Si stabilisce che chiunque puo'
aprire negozi e spacci
di vendita sul territorio nazionale.
Abolita la legge
del 1926, che richiedeva determinati
requisiti.
Chiunque senza alcuna concessione,
licenza, permesso, autorizzazione, e spesso in condizione di analfabetismo
(il 78 % degli alimentaristi non aveva la licenza elementare e il 68% non
possedeva una calcolatrice a mano ancora nel 1957) puo' intraprendere una
attivita' economica, artigianale, industriale o aprire un negozio o uno
spaccio di vendita di qualsiasi genere e in qualsiasi luogo. Parti' cosi'
il Paese di Bengodi.
E' infatti decaduta la legge mussoliniana
del 1926, che per quanto criticabile era in linea con i Paesi europei.
Queste vecchie leggi obbligavano un commerciante ad avere un certo tipo
di conoscenze innanzitutto a carattere scolastico ma anche di idoneita'
sanitaria se commercializzava sostanze alimentari. Piu' era necessario
avere qualche rudimento di conoscenze fiscali e dei prodotti che vendeva.
Dal giornale che leggiamo qualcuno espresse nella discussione alla Camera il proprio dissenso, dicendo che si sarebbe instaurata la "legge della Jungla". Ma il ministro Lombardo, tacito' i pessimisti, affermando che "prima del 1926, non esisteva la Jungla, e non vi e' alcuna ragione che debba esistere da oggi in avanti con la soppressione di quella legge". Appare chiaro che e' un ragionamento dettato piu' dall'antifascismo che non da una visione seria del problema, e questo alle soglie della seconda meta' del secolo quando in America era gia' esploso il consumismo (e fra poco anche la contestazione delle nuove generazioni beat= cioe' gli scontenti) e l'Italia presto ne andra' a mutuare l'alienante modello.
Abbiamo dunque una vera rivoluzione sia nel comparto produttivo che in quello artigianale, commerciale e distributivo. Chi ha iniziativa e idee parte con un nulla e nel percorso crea e rimangono delle strutture che in seguito andranno sempre di piu' a polverizzare la distribuzione con aggravi di costi e una persistente notevole carenza innovativa strutturale, come i trasporti che vengono effettuati con i carretti a traino animale, all'incirca come nei mercati rionali dell'antica Roma.
Abbiamo una totale assenza della
grande distribuzione self service come i supermercati, gia' una realta
in America da venti anni, che del resto non potevano nascere in Italia
se prima non si confezionavano i vari prodotti in scatole o contenitori
del tutto assenti. Verra' la legge sanitaria del confezionamento degli
alimentari solo nel 1963; tempo un anno alle industrie per adeguarsi, ma
con le varie numerose proroghe "per smaltire le scorte" (!? -non
si capisce quali visto che tutto era sfuso e bastava confezionare) si arrivera'
poi al 1967.
Si fece presente che il non decollo
era dovuto alla fobia degli italiani per il prodotto in "scatola chiusa".
Ma era un alibi per quella mancata programmazione industriale nel campo
alimentare, nel campo distributivo e del trasporto.
L'obbligo della nuova legge del '67 sara' quello che imporra' di confezionare in contenitori: riso, pasta, zucchero, farina, latte, olio, burro, biscotti, ecc. ecc.). Diventera' il boom delle poche industrie dei macchinari, che porto' all'eliminazione di parecchie aziende che non si erano adeguate al mercato (erano quindi le infrastrutture e le scelte politiche di interventi sulle industrie specifiche a non fare decollare il comparto e non gli italiani!)
La selezione fra i piu' capaci (nel Far West della distribuzione) in questi anni avviene non solo darwinisticamente ma anche con la spregiudicatezza dei non capaci che operano nei vari settori in modo selvaggio, approssimativo, avventuriero e senza scrupoli. Da questi soggetti nasceranno coloro che creeranno in seguito con il pieno sviluppo del libero (selvaggio) mercato, grandi aziende, grandi negozi, grandi imprese, spesso con metodi molto discutibili che porteranno le stesse piu' tardi (negli anni '90) a monopolizzare e condizionare il mercato, con il genere, le quantita', le qualita' standard e quindi i prezzi, estromettendo senza pieta' i piccoli commercianti dal circuito distributivo. Si arrivera' al punto che un prodotto che non ha una grande rotazione nell'arco dell'anno viene soppresso, standardizzando quindi i prodotti disponibili esposti, gli unici che per questo motivo danno un alto valore aggiunto)
Durera' questa Jungla, questo
Far West, circa 21 anni, fino a quando (dopo che i prodotti ormai
avevano una confezione) il 14 giugno del 1971 si disciplinera' il commercio
(diventati forti i primi avventurieri, temevano questi dai nuovi l'invasione
di campo e la perdita di certi monopoli) con la legge 426 (il REC).
Questo quando i negozi alimentari
erano ormai diventati 479.000 (con 1,2 addetti di media ogni punto vendita
- con un negozio alimentare ogni 100 abitanti. Cittadini che nel frattempo
avevano a disposizione pure circa 500.000 bancarelle dei mercati rionali
o settimanali).
Disciplina anche per gli artigiani
di ogni genere nel frattempo diventati 980.000, dove anch'essi non avevano
alcuna norma, obblighi di fatturazione, ne' alcun vincolo sanitario perfino
coloro che manipolavano alimenti (non esiste un Ministero della Sanita'-
Istituito nel 1958). E' il momento che con la legge 426 si disciplina il
commercio sulla carta, ma non si frena affatto questo tipo di imprenditoria
spontanea, spesso pionieristica, improvvisata, superficiale, fatta da chi
non ha arte ne' parte, spesso inidonea, avventuriera e totalmente senza
le pur minime regole.
Da questo momento, dal varo della legge, gli esclusi agli esami furono pochi. Era sufficiente per l'idoneita' avere appena la licenza scolastica d'obbligo assolta in gioventu', quindi anche la terza elementare. Oppure era esente dagli esami se il soggetto richiedente aveva esercitato almeno per due anni l'attivita'. Significo' quindi mantenere lo stato quo, attendendo l'estinzione naturale o la selezione concorrenziale.
Una selezione dove contribui' l'introduzione
dell'IGE, poi diventata IVA, che rese per alcuni soggetti la vita difficile
e non in grado, data l'istruzione, di seguire complesse procedure fiscali
di una normativa sempre piu' complessa che non richiedeva piu' soltanto
una conoscenza delle regole e degli obblighi di legge ma si rese necessaria
l'assistenza di un commercialista.
Ma fra questi esclusi nasce la
"Terza Italia", il commercio e la produzione in nero, quella dell'economia
sommersa, dell'artigianato terzista, che comincio' a usare il sottoscala
per impiantare un laboratorio e lavorarci con tutta la famiglia per 15
ore al giorno e paradossalmente rifornire (e la mettera' poi in crisi)
anche la grande industria, sempre piu' appesantita dalle rivendicazioni
sindacali, oneri sociali e le varie contestazioni sulla quantita' e qualita'
del lavoro (vedi sotto in Cultura, il pensiero di Wiener, il cibernetico).
Non dobbiamo poi dimenticare che
a contribuire in modo decisivo a questa jungla (durata 11 anni e
che si accentuo' ancor di piu') fu l'abolizione di una legge mussoliniana
in pieno miracolo economico nel 1961: la Legge della Emigrazione Interna
che ogni comune fino a questa data faceva rispettare rigorosamente.
Cioe' se non si aveva una casa
e un posto di lavoro fisso con tanto di dichiarazione del datore di lavoro
si veniva respinti con un foglio di via della Questura al paese d'origine.
L'abolizione di questa legge, e
quella del libero commercio, stravolse il Paese. L'emigrazione selvaggia
ando' a colpire le grandi citta' del triangolo industriale, sconvolgendo
l'urbanizzazione, le strutture sociali, la qualita' della vita, che spesso
divento' per molti una vita di randagi, con veri e propri affollamenti
in vetuste catapecchie senza servizi, o con le stazioni ferroviarie trasformate
in dormitori (basterebbe ricordare Porta Nuova a Torino e le strade limitrofe)
Dal sud, dal Veneto, dalle Valli e dalle campagne si riversarono nelle grandi citta' circa otto milioni di soggetti, che andranno con la manodopera non qualificata a soddisfare le necessita' della grande industria (le catene di montaggio), dei servizi, del libero commercio o a sostituire nelle campagne piemontesi e lombarde quelle forze lavoro che avevano abbandonato i campi per andare nella piu' redditizia "fabbrica", che si rivelera' fra pochi anni in certi settori produttivi come la "fabbrica dell'alienazione" che aveva preconizzato e ironizzato Charlot in Tempi Moderni. Ma piu' scientificamente Wiener, che leggeremo sotto in Cultura.
IN ITALIA AL CENSIMENTO del 4 Novembre 1951 abbiamo il quadro preciso di alcune scellerate scelte politiche del passato, tutte quelle di un intero secolo, quelle che si aggiunsero, mentre altri Paesi nel frattempo erano decollati. Li possiamo vedere nei suoi aspetti piu' mortificanti nel quadro "Istruzione in Europa" nei link "curiosita'" di questo sito, oppure vedi anno 1963.
IN ITALIA IN QUESTO 1951, 7.581.622 sono analfabeti, 13.037.627 sono privi di titolo di studio ma sanno leggere qualcosa, 24.946.399 hanno la Licenza Elementare (3a e 5a) e 3.514.474 possiedono la Licenza Media inferiore , mentre 1.379.811 sono i Diplomati e 422.324 i laureati di cui solo l'8% (34.000 soggetti) con una laurea scientifica. Il tutto su un totale di 47.500.000 di abitanti.
FINE ANNO 1950