VI RACCONTO
L'IRAN CHE CAMBIA

HANS MAGNUS ENZENSBERGER


A Teheran si trova quello che l'Europa oggi può solo sognare.
Personaggi. La suora germanista. Non le si può dare la mano, non sta bene; ci si saluta ponendo la mano sinistra sul cuore. Ammantata com'è, sembra timida. Il suo tedesco è sommesso e eccellente. Dopo un quarto d'ora di cauti convenevoli, ecco il primo sorriso. Ben presto si scopre che lei con le autorità del clero non ha niente da spartire. Ama Hölderlin e Goethe. Cosa sia religioso lo decide lei stessa.
L'artista. Appena a casa, si toglie il fazzoletto dalla testa. Ma poi si scopre che di quel che accade non vuol sapere nulla. L'attentato dell'11 settembre, sostiene, non si deve in nessun caso a terroristi islamici.

Gli americani se lo sono organizzato loro stessi; un intrigo dei sionisti, dietro il quale sta il Mossad. Dodici ospiti iraniani la stanno a sentire educatamente, alzano gli occhi al cielo. Sono abituati a sentire stupidaggini. La loro tolleranza mostra che per loro la libertà di opinione sta sopra ogni cosa.
Il proprietario di bazar come outsider. Invita lo straniero che non vuol comprare nulla a bere una tazza di tè perché ha voglia di divertirsi. Sulla sua scrivania c'è una bandierina stellata. Si augura che gli americani buttino una bomba sui "mullah". In questa sua opinione è presumibilmente abbastanza solo. Ma dice ciò che pensa, e questo lo accomuna alla maggior parte degli iraniani; qui nessuno ha peli sulla lingua.
Il piccolo cardinale. Il fine sorriso da prete della altolocata personalità, il gesto impeccabile, l'affabile stretta di mano, così come d'uso in Vaticano. Uno studioso islamico che dubita della saggezza della teocrazia. Pensa che la coercizione politica nuoccia alla religione; che la gioventù si stia allontanando dalla pura dottrina. L'argomento viene espresso in forme sibilline. La discussione successiva a cui partecipano altre persone, ricorda le dispute di Erasmo nel periodo della Riforma in Europa.
Lo studente determinato. Parla agli stranieri sulla NaghsheJahan, la splendida piazza centrale di Isfahan. Ha intenzione di studiare informatica in Germania; per questo desidera sperimentare la sua conoscenza della lingua. Già il semplice fatto che non porti la barba, rappresenta una piccola sfida nei confronti dei guardiani della rivoluzione. A casa dispone di un collegamento Internet. Trionfante, racconta che suo padre gli permette di invitare due amiche nella casa paterna. La temerarietà civile saggia ovunque i confini di ciò che è permesso.
La star della sofferenza. Profilo marcato, baffi bianchi e folti. Schiere di giovani donne coperte dal manto nero circondano lo scrittore celebre. I suoi racconti sono impregnati del più nero pessimismo. Nel corso della discussione esprime la sua disperazione per la sua terra e per l'umanità. Non c'è via d'uscita, da nessuna parte. A pranzo, a Shiraz, nel giardino del palazzo, appare di buonumore e mangia con appetito.
Il poeta come oracolo. Tutti leggono, cantano, citano Hafiz. L'intero Paese non sembra che avere in testa, a memoria, tutto ciò che quest'uomo ha prodotto settecento anni fa. Il suo Canzoniere sta sul comodino accanto al Corano, e la gente più semplice lo adopera come oracolo. Si apre il libro a caso, si leggono due righe sempre a caso, e subito il poeta provvede a dar consigli in tutte le situazioni della vita. Per la strada si può acquistare per pochi soldi una letterina della fortuna; il foglietto che si estrae dice a un persiano evidentemente molto di più di qualsiasi oroscopo.
Un poeta che potrebbe avere un ruolo simile, è difficile da trovare sulla faccia della terra. Nella sua città natale, Shiraz, Hafiz viene festeggiato ogni anno. Intorno alla sua tomba sontuosa si riuniscono migliaia di persone. Questa volta erano invitati alla festa anche tre scrittori di lingua tedesca, e sono stati salutati gioiosamente nel loro ruolo di statisti. Lunghe conversazioni, nella Sala degli Specchi di un piccolo palazzo, sul "Divano occidentaleorientale", su Hafiz e su Goethe; ma ciò che altrove è solo esercitazione accademica, qui diventa ben presto il problema centrale dell'Iran. Come Salman Rushdie, anche Hafiz divenne bersaglio di una fatwa; i suoi canti vennero bruciati; solo la tradizione orale li ha salvati. Il poeta era un gran conoscitore del Corano. Ciò non gli ha impedito di essere un amante sfrenato, di essere dedito sia a donne che a ragazzi, di bere e di irridere studiosi e farisei. Inutilmente l'ortodossia cerca da secoli di liberarsi dello scandalo della poesia cambiando le parole in bocca al poeta mediante orrende interpretazioni un altro indizio del fatto che le vecchie tradizioni di questa terra resistono a ogni dittatura.
La camera oscura delle riforme. Il gioco degli scacchi, una invenzione persiana: proibito. Cantare in luogo pubblico: un'azione punibile. Radersi: indizio di eresia. Così era cominciata ventidue anni fa la rivoluzione islamica. Oggi si ride di queste prescrizioni, e da tempo una ordinata amministrazione municipale ha rimesso nel parco i tavolini di pietra per giocare a scacchi: questo è uno dei tanti minuscoli segni del fatto che soffia per il Paese un vento di cambiamenti.
«Lavoro al millimetro», dice l'architetto di antica famiglia che di nuovo può costruire ciò che vuole. «Un silenzioso tiro alla fune. Come tutti i processi di riforma della storia, è un continuo stopandgo. Dopo il disgelo, la ricaduta nel gelo. Poi un paio di scrittori saranno uccisi dai servizi segreti e saranno vietati tutti i giornali che scrivono del caso. Fino a che gli ayatollah, che gradualmente hanno imparato la lezione, dovranno riconoscere che il terrore non è una buona idea, che serve solo ad accelerare l'erosione del regime. Questo si può protrarre ancora per un decennio. Ma noi siamo un popolo paziente, e non vogliamo vedere sangue. Preferiamo vivere nella schizofrenia».
Schizofrenica è anche la Costituzione della repubblica islamica dell'Iran, un documento bizzarro: da una parte c'è una democrazia parlamentare con tutte le istituzioni annesse, dall'altra, troneggiante in alto, con Allah come unica legittimazione, c'è un consiglio di vigilanza e un capo supremo che nessuno ha votato; in caso di dubbio, loro hanno sempre l'ultima parola. Solo il calcolo di potere può frenare il loro zelo. Ma si è imparata la lezione. Ci si tira indietro quando non c'è altra soluzione e ci si esercita ad avere la mano ferma. E dunque nella nuova costellazione politica il fatto che il Paese si tenga fuori dalla guerra, piace a tutti, anche alla grande maggioranza che ne ha abbastanza del regime. Per le strade di Teheran regna un clima rilassato che l'Europa si può solo sognare.
L'asimmetria del dialogo. Per la verità non è affatto permesso, dopo un viaggio in un Paese di cui non si conosce la lingua, esprimersi sulla sua situazione. Ma perlomeno si può ascoltare e annotare ciò che si apprende.
«Ci mettete sempre in uno stesso fascio con gli arabi. Islam, Islam, Islam, non ce la faccio più a sentire questa parola. L'Iran esisteva molto tempo prima che l'arcangelo Gabriele dettasse legge ai profeti. Il Corano è un'importazione dei conquistatori mussulmani. Cos'è l'Iraq, cos'è la Giordania? Sono Paesi inventati dal Foreign Office a Londra! Noi invece sappiamo chi siamo da un paio di migliaia di anni. Ma di questo voi non volete saperne. Per noi l'Occidente è un desiderio che voi non ricambiate. I vostri media preferiscono occuparsi di quello che voi esecrate».
E' difficile trovare qualcuno in Iran che si esprima con tanta chiarezza come questo sociologo. In compenso c'è una cortesia squisita che si incontra in ogni strato sociale e della quale in Occidente non esiste esempio.
Chi vuol capire qualcosa della grandezza e della tragicità di questa civiltà, forse non dovrebbe farsi trascinare nei labirintici discorsi della politica, ma farebbe meglio ad ascoltare i racconti, le poesie degli iraniani, o vedersi i film sorprendenti di un Kiorastami, di un Makhmalbaf, di un Majidi. Da essi, più che da qualsiasi giornale, si impara a conoscere l'ira e la speranza, la depressione e la vitalità di una società che è abbastanza stupido misconoscere. Chi si fa cieco e muto e ciò vale per entrambe le parti non troverà certo nessuna via d'uscita.
(Traduzione di Paola Sorge)
Copyright Hans Magnus Enzensberger La Repubblica 30/10