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07 Dicembre 2001
Appuntamento a Baghdad 

Dopo l'embargo, che ha provocato migliaia di morti, gli Usa si apprestano a "risolvere" la questione irachena. La testimonianza di due ex ispettori dell'Onu HANS VON SPONECK * - DENIS HALLIDAY * 


Nella politica statunitense verso l'Iraq sta avvenendo uno spostamento importante. E' evidente che Washington vuole porre fine ai suoi undici anni di egoistica politica di contenimento del regime iracheno, per cercare di destituire Saddam Hussein e il suo governo con la forza. L'attuale politica di sanzioni economiche ha distrutto la società irachena causando la morte di migliaia di persone, giovani e vecchi. Ogni giorno ci sono le prove di questo nei resoconti di stimate organizzazioni internazionali come la Caritas, l'Unicef e "Save the Children". Il passaggio a una politica di destituzione da ottenere con la forza accrescerà queste sofferenze.
Gli ideatori di questo tipo di politica non devono più credere di poter soddisfare l'elettorato esprimendo disprezzo nei confronti dei loro oppositori. Il problema non è l'incapacità del pubblico a comprendere il contesto più ampio, come l'ex segretaria di stato Madeleine Albright ama suggerire. Al contrario. Il contesto più ampio, l'agenda nascosta, sono ben compresi dalla gente comune. Non dobbiamo dimenticare l'ammissione brutalmente franca di Henry Kissinger secondo cui "il petrolio è una merce troppo importante per essere lasciata nelle mani degli arabi".
Per quanto tempo ancora dei governi eletti democraticamente possono sperare di farla franca giustificando politiche che puniscono il popolo iracheno per qualcosa che non ha fatto, mediante sanzioni economiche che prendono di mira loro nella speranza che i sopravvissuti rovescino il regime? Il diritto internazionale è applicabile solo ai perdenti? Il consiglio di sicurezza delle Nazioni unite è solo al servizio dei potenti? In quanto membri permanenti del consiglio di sicurezza, il Regno unito e gli Usa sono pienamente consapevoli che l'embargo Onu agisce in violazione dei patti sottoscritti dall'Onu stessa sui diritti umani, delle convenzioni di Ginevra e dell'Aia e di altre norme internazionali. Non è anti-britannico né anti-americano sottolineare che negli ultimi dieci anni Washington e Londra - più di qualunque altro paese - hanno contribuito a scrivere il capitolo Iraq nella storia delle tragedie che potevano essere evitate.
Dopo la vittoria della guerra del Golfo nel 1991, il Regno unito e gli Usa hanno deliberatamente perseguito una politica punitiva. Questi due governi hanno fortemente osteggiato il tentativo del consiglio di sicurezza dell'Onu di dare esecuzione all'incarico ad esso spettante di stimare l'impatto delle sanzioni sui civili. Questo lo sappiamo per conoscenza diretta, dato che tali governi hanno ripetutamente cercato di impedirci di riferire al consiglio di sicurezza su questo aspetto. I penosi limiti annuali di meno di 170 dollari a persona per gli aiuti umanitari, decisi da loro durante i primi tre anni del programma oil-for-food sono una prova inconfutabile di tale politica.
Noi abbiamo visto gli effetti sul terreno, e non riusciamo a comprendere come un anno fa l'ambasciatore americano James Cunningham potesse guardare negli occhi dei suoi colleghi e dire: "noi (il governo Usa) siamo soddisfatti che il programma oil-for-food stia rispondendo ai bisogni del popolo iracheno". Oltre all'approvvigionamento di viveri e medicine, oggi c'è un'altra vera questione: i proventi del petrolio iracheno devono essere investiti nella ricostruzione di infrastrutture civili distrutte durante la guerra del Golfo. Sebbene i proventi del petrolio attualmente consentiti siano gravemente inadeguati a rispondere ai bisogni minimi del popolo iracheno, per ordine dei governi britannico e statunitense dal 1999-2000 - su ciascun dollaro che il petrolio iracheno fruttava - 30 centesimi (ora 25) sono stati stornati dal consiglio di sicurezza dell'Onu per compensare gli "outsider" delle perdite in cui sarebbero incorsi a causa dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq. Se l'Iraq avesse potuto disporne, questi soldi avrebbero potuto salvare molte vite.
La scomoda verità è che l'occidente sta tenendo in ostaggio il popolo iracheno allo scopo di ottenere l'assenso di Saddam Hussein a richieste sempre diverse. I governi americano e britannico hanno ripetutamente impedito al segretario generale dell'Onu, che vorrebbe rendersi utile come mediatore, di assumere questo ruolo. L'imprecisione delle risoluzioni Onu sull'Iraq - "ambiguità costruttiva", come gli Usa e il Regno unito la definiscono - è vista da quei governi come uno strumento utile quando si ha a che fare con conflitti come questo. Gli Usa e il Regno unito liquidano tutte le critiche sottolineando che il popolo iracheno è punito da Baghdad. Se questo è vero, perché li puniamo ulteriormente?
L'ultimo rapporto del segretario generale delle Nazioni unite, dell'ottobre 2001, afferma che il blocco da parte dei governi britannico e americano di forniture umanitarie per un valore di 4 miliardi di dollari costituisce il maggiore impedimento all'attuazione del programma food-for-oil. Il rapporto dice che, al contrario, la distribuzione da parte del governo iracheno di forniture umanitarie è pienamente soddisfacente (come lo era quando dirigevamo questo progetto). La morte di circa 5-6mila bambini ogni mese è dovuta quasi completamente ad acqua contaminata, mancanza di medicine e malnutrizione. Non Baghdad, ma il ritardo con cui i governi americano e britannico hanno svincolato equipaggiamento e materiali è responsabile di questa tragedia.
I piani Usa di attacco all'Iraq fanno sì che nel consiglio di sicurezza non vi siano le condizioni adatte a discutere del futuro delle sanzioni economiche. La proposta sponsorizzata quest'anno dal Regno unito di "sanzioni intelligenti" non sarà ripresentata. Troppe persone si rendono conto che quello che sembrava all'apparenza un miglioramento per i civili è in realtà un tentativo di mantenere l'attuale politica delle sanzioni: nessun investimento straniero e nessun diritto per gli iracheni di gestire i proventi del loro petrolio. La proposta suggeriva di sigillare le frontiere dell'Iraq, strangolando il popolo iracheno. Nell'attuale clima politico, un'estensione tecnica dei termini correnti è considerata da Washington il passo migliore. Che questo condanni più iracheni alla morte e alla miseria viene liquidato come inevitabile.
Le nostre non sono congetture. Questi sono fatti innegabili, che ci sono noti grazie agli incarichi che abbiamo ricoperto. Siamo indignati che si continui a far pagare al popolo iracheno il prezzo dei lucrosi traffici di armi e della politica delle potenze. Ci torna alla mente Martin Luther King: "Viene il momento in cui il silenzio è un tradimento. Quel momento è adesso".
Vogliamo incoraggiare le persone ovunque si trovino perché protestino contro politiche senza scrupoli e contro la terribile disinformazione prodotta sull'Iraq da coloro che, pur essendo i più informati, intendono argomentare falsamente e in malafede, anche se questo costerà delle vite umane. Il dipartimento della difesa americano e Richard Butler, ex capo del team dell'Onu incaricato di indagare sulle armi a Baghdad, avrebbero preferito che dietro l'emergenza dell'antrace ci fosse stato l'Iraq: ma hanno dovuto riconoscere che essa aveva origine negli Usa.
Le agenzie di intelligence della Gran Bretagna e degli Stati uniti sanno bene che l'Iraq è qualitativamente disarmato, e non hanno dimenticato ciò che il segretario della difesa uscente, William Powell, disse al presidente entrante George Bush a gennaio: "L'Iraq non costituisce più una minaccia militare per i suoi vicini". Alle agenzie di intelligence questo lo hanno detto anche gli ex ispettori Onu sulle armi. Ma ammetterlo significherebbe porre fine all'intera politica dell'Onu, così come è stata creata e mantenuta dai governi degli Stati uniti e della Gran Bretagna.
Le prospettive di una nuova guerra condotta dagli Usa contro l'Iraq ci fanno orrore. Le implicazioni derivanti dalla volontà di completare un affare non concluso in quel paese sono troppo gravi perché la comunità globale possa ignorarle. Noi speriamo che gli avvertimenti dei leader mediorientali e di tutti noi che abbiamo a cuore i diritti umani non siamo ignorati dal governo Usa.
Ciò che adesso serve maggiormente è un attacco all'ingiustizia, non al popolo iracheno.

djhalliday@msn.com
von_sponeck@yahoo.com
(Traduzione di Marina Impallomeni)

* Hans von Sponeck è stato coordinatore dell'intervento umanitario delle Nazioni unite per l'Iraq dal 1998 al 2000; Denis Halliday ha ricoperto lo stesso incarico dal 1997 al 1998. Entrambi si sono dimessi per non essere, come hanno dichiarato al momento della loro decisione "complici del genocidio da embargo della popolazione civile irachena".

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