La guerra di oggi e la nonviolenza di domani

di Mao Valpiana*

Noi dobbiamo dire no alla guerra ed essere duri come pietre.
La nonviolenza è il varco attuale della storia.
Aldo Capitini

Vado subito al nocciolo della questione. Quali alternative alla guerra propone oggi la nonviolenza? E' la
domanda che mi sento fare ogni qual volta manifesto il mio dissenso dal voto del Parlamento di mercoledì 7
novembre, che ha approvato la partecipazione dell'Italia alla guerra in Afghanistan.
Non voglio eludere nessuna obiezione seria che viene fatta alla nonviolenza. Si dice che essa è
assolutamente inefficace se usata con i terroristi. Certo, oggi le proposte della nonviolenza sono solo
teoriche, perché per anni, per decenni, non le si è dato nessun credito. Tutte le energie, tutti i
finanziamenti, tutta la politica è stata indirizzata a preparare esclusivamente la macchina bellica, che
infatti oggi è pronta e aggressiva, con portaerei, bombe, truppe, elicotteri, carri armati; tutto ben
organizzato e costruito in anni e anni. E dopo aver speso migliaia di miliardi nell'apparato
tecnico-scientifico-militare e non aver mai investito nemmeno una lira nella preparazione nonviolenta, si
viene a chiedere a noi nonviolenti una soluzione della tragedia in corso? La convulsione storica che stiamo
vivendo non è scoppiata improvvisamente, come un terremoto, ma è cresciuta per decenni, nei quali nulla si
è fatto per evitarne l'esplosione, né per preparare una valida alternativa. E' come trovarsi davanti ad un
incendio devastatore senza aver mai fatto prevenzione e senza avere in mano neppure un bicchiere
d'acqua per spegnerlo. Che si può fare? Nulla, solo scappare.
Oggi, per rispondere al terrorismo internazionale, di pronto c'è solo lo strumento militare; ma si deve
avere la consapevolezza che quello strumento porterà alle estreme conseguenze; se i terroristi alzeranno
il livello della sfida, la risposta dovrà adeguarsi, e dalle armi chimiche, si passerà alle armi nucleari, con le
conseguenze che si possono immaginare: la tragedia delle torri gemelle rischia di essere moltiplicata per
mille.
Tutti noi nonviolenti sentiamo l'urgenza di fare qualcosa. Sentiamo l'insufficienza del solo mettere a
verbale il nostro no. In un regime che compatto ha votato per l'intervento militare è già molto esprimere il
dissenso, ma il nonviolento sente che questo non basta. E quindi lavoriamo incessantemente per far
avanzare la progettualità nonviolenta.
Quali sono le nostre proposte? Finanziare istituti di ricerca per la risoluzione nonviolenta dei conflitti
internazionali; istituire, reclutare ed addestrare Corpi Civili di Pace per la prevenzione dei conflitti;
avviare un processo di democratizzaziomne dell'ONU; dotare l'Onu di una polizia internazionale; favorire
processi di integrazione con i paesi a rischio; sostenere i gruppi dissidenti dei regimi dittatoriali; creare
una rete di monitoraggio nelle aree a rischio di crisi; avviare passi di disarmo unilaterale e preparare
forme di difesa nonviolenta; investire in diplomazia e favorire processi di pacificazione, di
riconciliazione, di convivenza; controllare il commercio di armamenti, bandire la produzione di armi
chimiche, batteriologiche, nucleari.
E allora siamo qui a proporre, seriamente, a tutte le forze politiche che dicono di aver votato con disagio
a favore della guerra, che da subito prendano in considerazione le nostre proposte, sulle quali lavoriamo
da decenni; se non sono applicabili da subito, serviranno almeno ad evitare la prossima tragedia. Sono le
stesse proposte che facemmo al tempo della guerra del Golfo; rimasero lettera morta, perché – si disse
allora- in quel momento servivano i raid aerei. Se dieci anni fa, oltre ai raid aerei, si fosse almeno iniziato
a preparare un'alternativa, forse la crisi di oggi potrebbe essere affrontata al 95% con mezzi militari e al
5% con mezzi nonviolenti. Sarebbe già molto, perché forse la crisi successiva (fra qualche anno) vedrebbe
l'80% di intervento militare e il 20% di intervento nonviolento, e così via… ma invece siamo ancora al 100%
di micidiali strumenti militari. E la nonviolenza viene solo ridicolizzata, o criminalizzata. E' penoso dover
giustificare la propria obiezione di coscienza. Dopo duemila anni di cristianesimo tocca ancora a chi
rifiuta la guerra spiegarne i motivi. E ogni volta ti senti chiedere: ma voi nonviolenti cosa fareste?
Lasciate impuniti gli assassini? Se non li fermi con le armi, cosa fai? Niente? Allora sei complice…
Ecco il punto: si dà sempre per certo (quasi fosse una verità assoluta) che le bombe siano efficaci, che la
guerra sia risolutiva. Ma è vero?
Questa guerra, come tutte le guerre, è un'avventura senza ritorno. Il primo possibile risultato è quello di
aumentare l'area di consenso attorno al terrorismo fondamentalista, di procurargli nuovi alleati, di
radicalizzare nuove pericolose contrapposizioni.
La guerra è come una valanga, al sua passare travolge tutto e tutti. Uccide anche ciò che vorrebbe
difendere. Divide, spezza, annienta. Con la guerra scompare la speranza. E poi muoiono gli uomini, le
donne, i bambini. Già, i bambini, le vittime più numerose delle guerre moderne.
Quand'ero bambino pensavo che la guerra fosse una cosa d'altri tempi, da libri di storia; e che io una
guerra non l'avrei mai vista. In realtà erano passati solo vent'anni dalla fine della seconda guerra
mondiale, c'era già l'equilibrio del terrore e stava scoppiando la guerra del Viet Nam. Con il brusco
risveglio dell'adolescenza ho scoperto che nel mondo di guerre ce n'erano tante, ma comunque erano tutte
lontane e riguardavano gli americani, i russi o i cinesi. Sono bastati pochi anni e ho visto quattro guerre
che hanno coinvolto direttamente l'Italia: il Golfo, la Bosnia, il Kosovo, l'Afghanistan. La guerra, ormai,
non è più un tabù. Credevamo che i moniti “mai più Auschwitz” e “mai più Hiroshima” fossero definitivi. E
invece ci siamo sbagliati. Pensavamo che la nostra Costituzione impedisse la guerra, ma non è vero
(qualcuno dovrebbe proporre un emendamento per sostituire, all'articolo 11, la parola ripudia con la parola
ammette: sarebbe più serio!). Si gioca con le parole, cambiando il nome alle cose: una pioggia di bombe
viene chiamata “libertà duratura”. Ma la guerra, come disse Gandhi, resta il più grande crimine contro
l'umanità.
Si dice che questa guerra è totalmente diversa dalle altre, che è una guerra di nuovo tipo, la prima guerra
del nuovo secolo. Ogni guerra ha la sua giustificazione, netta, chiara, indiscutibile. Si sa che la guerra è
dolorosa, e la si presenta sacrificio necessario (è anche costosa, preparatevi a pagare…): non la si può
dare vinta ai terroristi. Se non sei con la Patria, sei con il nemico. Il bene contro il male; la democrazia
contro la dittatura, la civiltà contro il terrorismo. Per vincere la guerra ci vuole un paese unito, stretto
attorno alla sua bandiera, a stelle e strisce o tricolore, fate voi; e allora tutti in piazza a tifare per la
guerra. Sarà anche una nuova guerra, ma i metodi sono proprio vecchi, quelli della politica di sempre….Le
armi per difendere Dio, patria e famiglia….Già visto!
Voglio concludere con qualche domanda che questa volta voglio porre io a chi è convinto della bontà di tale
“operazione militare”: quando finirà questa guerra? chi firmerà il trattato di resa? quando si potrà dire,
ecco abbiamo vinto? chi potrà assicurare che dal giorno dopo non ci saranno più attentati? dopo la
vittoria, avremo la pace, o dovremo continuare a preparare la guerra? fino a quando, per la nostra
sicurezza, dovremo finanziare giganteschi apparati bellici, e quanto dovremo ancora attendere per dare
credito alla nonviolenza?
L'opposizione integrale alla guerra è il fondamento costitutivo del Movimento Nonviolento. Fra tanti dubbi
e incertezze, questo almeno è un punto fermo.

*Direttore di Azione nonviolenta

Verona, 8 novembre 2001