HOME


Il Rovescio della Conquista

http://members.tripod.com/~Luis_5/HOME_PAGE.HTML
Testimonianze Azteche, Maya e Inca

di

Miguel Leòn-Portilla





In questo libro parlano i vinti della Conquista dell’America con le loro cronache e i loro manoscritti.

E’ un libro non adatto a ricercatori già specializzati, ma a un pubblico meno esperto, comunque desideroso di conoscere la tragica esperienza vissuta da questi popoli.

Vengono descritte le principali testimonianze azteche, maya e inca. Ognuna di queste popolazioni rappresenta una delle tre principali parti in cui è diviso il libro. In ciascun gruppo vi è una parte in cui si descrive la successione dei fatti, una in cui vengono date delle notizie riguardo alle testimonianze che possediamo, un’altra in cui si dimostra il significato del trauma della conquista per le anime indigene e un’ultima che assomiglia a un’antologia dei testi indigeni sulla conquista.
 
 

Agli inizi del XVI secolo, i mexica, come gli aztechi si autochiamavano, erano arrivati al massimo del loro sviluppo e splendore, con uno stato che si estendeva dal golfo del Messico, al Pacifico e a sud si spingeva fino alle frontiere dell’attuale Guatemala. Essi avevano ereditato le proprie istituzioni culturali dai toltechi e da altri popoli più antichi come i teotihuacani.

Il 18 febbraio 1519 Hernàn Cortès, insieme a Pedro de Alvarado, Francisco de Montejo, Bernal Dìaz del Castillo e altri uomini importanti per la spedizione, parte da Cuba alla testa di 11 navi, 600 uomini, 16 cavalli e vari pezzi d’artiglieria. Grazie anche alla presenza di Jerònimo de Aguilar, che, rimasto nella zona dello Yucatàn per un naufragio aveva imparato la lingua maya e a quella di Malinche, una schiava catturata poco più avanti che sapeva sia la lingua maya sia quella azteca, Cortès riuscì fin dall’inizio a farsi capire.

Il 22 aprile 1519 la spedizione sbarcò sulle coste di Veracruz e sei mesi più tardi potevano ammirare la capitale di questa popolazione, la metropoli Mèxico, costruita in mezzo ai laghi della Valle del Mèxico.

Tutti questi avvenimenti vengono descritti in modo molto efficace sia dai cronisti indigeni con narrazioni che spesso sembrano poemi epici, che da quelli spagnoli.

Inizialmente Motecuhzoma, il grande Signore degli aztechi, aveva creduto che essi fossero degli dei, ospitandoli e inneggiandoli, ma quando Pedro de Alvarado, che aveva preso il comando per un momentaneo allontanamento di Cortès, gli attaccò a tradimento, la situazione cambiò radicalmente: il 30 giugno 1520 i conquistatori furono costretti a fuggire e nella fuga tutti i tesori e metà degli uomini andarono perduti. Solo dopo circa un anno gli spagnoli, ritenuti ora non più dei, ma popolocas (barbari), alleati con una popolazione locale, poterono dare davvero inizio all’assedio di Mèxico, terminato 13 agosto 1521 con la cattura del giovane capo, succeduto a Motecuhzoma, Cuauhtèmoc.

Poiché sarebbe impossibile analizzare tutte le testimonianze azteche, in questo libro vengono annotate solo poche espressioni, dalle quali però traspare pienamente la concezione che essi si fecero dell’arrivo degli uomini di Castiglia, della lotta e della sconfitta che significò la morte dei loro dei e la distruzione dell’antica cultura. Un fondamentale aspetto della visione azteca è che tutta la conquista si svolse in una cornice magica: gli anni precedenti erano stati caratterizzati da vari prodigi che lasciavano intendere che qualcosa di diverso sarebbe accaduto. Vi erano anche grandi dubbi sull’identità di questi uomini, arrivati su enormi barche, che cavalcavano i cavalli, animali non esistenti all’ora in quelle terre e che possedevano armi da fuoco. Questa incertezza sull’identità, provocava nel cuore di Motecuhzoma e di tutto il popolo una grande angoscia. Alla fine, dopo la sconfitta finale, appare chiaramente, anche leggendo i brani a pag.24, un trauma profondo: essi erano un popolo guerriero, il loro dio principale era proprio quello della guerra, erano gli eletti dal sole, fino a quel momento era stato sempre compito loro sottomettere gli altri, si sentivano invincibili. Proprio per tutti questi motivi fu ancora più difficile per loro accettare la sconfitta.

L’esperienza della Conquista fu per loro molto più che una tragedia.