19 settembre 2001
RIFLESSIONE. NANNI SALIO: PERSUASI DELLA NONVIOLENZA PER SCONFIGGERE OGNI
TERRORISMO
Nanni Salio e' una delle figure piu' prestigiose della nonviolenza in Italia. Per contatti: e-mail: regis@arpnet.it
Non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessun'altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume.
Non credo piu' che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica lezione di questa guerra, dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove .
E' da queste parole di Etty Hillesum, scritte nel suo Diario 1941-1943, durante la seconda guerra mondiale, poco prima di morire nel lager, che bisogna partire per riflettere sulla tragica serie di attentati dell'11
settembre negli USA. Il regno di Dio e' in voi , diceva Tolstoi, ma potremmo aggiungere: ...anche quello di satana.
Per i persuasi della nonviolenza, il compito e' oggi piu' difficile che mai.
Bisogna riuscire a interrompere la spirale della violenza che quasi certamente verra' alimentata dalla ritorsione che il governo USA sta pianificando. La via maestra e' quella del dialogo con tutte le parti in
causa, conoscerne e riconoscerne torti e ragioni, vedere e far vedere la sofferenza e il dolore di tutte le vittime, aiutare i persecutori a riumanizzarsi, analizzare i traumi subiti mediante una sorta di grande
terapia collettiva che apra la strada alla riconciliazione del genere umano.
Dobbiamo aiutare i cittadini americani a prendere coscienza della irresponsabilita' della loro classe politica e del fallimento delle dottrine militari, anch'esse basate sul terrorismo (di stato), che li hanno resi piu'
insicuri e vulnerabili. Cosi' come a suo tempo aiutammo i cittadini sovietici a scrollarsi di dosso un regime che cadde quasi senza colpo ferire, attraverso una strabiliante lotta nonviolenta culminata nel 1989,
ora dobbiamo aiutare i cittadini americani a liberarsi dal giogo altrettanto odioso e pericoloso del complesso militare-industriale-scientifico che li ha portati in un vicolo cieco.
Al contempo, occorre aiutare le popolazioni dell'islam e piu' in generale i popoli oppressi a non cadere nella trappola della violenza e del terrorismo.
E' necessario un gigantesco impegno di educazione alla lotta nonviolenta, l'unica strada che nel secolo scorso ha consentito di ottenere risultati significativi e duraturi senza seminare odio, vittime, vendette,
massacri, tragedie ricorrenti e senza fine.
Non ci sara' vera pace senza giustizia e non ci saranno ne' pace ne' giustizia senza una cultura della nonviolenza attiva. E' la globalita' dei problemi che impone di riconoscere sia i limiti, i fallimenti e gli errori sia gli aspetti positivi, creativi, costruttivi di ciascuna cultura. Non ci sono popoli eletti ne' reietti, ma ciascuno ha il suo bagaglio di esperienze storiche, miti, traumi, successi e insuccessi dai quali partire per costruire una cultura che riconosca nella nonviolenza il seme comune dell'umanita', le verita' antiche come le colline.
Chi si fara' carico di questo progetto, della trasformazione nonviolenta di ogni conflitto, dal micro al macro? In tutte le principali tradizioni culturali e religiose sono presenti uomini e donne che hanno saputo
assumere su di se' il dolore del mondo per compiere un'opera di redenzione: sono i giusti della tradizione ebraica, il redentore della religione cristiana, i bodhisattva della cultura buddhista, i rishi degli antichi
Veda, i sufi dell'islam. Oggi, questa eredita' culturale dev'essere raccolta e disseminata da tutti coloro che hanno effettivamente a cuore le sorti dell'umanita' intera e che intendono dare alla propria esistenza
un senso piu' profondo e autentico. Se ci sono persone disposte a immolare la propria vita per seminare il terrore, dovra' esserci un numero ancora piu' grande di satyagrahi preparati a donare la vita perche'
persuasi della nonviolenza, come ci hanno insegnato Gandhi, Martin Luther King, Etty Hillesum e tanti altri che hanno vissuto in momenti della storia umana non meno drammatici del nostro.
Il movimento di movimenti , venuto alla ribalta negli ultimi due anni per le sue iniziative di contestazione dei vertici dei potenti, si trova ora di fronte a una scelta ineludibile: deve farsi carico
consapevolmente di questo ambizioso progetto e imboccare chiaramente e con determinazione la strada della nonviolenza attiva, costruttiva e creativa per non soccombere nella stretta fra i due terrorismi. La
sua agenda diventa ancora piu' fitta e una priorita' assoluta dovra' essere assegnata alla lotta contro lo strapotere degli apparati militari, ovunque nel mondo, alla realizzazione di modelli di difesa basati sulle
tecniche di lotta della nonviolenza, alla democratizzazione delle Nazioni Unite, al boicottaggio delle industrie belliche, all'abolizione degli eserciti, alla disobbedienza civile di massa.
Solo cosi' la lotta per la giustizia sociale, per la salvaguardia del pianeta, per la difesa dei deboli non si avvitera' nell'eterna e drammatica spirale autodistruttiva della violenza diretta.
 

15 agosto 2001
RIFLESSIONE. NANNI SALIO: L'AZIONE NONVIOLENTA

Di fronte alle molte forme di violenza che costellano la vita quotidiana, dal micro al macro livello, ci si chiede cosa e' possibile fare concretamente e se l'agire nonviolento sia efficace o meno. Per rispondere a
questa domanda che talvolta viene vissuta con angoscia, sono necessarie alcune precisazioni.
Primo: agiamo sempre in condizioni di incertezza+ADs- non sappiamo mai in partenza quali saranno i frutti della nostra azione. Per questo i persuasi della nonviolenza non si aspettano risultati immediati, ma
agiscono ispirandosi alle tecniche, ai metodi e alla filosofia della nonviolenza, fiduciosi che il cambiamento avverra' in tempi e luoghi che nessuno conosce in anticipo e consapevoli che questa e' la strada
corretta lungo la quale camminare.
Secondo: abituiamoci a guardare il mondo come se fosse un bicchiere meta' pieno e meta' vuoto. Non ci sono solo episodi di violenza, ma c'e' anche molta nonviolenza e non sappiamo quale delle due stia
prevalendo. E' necessario vedere, conoscere e divulgare le buone notizie (come fanno gli amici e le amiche di La Rete di Indra , con il bollettino Buone notizie, www.freeweb.org/religioni/ReteIndra) evitando
di cadere nella trappola mediatica che tende ad amplificare la violenza.
Terzo: occorre studiare, ma soprattutto vivere e praticare la nonviolenza.
Una volta, mentre il treno su cui viaggiava il Mahatma Gandhi usciva lentamente dalla stazione, un giornalista europeo si affaccio' al finestrino e gli chiese se avesse un messaggio da dare alla sua gente. Per Gandhi quello era il giorno del silenzio, una pausa indispensabile nella sua attivita' sfibrante. La risposta di Gandhi fu un rigo scarabocchiato su un pezzo di carta: 'La mia vita e' il mio messaggio' (Da: Eknath Easwaran, La tua vita e' il tuo messaggio, Pratiche Editrice, Milano 1997) Potremmo dire altrettanto noi stessi?
Quarto: anche l'azione nonviolenta si presta ad essere praticata secondo approcci diversi, tra loro complementari. Quando non si capisca bene questo punto, possono nascerne laceranti conflitti interni ai
gruppi, che indeboliscono il movimento di cambiamento sociale.
Quest'ultima questione e' particolarmente importante e puo' essere considerata come il dilemma dello yogi e del commissario , che Johan Galtung, rchiamandosi agli scritti di Arthur Koestler, descrive con
queste parole: L'illusione dello yogi e' quella che con esseri umani giusti e con giusti rapporti interpersonali il resto prendera' cura di se' senza riguardo di quanto sia sbagliata o violenta la struttura... L'illusione del commissario e' quella che una volta che si abbia una valida struttura si possa mettere al suo interno qualsiasi genere di esseri umani, con tutti i loro conflitti interpersonali irrisolti, e con la loro incapacita' di rapporti interpersonali . La soluzione del dilemma e' apparentemente semplice: non l'uno o l'altro, l'esclusione, ma l'uno e l'altro, l'inclusione. In altre parole, sono necessari sia il lavoro su di se' (lo yogi) sia quello sulle strutture (il commissario). Il primo e' il lavoro di formazione di una personalita' nonviolenta, il secondo quello politico di costruzione collettiva di una societa' nonviolenta. Anche se di tanto in tanto ci illudiamo che solo l'uno dei due sia la vera soluzione, o quella piu' efficace e veloce, in realta' sappiamo solo che si debbono fare entrambi. Il dilemma su quale sia la linea politica corretta non ha
risparmiato nessuno, nel corso della storia, neppure i seguaci di Gandhi. Dopo la sua morte sono emerse due linee di azione, rispettivamente sotto la guida di Jayaprakash Narayan, che propendeva per un
intervento piu' politico, (il commissario che trasforma le strutture con interventi dall'alto), e di Vinoba Bhave, il quale privilegiava la via impolitica dello yogi, che procede lentamente su tempi lunghi, dal
basso.
Le grandi personalita' nonviolente del secolo scorso (da Gandhi a Mandela, da Martin Luther King a Gorbaciov) hanno seguito sia la via dello yogi, quando sono stati sottoposti alle dure prove del carcere,
della violenza, dell'apparente e momentanea sconfitta, sia quella del commissario quando si e' presentata l'occasione di usare gli strumenti della politica istituzionale.
Per comprendere meglio la dinamica dell'azione nonviolenta nelle situazioni reali, possiamo rappresentare schematicamente un conflitto mediante tre principali attori sociali che interagiscono tra loro: gli
oppressori, gli oppressi e le terze parti. I primi due sono i confliggenti diretti, tra i quali si e' venuta a creare una situazione cristallizzata di ingiustizia mantenuta con la repressione e la violenza. Di fronte a
questo stato di cose, gli oppressi hanno tre possibilita': non fare nulla e continuare ad accettare l'ingiustizia che li umilia e la repressione che li schiaccia+ADs- ribellarsi con una controviolenza che contribuisce a creare una spirale crescente di azioni e reazioni violente tra oppressi e oppressori+ADs- innescare una dinamica di lotta nonviolenta cercando di coinvolgere le terze parti. Nella trasformazione nonviolenta dei conflitti (con rapporti di potere sia squilibrati sia equilibrati) e' fondamentale il ruolo giocato dalle terze parti. La loro funzione puo' essere quella di mediazione, nei conflitti equilibrati, oppure di intervento, in quelli squilibrati. In quest'ultimo caso, il gruppo di azione nonviolenta che si viene a formare, costituito da componenti sia delle terze parti sia degli oppressi, deve essere capace di resistere alla repressione violenta che molto probabilmente gli oppressori eserciteranno nei loro confronti, per conservare il potere. La dinamica dell'azione nonviolenta si sviluppa allora seguendo le due principali direttrici che abbiamo descritto. La via dello yogi, e' quella di chi ha coltivato per tempo la forza interiore, preparandosi a resistere alla violenza, accettandola su di se' senza rispondere con altra violenza, in modo tale da trasformarla in un boomerang. La via del commissario cerca di ampliare il sostegno alla lotta nonviolenta con il coinvolgimento di altri settori dell'opinione pubblica e sgretolando man mano il potere degli oppressori.
Il ruolo delle terze parti e' essenziale per rendere visibile la sofferenza degli oppressi agli occhi dell'oppressore e ristabilire forme di comunicazione interrotte. Questi processi sono facilitati dal fatto che le terze parti sono socialmente piu' vicine all'oppressore e pertanto il loro coinvolgimento e la loro eventuale sofferenza, provocata dall'assumere su di se' parte della violenza esercitata sugli oppressi, possono innescare il processo di riconoscimento empatico attraverso quella che Galtung chiama la lunga catena della nonviolenza .
Perche' l'azione nonviolenta risulti efficace, la via dello yogi e quella del commissario debbono essere percorse entrambe. La prima porta al cambiamento personale, qui e ora, all'impegno concreto e
immediato in un programma costruttivo che getta immediatamente le basi del nuovo ordine sociale nonviolento che si intende realizzare. La seconda strada utilizza gli strumenti tradizionali della politica,
senza farsene tuttavia condizionare, per introdurre cambiamenti strutturali e legislativi, allargare il consenso, accelerare i tempi del cambiamento sociale. In entrambi i casi occorre perseverare, essere
disciplinati nell'azione, costanti nell'impegno, creare strutture organizzate che mettano a disposizione una base logistica stabile senza la quale si cade nello spontaneismo che rischia di essere inconcludente. Il
nostro ruolo come terze parti nei conflitti piu' duri e' centrale: :non possiamo rimanere indifferenti, e' necessario intervenire, coinvolgerci, agire pur mantenendo la serenita' e il distacco dello yogi.