LE MONDE diplomatique - Ottobre 2001



 

 

 

Guerra totale contro un pericolo diffuso
Gli ambigui legami del Pakistan


di Selig S. Harrison*
Ottobre 1999, una data decisiva nella storia del Pakistan. L'esercito rovescia il primo ministro Nawaz Sharif eletto nel 1997 (1). Per la prima volta alcuni gruppi militanti islamici, strettamente legati a Osama bin Laden, dispongono di un diritto di veto sulla politica estera e sulla difesa del paese. Il regime militare sceglie un uomo moderato e filo-americano, il generale Pervez Musharraf. Fin dall'inizio, tuttavia, quest'ultimo dipende da una cricca di generali nazionalisti intransigenti che per un decennio e in modo sistematico hanno costruito una rete di gruppi islamici militanti nel Pakistan e in Afghanistan, punta avanzata dei loro sforzi per destabilizzare l'India. A Islamabad, il potere effettivo è tutto nelle mani del generale Mohammed Aziz, personaggio chiave del colpo di stato in quanto vice di Pervez Musharraf alla testa dello stato maggiore, promosso in seguito al comando militare della regione di Lahore. Di origine indiana, di lingua urdu, Musharraf non dispone di alcuna base etnica in Pakistan.
In compenso, il generale Aziz parla punjabi, la lingua della provincia del Punjab che domina il Pakistan; inoltre, Aziz è uno dei dirigenti del clan dei Sudhan, forte di 75mila elementi, noto per la sua solida tradizione religiosa e guerriera. Sono loro che controllano il distretto di Poonch, nella parte pakistana del Kashmir. All'inizio del 1999, il generale Aziz, grazie alle sue radici nel Kashmir, pianifica e organizza l'invasione della regione di Kargil, dal lato indiano della linea del cessate il fuoco (2). Prima e dopo la guerra in Afghanistan, ha sempre diretto le attività dei servizi segreti pakistani in questo paese. Ha organizzato campi di addestramento al confine tra Afghanistan e Pakistan per due reti di organizzazioni islamiste. Il più importante, Lashkar-e-Taiba, è formato per lo più da pakistani, ma anche da numerosi afghani membri della polizia politica dei taliban incaricata della repressione degli oppositori. L'altro, Harakat-ul-Ansar, ha tra l'altro dirottato verso Kandahar, nel gennaio 2000, un aereo delle linee regolari indiane ed è stato denunciato come «gruppo terrorista» dagli Stati uniti nel 1997; fu uno dei bersagli dei missili lanciati il 20 agosto 1998, diretti sulle infrastrutture di bin Laden come rappresaglia dopo i due attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Le origini di questa linea intransigente, che ha preso il sopravvento tra le forze armate pakistane, risalgono al movimento d'indipendenza del Bangladesh e all'appoggio indiano alla secessione del 1971. L'umiliante sconfitta pakistana in questo conflitto ha traumatizzato l'esercito.
Un'intera nuova generazione di ufficiali è cresciuta con la ferma determinazione di ottenere la parità militare e politica con l'India.
La generazione degli ufficiali cosmopoliti educati nel collegio militare britannico di Standhurst - rappresentata dall'ex presidente Ayub Khan (1958-1971) - è stata sostituita da una nuova leva di ufficiali usciti dai ceti medi e rurali, più limitati e meno cosmopoliti. Molti di essi si sono mostrati sensibili all'appello degli islamisti e dei gruppi che si sono bruscamente sviluppati con l'incoraggiamento del regime del presidente Zia Ul Haq (1977-1988) durante la guerra d'Afghanistan. Zia Ul Haq ha deliberatamente fatto crescere una casta potente di ufficiali, concentrati nei servizi segreti e animati da un'ideologia che coniuga il nazionalismo anti-indiano e il messianesimo islamico.
Il 29 giugno 1988, sei settimane prima di morire, il dittatore spiegava, nel corso di un colloquio, che il suo obbiettivo era un «nuovo allineamento strategico» nell'Asia del sud. Il Pakistan - diceva - ha bisogno di uno stato satellite in Afghanistan, in modo da garantire la stabilità del suo fianco occidentale e da poter affrontare l'India senza temere di essere preso alle spalle. Inoltre, aggiungeva, il Pakistan è in grado di dirigere una confederazione pan-islamica. «Voi americani avete voluto che fossimo uno stato di frontiera. Col nostro aiuto in Afghanistan, abbiamo ottenuto il diritto di avere a Kabul un regime scelto da noi. Ci siamo presi dei rischi per avere questo ruolo e non consentiremo che la situazione regionale ritorni quella di prima, con l'influenza indiana e sovietica e rivendicazioni sul nostro territorio.
Vedrete che a vincere contro i musulmani dell'Unione sovietica sarà un giorno un vero stato islamico, una vera confederazione islamica, una parte della rinascita pan-islamica. Tra Pakistan e Afghanistan saranno aboliti i passaporti. E forse un giorno si uniranno a noi il Tagikistan e l'Uzbekistan e, perché no, anche l'Iran e la Turchia».
L'affermazione di un islam militante nell'Asia meridionale si spiega con l'appoggio incondizionato dato dagli Stati uniti a Zia Ul Haq e ai suoi servizi segreti, l'Interservices Intelligence Directorate (Isi), durante la guerra d'Afghanistan. L'amministrazione Reagan perseguiva un obiettivo di corto respiro rispetto all'avventura dei sovietici in Afghanistan: lasciare che si dissanguassero e vi si impantanassero in modo da costringerli ad allentare la pressione in altri punti. Washington ha commesso l'errore storico di lasciare che il Pakistan decidesse quali gruppi della resistenza afghana avrebbero intascato la maggior parte dei tre miliardi di dollari che gli Stati uniti e i loro alleati avrebbero investito nel conflitto. L'Isi ha dato la preferenza ai gruppi estremisti che rappresentavano una piccola minoranza di afghani. Incoraggiando le associazioni islamiche militanti del mondo intero a unirsi alla jihad in Afghanistan, la Cia ha commesso un altro errore.
Il paese è diventato una base per Osama bin Laden e per vari gruppi durante la seconda metà degli anni '80, mentre i Sovietici erano ancora presenti nel paese. Un'ondata che si è intensificata con l'appoggio dell'Isi e della Cia anche dopo la loro partenza nel 1989 e a causa della resistenza, del tutto imprevista, del regime filo-comunista.
Agli avvertimenti che arrivavano loro da più parti che il mostro che stavano creando potesse sfuggire al loro controllo, i dirigenti americani rispondevano: più gli jihadisti saranno militanti, più combatteranno fanaticamente i russi o i loro alleati. I responsabili pakistani di questa politica, gli ex-generali dell'Isi, sarebbero diventati i protagonisti chiave del regime militare che si è impadronito del potere nel 1999. L'Isi canalizzava gli aiuti verso gruppi islamisti più militanti, molto meno influenti degli elementi moderati della resistenza, la cui base si collocava nelle tribù pashtun (3). Il Pakistan temeva che, finita la guerra, la maggioranza pashtun d'Afghanistan rivendicasse di nuovo la provincia pakistana della Northwest Frontier, a maggioranza pashtun. Questa regione era stata conquistata dai britannici e data al Pakistan dopo l'indipendenza, nel 1947 (4).
Secondo l'Isi, occorreva formare collaborazionisti afghani in grado di costruire e dirigere uno stato vassallo dopo la guerra. I servizi segreti hanno in un primo tempo scelto Gulbuddin Hekmatyar, il dirigente del gruppo ultra-radicale Hezb-i-Islami, che tuttavia poteva contare su scarsi appoggi interni ed è stato dunque abbandonato con l'arrivo dei taliban (5). Questi costituivano una risposta afghana autentica alla corruzione dei gruppi della resistenza. Anche se, contrariamente a Hekmatyar, i mullah che hanno lanciato il movimento disponevano di una vera base locale, questa non sarebbe mai bastata ad assicurare loro la vittoria. Una vittoria che non deve granché agli studenti delle madrasa (scuole religiose). Essi hanno vinto solo grazie all'Isi e all'esercito pakistano che ha fornito loro le armi, un sostegno logistico e uomini - non soltanto militari pakistani, ma anche ufficiali e soldati del vecchio esercito comunista, ormai arruolati dall'Isi.
D'altro canto, l'Isi ha utilizzato il denaro dell'aiuto americano per assicurarsi una base solida all'interno delle istituzioni dell'esercito e della burocrazia pakistani. L'Isi ha continuato a sfuggire a ogni controllo sia durante i regimi civili di Benazir Bhutto (1993-1996) e di Nawaz Sharif (1997-1999), sia sotto le dittature militari. Nel febbraio 1999, Nawaz Sharif ha lanciato in direzione dell'India una offensiva di pace che ha avuto il suo punto più alto a Lahore durante l'incontro al vertice con il primo ministro Atul Behari Vajpayee.
Ha così scatenato la forte opposizione dell'Isi e dei suoi alleati dell'alto comando, diretti dal generale Mohammed Aziz. L'offensiva di Kargil del mese di maggio, una flagrante violazione della linea del cessate il fuoco nel Kashmir, puntava a sabotare questa apertura di pace. Nawaz Sharif è stato consultato solo all'ultimo momento, quando ormai l'offensiva non poteva più essere fermata. E alla fine, in agosto, è riuscito comunque a far prevalere le sue posizioni ottenendo il ritiro delle forze pakistane, nonostante le violente proteste dell'esercito e dell'Isi. Ne è seguito un braccio di ferro che ha portato alla sua destituzione mediante un colpo di stato. Tensione negli alti gradi dell'esercito Sebbene Musharraf abbia promesso elezioni per il prossimo anno, il suo ruolo di uomo di paglia sembra andargli a genio e le forze armate, con i loro alleati dei gruppi islamisti militanti, resteranno in futuro la forza determinante. Le pressioni americane per una cooperazione di tipo militare e di intelligence nella caccia a Osama bin Laden hanno ravvivato le tensioni già assai vive all'interno del regime militare. Se il presidente Musharraf si mostra troppo bendisposto rispetto alle richieste americane, potrebbe essere rovesciato da un colpo di stato. Ma l'opzione più probabile è che conceda il minimo possibile agli Stati uniti - in cambio del massimo in termini di concessioni (è appena riuscito ad ottenere il ritiro delle sanzioni americane contro Islamabad) - evitando al contempo lo scontro con le frange più estreme. Chiuderà probabilmente un occhio sulla prosecuzione del sostegno clandestino dell'Isi ai taliban. Islamad non è disposta a rinunciare al suo obiettivo di trasformare l'Afghanistan in uno stato satellite e a realizzare il sogno del dittatore Zia Ul Haq di un «riallineamento strategico» nella regione.



note:

*Membro di The Century Foundation, Washington. Autore, in particolare, con Diego Cordovez, di Out of Afghanistan: The Inside Story of the Soviet Withdrawal, American Philological Association, 1995.

(1) Si legga Ignacio Ramonet, «Il Pakistan e gli altri», Le Monde diplomatique/il manifesto, novembre 1999.

(2) Si legga Negarajan V. Subramanian, «Ombre nucleari sul Kashmir», Le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 1999.

(3) Fino al diciannovesimo secolo, lo stato afghano - creato nel 1747 dalle tribù pashtun guidate da Ahmad Shah Durrani - comprendeva le zone pashtun dell'attuale nord-ovest del Pakistan. Poi, nell'ambito del «grande gioco», il raj britannico ha annesso la parte del territorio afghano situato tra il fiume Indo e il Khyber Pass. La metà dei pashtun sfuggì così al controllo di Kabul. A questa ferita, la Gran Bretagna aggiunse un ulteriore insulto, imponendo nel 1893 la linea Durant, che avallava la conquista, e cedendo poi il territorio al Pakistan, nel 1947. Con questa divisione dei pashtun, i britannici creavano un irredentismo esplosivo che avrebbe ossessionato i successivi regimi di Kabul, a dominazione pashtun, e ha contriibuito ad avvelenare le relazioni tra Pakistan e Afghanistan.
(4) «Divisions de la résistance et conflits ethnique hypothèquent l'avenir de l'Afghanistan», Le Monde diplomatique, aprile 1988.

(5) Si legga Ahmad Rashid, «In Afghanistan, l'ora dei taliban», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1995 e Gilles Dorronsoro.
«Afghanistan isolato, taliban più forti», giugno 2001.
(Traduzione di M. G. G.)
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