Islamofobia
di Alain GRESH LE MONDE diplomatique - Novembre 2001
«Il Signore Dio tuo metterà
questi popoli in tuo potere, gettandoli in grande scompiglio, finché
non saranno sterminati. Egli darà nelle tue mani i loro re, e tu
farai perire i loro nomi sotto il cielo, nessuno potrà starti a
fronte, finché tu non li avrai distrutti.» È un appello
al genocidio nascosto fra le pagine del Corano? No, è un passaggio
del vecchio Testamento (Deuteronomio, 7, 23-24).
«Il capo della donna è l'uomo (...). Se
la donna non vuol portare il velo, si faccia rasare il capo (...). L'uomo,
invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria
di Dio, mentre la donna è gloria dell'uomo (...). E l'uomo non fu
creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Quindi la donna deve portare
sul capo il segno della sua dipendenza». Questa ingiunzione alle
donne di portare il velo e di sottomettersi all'uomo si trova fra le pagine
del Corano?
No, sono parole dell'apostolo Paolo nella sua prima epistola
ai Corinzi.
Queste citazioni rappresenterebbero la causa «veritiera»
delle Crociate o delle mille e una guerra che hanno insanguinato il mondo
giudeo-cristiano nel corso dei secoli? Sono il fondamento della emarginazione
delle donne in queste società? Assurdo... Ma allora perché,
dopo gli attentati dell'11 settembre, alcuni intellettuali ed esperti cercano
di persuaderci che il Corano nasconde la fonte dei mali dei paesi islamici?
Immergetevi nelle sura rivelate a Maometto quattordici secoli fa, e finalmente
riuscirete a comprendere questo universo misterioso.
Ibn Warraq e Guy Hennebelle ci assicurano: «L'Islam
in quanto tale non è una religione moderata: per convincersene basta
leggere il Corano, infarcito com'è di minacce e di imprecazioni
d'ogni sorta! (...) Vi siete mai chiesti perché la totalità
del miliardo di musulmani marcisce sotto regimi gli uni più dispotici
degli altri? Perché, malgrado il petrolio, l'Islam non riesce a
sottrarsi al sottosviluppo?
(1)»
I nostri autori si sono mai chiesti perché l'Africa nera non musulmana
non riesce a sottrarsi al sottosviluppo? Perché la Birmania e le
Filippine - paesi non musulmani - in fondo non se la cavano molto meglio
dell'Indonesia o della Malaysia? Per secoli e secoli, gli imperi musulmani
- omeyyade, abbasside, ottomano, safavide, moghol - sono stati fra i più
brillanti e progrediti del loro tempo. La «verità» del
loro successo si compendia tutta nel Corano?
Anche il concetto di «Islam» va maneggiato
con cautela. «Quando si parla dell'Islam, si eliminano più
o meno automaticamente lo spazio e il tempo», faceva notare l'intellettuale
americano-palestinese Edward W. Said. E precisava: «il termine Islam
definisce una proporzione relativamente piccola di quello che avviene all'interno
del mondo musulmano, che comprende un miliardo di individui e annovera
decine di paesi, di società, di tradizioni, di lingue e, naturalmente,
un numero infinito di esperienze distinte fra loro. È semplicemente
falso, tentare di ridurre tutto ciò a qualcosa che si chiama "Islam"...
(2)».
Dimenticare la storia e i suoi labirinti è una
vecchia abitudine di Jacques Rollet, professore associato all'università
di Rouen e teologo cattolico: «Dai tempi di Maometto, l'Islam vuol
dire conquista.
Maometto stesso è stato un combattente militare,
un conquistatore: Gesù non ha mai combattuto con le armi in pugno,
quindi vi è una differenza fondamentale. Fin dalla sua genesi, nel
VII secolo, e nel brevissimo tempo di due o tre secoli, l'Islam ha conosciuto
un'espansione folgorante. Questi successi militari confermeranno ai musulmani
del Medio Evo che la loro religione è la verità. La jihad
tramanderà per molti secoli - in un fenomeno amplificato dalle Crociate
- l'idea che l'Islam non può essere Islam se non con le conquiste
militare - perciò nulla deve opporsi all'espansione dell'Islam.
È questo il cuore stesso del Corano. In questo quadro, si comprende
abbastanza bene come è possibile l'islamismo (3).»
Forse non abbiamo studiato bene i nostri libri di storia, noi che credevamo
ingenuamente che le Crociate fossero state lanciate dal papato, che il
colonialismo fosse stato opera delle «nazioni civilizzate»,
che le due guerre mondiali e il genocidio degli ebrei avessero insanguinato
il nostro continente europeo, imbevuto di quel pacifismo «cristiano»
così lontano dalla violenza dell'Islam? E se le più alte
sfere dell'Islam hanno condannato gli attentati dell'11 settembre, se altrettanto
hanno fatto influenti ulema vicini ad ambienti cosiddetti islamisti, come
lo sceicco Yussuf al-Qardawi, lo hanno fatto certamente per farsi beffe
di noi, per dissimulare i loro funesti disegni.
Jacques Rollet, d'altra parte, bacchetta perentorio quegli
islamologi che «sminuiscono la distanza radicale che esiste tra l'Islam
e la democrazia». Per lui, Samuel P. Hungtington, con il suo «scontro
di civiltà», «indica una visione del mondo e delle relazioni
tra cristianesimo e Islam diversa. Vi è quindi uno scontro frontale
fra due culture: quella secolarizzata e democratica dell'Occidente e quella
non democratica e non secolarizzata del mondo musulmano».
Partiamo quindi per una nuova Crociata, sotto il vessillo
degli Stati uniti.
Secondo Le Figaro, Alexandre Del Valle fa ormai parte
di quella «ronda magica di esperti» invitati a getto continuo
in televisione dalla sera dell'11 settembre. Per lui - acerrimo nemico
della complessità - il mondo si analizza facilmente: «Il principio
del "rifiuto del potere infedele" spiega (...) la maggior parte dei conflitti
che oppongono musulmani e «empi» in Kashmir, in Sudan, in Armenia,
in Cecenia e anche in Kosovo e in Macedonia, laddove le popolazioni musulmane
sono diventate maggioritarie (4)».
Qualcuno oserà ribattere che i kosovari, come gli azeri, sono largamente
«laicizzati», che le loro sono rivendicazioni nazionali. Errore:
sono «biologicamente» musulmani, e tanto basta... Difensore
delle guerre combattute da Slobodan Milosevic contro i musulmani, dalla
Russia contro i ceceni e dal governo israeliano contro i palestinesi, promotore
di una tesi fumosa dell'alleanza tra Stati uniti e islamismo contro l'Europa,
Alexandre Del Valle non nasconde le speranze che gli ispira la crisi attuale:
che Washington ponga fine alla «guerra contro l'Europa e l'ortodossia
(sic!)» [riferendosi con questo termine ai paesi ortodossi, dalla
Russia alla Serbia].
Già negli anni '90, dopo il crollo dell'Unione
sovietica, alcuni politici e think tanks americani erano partiti alla ricerca
di un nuovo nemico. «Il fondamentalismo musulmano diviene rapidamente
la principale minaccia alla pace globale e alla sicurezza, si poteva leggere
sul New York Times. (...) Questa minaccia è simile a quella del
nazismo e del fascismo negli anni '30, a quella dei comunisti negli anni
'50 (5)». Il nazismo
è stato diffuso dalla Germania, principale potenza europea, il comunismo
dall'Urss e dalla Cina. Quante «divisioni» potrebbe schierare
«il fascismo verde»? Indeboliti, spesso sudditi di regimi poco
rappresentativi - in massima parte sostenuti dall'Occidente - , i musulmani
divisi si preparano a dilagare, come fecero in passato le orde barbariche?
Il fatto è che, nelle loro astute macchinazioni
contro l'Occidente, i musulmani si appoggiano ad influenti quinte colonne.
Gli immigrati, naturalmente, ma soprattutto i «traditori» del
loro stesso campo.
«È difficile - scrive Alain-Gérard
Slama, che insegna a Scienze politiche - non stabilire una correlazione
fra l'attacco che ha fatto tremare dalle fondamenta la Mecca del capitalismo
mondiale e il consolidamento dei movimenti antiglobal, autonomisti, ultrafederalisti,
tutti oppositori dello stato democratico liberale (...) Al momento, i vandali
Black Bloc di estrema sinistra (...) sono soltanto qualche migliaio. Bisogna
essere ciechi per rifiutarsi di vedere con quale velocità il male
si stia propagando (6)».
Il terreno comune di questi movimenti - aggiunge Pierre-André Taguieff
- non è costituito solo dal «vecchio anti-imperialismo stile
terzomondista» e dall'«antiamericanismo demonologico, ma anche
[dalle] critiche radicali alla globalizzazione neo-liberale».
Senza dimenticare quella «forte impregnazione giudeofoba
[che] contraddistingue una parte significativa della sinistra e dell'estrema
sinistra dei paesi occidentali».
Islamismo, antiglobalizzazione, antiamericanismo, antisemitismo:
un'amalgama di accuse infami e di confusione. Mentre infuriava la guerra
del Golfo, Bernard Pivot apostrofava così il grande islamologo Jacques
Bergue: «Ha trenta secondi di tempo per dire ai francesi se il Corano
è una macchina di guerra contro di loro, oppure no (7).»
Dieci anni dopo, è forse venuta l'ora di riflettere un po' più
a lungo.
note:
(1)
«Pour un «Vatican II de l'islam»!», Le Figaro,
1° ottobre 2001.
(2)
Citato da Edward W. Said, Covering Islam, Vintage, Londra, 1997, p. 41
(edizione riveduta e ampliata, il testo originale è stato pubblicato
nel 1981).
(3)
Intervista pubblica da Le Point, Parigi, 21 settembre 2001.
(4)
Le Figaro, 25 settembre 2001.
(5)
«Another Despotic Creed Seeks to Infiltrate the West», International
Herald Tribune, 9 settembre 1993.
(6)
Figaro-Magazine, 6 ottobre 2001
(7)
Frasi riferite da Serge Daney, Devant la recrudescence des vols de sac
à main, Aléas , Lione, 1991, pp.110-111.
(Traduzione di R. I.)