Fra guerra e terrorismo c'è una terza via...

di Nanni Salio

E dopo il 9 novembre 1989 (caduta del muro di Berlino) venne l'11 settembre 2001: inaspettato per i piu',
ma previsto saggiamente da alcuni. Date epocali? Forse, ma non necessariamente. Nei poco piu' di dieci
anni che separano questi due eventi, l'umanita' ha perso una formidabile occasione, una "finestra di
opportunita'", per porre definitivamente la guerra fuori dalla storia e vi e' ripiombata a capofitto.
Perche' ci vogliono cosi' male, si chiedono gli americani. Perche' tanto odio? Cosa possiamo fare?
Esaminiamo innanzi tutto tre principali interpretazioni.
La prima e' la teoria del "blowback", o del "contraccolpo", che e' esposta con grande preveggenza e
dovizia di dati da Chalmers Johnson in un testo quasi profetico, Gli ultimi giorni dell'impero americano
(Garzanti, Milano 2001). La politica estera ed economica americana ha prodotto talmente tanti guasti e
seminato tanto odio da ritorcersi contro, anche se i cittadini americani non ne sono consapevoli (ma questo
non vale per i loro leader). E'ormai noto a tutti che personaggi come Saddam Hussein, Noriega, Bin Laden e tanti altri sono creature degli USA, che come tanti "Frankenstein" si ribellano e si rivoltano contro il loro creatore. In altri termini, la dottrina militare, le teorie strategiche e il modello di difesa elaborati dal complesso militare-industriale-scientifico statunitense si sono rivelati profondamente errati e pericolosi e invece di creare sicurezza hanno generato uno stato generale, su scala mondiale, di insicurezza, paura, terrore, rischio mortale. Siamo di fronte a uno dei piu' incredibili errori concettuali e di progettazione, finanziato con centinaia di miliardi di dollari all'anno, e le popolazioni civili di tutto il mondo stanno pagando un prezzo altissimo.
Se il Pentagono e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti utilizzassero gli stessi criteri
di efficienza di un'azienda privata, i dirigenti di queste due istituzioni dovrebbero essere licenziati in
tronco. Invece, ci ripropongono la stessa ricetta: altri bombardamenti.
La seconda interpretazione e' la vecchia, ma sempre attuale, "teoria del petrolio". Tutte le principali
guerre di questi anni sono state combattute dagli USA per assicurarsi il controllo delle riserve strategiche di petrolio e gas naturale. Intorno al 2005 verra' raggiunto il picco di produzione geofisica del pianeta, e verso il 2030 comincera' la vera e propria crisi generale. La transizione puo' essere indolore solo se progettata per tempo, ma non sembra essere questa la direzione verso la quale ci stiamo muovendo (si veda: www.dieoff.com).
La terza interpretazione e' quella che Giulietto Chiesa propone affermando: "Cercate la cupola, non solo
Bin Laden". In altre parole, e' assai improbabile che gli attentati dell'11 settembre siano stati attuati da
una singola organizzazione senza una vasta rete di complicita', anche all'interno degli stessi Stati Uniti. E'
noto che da sempre il terrorismo convive in simbiosi con i servizi segreti, come insegnano tante vicende
del passato, compresa quella dello stragismo in Italia.
Queste tre interpretazioni non si escludono a vicenda, anzi si corroborano tra loro e ci mettono in guardia
da facili spiegazioni e da ancor piu' semplicistiche soluzioni che, nell'immediato, non esistono. Siamo di
fronte al trionfo dell'"impermanenza", della societa' del rischio, dell'angoscia e del terrore che giorno
per giorno abbiamo ottusamente contribuito a costruire.

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Dopo la parte di analisi in negativo, proviamo a formulare alcune proposte in positivo.

1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non solo materiali, ma anche dei
mandanti, e' compito di un organismo sovranazionale e non di una singola parte. Gli USA si sono finora
opposti alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro l'umanita': cambieranno
idea dopo l'11 settembre? Giuridicamente, questi attentati sono un crimine contro l'umanita' e non un atto
di guerra, e come tali devono essere affrontati.

2. Negoziazione: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta dei conflitti e' la non
demonizzazione dell'avversario e l'analisi corretta
delle sue richieste. Che cosa ha chiesto Bin Laden nel corso della sua dichiarazione trasmessa dalle TV di
tutto il mondo? Tre sono i punti essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma che da tempo avrebbero
dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto Israele-Palestina; cessazione dell'embargo e
dei bombardamenti sull'Iraq, con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le vittime
dell'11 settembre; abbandono delle basi USA in Arabia Saudita.

3. Costituzione di una commissione internazionale per la verita', la giustizia e la riconciliazione: questa
commissione potrebbe cominciare a funzionare a partire da ong e gruppi di base, sulla falsariga di quella
promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu coinvolgendo in un secondo tempo le istituzioni
statali e sovranazionali.

4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la democrazia con metodi nonviolenti:
ovunque sono presenti gruppi che operano per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare
movimenti di donne come quello afghano Rawa.

5. Dialogo, educazione, cultura: e' il lavoro lento, ma indispensabile, per costruire un'autentica cultura
della nonviolenza, compito primario di ogni educatore. Segnaliamo l'articolo di Umberto Eco, "Le guerre
sante: passione e ragione" ("La Repubblica", 8 ottobre 2001).

6. Movimento internazionale per la pace: cosi' come negli anni '80 una grandiosa mobilitazione riusci' a
sconfiggere la minaccia nucleare, occorre a maggior ragione costruire un movimento delle societa' civili di
ogni paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento nell'agenda delle priorita'
politiche sui temi globali: pace, ambiente e sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta.

7. Uscire dall'economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di gigantesca corruzione e di minaccia
ambientale planetaria, e' diventata anche una delle cause prevalenti delle guerre. E' indispensabile avviare
prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili, decentrate, a piccola potenza.

8. Controllo della finanza internazionale: il mondo e' pieno di "Bin Laden" come si usa dire nel dialetto
piemontese e forse di qualche altra regione, che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del
commercio di armi, della speculazione finanziaria e delle attivita' mafiose per costruire paradisi fiscali e
potentati economici al riparo da ogni intrusione della giustizia. Cominciamo a liberarci dei "Bin Laden"
nostrani, che stanno varando leggi scandalose e offensive del piu' comune buon senso morale.

9. Zone libere dall'odio: e' la proposta lanciata dalla ong americana "Global exchange" che richiama quella
delle zone denuclearizzate degli anni '80. Dichiariamo le nostre scuole e i nostri quartieri "zone libere
dall'odio", con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio culturale che valorizzi differenze e
capacita' costruttive e creative di trasformazione nonviolenta dei conflitti.

10. Liberiamoci dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti rischierebbero di risultare vani
se la piu' potente causa di produzione delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto in
quelli piu' potenti, a cominciare dagli USA, sostituendo gli attuali modelli di difesa altamente offensivi e
distruttivi con forme di difesa popolare nonviolenta.