15 agosto 2001
RIFLESSIONE. NANNI SALIO: L'AZIONE NONVIOLENTA
Di fronte alle molte forme di violenza che costellano la vita quotidiana,
dal micro al macro livello, ci si chiede cosa e' possibile fare concretamente
e se l'agire nonviolento sia efficace o meno. Per rispondere a
questa domanda che talvolta viene vissuta con angoscia, sono necessarie
alcune precisazioni.
Primo: agiamo sempre in condizioni di incertezza+ADs- non sappiamo
mai in partenza quali saranno i frutti della nostra azione. Per questo
i persuasi della nonviolenza non si aspettano risultati immediati, ma
agiscono ispirandosi alle tecniche, ai metodi e alla filosofia della
nonviolenza, fiduciosi che il cambiamento avverra' in tempi e luoghi che
nessuno conosce in anticipo e consapevoli che questa e' la strada
corretta lungo la quale camminare.
Secondo: abituiamoci a guardare il mondo come se fosse un bicchiere
meta' pieno e meta' vuoto. Non ci sono solo episodi di violenza, ma c'e'
anche molta nonviolenza e non sappiamo quale delle due stia
prevalendo. E' necessario vedere, conoscere e divulgare le buone notizie
(come fanno gli amici e le amiche di La Rete di Indra , con il bollettino
Buone notizie, www.freeweb.org/religioni/ReteIndra)
evitando
di cadere nella trappola mediatica che tende ad amplificare la violenza.
Terzo: occorre studiare, ma soprattutto vivere e praticare la nonviolenza.
Una volta, mentre il treno su cui viaggiava il Mahatma Gandhi usciva
lentamente dalla stazione, un giornalista europeo si affaccio' al finestrino
e gli chiese se avesse un messaggio da dare alla sua gente. Per Gandhi
quello era il giorno del silenzio, una pausa indispensabile nella sua attivita'
sfibrante. La risposta di Gandhi fu un rigo scarabocchiato su un pezzo
di carta: 'La mia vita e' il mio messaggio' (Da: Eknath Easwaran, La tua
vita e' il tuo messaggio, Pratiche Editrice, Milano 1997) Potremmo dire
altrettanto noi stessi?
Quarto: anche l'azione nonviolenta si presta ad essere praticata secondo
approcci diversi, tra loro complementari. Quando non si capisca bene questo
punto, possono nascerne laceranti conflitti interni ai
gruppi, che indeboliscono il movimento di cambiamento sociale.
Quest'ultima questione e' particolarmente importante e puo' essere
considerata come il dilemma dello yogi e del commissario , che Johan Galtung,
rchiamandosi agli scritti di Arthur Koestler, descrive con
queste parole: L'illusione dello yogi e' quella che con esseri umani
giusti e con giusti rapporti interpersonali il resto prendera' cura di
se' senza riguardo di quanto sia sbagliata o violenta la struttura... L'illusione
del commissario e' quella che una volta che si abbia una valida struttura
si possa mettere al suo interno qualsiasi genere di esseri umani, con tutti
i loro conflitti interpersonali irrisolti, e con la loro incapacita' di
rapporti interpersonali . La soluzione del dilemma e' apparentemente semplice:
non l'uno o l'altro, l'esclusione, ma l'uno e l'altro, l'inclusione. In
altre parole, sono necessari sia il lavoro su di se' (lo yogi) sia quello
sulle strutture (il commissario). Il primo e' il lavoro di formazione di
una personalita' nonviolenta, il secondo quello politico di costruzione
collettiva di una societa' nonviolenta. Anche se di tanto in tanto ci illudiamo
che solo l'uno dei due sia la vera soluzione, o quella piu' efficace e
veloce, in realta' sappiamo solo che si debbono fare entrambi. Il dilemma
su quale sia la linea politica corretta non ha
risparmiato nessuno, nel corso della storia, neppure i seguaci di Gandhi.
Dopo la sua morte sono emerse due linee di azione, rispettivamente sotto
la guida di Jayaprakash Narayan, che propendeva per un
intervento piu' politico, (il commissario che trasforma le strutture
con interventi dall'alto), e di Vinoba Bhave, il quale privilegiava la
via impolitica dello yogi, che procede lentamente su tempi lunghi, dal
basso.
Le grandi personalita' nonviolente del secolo scorso (da Gandhi a Mandela,
da Martin Luther King a Gorbaciov) hanno seguito sia la via dello yogi,
quando sono stati sottoposti alle dure prove del carcere,
della violenza, dell'apparente e momentanea sconfitta, sia quella del
commissario quando si e' presentata l'occasione di usare gli strumenti
della politica istituzionale.
Per comprendere meglio la dinamica dell'azione nonviolenta nelle situazioni
reali, possiamo rappresentare schematicamente un conflitto mediante tre
principali attori sociali che interagiscono tra loro: gli
oppressori, gli oppressi e le terze parti. I primi due sono i confliggenti
diretti, tra i quali si e' venuta a creare una situazione cristallizzata
di ingiustizia mantenuta con la repressione e la violenza. Di fronte a
questo stato di cose, gli oppressi hanno tre possibilita': non fare
nulla e continuare ad accettare l'ingiustizia che li umilia e la repressione
che li schiaccia+ADs- ribellarsi con una controviolenza che contribuisce
a creare una spirale crescente di azioni e reazioni violente tra oppressi
e oppressori+ADs- innescare una dinamica di lotta nonviolenta cercando
di coinvolgere le terze parti. Nella trasformazione nonviolenta dei conflitti
(con rapporti di potere sia squilibrati sia equilibrati) e' fondamentale
il ruolo giocato dalle terze parti. La loro funzione puo' essere quella
di mediazione, nei conflitti equilibrati, oppure di intervento, in quelli
squilibrati. In quest'ultimo caso, il gruppo di azione nonviolenta che
si viene a formare, costituito da componenti sia delle terze parti sia
degli oppressi, deve essere capace di resistere alla repressione violenta
che molto probabilmente gli oppressori eserciteranno nei loro confronti,
per conservare il potere. La dinamica dell'azione nonviolenta si sviluppa
allora seguendo le due principali direttrici che abbiamo descritto. La
via dello yogi, e' quella di chi ha coltivato per tempo la forza interiore,
preparandosi a resistere alla violenza, accettandola su di se' senza rispondere
con altra violenza, in modo tale da trasformarla in un boomerang. La via
del commissario cerca di ampliare il sostegno alla lotta nonviolenta con
il coinvolgimento di altri settori dell'opinione pubblica e sgretolando
man mano il potere degli oppressori.
Il ruolo delle terze parti e' essenziale per rendere visibile la sofferenza
degli oppressi agli occhi dell'oppressore e ristabilire forme di comunicazione
interrotte. Questi processi sono facilitati dal fatto che le terze parti
sono socialmente piu' vicine all'oppressore e pertanto il loro coinvolgimento
e la loro eventuale sofferenza, provocata dall'assumere su di se' parte
della violenza esercitata sugli oppressi, possono innescare il processo
di riconoscimento empatico attraverso quella che Galtung chiama la lunga
catena della nonviolenza .
Perche' l'azione nonviolenta risulti efficace, la via dello yogi e
quella del commissario debbono essere percorse entrambe. La prima porta
al cambiamento personale, qui e ora, all'impegno concreto e
immediato in un programma costruttivo che getta immediatamente le basi
del nuovo ordine sociale nonviolento che si intende realizzare. La seconda
strada utilizza gli strumenti tradizionali della politica,
senza farsene tuttavia condizionare, per introdurre cambiamenti strutturali
e legislativi, allargare il consenso, accelerare i tempi del cambiamento
sociale. In entrambi i casi occorre perseverare, essere
disciplinati nell'azione, costanti nell'impegno, creare strutture organizzate
che mettano a disposizione una base logistica stabile senza la quale si
cade nello spontaneismo che rischia di essere inconcludente. Il
nostro ruolo come terze parti nei conflitti piu' duri e' centrale:
:non possiamo rimanere indifferenti, e' necessario intervenire, coinvolgerci,
agire pur mantenendo la serenita' e il distacco dello yogi.