Bin Laden - La tana del ragno

Giulietto Chiesa, Dalla Valle Del Panshir

Il manifesto 10/10

Un ragno velenoso ha punto l'Occidente. L'Occidente vuole schiacciare il ragno velenoso, che si trova in Afghanistan. E, per questo, intende colpire il regime che lo ha protetto e ospitato, con tutti i mezzi a propria disposizione. Legittima difesa. Guerra contro il terrorismo. Fino a qui la logica è ineccepibile e sembra assisterel'Occidente.

Il problema si complica quando si cerca di capire chi è l'allevatore di ragni velenosi Non è difficile scoprire

che esistono tre soggetti indiziati in cima alla lista dei sospetti. Si tratta di - in ordine alfabetico - Arabia Saudita, Emirati Arabi, Pakistan. Questi tre paesi sono stati gli unici a riconoscere il regime dei taliban quando esso arrivò al potere a Kabul nel 19%. E hanno continuato a riconoscere i taleban fino agli eventi dell'll settembre 2001.

L'Occidente colpisce con tutta la sua forza l'Afghanistan, che è il sintomo, non la malattia. Che è la tana delragno, ma non è colui che lo ha fatto nascere e lo ha allevato. Quello che è peggio, dal punto di vista della logica elementare, è il fatto che l'Occidente, per schiacciare il ragno, faccia uso dell'appoggio politico e militare di tutti e tre i peggiori indiziati. E, quando si dice indiziati si usa un eufemismo: nel caso del Pakistan gli indizi sono già prove schiaccianti.
Il regime dei taleban non esisterebbe se non fosse stato creato, letteralmente dal nulla, con un'operazione assolutamente artificiale, dai servizi segreti militari di quel paese. Quegli stessi servizi segreti che, per conto della Cia, organizzarono, armarono, finanziarono l'alleanza dei "sette partiti di Peshawar" che servì come punta di lancia per sconfiggere i sovietici.
Che il regime arabo saudita sia stato finanziatore del fondamentalismo islamico non ha bisogno di dimostrazione. - Per giunta l'Occidente ha dovuto inserire questi tré paesi in un'alleanza che non ha nulla di democratico, perché tutti e tre sono o dittature (come il Pakistan) o regi mi monarchici senza costituzione democratica (come gli altri due).
Ne consegue che, per bene che vada, si potrà cambiare il regime a Kabul, si potrà distruggere tutto ciò che resta di infrastrutture militari (e civili) dell'Afghanistan, ma gli allevatori di ragni velenosi resteranno al loro posto, impuniti e pronti a ripetere, ove loro convenisse. Ed è - si badi bene - l'ipotesi più ottimistica, perché nulla dice che in questo modo si porterà la pace a Kabul.
Ma - si potrebbe obiettare - esiste una realpolitik da cui non si può prescindere. Questi paesi sono necessari, per ragioni logistiche e di vicinanza territoriale, prima di tutto, per infliggere un colpo al rifugio del ragno e per eliminare il ragno. Anche questo sembra sorretto dalla logica, sebbene si tratti di una logica piuttosto ripugnante, perché usa due pesi e due misure, a seconda della convenienza. Se i valori democratici sono un opzional per i potenti del mondo, è inevitabile, alla lunga, che il resto del mondo li consideri una variabile superflua. Per cui diventa poi impossibile chiedere il loro rispetto.
Il ragno si rafforza in questo modo. Lo si può anche uccidere, ma lo si sarà aiutato, prima di morire, a figliare migliaia di altri ragni altrettanto velenosi.
E resta sempre aperto il problema posto all'inizio: perché si chiudono gli occhi di fronte alla necessità di colpire gli allevatori di ragni velenosi e, anzi, li si considera amici?
Ma c'è anche un altro angolo visuale, un altro metro di misura, per rispondere alla domanda fondamentale: l'Occidente sta facendo la cosa giusta (nel senso di funzionale, utile, a prescindere dai suoi connotati etici) per liberarsi del ragno, anzi dei ragni velenosi? L'operazione di attacco all'Afghanistan è un passo nella direzione giusta? Il bilancio di questi pochi giorni di bombardamenti e di guerra già registra due disastri le cui conseguenze appaiono irreparabili, punti di non ritorno.
Il Pakistan è precipitato in una crisi politica e istituzionale che non ha precedenti nella sua storia. Un colosso di 140 milioni di abitanti, dotato di bomba atomica, è in preda a una convulsione terrificante. Proprio perché lo si è dovuto trascinare nell'alleanza contro il ragno che aveva nutrito, ricavandone grandi utili.
Lo stato palestinese, trascinato anch'esso a viva forza nell'alleanza, dopo averlo costretto a difendere la sua esistenza minima di fronte all'assalto di Sharon, è ormai alle prese con una rivolta interna che potrebbe portare al comando le forze meno laiche e più fondamentaliste. Migliaia di giovani palestinesi inneggiano ormai a Osama bin Laden. E Osama, il ragno velenoso, proprio mentre si sta cercando di schiacciarlo, sta diventando la bandiera, l'eroe, il martire di tutto il mondo islamico più estremista e feroce nel suo odio integrale contro l'Occidente e i suoi valori.
I risultati sono già catastrofici fin dai primi passi di questa strategia. Davanti a noi - ci è stato annunciato - si stagliano altre guerre" altri stati da colpire, altri obiettivi da liquidare, per lungo tempo.
Quello che già sta accadendo - l'ondata anti-occidentale in tutto il mondo islamico - si moltiplicherà per intensità e per estensione. Altri regimi islamici amici dell'Occidente possono essere messi in pericolo grave, e crollare. Andare avanti su questa strada è catastrofico in primo luogo per l'Occidente. Non occorre scomodare la morale, le vittime civili, la barbarie della vendetta che chiama altra vendetta. Sono, prima di tutto la saggezza e il realismo a consigliare subito un "cessate il fuoco di questa Guerra senza fine e a indirizzare l'alleanza contro il terrorismo verso una ricerca effettiva delle sue sorgenti.
Il che comporta, per l'America e per l'Occidente, una riflessione autocritica sul mondo che essi hanno creato, con la loro potenza e la loro superiorità tecnologica. Questo è il compito più difficile. Il ragno sta dimostrando di saper usare assai bene il cumulo d'ingiustizie prodotto da una globalizzazione insensata ed egoista. Si sta facendo questa nuova guerra proprio perché non si vuole affrontare il compito di questa riflessione.