Le indagini sul terrorismo fondamentalista bloccate e il vice direttore
dell’FBI che, da buon irlandese, sbatte la porta e si dimette. Gli emissari
dei Talebani, accolti amichevolmente a Washington, con la mediazione della
nipote dell’ex direttore della Cia; e ancora il vicepresidente di una grande
compagnia petrolifera che disegna in un audizione al Congresso la strategia
Usa per l’Asia centrale e l’Afghanistan in particolare; un plenipotenziario
statunitense che dice, chiaro e tondo, ai Talebani di scegliere tra l’oro
e il piombo. Sono solo alcune delle mosse giocate negli ultimi anni sulla
grande ed impervia scacchiera dell’Asia centrale.
nella cartina, il percorso
dell'oleodotto mai costruito
La chiave per il petrolio dell’Asia centrale
Al centro della partita ci sono due lunghi serpenti d’acciaio. Per
adesso ancora solo sulla carta, ma dovrebbero tagliare in due l’Afghanistan.
In uno, viaggeranno ogni giorno un milione di barili di greggio proveniente
dai giacimenti dell’ex URSS, nel secondo correrà il gas che sgorga
dai giacimenti di Dauletabad in Turkmenistan. Due arterie strategiche per
rendere accessibile alle grandi compagnie petrolifere americane le immense
riserve di idrocarburi dell’Asia centrale.
Il 65% delle riserve mondiali
Per
dare solo un’idea della proporzione della posta in gioco, basta ricordare
che la stima delle riserve del Caspio è di circa 263mila miliardi
di piedi cubici di gas naturale e di 60 miliardi di barili di petrolio,
pari al 65% delle riserve mondiali. Un tesoro immenso che ha un solo handicap:
la distanza dai mercati. La soluzione? Ecco cosa propone John J. Maresca,
vicepresidente delle relazioni internazionali di Unocal Corporation, una
delle principali compagnie mondiali nel campo delle risorse energetiche
e dei progetti. La Unocal farà parte del consorzio Cent-Gas, fino
alla fine del 1998, quando sarà costretta, dalle pressioni dell'opinione
pubblica americana, ad uscire ufficialemente dalla struttura che mediava
con il regime dei Talebani, salvo poi a mostrare un forte interesse a rientrare
a pieno titolo nel progetto nel marzo del 2000, pochi mesi prima delle
elezioni nelle quali era favorito il candidato repubblicano.
Al progetto la Unocal aveva lavorato sin dal 1994. Lo riferisce Ahmed
Rachid, in uno studio pubblicato nel marzo scorso dalla Yale University.
"C'erano altre compagnie in campo - scrive Rachid - come l'argentina Bridas.
Ma Washington e Riad si sono impegnate per convincere tutti i diretti interessati
ad escludere Bridas. All'epoca Unocal aveva aperto i suoi uffici di rappresentanza
nelle zone controllate dai Talebani"
L’audizione al Congresso
John
J. Maresca si presenta il12 febbraio 1998 davanti al sottocomitato del
Congresso degli Stati Uniti pere l’Asia e il Pacifico per parlare proprio
dei progetti della Unocal e delle altre compagnie petrolifere sugli idrocarburi
dell’Asia centrale. Il problema come abbiamo detto è il trasporto.
Maresca spiega nella sua audizione - che RaiNews24 è in grado di
documentare - lo stato dell’arte e i progetti. Al momento gli unici sbocchi
possibili sono il Mar Nero e il Mediterraneo, con delle linee di oleodotti
che attraversano le ex repubbliche sovietiche e la Turchia. Se tutti questi
progetti fossero pero’ realizzati - spiega il vicepresidente della Unocal
- non potrebbero garantire tutta la distribuzione e soprattutto puntano
verso mercati che non potrebbero assorbire questa produzione. Sentiamolo.
"Noi dell'Unocal - afferma Maresca - riteniamo che il fattore centrale
nella progettazione di questi oleodotti dovrebbe essere la posizione dei
futuri mercati energetici che verosimilmente assorbiranno questa nuova
produzione.
L'Europa occidentale, l'Europa centrale e orientale e gli stati ora
indipendenti dell'ex Unione sovietica sono tutti mercati a crescita lenta,
in cui la domanda crescerà solo dallo 0,5% all'1,2% all'anno nel
periodo 1995-2010".
L’Asia sarà il grande cliente del futuro
"L'Asia
è tutto un altro discorso - sostiene Maresca - Il suo bisogno di
consumo energetico crescerà rapidamente. Prima della recente turbolenza
nelle economie dell'Asia orientale, noi dell'Unocal avevamo previsto che
la domanda di petrolio in questa regione si sarebbe quasi raddoppiata entro
il 2010. Sebbene l'aumento a breve termine della domanda probabilmente
non rispetterà queste previsioni, noi riteniamo valide le nostre
stime a lungo termine.
Devo osservare che è nell'interesse di tutti che vi siano forniture
adeguate per le crescenti richieste energetiche dell'Asia. Se i bisogni
energetici dell'Asia non saranno soddisfatti, essi opereranno una
pressione su tutti i mercati mondiali, facendo salire i prezzi dappertutto."
Come portare gas e petrolio ai clienti asiatici?
"La
questione chiave è dunque come le risorse energetiche dell'Asia
centrale possano essere rese disponibili per i vicini mercati asiatici.
Ci sono due soluzioni possibili, con parecchie varianti. Un'opzione è
dirigersi a est attraversando la Cina, ma questo significherebbe costruire
un oleodotto di oltre 3.000 chilometri solo per raggiungere la Cina centrale.
Inoltre, servirebbe una bretella di 2.000 chilometri per raggiungere i
principali centri abitati lungo la costa. La questione dunque è
quanto costerà trasportare il greggio attraverso questo oleodotto,
e quale sarebbe il netback che andrebbe ai produttori. (...)
La seconda opzione è costruire un oleodotto diretto a sud, che
vada dall'Asia centrale all'Oceano Indiano. Un itinerario ovvio verso sud
attraverserebbe l'Iran, ma questo è precluso alle compagnie americane
a causa delle sanzioni.
Afghanistan scelta obbligata
"L'unico altro itinerario possibile è
attraverso l'Afghanistan - dice il vicepresidente di Unocal - e
ha naturalmente anch'esso i suoi rischi. Il paese è coinvolto in
aspri scontri da quasi due decenni, ed è ancora diviso dalla guerra
civile. Fin dall'inizio abbiamo messo in chiaro che la costruzione dell'oleodotto
attraverso l'Afghanistan che abbiamo proposto non potrà cominciare
finché non si sarà insediato un governo riconosciuto che
goda della fiducia dei governi, dei finanziatori e della nostra compagnia.
Abbiamo lavorato in stretta collaborazione con l'Università
del Nebraska a Omaha allo sviluppo di un programma di formazione per l'Afghanistan
che sarà aperto a uomini e donne, e che opererà in entrambe
le parti del paese, il nord e il sud."
Un gigante di oltre mille miglia
"La
Unocal ha in mente un oleodotto che diventerebbe parte di un sistema regionale
che raccoglierà il petrolio dagli oleodotti esistenti in Turkmenistan,
Uzbekistan, Kazakhstan e Russia. L'oleodotto lungo 1.040 miglia si estenderebbe
a sud attraverso l'Afghanistan fino a un terminal per l'export che verrebbe
costruito sulla costa del Pakistan. Questo oleodotto dal diametro di 42
pollici (poco più di un metro, ndt) avrà una capacità
di trasporto di un milione di barili di greggio al giorno. Il costo stimato
del progetto, che è simile per ampiezza all'oleodotto trans-Alaska,
è di circa 2,5 miliardi di dollari."
Ecco il nostro progetto
Poi
Maresca spiega quali sono in dettaglio i progetti sull’Afghanistan."Lo
scorso ottobre è stato creato il Central
Asia Gas Pipeline Consortium, chiamato CentGas, e in cui la Unocal
ha una cointeressenza, per sviluppare un gasdotto che collegherà
il grande giacimento di gas di Dauletabad in Turkmenistan con i mercati
in Pakistan e forse in India. Il prospettato gasdotto lungo 790 miglia
aprirà nuovi mercati per questo gas, viaggiando dal Turkmenistan
attraverso l'Afghanistan fino a Multan in Pakistan. Il prolungamento proposto
porterebbe il gas fino a New Delhi, dove si collegherebbe a un gasdotto
esistente. Per quanto riguarda il proposto oleodotto in Asia centrale,
CentGas non può cominciare la costruzione finché non si sarà
insediato un governo afghano riconosciuto internazionalmente."
Le nostre richieste
E avanza le richieste delle Compagnie all’Amministrazione e al Congresso.
"Noi chiediamo all'Amministrazione e al Congresso di sostenere con
forza il processo di pace in Afghanistan condotto dagli Stati Uniti. Il
governo Usa dovrebbe usare la sua influenza per contribuire a trovare delle
soluzioni per tutti i conflitti nella regione. L'assistenza Usa nello sviluppare
queste nuove economie sarà cruciale per il successo degli affari".
Orecchie attente sulle rive del Potomac
Le
parole di Maresca trovano orecchie attente nei circoli della politica americana
e soprattutto nella nuova Amministrazione guidata da Bush, dove non mancano
gli uomini e le donne che con il petrolio hanno una certa dimestichezza
a cominciare proprio dal Presidente e dal vicepresidente Cheney, presidente
e azionista quest’ultimo della Oil Supply Company. Ma non solo il ruolo
di Consigliere per la Sicurezza nazionale è ricoperto da Condoleeza
Rice, un’affascinante signora che prima di entrare nello staff presidenziale
era stata dirigente della Chevron sin dal 1991. Inutile dire che la Chevron
è una delle grandi compagnie petrolifere interessate allo sfruttamento
dei giacimenti del Caspio. Solo per citare i soggetti di maggiore rilievo.
I Talebani sono i benvenuti in Usa
Nel
1995 - spiega lo scrittore pakistano Ahmed Rashid nel suo recente libro
"Talebani, Islam Petrolio e il grande scontro in Asia centrale" - dopo
che i Talebani hanno conquistato Herat e cacciato dalle scuole migliaia
di ragazze, non c’è stata una sola parola di critica da parte degli
Stati Uniti. In realtà gli Usa, insieme all’ISI, consideravano la
caduta di Herat un aiuto ad Unocal e un ulteriore stretta al cappio intorno
all’Iran". I dirigenti Talebani dopo la presa del potere vengono accolti
con favore negli Usa e loro rappresentanti - racconta John Pilger - volano
in Texas dall’allora governatore Bush, dove incontrano i dirigenti dell’Unocal
che fanno loro un’offerta precisa riguardo all’oleodotto: una fetta dei
profitti pari al 15%. Ma ci sono alcune condizioni da rispettare.
Il racconto di una trattativa finita male
Il
racconto di quella mediazione lo si trova in un libro (Ben
Laden, la vérité interdite) uscito pochi giorni fa in
Francia. Gli autori sono Jean Charles Brisard e Guillaume Dasquieré.
Brisard è l’autore, per conto del DST francese del dossier sulle
strutture economiche di Osama bin Laden, che il presidente Chirac ha consegnato
a Bush nella sua visita dopo gli attentati alle Torri. Dasquieré
dirige il prestigioso bollettino Intelligence online. Insomma due esperti
autorevoli.
Una brillante quarantenne
A
reggere le fila dei contatti è Laila Helms, la nipote dell’ex direttore
della Cia ed ex ambasciatore Usa in Iran, Richard Helms. Laila, è
una brillante quarantenne, che da sempre ha mantenuto contatti privilegiati
con gli Afghani. Ma soprattutto ha ottimi rapporti negli ambienti dei servizi
segreti e del Dipartimento di Stato. Negli ultimi sei anni - spiegano Brisard
e Dasquieré nel loro libro - si è dedicata alla supervisione
di alcune azioni di influenza a nome dei Talebani soprattutto preso le
Nazioni Unite: La sua azione non si attenua neppure dopo il 1996, quando
il Mullah Omar diventa ufficialmente meno frequentabile agli occhi degli
americani e neppure quando i capi Talebani accolgono bin Laden che sarà
poi ritenuto responsabile degli attentati contro le ambasciate americane.
Arriva persino a realizzare un documentario sulle donne afghane, talmente
filo talebano da esser rifiutato da tutte le reti televisive americane.
Per Laila le cose si mettono bene con il ritorno dei Repubblicani al
potere che rimette molti suoi amici funzionari nei posti chiave della Cia
e del Dipartimento di Stato. I risultati non si fanno attendere.
Il viaggio del consigliere di Omar
Tra
il 18 e il 23 marzo di quest’anno Laila organizza un viaggio negli Stati
Uniti per Sayed Rahmatullah Hascimi. Ha solo 24 anni, ma è già
l’ambasciatore itinerante dei Talebani e consigliere personale del Mullah
Omar. Non si tratta ovviamente di un giro turistico o culturale. Si parla
di petrolio e di oleodotti. Gli interlocutori sono alti funzionari delal
Cia e del Dipartimento di Stato. Laila riesce ad ottenere per il consigliere
del Mullah un’intervista televisiva alla ABC e alla Radio pubblica. Il
tutto con la benedizione dei circoli politici vicini all’Amministrazione,
che punta ad un miglioramento dell’immagine dei Talebani, in relazione
al negoziato per "normalizzare" l’Afghanistan.
Le indagini bloccate
A
dare nuovo impulso al negoziato è lo stesso Presidente Bush che
promuove la nascita del cosiddetto gruppo dei 6+2 (i paesi confinati con
l’Afghanistan piu’ Usa e Russia).
Ma non solo. Brisard e Dasquieré raccontano che
John O’Neill, il vicedirettore dell’FBI si era dimesso improvvisamente.
Dietro l’abbandono di O’Neill, spiegano i due analisti francesi, c’era
un duro scontro tra il Bureau e il Dipartimento di Stato. L’amministrazione
avrebbe infatti stoppato le indagini, condotte proprio da O’Neill sul terrorismo
fondamentalista ed in particolare sugli attentati contro le ambasciate
Usa a Nairobi e Dar El Salaam e contro la nave Cole. Questo per favorire
un accordo con i Talebani. Uno stop che porto’ - secondo il racconto fatto
ai due analisti farncesi che dedicano il loro libro alla sua memoria -
alle dimissioni dal Bureau. O’Neill accetterà l’incarico di capo
delle sicurezza del WTC e morirà insieme ad altre 5000 persone nell’attacco
terroristico dell’11 settembre.
Il gruppo dei 6+2
A
coordinare il gruppo dei 6+2 è chiamato Francesc Verdell, rappresentante
di Kofi Annan, che incontra a Roma anche l’ex re Zahir Sha, per verificare
un suo possibile coinvolgimento in un governo di coalizione. Il "gruppo"
si riunisce piu’ volte, senza grandi risultati. La proposta che arriva
ai Talebani (siamo assai prima dell’11 settembre) è la seguente:
mollare bin Laden, creazione di un governo di coalizione che comprenda
i Talibani (la stessa proposta avanzata in piena guerra dagli Usa) in cambio
di aiuti economici e riconoscimento internazionale. Quel riconoscimento
internazionale e quella stabilità chiesta da più di due anni
dalle compagnie interessate alla costruzione degli oleodotti.
Scegliete: Oro o piombo?
Gli
americani - raccontano Brisard e Dasquieré - non esitano ad usare
anche le maniere forti. A raccontare come è l’ex ministro degli
esteri del Pakistan il signor Naif Naik che, in un’intervista televisiva
trasmessa in Francia, racconta che nel corso della riunione del "Gruppo"
a Berlino, tra il 17 e il 20 luglio, l’ambasciatore
statunitense Thomas
Simons avrebbe detto, riferendosi all’Afghanistan, che dopo la costituzione
del "governo allargato ci saranno aiuti internazionali - poi potrebbe arrivare
l’oleodotto". L’ambasciatore, racconta l’ex ministro, spiega quale potrebbe
esser l’alternativa: se i Talebani non si comportano come si deve, e il
Pakistan fallisse nel suo intento di farli comportare come si deve, Washington
potrebbe ricorre ad un’altra opzione: quella militare. Brisard e Dasquieré
riferiscono una battuta assai esplicita. "Ad un certo
punto i rappresentati americani dissero ai Talebani: o accettate la nostra
offerta di un tappeto d’oro, o sarete sepolti da un tappeto di bombe".
L’ultimo incontro Usa-Talebani
L’ultimo incontro tra emissari Usa e Talebani avviene lo scorso 2 agosto,
39 giorni prima dell’attacco alle Torri. È Cristina Rocca, direttrice
degli affari asiatici del Dipartimento di Stato ad incontre a Islamabad
l’ambasciatore Talebano in Pakistan. Kabul respinge definitivamente la
proposta americana. La parola passa alle armi.
Il fiume dei petrodollari
Tra
la Cecenia e l'Afghanistan scorre un oceano nero. Sotterraneo. Fatto di
200 miliardi di barili di petrolio. Un fiume d'oro senza il quale non è
possibile immaginare lo sviluppo mondiale nei prossimi 25 anni.
Il braccio orientale di questo oceano può arrivare sui mercati
con gasdotti che partono dall'Uzbekistan, attraversano l'Afghanistan, per
sfociare a Karachi, sulla costa del Pakistan. Questo è il percorso
più breve tra le steppe dell'ex Urss e l'oceano Indiano.
Il Tagikistan non ha sue risorse petrolifere, ma ha specialisti usciti
dalle università di Mosca che seguono da vicino quello che succede
al di là del confine.
''Tutti i protagonisti della crisi afghana hanno
a che fare con il mondo del petrolio - spiega un alto funzionario
del ministero tagiko per lo sviluppo economico, che vuole mantenere l'anonimato
- Prendiamo Osama bin Laden: senza i petrodollari suo padre non sarebbe
diventato miliardario e senza i petrodollari il Califfo non avrebbe potuto
gettare le basi del suo regno. Per non parlare poi di George Bush, del
vicepresidente Dick Cheney e di altri quattro o cinque alti esponenti dell'amministrazione
americana: sono tutti 'oilmen' che sanno perfettamente cosa c'e' sotto
il suolo dell'Asia centrale. E anche Vladimir Putin si muove a suo agio
nel mondo del petrolio''.
"Apparentemente il presidente russo non ha una storia personale legata
al petrolio, dato che viene dai servizi segreti. Ma solo apparentemente.
La riscossa russa - spiega la fonte - dopo il crack del 1998, è
avvenuta proprio grazie al petrolio. La candidatura di Putin nell'autunno
1999 è stata sostenuta proprio dagli oligarchi del petrolio''.
''Il primo dei grandi oligarchi a manifestare entusiastico appoggio
a Putin fu Rem Viakhirev - prosegue il funzionario - l'ex padrone di Gazprom,
il colosso mondiale del gas. E il giovane Roman Abramovich, di professione
esploratore di giacimenti, ha comprato con i soldi del petrolio siberiano
un paio di televisioni e le ha messe a disposizione del Cremlino''. Il
grande accordo russo-americano-asiatico sull'Afghanistan, secondo lui,
ha come base proprio l'oro nero.
''L'allargamento della Nato e la creazione di oleodotti e gasdotti
per sottrarre il Caucaso e l'Asia centrale a Mosca sono progetti degli
anni Novanta. Figli dell'amministrazione Clinton. Bush e Putin stanno trovando
intese che rovesciano completamente l'impostazione precedente'', aggiunge
l'esperto.
Iter e Lukoil sono due colossi russi del petrolio, Lukoil ha comprato
alcuni segmenti della distribuzione di carburanti negli Stati Uniti e in
alcuni paesi europei.
''Nei giorni scorsi, dopo gli attentati dell'11 settembre, i dirigenti
di Iter e Lukoil sono andati a Tashkent dove hanno raggiunto accordi preliminari
per la vendita a terzi di gas e petrolio di Uzbekistan e Turkmenistan che
dovrebbe essere convogliato attraverso condotte in Afghanistan'', aggiunge.
Il Turkmenistan - confinante con l'Afghanistan - detiene il quarto
posto mondiale nelle riserve di gas naturale con 3 miliardi di metri cubi.
Il Kazakhstan è secondo, per riserve di petrolio, solo ai paesi
del Golfo. Il presidente Nursultan Nazarbayev, in eccellenti rapporti con
Vladimir Putin, ha dato la più ampia disponibilità di aiuto
agli Stati Uniti nella lotta al terrorismo internazionale.
Osama bin Laden e i Taleban permetteranno mai il passaggio delle condotte
nelle loro terre? è la domanda. ''Osama bin Laden e i Taleban hanno
i giorni contati - risponde - Putin sta fornendo ogni aiuto all'Alleanza
del Nord e dall'altra parte stanno gia' sbarcando i reparti speciali americani.
Siamo già al finale di partita''.