EUROPA, “OCCIDENTE”,
ISLAM: PROFILO STORICO E PROSPETTIVE
di Franco Cardini *
DUE FONDAMENTALISMI DA
SMASCHERARE.
Esiste senza dubbio un "fondamentalismo"
islamico: è ormai così che siamo abituati e definire - con
un termine preso a prestito dal lessico delle sette cristiane statunitensi
- l'atteggiamento di una quantità di gruppi e di scuole (peraltro
differenti e sovente in conflitto tra loro), nati intorno agli Anni Venti
e sviluppatisi soprattutto nei Sessanta-Settanta del XX secolo, alcuni
dei quali postulano un'applicazione della normativa giuridica emergente
dal Corano e dalla Tradizione (sunna) letteralmente accettati e senz'alcuna
elaborazione esegetica, mentre altri sostengono di voler reinterpretare
l'Islam nel suo complesso per ricondurlo alla purezza delle origini.
Atteggiamenti del genere,
com'è noto, sono stati e in qualche misura sono propri anche di
alcune sètte o Chiese cristiane che, dal medioevo alla Riforma fino
ai giorni nostri, hanno proposto un impossibile "ritorno alle origini"
della "Chiesa primitiva", quella "degli Apostoli". Nel mondo islamico,
le pretese accampate da questi gruppi fondamentalisti possono in realtà,
in qualche misura, rifarsi alle tesi di movimenti religioso-politici del
passato (si sono di recente chiamati in causa, un po' impropriamente, gli
sciiti ismailiti della cosiddetta "Setta degli Assassini", fra XI e XIII
secolo).
Ma nell'insieme si tratta
di istanze nuove, che ben si potrebbero qualificare come "moderniste":
anche - e soprattutto - quando pretendono di rifarsi a un passato remoto.
La loro nascita e il loro sviluppo di situano significativamente tra l'indomani
della prima guerra mondiale e la sconfitta araba nella "Guerra dei Sei
Giorni" del giugno 1967: dinanzi alla frustrazione profonda del mondo arabo-islamico
e islamico ingenerale, che alla fine del Settecento aveva accolto con quasi
unanime entusiasmo le proposte di modernizzazione che gli provenivano dall'Occidente
ma che ormai si sentiva da esso ripetutamente ingannato, tradito e umiliato
(inganni, tradimenti e umiliazioni che non erano affatto solo immaginari),
nasceva quasi spontanea l'idea di tornare alla purezza della tradizione
musulmana come unico rifugio e unica base per una nuova partenza spirituale,
sociale e politica. Ma l'implausibilità delle tesi fondamentaliste
- respinte difatti dalla stragrande maggioranza del mondo islamico - consiste
tanto nell'impossibilità obiettiva d'un'applicazione letterale e
normativa di Corano e di Tradizione come fondatrice d'una vera convivenza
civile, quanto nell'arbitrarietà di tale strada mai proposta finora
e quanto, infine, nel carattere non religioso bensì politico della
tesi secondo cui il dovere principale del musulmano sia la lotta contro
il "satana occidentale".
Questa tesi è una
sorta di leninismo politico applicato alla fede, che sostituisce la lotta
di classe con la lotta religioso-culturale: dovere del musulmano è,
semplicemente, uniformarsi con intimo consenso alla volontà di Dio.
Tale il significato della parola Islam, la radice della quale è
la stessa della parola Salam ("pace"). Sarebbe bene non confondere quindi
il sostantivo "Islam" e l'aggettivo "islamico" (o, meglio, "musulmano",
che rispetta di più il termine originario), che indica il fedele
dell'Islam, con i brutti neologismi "islamismo" e "islamista", che tuttavia
potrebbero venir usati per indicare le idee e i sostenitori della sciagurata
riduzione dell'Islam a ideologia politica. Una manovra, questa, che si
autodefinisce antioccidentale: mentre al contrario - accettando proprio
uno dei peggiori prodotti della cultura occidentale, l'ideologismo politico
- denunzia proprio una perniciosa dipendenza dall'Occidente nei suoi aspetti
meno positivi.
Esiste d'altronde, com'è
noto, anche un "fondamentalismo" occidentalistico: figlio della caratteristica
intolleranza illuminista, che usa com'è noto travestirsi da tolleranza
ma che al contrario è profondamente convinta che il mondo delle
democrazie liberali e del liberismo economico sia il migliore dei mondi
possibili e l'unico, finale e necessario traguardo possibile di qualunque
umana cultura.
Questo disprezzo per l'
"Altro-da-sé", capace di tollerare culture differenti dalla sua
solo nella misura in cui le ritiene fasi transitorie da percorrere per
giungere alla "maturità" occidentale e che in ultima analisi non
concepisce niente che nella breve o nella lunga durata possa sfuggire al
suo Pensiero Unico e ai modi di vita e di produzione da esso proposti,
sembra aver di recente guadagnato anche alcuni ambienti cattolici, magari
d'origine "tradizionalista". .
Siamo dinanzi a un nuovo,
inatteso totalitarismo. E difatti, ne ha i connotati. Annah Arendt sosteneva
che il totalitarismo, in quanto tale, ha bisogna di un "nemico metafisico":
ed ecco il "borghese" per il comunismo, l' "ebreo" per il nazismo.
Ma alla luce dello sviluppo
di parte del pensiero liberal-liberista in Europa e nel resto dell'Occidente,
segnatamente negli Stati Uniti, nell'ultimo mezzo secolo, si direbbe che
anch'esso sia o stia diventando un totalitarismo - pur non avendone i segni
espliciti esteriori e apparenti: l'organizzazione del consenso, il controllo
delle masse eccetera - perché, sperimentalmente anche se non teoricamente,
non sembra poter fare a sua volta a meno di un "nemico metafisico".
Tale è stato e rimane
per sempre il nazismo; tale è stato, dopo la sconfitta di esso,
il comunismo (o quanto meno, come riduttivamente qualcuno preferisce sostenere,
lo stalinismo e i suoi postumi).
Spariti questi due mostri,
rispettivamente del tutto nel 1945 e in una certa misura nel 1989, sembra
che i liberal-liberisti non si siano sentiti comunque del tutto a loro
agio finché non hanno individuato un nuovo mortale avversario nell'Islam.
A tale scopo, naturalmente, una manovra riduzionistica era necessaria:
ed ecco che i fondamentalisti nostrani - con la pretesa di monopolizzare
l'intero pensiero democratico e di rappresentare il Bene e il Giusto -
hanno decretato che tutto l'Islam è per sua natura fondamentalista
o suscettibile di divenirlo; e che tutti i gruppi fondamentalisti sono
filoterroristi o potenzialmente fiancheggiatori e simpatizzanti del terrorismo.
E, con una caratteristica
manovra ricattatorio-intimidatoria tipica di tutte le Cacce alle Streghe
che si rispettino, gli studiosi, i politici e i pubblicisti che si oppongono
a questa manipolazione livellatrice e fanatica della realtà, sono
accusati di essere filoislamici (quindi, si sotintende, filofondamentalisti
e filoterrorisii) essi stessi.
E' un comportamento identico
a quello tenuto, tra Quattro e Cinquecento, dai teologi e dai giuristi
fautori della realtà dei poteri stregonici: chi non ci credeva,
veniva segnato letteralmente a dito come stregone o protettore di streghe
egli stesso.
Diciamo la verità.
Siamo dinanzi al pericolo di un vero contagio intellettuale e massmediale,
che potrebbe dar luogo a un nuovo fenomeno maccartista. D'altronde, l'immagine
dell'Islam come "millenario avversario" del nostro Occidente ha largo corso
in un mondo disinformato, dotato di scarsa e superficiale conoscenza della
storia, abituato agli schemi scolastico-bignameschi, poco abituato a pensare
per categorie religiose incline quindi a sottovalutarle e a considerare
semplicisticamente i fenomeni che le riguardano, senza far le dovute distinzioni)
e infine profondamente scosso dopo i tragici fatti dell'11 settembre del
2001.
Bisogna dire che questo
errore di prospettiva, irresponsabilmente avallato da alcuni mass media
e opinion makers, riceve purtroppo un'apparente conferma indiretta nel
comportamento di alcuni ambienti musulmani, essi stessi molto poco informati
sia della sostanza della loro fede, sia della -del resto molto complessa
- realtà politica e culturale del nostro mondo, nel quale essi magari
si trovano per esigenze di lavoro o di sopravvivenza, che credono di conoscere
sufficientemente perché ne parlano un po' le lingue e ne guardano
i programmi televisivi, ma che nel nucleo profondo sfugge loro tragicamente.
In questo modo, i fondamentalisti
nostrani e quelli islamici, magari entrambi in buona fede, fanno entrambi
il gioco degli agenti terroristi il fine dei quali è, appunto, tradurre
in pratica l'infausta profezia di Samuel Hungtington e giungere allo scontro
fra civiltà.
Esiste un antidoto? Sì:
ma va assunto subito, e in massicce dosi, prima che sia troppo tardi. Non
è verso il melting pot multiculturale che bisogna andare, bensì
verso il salad bowl della convivenza entro uno stesso quadro pubblico e
istituzionale, nel rispetto delle medesime leggi e nel mantenimento di
quelle tradizioni proprie a ciascuna cultura che con tali leggi non siano
in contrasto.
Bisogna moltiplicare - a
cominciare dalle istituzioni, dai posti di lavoro, dalle scuole - le occasioni
d'incontro, approfondire le nostre rispettive identità e al tempo
stesso studiare e conoscere meglio e più da vicino quelle altrui.
Io non credo nella tolleranza astratta: valore debole e retorico, che vacilla
al primo soffiar del vento della retorica e del fanatismo, che crolla alla
prima ingiusta violenza di cui si sia vittime o spettatori e che non si
riesca a razionalizzare e ad analizzare nella sua struttura storica.
Io credo nell'incontro,
nell'interesse e nella simpatia reciproci che ne nascono, nel confronto
tra le tradizioni e le culture condotto nel rispetto reciproco e nel desiderio
di rafforzare la propria identità attraverso l'accettazione di quel
che è accettabile nelle culture altrui e l'arricchimento che ne
deriva. A chi è più vicino un credente cattolico occidentale:
a un ateo occidentale o a un ebreo o a un musulmano che condividono la
sua fede nel Dio d'Abramo e nella Rivelazione, nel dialogo tra Dio e l'uomo?
A chi è più vicino un euro-meridionale: a un arabo-mediterraneo
o a un baltico?
Occidente e Islam: le
sei fasi di un confronto storico.
Un
primo nemico da battere è proprio il pregiudizio psuedostorico,
l'aberrante - e a prima vista del tutto naturale, verosimile e fededegna
- presupposto della tesi di Samuel Hungtington. Che potrebbe essere anche
buon profeta, dal momento che il futuro storico è inipotecabile,
che la storia non ha alcun senso immanente e che non c'è futurologia
che tenga; ma senza dubbio è un cattivo storico, un incompetente
nelle questioni del nostro passato. L'aberrante presupposto di Hungtington
è che quattordici secoli di storia dimostrano che fra Occidente
e Islam la guerra è stata continua: da tale presupposto errato egli
fa derivare - con sconcertante semplicismo deterministico - la conseguenza
che così sarà anche in futuro. La grottesca fragilità
di tale inconsistente ragionamento è palese.
Tuttavia, anche se esso
fosse rigorosamente corretto, il presupposto resterebbe errato. L'arabo,
l'arabo-musulmano, il musulmano tout court come nemici costanti dell'Occidente
(e lasciamo perdere il fatto che tra Europa e Occidente è ormai
molto discutibile esista una perfetta e totale identità dopo
il XVI secolo).
Diciamolo chiaro. Questa
della guerra costante e della continua inimicizia tra Occidente e
Islam è una balla che può esser bevuta solo dagli ohimè
troppi nipotini del benemerito garibaldino ed editore Enrico Bignami,
inventore del sapere scolastico ridotto in pillole. I molti pacifisti
che ieri accusavano di "revisionismo" gli storici i quali si ostinavano
a sostenere che la crociata era qualcosa di molto differente da quella
guerra di religione ispirata dal fanatismo che essi credevano (Voltaire
ridotto appunto in bignamesche pillole...) e che oggi invece si fanno fautori
di nuove necessarie crociate per la difesa della libertà, del progresso
e magari anche della Borsa, debbono rassegnarsi a tornare a scuola.
E arrendersi all'evidenza
che la storia, quella vera, insegna. Che cioè i lunghi secoli del
confronto tra Europa e Islam furono certo caratterizzati da crociate e
controcrociate, e non certo senza episodi violenti e sanguinosi;
ma che la crociata non era affatto, non fu mai guerra "totale"; che in
quei lunghi secoli - nei quali le guerre guerreggiate furono nel complesso
endemiche, ma brevi e quasi sempre poco cruente - quel che di gran
lunga prevalse fu il costante, continuo, profondo rapporto amichevole fra
cristiani e musulmani nel teatro del mare Mediterraneo. Un'amicizia che
si riscontra continua: a livello economico, diplomatico, culturale. A questo
rapporto dobbiamo la rinascita dei commerci e della civiltà urbana
dopo la stasi altomedievale; gli dobbiamo la nascita del sistema monetario
e creditizio moderno; gli dobbiamo - grazie a uno stuolo d'instancabili
traduttori arabi, ebrei e cristiani che lavoravano di comune accordo, soprattutto
in Spagna - la stessa nascita scientifica e culturale della teologia, della
filosofia, dell'astronomia, della fisica, della chimica, della medicina,
della matematica, della tecnologia moderne.
Senza l'apporto dell'Islam
- riciclatore della cultura ellenistica e divulgatore di quelle persiana,
indiana e cinese altrimenti sconosciute all'Europa - non sarebbe mai nata
la splendida Europa delle cattedrali e delle università, l'Europa
dalla quale è scaturita quella stessa modernità di cui tanto
andiamo fieri. Gloria e riconoscenza eterna, diciamolo da europei
e da moderni, all'Islam di Avicenna, di Averroè, di Ibn Khaldun:
senza i quali non avremmo avuto né Abelardo, né Tommaso d'Aquino,
né Dante, né Machiavelli, né Galileo. Certo,
l'Islam di oggi non è più quello di allora. Ma anche
su ciò, bisogna intenderci. Europa e Islam hanno potuto trattare
da pari a pari finché sono stati più o meno sullo stesso
piano. Cerchiamo di distinguere i loro rapporti in sei specifiche fasi.
Prima fase. Fino
all'XI secolo, musulmani e bizantini erano incommensurabilmente più
colti, più civili, più ricchi dei rozzi euro-occidentali
scaturiti dalla decadenza della pars Occidentis dell'impero romano e
dall'incontro - del resto fecondissimo - con le culture eurasiatiche.
Seconda fase.Tra
XIII e XVI secolo europei occidentali e musulmani poterono trattare su
un sostanziale piede di parità. Si fecero crociate e controcrociate,
si affermarono una letteratura, un diritto, una finanza della crociata.
Intanto, però, gli scambi economici, diplomatici e culturali properavano.
A metà del XII secolo
si organizzò a Toledo la prima traduzione del Corano.
Dante usò un libro mistico-allegorico arabo-iberico come testo ispiratore
della Divina Commedia. Abelardo, Raimondo Lullo e Nicola Cusano scrissero
trattati per dimostrare che le tre fedi nate dal ceppo di Abramo erano
sorelle e sostanzialmente convergenti sui grandi temai del primato dell'uomo
nel creato e dell'irruzione di Dio nella storia, la Rivelazione.
Terza fase. A partire
dalla seconda metà del Cinquecento - grosso modo all'indomani della
morte di Solimano il Magnifico, nel 1566 - l'Occidente, nonostante la dura
crisi economico-finanziaria che stava affrontando, cominciò a distanziarsi
decisamente da qualunque altra cultura. Le invenzioni, le scoperte geografiche
e soprattutto la navigazione oceanica costituirono l'autentica , irripetibile
e irreversibile "eccezione occidentale" nella storia del mondo. Fino ad
allora le differenti culture sparse nell'ecumène avevano comunicato
tra loro in modo rapsodico, spesso casuale: ora, le navi e i cannoni
occidentali travolsero questo mondo a "compartimenti stagno" e avviarono
quell' "economia-mondo" ch'è la prima
fase di quel processo di globalizzazione che
solo ai giorni nostri sembra giungere alla sua fase più matura e
alle sue conseguenze (forse perfino alla sua conclusione, qualunque essa
sia: ed è ancora presto per dire quale).
La culture islamiche (e
bisogna tener presente che l'Islam è unico e unito nella sua comunità
religiosa, l'umma: diviso però in una pluralità di culture,
si stati, di scuole, di gruppi confraternali) non furono da allora più
in grado di dialogare e di competere con l'Occidente. Tra XII e XVI secolo,
esse avevano funto da tramite temporale e spaziale: avevano passato all'Europa
la cultura ellenistica antica da essa dimenticata o sconosciuta, avevano
svolto una funzione di tramite delle ricche merci estremo-asiatiche verso
il Mediterraneo sia per terra (la "Via della Seta"), sia per mare (le rotte
monsoniche dell'Oceano Indiano). Ma ora, gli europei padroni degli strumenti
e delle rotte che circumnavigavano il mondo potevano aggirare i tra grandi
imperi musulmani esistenti nel continente eurasiatico moderno, cioè
il turco ottomano, il persiano safawide, il turco-mondolo-indiano moghul.
Ed essi, aggirati, cominciarono prima a decadere progressivamente sul piano
economico e commerciale, poi a chiudersi su se stessi e a sclerotizzarsi
su quello spirituale e culturale (gli arabi erano già entrati in
crisi almeno a partire dal primo Trecento).
Quella che agli occidentali
è sembrata la "seconda ondata" dell'immaginario "assalto islamico
all'Europa", dopo la fase espansionistica dei secoli VII-X, cioè
l'insieme delle guerre combattute dai turchi ottomani nel Mediterraneo
e nella penisola balcanica, è stata in realtà una sorta di
partita di giro con le differenti potenze europee, in cui le alleanze cristiano-musulmane
si allacciavano e si scioglievano di continuo. E' noto che la corona francese
tra Cinque e Settecento fu costantemente un' alleata occulta - ma non troppo
- della Sublime Porta: e che il lavoro dei pubblicisti e degli eruditi
francesi di quel tempo, che inventarono l'epopea delle crociate come gloria
europea ma soprattutto francese costruendo così la trappola nella
quale sarebbero caduti i nipotini dell'editore Bignami, nacque proprio
per fornire al Re Cristianissimo, costante alleato del Turco, un alibi
come scudo e spada della Cristianità.
E' non meno noto che i
principi protestanti, l'Inghilterra e a turno Venezia e l'imperatore romano-germanico
si allearono con gli ottomani contro i loro fratelli in Cristo.
E' risaputo che dietro
il massacro turco degli otrantini, nel 1480. Non c'era la volontà
del sultano, bensì la diplomazia di Venezia (e forse quella di Firenze)
tesa a creare guai al re aragonese di Napoli e a contendergli la supremazia
sullo sbocco dell'Adriatico. E' notissimo che il Sacro Romano Imperatore
non concedette né un soldo né un soldato per la "splendida
vittoria cristiana" di Lepanto del 1571 (della quale certi fondamentalisti
cattolici vanno tanto fieri), e che il solo a rallegrarsi sul serio di
essa fu lo shah di Persia, musulmano sì, ma sciita e nemico giurato
del sultano sunnita di Istanbul. E' cosa detta e ridetta che i francesi
e i protestanti (e, nel primo caso, perfino il papa, allora in guerra con
Carlo V) furono lietissimi dei due assedi di Vienna, quello del 1529
e quello del 1683. E' arcinoto e facilmente verificabile che tra musulmani
e cristiani ci sono state molte meno guerre, e molto meno gravi, che non
fra tedeschi e francesi o tra spagnoli e inglesi. Lo sanno o dovrebbero
saperlo tutti i mediocri conoscitori di storia che le vere guerre di religione
combattute nella nostra storia sono state quelle fra cattolici e protestanti
dalla Germania del primo Cinquecento alla Francia della seconda parte di
quel medesimo secolo all'Inghilterra, alla Scozia, all'Irlanda e a tutta
l'Europa della prima metà del Seicento. Lì sì che
c'erano odio e fanatismo.
Quinta fase. Fino
al Settecento, il mondo islamico rimase sostanzialmente - a parte la sua
periferia sud-orientale, tra Giava, Sumatra e Borneo, e alcune zone
dell'India - non toccato dagli interessi e dagli appetiti colonialistici
degli occidentali. La Spagna cercò ripetutamente d'impadronirsi
di alcune zone dell'Africa settentrionale arabizzata e islamizzata, i portoghesi
e più tardi gli inglesi mangiucchiarono qualche frangia dell'islam
estremo-asiatico: e fu tutto. Ma col Sette-Ottocento le cose cambiarono.
Francesi e inglesi si misurarono in India durante la "Guerra dei Sette
Anni"; nel 1798 il generale Bonaparte sbarcò in Egitto, cercò
di sollevare i musulmani di quel paese contro il loro sovrano turco nel
nome del trinomio rivoluzionario Liberté-Egalité-Fraternité
ch'egli presentò magistralmente come l'essenza dello stesso
Islam. E i musulmani ci credettero.
Così francesi e
inglesi si apprestarono a conquistare Africa settentrionale - e non solo
- e Vicino Oriente asiatico, spartendosi l'immensa regione tra Caucaso
e Golfo di Aden; intanto inglesi e russi, tra Mar Caspio e Himalaya, si
misurarono nel Great Game tanto ben descritto da Rudyard Kipling
per spartirsi l'area centro-meridionale dello sterminato continente asiatico;
e lo czar, ora in accordo ora in lotta con l'impero austriaco, cercò
di appropriarsi di quelle parti dell'impero turco che gli avrebbero altrimenti
impedito di affacciarsi sul Mar Nero e sull'Adriatico.
Mentre gli europei suscitavano
e appoggiavano in funzione antiturca i nazionalismi serbo, greco e armeno,
s'immettevano cultura e modo di vivere occidentali fra le borghesie
sirolibanesi ed egiziane esportando fra loro anche un'idea nuova per il
mondo musulmano, quella di patria, e inducendole a credere che grazie
all'appoggio dell'Occidente il mondo arabo sarebbe pervenuto alla nahda
("rinnovamento", "rinascita"), liberandosi progressivamente dallo sclerotico
e oppressivo giogo turco e godendo dei frutti del progresso europeo. E
i musulmani in genere, gli arabo-musulmani, ci caddero in pieno. I figli
degli sceicchi e dei ricchi mercanti accorsero a studiare a Oxford,
a Cambridge, a Parigi (dove purtroppo credettero alla triste fiaba romantica
delle crociate come guerre coloniali avant la lettre: e diffusero
quell'idea nel mondo musulmano, gettando le basi per l'inizio del risentimento
"secolare").
Da istanbul a Damasco ad
Alessandria si diffusero le logge massoniche musulmane, all'interno delle
quali si approfondiva il tema del rapporto tra razionalismo e umanitarismo
occidentale da una parte, etica islamica dall'altra.
Nella prima guerra mondiale,
il mondo arabo partecipò alla "rivolta nel deserto" raccontata da
Thomas E. Lawrence contro i turchi: in cambio, francesi e inglesi avevano
promesso al Guardiano dei Luoghi Sacri della Mecca, lo sharif ("nobile",
"discendente del profeta") Hussein l'unità e l'indipendenza di una
"grande Arabia" dall'Oronte al Nilo al all'Eufrate al Golfo di Aden
da sottoporre al suo scettro. Nulla di ciò avvenne. Inglesi e francesi,
al contrario, frazionarono dopo la guerra il mondo arabo in piccoli
stati cui imposero una veste vagamente occidentalizzante, affidarono l'Arabia
intera alla tribù fondamentalista dei wahabiti guidati dalla dinastia
dei Beni Saud (i "sauditi") e favorirono l'insediamento dei coloni sionisti
in Palestina, curando intanto di far imn modo di gestire direttamente
o indirettamente la nuova fondamentale ricchezza dell'Oriente della quale
l'Occidente era ghiotto: il petrolio. Tra 1918 e 1967, tra Versailles e
la Guerra dei sei Giorni, arabi e musulmani passarono, nei confronti dell'Occidente,
da una delusione e da una frustrazione all'altra.
Sesta fase.
Dopo l'ondata della conquista dei secoli VII-X e quella della intermittente
guerra turco-ottomana contro l'Europa, ecco quella che qualcuno
chiama la "terza ondata" dell' immaginario assalto musulmano all'Europa.
Quello degli extracomunitari e dei clandestini. Quello ancora privo di
armi nel senso vero del termine, ma tuttavia "armato" di aggressività
culturale e di vitalità demografica e sostenuto dalla propaganda
fondamentalista che mina con l'immigrazione dall'interno quel "Satana occidentale"
che vuol colpire con il terrorismo all'esterno.
E' un'interpretazione folle:
che tuttavia è condivisa tanto da alcuni estremisti islamici ("islamisti",
appunto, come si dovrebbero più propriamente chiamare: e nelle ragioni
dei quali la religione ha ben poco posto) quanto da alcuni fanatici occidentalisti
che hanno bisogno d'identificare nell'Islam il nuovo "nemico metafisico".
Diagnosi e possibili
terapie. E' fondamentale gestire la sesta fase dei rapporti
tra Occidente e Islam, nella quale attualmente ci troviamo,
con saggezza e moderazione. Tagliando l'erba sotto i piedi alla velenosa
campagna demagogica dei fondamentalisti islamici: vale a dire distinguendo
nettamente gli ambienti, i filoni e i fini dei differenti ambienti musulmani;
stringendo sempre più i rapporti con la stragrande maggioranza islamica
che desidera articolare un rapporto di convivenza tra modernità
e Islam; collaborando a risolvere alcuni problemi cruciali - come quello
israeliano-palestinese o quello dell'inutile e vergognoso embargo all'Iraq
che non intacca il potere di Saddam Hussein e causa sofferenze indicibili
al suo popolo - che, irrisolti, procurano al fondamentalismo e forse allo
stesso terrorismo simpatìe e connivenze mentre, se fossero risolti,
contribuirebbero straordinariamente a rasserenare gli animi. Bisogna colpire
il terrorismo non solo nei suoi "santuari" politico-militari,
ma anche nelle sue prospettive propagandistiche, combattendo le "sacche
di disperazione" che nel mondo musulmano alimentano la folle speranza che
quella infame forma di lotta possa condurre a una qualunque redenzione
politica e sociale.
E' necessario rivedere
la politica censoria e sanzionistica contro i cosiddetti "stati-canaglia",
una definizione diplomaticamente imprudente e politicamente oltraggiosa,
e favorire un loro riavvicinamento al mondo occidentale. E' importante
alleviare in ogni modo l'ingiustizia e la sperequazione nel mondo, perché
i popoli poveri questo aspettavano dall'Occidente e questo gli rimproverano
di non aver fatto: Perché senza giustizia non può esserci
- come ha ricordato giovanni paolo II - vera pace. E' fondamentale, nel
caso sia assolutamente inevitabile ricorrere alla forza militare contro
i terroristi, accertare e dimostrare prima le loro responsabilità
e non coinvolgere in rappresaglie di sorta nessun innocente: il contrario,
fornirebbe ai terroristi quello che cercano, nuovi martiri seme di nuovi
adepti.
E' inoltre indispensabile
che i nostri mass media abbandonino una volta per tutte quell'infame
oltre che pericolosa pratica che consiste nel dar ragione ai terroristi
dipingendo continuamente l'Islam come non è ma come essi vorrebbero
ridurlo ad essere: una fede guerriera e sanguinaria, che ha come scopo
l'assoggettamento del mondo e la lotta alla libertà di religione
e di coscienza. A tale riguardo, non mancano purtroppo i politici e i pubblicisti
semicolti che prestano orecchio ai seminatori nostrani di menzogne o di
mezze verità.
Dev'esser chiaro che non
corrisponde al vero, e che non giova a nessuno, distribuire spezzoni di
teologia o di diritto musulmani e sparare raffica di citazioni coraniche
avulse dal loro contesto e prive di qualunque sistemazione critica
per dimostrare che la fede coranica è violenta e sanguinaria. A
colpi di estrapolazioni, di citazioni manipolate, di confusione fra teorie
teologiche e avvenimenti storici a loro volta decontestualizzati,
si potrebbero provare anche la natura violenta e sanguinaria della Bibbia,
perfino del Vangelo ("non sono venuto a portare la pace, ma la spada",
Matteo, 10,34) ; si potrebbe sostenere il carattere feroce e liberticida
anche dell'ebraismo e del cristianesimo, perfino di certi ambienti buddhisti,
per non parlare dalle varie ideologie occidentali rezionaliste e laiciste,
a cominciare dall'illuminismo (e stendiamo un velo sui pensatori dei liberi
Stati Uniti, dal "padre" Cotton Mathers fino a Jefferson e a Monroe).
Se faremo tutto questo,
riusciremo a spezzare la spirale di violenza che ci sta avvolgendo, e della
quale siamo certo in parte vittime - ma non siamo i soli ad esserlo - ,
in parte tuttavia anche coprotagonisti. Se cercheremo di alimentare nuove
crociate, sia pure per replicare agli sconsiderati jihad scatenati contro
di noi da minoranze irresponsabili che pretendono di agire nel nome di
tutto l'Islam, forse vinceremo molte battaglie. Ma la guerra sarà
dura, lunga, dolorosa: e finiremo - non illudiamoci - col perderla tutti.
* * * * * * * * * * * *
Il Prof. Franco Cardini,
docente di Storia medievale presso le Università di Firenze e San
Marino, è il presidente di IDENTITA’ EUROPEA (www.identitaeuropea.org),
un’Associazione Culturale Internazionale che si propone di favorire la
conoscenza delle radici storiche, culturali e spirituali dell’Europa. |