica per la
nuova… (Tratto da Bosio R., Verso l’alternativa, Edizioni EMI, pp. 14-15).
La genesi del G8
L’idea di organizzare un summit tra le più importanti nazioni del mondo,
nacque da un’idea di Valéry Giscard d’Estaing (presidente francese) e
di Helmut Schmidt (cancelliere dell’allora Repubblica Federale Tedesca): tra
il 15 e il 17 novembre 1975, si riunirono a Rambouillet, in Francia, i capi
di governo di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Italia.
Bisognava affrontare in maniera congiunta la crisi petrolifera che in quegli
anni stava condizionando il mondo intero, e la fine del sistema di cambi fisso
- gli accordi di Bretton Woods. Doveva essere un vertice unico, ma la crisi
economica era lungi dall’essere risolta, così le sei potenze alle quali
si era unito il Canada si ritrovarono un anno dopo a San Juan di Porto
Rico. Era nato il vertice G7. Dopo un ampio dibattito tra i Paesi membri della
Comunità Europea, al terzo vertice Londra venne ammessa a
partecipare anche la Commissione europea, con il pretesto che uno dei principali
temi in discussione, il commercio, ricadeva sotto la competenza esclusiva della
Commissione.
Questo gruppo di Paesi rimane inalterato per diversi anni, anche se vennero stabiliti contatti con i rappresentanti di altri Paesi: fin dal 1981 con l'URSS e poi la Russia si è mantenuto un dialogo "post-Summit"; nel 1985 con i leader di 15 Paesi in via di sviluppo; nel 1989, al vertice “dell’Arche” a Parigi, Mitterand invitò a cena anche i leader di alcuni grandi Paesi in via di sviluppo ma era un atto puramente formale; nel vertice di Tokio del 1993, infine, i giapponesi volevano invitare Suharto, ma dovettero ripiegare su un incontro a tre con Clinton e Myazawa, a causa dell'opposizione degli europei.
I Sette invitarono anche Gorbaciov a Londra (1991) e Eltsin a Monaco (1992) e a Tokio (1993), per ottenere, con questa concessione e gli aiuti concessi, un comportamento “cooperativo” di Mosca nella gestione della guerra del Golfo - e nel conflitto dell’ex-Jugoslavia -, oltre a tenere sotto controllo i grandi rischi derivanti dall'esistenza dell'arsenale nucleare ex-sovietico. Gli inviti non rafforzarono la stabilità dell’ex potenza sovietica: entrambi hanno dovuto subire due tentativi di golpe poco dopo aver partecipato al G7 (1991 e 1993). La Russia fu coinvolta progressivamente nelle attività del vertice: inizialmente era il 1994 la partecipazione fu limitata alle discussioni politiche, per arrivare all’intera agenda del vertice di Denver nel 1997. Solo l’anno successivo, a Birmingham, il G7 diventa ufficialmente G8 (comunque quando si parla di soldi il vertice continua a riunire solo 7 Paesi). Il vertice negli ultimi due anni approda in Germania (Colonia) nel 1999, e in Giappone (Okinawa) nel 2000. Il summit del 2001 si terrà a Genova dal 20 al 22 luglio.I materiali qui riportati ci sono stati gentilmente inviati da Roberto Bosio (robertobosio@libero.it) autore del libro "Verso l'alternativa" (edizioni EMI, Bologna). Lo ringraziamo di cuore.