Il paradigma fondamentale dell'Occidente contro tutti (che riformula
la contrapposizione della guerra fredda) restò intatto ed è
ciò che è rimasto, spesso in maniera insidiosa e implicita,
in discussione a partire dai terribili eventi dell'11 settembre: l'orrendo
attentato suicida con motivazioni patologiche da parte di un piccolo gruppo
di militanti usciti di senno è stato trasformato in prova della
tesi di Huntington. Invece di considerarlo per ciò che è
in realtà, l'impossessarsi cioè di grandi idee (uso il termine
in senso generico) da parte di una piccola banda di fanatici impazziti,
alcuni luminari internazionali, dall'ex primo ministro pakistano Benazir
Bhutto al primo ministro italiano Silvio Berlusconi, hanno pontificato
sui guai dell'Islam e, nel caso di Berlusconi, hanno utilizzato Huntington
per farneticare sulla superiorità occidentale, tipo "noi" abbiamo
Mozart e Michelangelo e loro no.
C'è un abuso della retorica churchilliana da parte di sedicenti
combattenti nella guerra dell'Occidente e soprattutto dell'America contro
chi la odia, i suoi saccheggiatori e distruttori, con scarsa attenzione
a vicende complesse che sfidano questi termini riduttivi. È questo
il problema di etichette poco edificanti come Islam e Occidente: sviano
e confondono la mente che si sforza di dare un senso a una realtà
disordinata che non intende essere archiviata o liquidata con tanta facilità.
Una volta ho interrotto un uomo che si era alzato in piedi tra il pubblico
dopo una conferenza che avevo tenuto all'Università della Cisgiordania
nel ‘94 e aveva iniziato a scagliarsi contro le mie idee "da occidentale"
considerandole opposte a quelle fondamentaliste islamiche da lui esposte.
«Perché porta giacca e cravatta?» fu la prima risposta
che mi venne spontanea. «Non sono occidentali anche quelle?».
L'uomo tornò a sedersi con un sorriso imbarazzato, ma questo episodio
mi è tornato in mente quando hanno cominciato a circolare le notizie
sulle modalità con cui i terroristi sono riusciti a gestire tutti
i dettagli tecnici necessari a realizzare la loro malvagità omicida
sul World Trade Center e al Pentagono. Dove va tracciato il confine tra
la tecnologia "occidentale" come ha dichiarato Berlusconi, e l'incapacità
"dell'Islam" di far parte della modernità? Quanto sono inadeguate
le etichette, le generalizzazioni? Una decisione unilaterale di tracciare
linee nella sabbia, intraprendere crociate per opporre al loro male il
nostro bene, per estirpare il terrorismo e, nel vocabolario nichilista
di Paul Wolfowitz, porre interamente fine alle nazioni, non rende affatto
più facile individuare queste supposte entità, ma piuttosto,
esprime quanto sia più semplice fare affermazioni bellicose al fine
di mobilitare le passioni collettive piuttosto che riflettere, esaminare
cercare di capire che cosa stiamo in realtà affrontando, l'interconnessione
di innumerevoli vite, "nostre" quanto "loro".
Fu Conrad a comprendere che le distinzioni tra la Londra civilizzata
e il "Cuore di tenebra" facevano presto a crollare in situazioni estreme,
e che le vette della civiltà europea potevano trasformarsi all'istante
nelle pratiche più barbare senza preavviso né transizione.
Sempre Conrad ne "L'agente segreto" (1907) descrisse l'attrazione del terrorismo
per astrazioni come la "scienza pura" (e per estensione, per "l'Islam"
o "l'Occidente") e il fondamentale degrado morale dei terroristi.
Esistono legami più stretti tra civiltà apparentemente
in guerra tra loro di quanto alla maggior parte di noi piaccia credere
e, come hanno dimostrato sia Freud che Nietzsche, il traffico tra confini
attentamente salvaguardati, persino presidiati, avviene con una facilità
che spesso spaventa. Ma poi queste idee fluide, piene di ambiguità
e scetticismo riguardo a concetti cui restiamo aggrappati, stentano a fornirci
orientamenti appropriati e pratici per affrontare situazioni simili a quella
attuale. Da qui gli ordini di battaglia tutto sommato più rassicuranti
(una crociata, il bene contro il male, la libertà contro la paura
ecc.) tratti dall'opposizione tra Islam e Occidente teorizzata da Huntington,
dalla quale la retorica ufficiale ha derivato nei primi giorni il suo vocabolario.
Quella retorica ha notevolmente smorzato i toni da allora, ma a giudicare
dalla percentuale consolidata di discorsi e azioni ispirati all'odio, il
paradigma resta valido.
Un'ulteriore motivo per cui resiste è l'accresciuta presenza
di musulmani in tutta Europa e negli Stati Uniti. L'Islam non è
più al margine dell'Occidente, ma al suo centro. Ma che c'è
di così minaccioso in questa presenza? Sepolti nella cultura collettiva
giacciono i ricordi delle prime grandi conquiste Araboislamiche iniziate
nel settimo secolo che, come scrisse l'illustre storico belga Henri Perenne
nel suo fondamentale saggio "Maometto e Carlo Magno" (1939), mandarono
in frantumi una volta per tutte l'antica unità del Mediterraneo,
distrussero la sintesi Cristianoromana e diedero vita ad una nuova civiltà,
dominata dai poteri nordici (La Gemania e la Francia dei Carolingi) la
cui missione, sembra intendere Perenne, è di prendere le difese
dell'"Occidente" contro i suoi nemici storicoculturali. Ciò che
l'autore omette di dire, ahimè, è che nella creazione di
questa nuova linea di difesa l'Occidente attinse all'umanesimo, alla scienza
alla filosofia alla sociologia e alla storiografia dell'Islam, che si era
già interposta tra il mondo di Carlomagno e l'antichità classica.
L'Islam è inserito fin dall'inizio, come anche Dante, grande nemico
di Maometto, dovette ammettere quando collocò il Profeta proprio
al centro del suo Inferno.
Permane poi l'eredità del monoteismo stesso, le religioni abramiche,
come ben le definì Louis Massignon. A iniziare dall'Ebraismo e dal
Cristianesimo ogni religione è ossessionata dal fantasma di ciò
che la ha preceduta: per i Musulmani l'Islam realizza e conclude la linea
della profezia. Non c'è ancora un adeguato passato di demistificazione
della disputa su più fronti tra questi tre seguaci del più
geloso di tutti gli dei, che in nessun caso rappresentano una fazione monolitica,
unificata, anche se la moderna sanguinosa convergenza sulla Palestina fornisce
un forte esempio secolare delle divergenze che si sono rivelate così
tragicamente inconciliabili. Non sorprende quindi che musulmani e cristiani
siano pronti a parlare di crociate e di jihad, elidendo la presenza ebraica
con noncuranza spesso sublime. Un programma simile, dice Eqbal Ahmad, «risulta
molto rassicurante per gli uomini e le donne che si trovano incagliati
nel bel mezzo delle acque profonde della tradizione e della modernità».
Ma noi tutti nuotiamo in queste acque, occidentali, musulmani e altri,
allo stesso modo. E poiché le acque fanno parte dell'oceano della
storia, cercare di dividerle con barriere è inutile. Viviamo momenti
di tensione ma è meglio pensare in termini di comunità che
detengono il potere e comunità che ne sono prive, di secolari politiche
di raziocinio e ignoranza, e di principi universali di giustizia e ingiustizia,
piuttosto che smarrirsi in astrazioni che possono essere fonte di soddisfazione
momentanea ma producono scarsa autoconsapevolezza. La tesi dello "scontro
di civiltà" è una trovata tipo "Guerra dei mondi", più
adatta a rafforzare un amor proprio diffidente che la conoscenza critica
della sorprendente interdipendenza del nostro tempo.
Copyright Edward Said
(Traduzione di Emilia Benghi)