"Maffeo Vegio"

LODI

corso sperimentale linguistico

1994/95

 

 

 

VOCI DELLA MEMORIA

da Auschwitz a Sarajevo

 

a cura della classe 3ª G

Aiardi Katia

Bianchi Valentina

Bocchiola Barbara

Borsotti Gaia

Brunofero Flora

Carraro Greta

Casorati Valentina

Coviello Roberta

Farina Paola

Forti Roberta

Garioni Valentina

Gentili Laura

Griffini Vera

Menicatti Viviana

Patroni Alice

Pezzoni Martina

Pisatti Elisabetta

Pozzi Valentina

Raimondi Silvia

Rezzani Elisabetta

Riolfi Giorgia

Sfogliarini Milena

Sordi Guendalina

Stangoni Alessandra

Stella Paola

Tacchinardi Thea

Tosini Francesca

 

 

coordinamento

Pietro Sarzana

 

 

 

Cinquantennale della Resistenza e della guerra di Liberazione

1945-1995

 

 

 

 

 

 

 

 

agli uomini alle donne

che hanno resistito

 

 

 

 

 

 

 

VOCI DELLA MEMORIA

da Auschwitz a Sarajevo

PROGETTO

Chi (protagonisti)

La classe 3^G del corso linguistico, per un totale di 27 studenti e l’intero consiglio di classe, che si è reso disponibile all’iniziativa e ha collaborato al reperimento e utilizzo del materiale; in particolare: Pietro Sarzana (docente di italiano), Silvie Carrara (docente di francese), Luigina Barbieri (docente di storia), Giuseppina Coscia (docente di religione), Peter Herrbeck (docente di madrelingua tedesca), Cinzia Monticelli (docente di matematica).

Il progetto Voci della memoria è stato inoltre inserito come modulo del "Progetto Giovani" 1994/95: vi hanno collaborato le classi 3ª F, 3ª G, 3ª I.

Cosa (oggetto)

Video che presenta sinteticamente le vicende degli ebrei e degli altri internati nei Lager nazisti, ma anche la drammatica situazione dei campi di concentramento recentemente aperti nell’ex-Jugoslavia, in base alle testimonianze dirette e indirette raccolte dai gruppi di lavoro.

Le fonti sono state corredate da immagini scelte nell’ambito di materiali d’archivio, dossier televisivi, quotidiani, periodici e volumi dedicati all’argomento. Tali fonti, preliminarmente fatte oggetto di analisi testuale e di contestualizzazione storica, sono state raccolte in un dossier di carattere documentario, complementare al video.

Perché (obiettivi)

Come (compiti)

per la classe.

Quando (tempi)

L’anno scolastico 1994/95. Alcune ore settimanali sono state concesse dai docenti nell’ambito del loro orario di cattedra. Sono stati utilizzati quattro mesi di lavoro per la prima fase di ricerca che è confluita nella produzione del videofilmato nel mese di aprile 1995; nel mese successivo è stato realizzato il dossier.

Nel mese di febbraio si sono svolti tre incontri pomeridiani afferenti il percorso:

  1. La deportazione nel Lodigiano (Gianfranco Mariconti, membro dell’aned di Milano);
  2. Storia e memoria: memoria come radice e come spina (Ercole Ongaro, docente di storia e autore del volume Guerra e Resistenza nel Lodigiano 1940-1945, 1994);
  3. La Resistenza nel Lodigiano (Edgardo Alboni, presidente dell’anpi di Lodi).

Nel mese di marzo, nell’ambito delle celebrazioni per il Cinquantennale della Resistenza, alcune alunne hanno partecipato all’incontro:

Le donne tra antifascismo e Resistenza (Lucia Motti, Società Italiana delle Storiche).

Forme di verifica

La verifica è stata attuata dai singoli docenti nell’ambito del proprio insegnamento e dal consiglio di classe nelle apposite riunioni. La valutazione è ampiamente positiva, in quanto ha suscitato un reale interesse delle alunne, abituandole a lavorare positivamente in gruppo, a riorganizzare le conoscenze e le competenze, a unire le forze per la realizzazione di un progetto comune.

Ricaduta

Ci si augura che il lavoro possa rendere le alunne più mature criticamente e consapevoli della storia che sta immediatamente alle nostre spalle e davanti ai nostri occhi; è anche attesa una maturazione nei rapporti interpersonali all’interno della classe e un’apertura maggiore al mondo esterno, con una crescita dell’accettazione del diverso e dell’estraneo.

Il dossier, il videofilmato, la sezione libraria e la bibliografia costantemente aggiornata potranno servire anche nei prossimi anni scolastici a tutte le classi dell’Istituto, in particolare alle quinte, per approfondire questo fondamentale argomento.

 

 

Il coordinatore del progetto di classe

Pietro Sarzana

Lodi, 25 aprile 1995

 

 

 

 

 

 

 

La memoria è conoscenza

la conoscenza è libertà.

Ricordare le ingiustizie di ieri per capire

i pericoli di oggi.

ANED 1995

 

 

 

 

 

Gli ebrei dalla Diaspora allo sterminio

Dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. gli ebrei si dispersero nel mondo. Con l'editto di Costantino (313) cominciò ad affermarsi la concezione della diaspora come castigo conseguente al deicidio e si diffusero atteggiamenti ostili nei confronti degli ebrei, che per tutto il Medio Evo rappresentarono le vittime innocenti su cui poter sfogare il proprio malessere senza rischiare né reazioni né punizioni. Così quando negli anni Trenta Hitler prese a perseguitare gli ebrei, in sostanza non inventò nulla di nuovo; nuovo fu però il carattere sistematico che il Führer diede alle persecuzioni e il fatto che esse furono presentate per la prima volta come obiettivo del programma di un partito politico. Chiunque voglia avere un’idea dell'antisemitismo di Hitler deve solo sfogliare il Mein Kampf, un libro che rivela una vera ossessione verso gli ebrei, ritenuti i principali responsabili di tutti i mali della Germania. Con questi argomenti Hitler ebbe una presa immediata sulla maggioranza dei tedeschi, i quali ritrovarono un'unità creandosi un nemico immaginario su cui sfogare il loro odio. Ora la sconfitta militare, l’umiliazione dell'esercito, la disoccupazione e la fame potevano finalmente avere un volto e un nome.

Date queste premesse, non c'è da meravigliarsi se i primi provvedimenti contro gli ebrei tedeschi furono adottati solo due mesi dopo l'avvento di Hitler al potere. Seguirono altre disposizioni che nel giro di pochi anni finirono per escludere tutti i non tedeschi da ogni settore della vita pubblica. Il più feroce documento legislativo è rappresentato dalle leggi di Norimberga, le quali vietavano ogni tipo di relazione sessuale tra tedeschi ed ebrei: anche un semplice saluto, un bacio o una carezza erano più che sufficienti per la consumazione del reato. Nacque quindi il concetto di "contaminazione razziale".

Nel settembre 1939 comincia la guerra tra la Germania e la Polonia: situato tra la Russia e la Germania, questo Paese era sempre stato mercanteggiato tra i Paesi confinanti. La guerra dura solo tre o quattro settimane: ma già dopo due giorni Varsavia viene evacuata e iniziano ad affluirvi i profughi occidentali. All'epoca in Polonia risiedevano circa tre milioni e mezzo di ebrei, 350.000 solo in Varsavia. Il regime di terrore introdotto dai tedeschi era spaventoso: i soldati picchiavano la gente per strada senza motivo; il loro ideale era quello di ricondurre il popolo tedesco ad una vita superiore senza badare alle ingiustizie perpetrate: il risultato finale di una più grande Germania avrebbe giustificato l'uso di certi mezzi.

Quando arrivò la Gestapo apparvero le prime ordinanze con le quali si obbligavano gli ebrei a risiedere in un quartiere separato, il ghetto, all'interno del quale: il ghetto, all'interno del quale gli ebrei cercavano di conservare qualche parvenza di normalità: tenevano concerti, organizzavano comitati culturali, insegnavano a leggere e scrivere ai bambini, poiché le scuole erano proibite. Mancavano i viveri, e quando il ghetto venne chiuso si sviluppò il contrabbando: i bambini uscivano nel settore ariano e portavano un po’ di cibo: per questo ne furono uccisi molti. I tedeschi costituirono un consiglio degli anziani e nominarono presidente l'ex senatore polacco, la cui funzione consisteva nell'occuparsi delle diverse questioni tra il consiglio ebraico e il sindaco, e dei problemi ospedalieri causati soprattutto da epidemie. Quando gli ebrei venivano chiamati nei piazzali di carico delle merci dove partivano i treni per i campi di concentramento, i tedeschi recitavano delle messinscene per mantenere l'ordine del ghetto e per nascondere il vero tragico obiettivo. Questa deportazione veniva diretta in modo tale da mantenere la popolazione nella convinzione che nessuno sarebbe stato mandato alla morte.

La scelta di resistere nacque molto presto: già dall’ottobre 1942 si svilupparono le prime organizzazioni e nel giro di qualche mese nacquero ventidue gruppi di combattimento. Erano male armati perché nel ghetto era molto difficile procurarsi delle armi. Quando i tedeschi occuparono il ghetto, entrarono da parti diverse con carri armati e cannoni, si radunarono su una piazza e vennero assaliti per primi con lanci di bombe a mano e fuoco di fucileria. Incominciarono allora a ritirarsi dando fuoco alle case.

La lotta continuò per quasi tre settimane. Nel frattempo i nazisti deportarono gli ultimi 60.000 ebrei. Al termine della battaglia rimasero quaranta combattenti disperati, che passarono attraverso le fognature nella parte ariana della città per unirsi, nei boschi, con i partigiani. Solo un piccolissimo gruppo sopravvisse all'insurrezione e resistette nelle fogne del ghetto finché giunsero le truppe sovietiche.

LETTERA A UN’AMICA IMMAGINARIA

Anche Anna Frank visse nel Ghetto, nascondendosi per lunghi mesi, finché venne arrestata e internata ad Auschwitz, dove morì a quindici anni nell’aprile marzo del 1945, insieme con la sorella Margot.

Come Anna, anche Zlata Filipovic ha scritto un diario circa la sua esperienza durante la guerra: nata a Sarajevo nel 1986, dopo due anni tragici vissuti nell’angoscia della città bombardata, si è trasferita a Parigi, in cerca di serenità.

Anna e Zlata, due ragazze così diverse: di età diverse, di religioni diverse, vissute in periodi diversi; lontane quindi, ma vicine e strettamente legate per due motivi molto importanti. Uno è quello di aver visto due guerre, seppur combattute per motivi differenti, ma ugualmente atroci e ingiustificate; l'altro di aver confidato le proprie riflessioni sulla realtà che si poneva loro davanti, le proprie paure e aspettative per il domani a un diario, rivolgendosi ad un interlocutore fidato inesistente.

La prima, ebrea, vissuta durante la seconda guerra mondiale, descrive con una sensibilità poetica che traspare delicatamente dai suoi testi le situazioni familiari comuni, rimanda sempre alla paura di essere scoperta, vivendo da clandestina ad Amsterdam, e di non poter più godere tali momenti semplicemente e serenamente. Parlando di tutto ciò a un'amica immaginaria, ella sottolinea la gravità e il peso della guerra per una persona che, appartenente suo malgrado a quella razza che al tempo era considerata la peggiore e che doveva essere distrutta, porta avanti una meditazione personale e profonda su ciò che la guerra significa per lei.

La seconda, musulmana, nata nel 1980, ha vissuto una lotta, quella serbo-bosniaca, che impressiona anche noi, esterni al tormento delle popolazioni che vedono ogni giorno davanti ai loro occhi la morte. Anche lei come Anna consegna a un'amica immaginaria di nome Milly la cronaca di giornate profondamente mutate: le notti passate in cantina, l'esplodere delle granate, le raffiche dei cecchini, le case in fiamme, gli amici uccisi. Parole che urlano contro l'ingiustizia di un conflitto brutale che le ha distrutto l'infanzia.

Questa voglia di vivere che entrambe, pur ragazzine, avevano nel loro animo prima dello scoppio della guerra , si è spento quando hanno cominciato ad affrontare situazioni tragiche, troppo dolorose ed aspre per giovani donne che vivono il periodo più delicato ed importante della loro vita, l'adolescenza, e che si vedono passare il tempo fra le mani, incapaci di crescere, senza poter dire basta all'ignoranza delle persone che combattono.

A questo proposito ricordiamo una frase di Zlata: "Cara Mimmy, ti ricordi il 2 maggio del ‘92 ? Il giorno più infernale di questa vita così agra ? Spesso mi dico che forse non è stato il giorno più spaventoso, ma è stato il primo di una lunga serie, e quindi me lo ricordo come il peggiore". Un’altra del 29 giugno 1992 dice: "Cara Mimmy, NOIA, SPARI, GRANATE, MORTI, DISPERAZIONE, FAME, DOLORE, PAURA ! Questa è la mia vita, la vita di un'innocente ragazzina di 11 anni, una bambina della guerra, una bambina senza infanzia ! Non potrò mai tornare ad essere una bambina normale, la guerra mi ha portato via tutto, perché !? Sono disperata !"

Anna, cinquant’anni prima, scriveva nel suo diario il 15 luglio 1944 : "Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini: eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace, la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali: verrà un tempo in cui saranno forse ancora attuabili".

È questa la voce fiduciosa e serena di chi è riuscito a superare, con la bontà e il coraggio, la barriera del male.

Anna, la maggior parte delle volte speranzosa e fiduciosa verso il futuro, non avrebbe mai creduto di finire la sua vita nella disperazione di un Lager nazista. Zlata, invece, forse più reale e tormentata nelle sue pagine, vive grazie a coloro che, avendo imparato il vero e grande significato della parola "LIBERTÀ", si impegnano per far cessare la disumana, crudele guerra che ossessiona la Bosnia.

organizzazione e struttura dei Campi di concentramento

All'inizio si era parlato di "custodia preventiva". I campi di concentramento erano stati presentati come uno strumento di lotta politica, un mezzo per decapitare le opposizioni. Via via essi si rivelavano invece un'istituzione autonoma, una sorta di società parallela, forgiata dentro lo stampo dell'ideologia nazista.

Lo sterminio integrale degli ebrei, chiamato dai nazisti "soluzione finale del problema ebraico", fu deciso e approvato durante una apposita e segreta riunione ristretta di pochi alti gerarchi, tenuta nei pressi di Berlino nel 1942. Essa interessò approssimativamente 11 milioni di persone, per la maggioranza ebrei.

Nei Lager le varie categorie di deportati erano contraddistinte da triangoli di diverso colore:

- verde per i delinquenti comuni

- bruno per gli zingari

- nero per gli asociali

- azzurro per gli apolidi

- rosa per gli omosessuali

- rosso per i politici

- viola per i testimoni di Geova e gli obiettori di coscienza

- due triangoli sovrapposti gialli (a formare la stella di David) per gli ebrei

Tra i deportati esisteva una sorta di gerarchia, una scala sociale che le SS avevano appositamente creato: alcuni di loro, i Kapò, erano stati scelti per dirigere la vita e la morte dei loro compagni. Eppure i Kapò, di cui il semplice deportato aveva terrore, tremava a sua volta di fronte a un qualsiasi soldato delle SS: essi furono vittime e aguzzini allo stesso tempo.

C'era un'altra categoria, tra i deportati, che si sottraeva al destino comune dello sterminio: si trattava dei Prominenten, coloro che per qualche motivo erano utili ai tedeschi e quindi venivano trattati diversamente dagli altri deportati.

I Prominenten si comportarono in tre modi diversi: alcuni collaborarono con le SS e con i Kapò; altri si preoccuparono solo di vivere nel migliore dei modi possibile, senza correre rischi; altri infine si opposero al sistema usando la loro posizione privilegiata per aiutare i compagni a rischio della loro vita.

Nel 1941 i Lager vennero divisi in tre categorie; Mauthausen fu considerato di terza. Vi dovevano essere inviati, per l'annientamento, gli elementi irrecuperabili. Tutti i deportati percorsero la stessa trafila: pochi mesi di fatica inumana, lo sfacelo fisico e mentale, l'eliminazione. La durata della vita media nel Lager era prevista, dalle tabelle di sfruttamento compilate dagli uffici centrali, in nove mesi; nella maggior parte dei Lager essa fu perfino inferiore.

Nel marzo 1944 il comandante della Gestapo impartì un ordine: i militari evasi dai campi di concentramento dovevano essere convogliati a Mauthausen e uccisi al loro arrivo con una pallottola alla nuca. L'esistenza delle cave fece scegliere Mauthausen per la creazione del Lager che sarebbe poi stato nominato "macinaossa": il frantoio macinava le pietre, il Lager macinava gli uomini. Chi arrivava a Mauthausen trascorreva in quella fortezza il primo periodo di detenzione: il "periodo di educazione", come dicevano le SS. In sostanza, una quarantena in cui veniva iniziato il processo di spersonalizzazione del deportato.

Nei registri di Mauthausen vennero immatricolati 156000 deportati, ma il numero effettivo fu maggiore: durante i primi anni si usufruì ripetutamente, per i nuovi arrivati, di numeri già appartenuti a deportati morti; inoltre numerosi deportati, isolati o a gruppi, furono uccisi all'arrivo senza essere immatricolati.

La sistematica persecuzione e infine l'eliminazione dei cechi, degli ebrei, dei 4000 russi prigionieri di guerra, degli olandesi e di molti italiani sono elementi di prova che stabiliscono l'esistenza di un piano comune: ne è un'ennesima prova il fatto che Mauthausen fosse classificato come Lager di sterminio.

l’erba non cresceva ad Auschwitz : Donne nei Lager

" Il mio unico desiderio fu quello di poter avere i capelli bianchi, diventare subito vecchia , mettere alle spalle tutto quell’orrore ". Parole incancellabili di una delle tante donne internate nei Lager nazisti. Una delle poche che si sono salvate.

Molte impazzivano perché, una volta arrestate e violentate, tentavano invano di trovare un senso a ciò che stava loro accadendo. Ma senso non c’era.

Ogni valore era calpestato: anche la maternità e la coniugalità erano negate in quanto i figli venivano loro strappati con violenza e portati in luoghi sconosciuti, i mariti venivano allontanati dalle mogli prima di essere messi sui treni. In questi infernali mezzi di trasporto le donne subivano anche una violenza psicologica: nude venivano ammassate come animali e il loro respiro diventava sempre più affannoso tanto che dovevano avvicinarsi a turno alle finestre per riuscire a respirare. Anche la sete era loro nemica, molte infatti morivano a causa di essa e venivano ammassate in un angolo del vagone.

Quelle che arrivavano ai campi di concentramento dopo questi travagliatissimi viaggi, erano costrette a lavorare duramente. Ogni tanto qualcuna riusciva a tenere un diario e nei pomeriggi domenicali comunicava alle altre le riflessioni sulle interminabili giornate trascorse. "Arrivavano i mattini e le sere ed era sempre così, non esistevano giorni particolari, ma una routine che si ripeteva violenta e tragica sui nostri corpi e sui nostri pensieri" (Loredana, internata a 18 anni a Mauthausen, trasferita in seguito ad Auschwitz).

A molte sembrava quasi impossibile riuscire a sopportare tanta disperazione: ma alcune di loro, arrivate all’inferno, per una serie di circostanze irripetibili, riuscirono a rivedere le stelle.

 

 

 

 

due testimonianze

"Una volta all’appello ci tennero in piedi tutta una mattina perché mancavano due prigioniere. Si trattava di due ebree triestine che erano andate al gabinetto; la madre era molto anziana e la figlia l’aveva accompagnata. Nonostante piovesse a dirotto ci fecero mettere tutte in ginocchio con le braccia alzate e così ci tennero per delle ore. Finalmente trovarono le due ebree. Le portarono sul piazzale e, davanti a tutte, iniziarono il pestaggio coi calci fino a che la vecchia morì. La figlia fu portata via con lei e certamente finì al camino"

(Arianna, 11 anni,

una delle tante donne a Birkenau)

"A volte non connettevo, mi ritrovavo seduta per terra con un legnetto in mano e disegnavo ghirigori nel fango. Non pensavo a mia madre, al nipotino, eppure sapevo quasi con certezza che erano stati portati al camino. Ero annientata, senza sofferenza, vegetavo come un essere amorfo. Per mantenere un aggancio alla normalità mi ero convinta che tutto il mondo fosse come il Lager, che quella che vivevo fosse una situazione normale"

(Zita, 19 anni, internata ad Auschwitz)

 

 

 

Buna

Piedi piagati e terra maledetta,

Lunga la schiera nei grigi mattini.

Fuma la Buna dai mille camini,

Un giorno come ogni giorno ci aspetta.

Terribili nell’alba le sirene:

"Voi moltitudine dai visi spenti,

Sull’orrore monotono del fango

È nato un altro giorno di dolore".

Compagno stanco ti vedo nel cuore,

Ti leggo negli occhi compagno dolente.

Hai dentro il petto freddo fame niente

Hai rotto dentro l’ultimo valore.

Compagno grigio fosti un uomo forte,

Una donna ti camminava al fianco.

Compagno vuoto che non hai più nome,

Un deserto che non hai più pianto,

Cosi povero che non hai più male,

Così stanco che non hai più spavento,

Se ancora ci trovassimo davanti

Lassù nel dolce mondo sotto il sole,

Con quale viso ci staremmo a fronte?

28 dicembre 1945

Primo Levi

BAMBINI nel massacro

Tra le migliaia di persone vittime del massacro nazista erano coinvolti anche i bambini: creature fragili, indifese, stordite che non potevano neppure capire la ferocia degli uomini, vestiti di nero e in képi. Riguardo alle loro condizioni di vita nei campi di concentramento, ci sono pervenute diverse testimonianze, tra le quali quella di Jona Oberski, un ebreo olandese che a sei anni viene internato insieme ai genitori in un campo di concentramento. Nel libro l’autore descrive diversi episodi drammatici senza mettere in risalto i propri stati d’animo; tra i più significativi abbiamo la descrizione del viaggio verso il campo nel vagone buio ed angusto del treno merci ("Salimmo sul treno. Era pieno zeppo e buio. C’era un odore sconosciuto. Dovevamo parlare a voce bassa, altrimenti gli altri si svegliavano. Erano tutti molto stanchi"), la sua sensazione di emarginazione nei confronti degli altri bambini più grandi, il ritrovamento del padre in una catasta di cadaveri presso i forni crematori ("Vidi soltanto un braccio. Cominciai a svolgere il lenzuolo, fino a che riuscii a vedere la testa. Il volto era nero di barba. Il naso, gli occhi e le mani assomigliavano molto a quelle del papà"): ed infine la violenza subita dalle SS che gli puntavano spesso il fucile alla nuca facendolo vivere costantemente nell’angoscia.

Altre testimonianze significative sono quella di Trusi Nissbaum, un bambino palestinese di otto anni che viene internato con gli zii a Bergen-Belsen, dopo continui spostamenti da un nascondiglio all’altro per sfuggire alle SS. Del campo egli ha pochi ricordi: l’odore di decomposizione dei corpi nelle fosse comuni, la violenza usata dai Tedeschi che trattavano i bambini come dei criminali puntando le armi alla schiena.

I bambini erano spesso sottoposti come gli adulti a esperimenti medici: continui prelievi di sangue, radiografie, prove sulla sterilità e sulla pigmentazione degli occhi e della pelle.

Dalle testimonianze raccolte abbiamo dedotto che la crudeltà dei Nazisti non si attenuava neppure di fronte ai bambini, i quali, se da una parte non si rendevano del tutto conto di ciò che stava loro accadendo, dall’altra, essendo spesso separati dai genitori, soffrivano e si sentivano abbandonati.

 

 

Un bambino di Dachau

C’erano tanti bambini a Dachau.

Un giorno ne vidi uno molto piccolo,

forse aveva quattro o cinque anni,

stava giocando sui sassi del cortile,

era magro, pallido,

con dei grandi occhi tristi.

Un caporale delle SS

lo prese tra le braccia

e cominciò a palleggiarlo,

lo buttava in alto per gioco

e il piccolo rideva, rideva felice.

Poi all’improvviso

l’uomo lo lanciò con forza

contro il filo spinato del muro di cinta

percorso dall’alta tensione.

Il bambino vi restò impigliato

e oscillava al vento

come una bambola di pezza,

come un fantoccio senza vita.

Così morì un piccolo di Dachau.

 

gli Esperimenti "scientifici"

Da millenni, nella storia del genere umano, era pacifico che i medici dovessero far guarire. Poi vennero i nazisti. Non si cominciò subito con lo sterminio; non si cominciò subito con le camere a gas e i forni crematori: prima venne l’obbedienza cieca, il mito della razza superiore. Poi vennero le teorie naziste sulle "vite indegne di essere vissute": e per i medici di fede nazista, specialmente per coloro che avevano frequentato l’Accademia di Medicina delle SS, si aprirono infinite possibilità di compiere esperimenti; però, anziché su cavie e topi, questi medici delle SS lavorarono sugli esseri umani. Questi esperimenti non approdarono a nuove acquisizioni scientifiche; furono spesso condotti per puro divertimento e fu permesso ai medici di "sperimentare" e di godere delle sofferenze altrui.

La maggior parte di questi sperimentatori è sopravvissuta alla guerra; le cavie no, oppure sono sopravvissute mutilate per sempre e sono testimoni viventi dei crimini della medicina nazista.

Tra gli esperimenti effettuati c’erano quello di spogliare i prigionieri dei loro pochi stracci per far loro indossare delle tute e immergerli in speciali vasche di acqua gelida. Non tutti coloro che venivano sottoposti a questa prova di congelamento morivano; questo infatti accadeva soltanto quando si immergeva nell’acqua anche l’occipite. Ma quelli che non morivano venivano poi fatti morire sul tavolo di dissezione, prelevando loro gli organi per esaminarli ancora "freschi".

Si svolgevano inoltre esperimenti sui prigionieri per studi sulla dissenteria, la malaria, la febbre gialla, la tubercolosi e l’epatite virale; esperimenti sui gemelli e sui nani; esperimenti sulla resistenza alle grandi altezze e sulla potabilità dell’acqua marina; atroci esperimenti sugli omosessuali.

E tutto questo fu chiamato scienza!

 

 

 

 

IN VENDITA

L’Istituto di Igiene SS, enti pubblici, la IG-Farben, la Behring e altre aziende chimiche e farmaceutiche acquistavano internati-cavie dai Lager SS. Un solo esempio, tra i tanti documentati al Processo di Norimberga: la Bayer ottiene da Auschwitz 150 internate pagandole 170 marchi a testa (il comandante Höss ne aveva chiesti 200) per esperimenti su un nuovo tipo di narcotico; muoiono tutte, e la Bayer rinnova la richiesta...

 

 

Shemà

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo,

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi:

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da noi.

10 Gennaio 1946.

Primo Levi

   

Testimonianze di sopravvissuti

"Nei campi di concentramento la morte non richiede spiegazioni. È la sopravvivenza a dover essere spiegata": dalle testimonianze che abbiamo raccolto si è capito che il problema che accomuna tutti i sopravvissuti è quello di ricordare e raccontare un passato estremamente duro e doloroso. I loro volti privi di espressione rispecchiano paura, rassegnazione, la vergogna di aver vissuto un’esperienza così umiliante. I loro sguardi persi nel vuoto celano una profonda tristezza, come se essi fossero consapevoli di non poter essere capiti fino in fondo. La voce di chi racconta ciò che ha provato è pacata e prima di raccontare gli episodi più cruenti e drammatici si interrompe sopraffatta dalla commozione.

Spesso le emozioni più forti e il silenzio prevalgono sulle parole e le lacrime non vengono trattenute, ma scendono lentamente, bagnando il loro viso. Ciò che colpisce chi li ascolta è il fatto che non riescono, malgrado sia passato tanto tempo, a liberarsi da quella sensazione di inferiorità che li ha perseguitati per gran parte della loro vita.

"Perché sopravvivere? Perché io e non un altro? Forse sarebbe stato meglio morire come tutti gli altri uomini uguali a me". Quegli uomini che potevano essere considerati tali solo di fronte alla morte fisica. Allora sì, erano tutti uguali; dato che ormai erano già morti moralmente e solo un numero li separava dalla fine della loro vita. E la morte era comunque come l’unica liberazione possibile da quell’incubo. Meglio morire che vivere da morti.

Non appena liberato dal campo di sterminio di Auschwitz dove era stato deportato nel 1944, Primo Levi scrisse il libro Se questo è un uomo per renderci partecipi di quanto aveva vissuto nel Lager: il libro è un documento degli orrori a cui l'uomo può giungere quando la convinzione che "ogni straniero è nemico" si trasforma in norma di comportamento. I nazisti, infatti, non solo cercavano di annullare la dignità umana dei deportati, ma anche di sopprimere la memoria storica considerandoli appartenenti a razze inferiori.

Date queste premesse non stupisce l’ossessione nazista di uccidere i non tedeschi e il rito hitleriano del rogo dei libri che esprimono una cultura ostile o diversa.

Primo Levi, ebreo e partigiano e perciò doppiamente inviso ai nazisti, grazie forse alla sua "fortuna" - come egli stesso afferma nell'introduzione al suo libro autobiografico - riesce a sopravvivere all'incubo del Lager; ma perché questa esperienza di perdita di dignità e identità umana non debba mai più ripetersi è necessario che tutti sappiano che cosa ha significato essere prigioniero nei Lager nazisti e mai, mai lo dimentichino.

La consapevolezza di essersi salvato senza meriti personali, ma anzi per aver ricevuto un trattamento privilegiato a volte in cambio del tradimento della naturale solidarietà coi compagni, tormenta Primo Levi e molti altri sopravvissuti.

Alzarsi

Sognavamo nelle notti feroci

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare.

Finché suonava breve e sommesso

Il comando dell’alba:

"Wstawa¢";

E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,

Il nostro ventre è sazio,

Abbiamo finito di raccontare.

È tempo. Presto udremo ancora

Il comando straniero:

"Wstawa¢".

11 gennaio 1946

Primo Levi

i tedeschi oggi di fronte all’olocausto

Auschwitz: quante volte si è sentito nominare questo nome, per quante persone esso è causa di incubi e di terrore!

Ormai siamo vicini al cinquantesimo anniversario della fine della seconda Guerra Mondiale, ma nonostante ciò molti degli uomini che mezzo secolo fa vennero rinchiusi nei campi di sterminio ricordano ancora perfettamente questa terribile esperienza, marcata indelebilmente a caratteri infuocati nelle loro menti. Gli orrori, le tragedie e le macabre uccisioni legate ai campi di sterminio hanno spesso segnato profondamente la loro psiche, procurando terribili incubi notturni e sconvolgendo la loro vita.

Quando si parla di campi di concentramento viene istintivo collegare il fatto con il popolo tedesco e ci si chiede molto spesso come uomini simili a noi abbiano potuto essere gli artefici di un simile abominio. Ma che cosa pensano oggi i tedeschi riguardo al loro passato macchiato da una così grave colpa?

Per loro è spesso difficile rendersi conto che appartengono ad un popolo segnato da un tale passato. Poiché non devono rispondere in prima persona di queste sofferenze, alcuni chiedono perché debbano farsi carico del passato, ritenendo di doversi preoccupare unicamente dei compiti del presente e del futuro. Questi ragazzi non c'erano quando accadde lo sterminio: ma esso fa parte della loro storia, da cui devono modellare un presente ed un futuro migliori.

Dieci anni fa, in ricordo del quarantesimo anniversario della fine della guerra, lo stesso presidente tedesco Richard von Weizsacker tenne un discorso molto profondo e carico di significato, dicendo tra l'altro "Non si tratta di vincere il passato: questo non è possibile. Non possiamo cambiare o cancellare ciò che è avvenuto. Chi non vuol ricordare la disumanità, si rende soggetto a nuovi rischi di infezione. Auschwitz ci ammonisce a riflettere su come è potuto succedere quel che è successo perché non possa accadere di nuovo qualcosa di simile. Non c'è una strada che non passi da Auschwitz!".

Ancora oggi in Germania i rapporti fra ebrei e tedeschi sono molto freddi e c'è molta diffidenza degli uni nei confronti degli altri. Questo non sorprende certamente nessuno: il ricordo della disumanità e del profondo razzismo sfociato in odio sono ancora troppo vivi nella mente di chi li ha sperimentati sulla propria pelle.

Per capire meglio i sentimenti dei tedeschi di fronte alla crudeltà dei campi di concentramento, riportiamo qui una breve intervista fatta ad un tedesco residente in Italia ormai da qualche anno.

- Come veniva affrontato in Germania il problema dei campi di concentramento?

- In Germania tutto ciò che riguardava il genocidio ebreo è sempre stato considerato argomento tabù; questo fino agli anni '70. Mi ricordo, infatti, che addirittura a scuola non siamo mai arrivati a studiare la seconda Guerra Mondiale; all'inizio pensavo che fosse soltanto un caso, ma ora non ne sono più così sicuro.

- Perché questo, secondo te, era considerato argomento tabù?

- Penso per una sorta di vergogna: i tedeschi hanno paura di affrontare questo problema, paura di sentire il peso della colpa.

- E tu, personalmente, che cosa provi?

- È ovvio che mi senta in colpa, hanno massacrato delle persone innocenti! Pur non avendovi partecipato in prima persona è difficile accettare a cuore leggero la realtà dei fatti: mio padre stesso è colpevole!

- Ti pesa parlare di tuo padre?

- Abbastanza, perché so che molto probabilmente ha contribuito al massacro... ma non voglio pensarci; preferisco credere che sia innocente e che non abbia mai ucciso nessuno.

- Lui ti ha mai detto qualcosa?

- No, non me ne ha mai parlato, ma d'altronde io non ho mai avuto il coraggio di chiedere niente; preferivo rimanere i n una serena incertezza piuttosto che vivere in un a cruda realtà.

- Secondo te, perché è potuta accadere una cosa del genere?

- I motivi sono tanti: i medici si nascondevano dietro pretesti scientifici; le industrie belliche ne traevano guadagno per cui appoggiavano la guerra.

Per quanto riguarda il popolo, a causa dell'ignoranza e del fanatismo, ha sostenuto idee senza rendersi conto dove esse lo avrebbero portato.

- Secondo te, quando si parla di campi di concentramento, perché li si indica come fenomeno prevalentemente tedesco?

- Lo sterminio fa pensare sempre alla Germania probabilmente prece molti non sanno che i campi di concentramento erano anche in altri Paesi. Inoltre il comportamento dei tedeschi ha dato molto più nell'occhio perché noi quando iniziamo qualcosa, la portiamo fino in fondo: questo può risultare positivo o, come in questo caso, negativo.

- Quale documento o audiovisivo ti ha colpito particolarmente?

- Due film mi hanno scosso profondamente: "Olocausto" e "Schindler's list".

Quest'ultimo l'ho visto con le alunne della nostra scuola: le scene erano veramente orrende e alla fine del film non ce l'ho fatta a non piangere.

 

PER NON DIMENTICARE AUSCHWITZ

- Gideon Hausner che rappresentò l'accusa nel processo Eichmann e conosce meglio di chiunque altro i dettagli di questo crimine, nel suo libro sullo sterminio degli ebrei scrisse: "Lo sterminio volontario e sistematico di milioni di ebrei si sottrae ad ogni immaginazione. È una storia per cui ci mancano le parole, perché esse servono a comunicare esperienze umane. Ma questi atti vanno oltre ogni misura e qualunque descrizione risulta inadeguata: i loro dettagli ci lasciano senza parole..."

- Nella Costituzione tedesca si è cercato di trarre insegnamento da questi fatti:

    1. sono stati assicurati i diritti fondamentali;
    2. sono stati presi provvedimenti per impedire che la democrazia venga di nuovo minata e disprezzata;
    3. è stato riservata un'attenzione particolare alla salvaguardia dei diritti delle minoranze, in particolare a quella ebraica.

 

 

 

 

LA POSIZIONE DELLA CHIESA nei confronti dello sterminio

Ha creato molto scalpore la decisione del Papa di premiare l'ex Presidente austriaco, sotto accusa da anni per il suo passato di ufficiale durante l'occupazione nazista dei Balcani, con la Croce dei Cavalieri dell'ordine di Dio.

Quando la notizia è stata pubblicata su un giornale statunitense ha provocato una durissima reazione da parte dell'Anti Diffamation League, una delle organizzazioni ebraiche militanti, che ha apertamente dichiarato: "Waldheim non merita un premio come essere umano".

In tutti gli ambienti ebraici la motivazione dell'onorificenza all'ex presidente viene considerata una beffa particolarmente amara. L'aver operato per la comprensione fra i popoli e la pace è ciò per cui Waldheim viene premiato: ma le organizzazioni ebraiche non accettano questa motivazione e accusano l'uomo di aver mentito sul suo passato e di essersi dipinto come un semplice traduttore, una rotella di un ingranaggio molto più grande; in realtà, secondo un documento recentemente ritrovato, Waldheim fu tutt'altro che passivo in questa azione di sterminio. Fu proprio dopo il ritrovamento di questo documento sconcertante che tutti gli Stati, ad eccezione del Vaticano e dell'Iraq, gli chiusero la porta in faccia e gli proibirono di entrare nei loro confini.

L'Anti Diffamation League ha scritto una lettera di protesta per l'onorificenza concessa a Waldheim dicendo che era inaudito conferire un premio ad un uomo simile, che ha collaborato all'uccisione di uomini innocenti.

La Chiesa deve dare una spiegazione a questa sua scelta. Waldheim era ormai un uomo dimenticato e proprio perciò la concessione di questa onorificenza risulta incomprensibile ed irritante per gli ebrei, soprattutto perché cade in un momento in cui è forte la tendenza a banalizzare e sminuire la portata dell'olocausto e le colpe delle dittature nazi-fasciste.

Molto probabilmente il gesto fatto dal Vaticano, pur suscitando scalpore e amarezza, non risulta nuovo: infatti durante il periodo della Guerra, il Vaticano non assunse mai una posizione molto chiara. Giovanni Paolo II ha definito l'Olocausto una bestemmia contro Dio, una seconda crocifissione di Cristo.

Ma cosa fece di fatto la Chiesa per impedire l'uccisione di tanti innocenti?

È una domanda alla quale non è facile rispondere.

Solo adesso, in occasione del cinquantesimo anniversario della fine della guerra e del genocidio ebraico, il Papa si è deciso ad esprimere una profonda solidarietà verso gli ebrei, invocando la tanto sospirata pace, che sembra un ricordo lontano per molti popoli. Durante un discorso tenuto in Piazza San Pietro egli ha gridato:" Mai più l'antisemitismo, mai più l'arroganza dei nazionalismi. Mai più genocidi".

Ma il suo grido per molti uomini si disperde inutilmente nell'aria.

25 febbraio 1944

Vorrei credere qualcosa oltre,

Oltre che morte ti ha disfatta.

Vorrei poter dire la forza

Con cui desiderammo allora,

Noi già sommersi,

Di potere ancora una volta insieme

Camminare liberi sotto il sole.

9 gennaio 1946

Primo Levi

l’olocausto continua a SARAJEVO

Sarajevo, città molto antica (i primi insediamenti risalgono a quasi 6 millenni fa) è oggi capitale della Repubblica di Bosnia Erzegovina.

Essa ha sempre rappresentato un punto d’incontro geografico di numerose civiltà del mondo antico. Grazie alla sua particolare posizione è stata influenzata da culture e civiltà completamente diverse, che qui si sono incontrate, scontrate, mescolate ed infine riconciliate. I primi abitanti della zona furono gli Illiri e successivamente interessarono il territorio quattro differenti culture orientali. Via via, in epoca romana, scesero da nord gli Slavi, che si integrarono gradualmente con la popolazione indigena. Sin dagli inizi del medioevo gli insediamenti e i villaggi fortificati della regione di Sarajevo hanno costituito il nucleo del territorio e della sua identità politica. Nel corso del XII secolo la Bosnia divenne gradualmente indipendente e la sua espansione territoriale culminò nel XIV secolo.

A metà del XV Sarajevo fu ammessa all’impero ottomano e la sua crescita subì un’accelerazione nel secolo successivo, anche perché il dominio ottomano era caratterizzato dalla tolleranza verso tutte le altre religioni.

Dopo la seconda guerra mondiale Sarajevo si è espansa rapidamente e nel febbraio 1984 capitò la 14° edizione dei giochi Olimpici invernali. E poi ......venne l’aprile del 1992.

Sarajevo 1993. Si pensava che la liberazione di Sarajevo dalla piaga del fascismo fosse avvenuta il 6 aprile 1945; purtroppo, a causa dei fascisti serbi, l’evento della liberazione dovrà ripetersi, e si spera che questo giorno arrivi presto: il cittadino di Sarajevo è in attesa di un secondo 6 aprile e ha nostalgia di tutto ciò che poteva fare prima della guerra. Tutti sono convinti che appartenenti al partito democratico serbo li abbiano derubati del loro passato: e da dodici mesi il Medioevo serbo, in possesso delle armi più sofisticate del XX secolo, semina morte sulla città giorno e notte. Questa situazione induce gli abitanti di Sarajevo a pensare alla seconda guerra mondiale quasi con nostalgia, ricordando che almeno i cannoni di Hitler non puntavano gli ospedali, le biblioteche nazionali, i musei.

Oggi Sarajevo è paragonabile a un enorme campo di concentramento dove si è esposti, giorno dopo giorno, ai bombardamenti e al fuoco dei cecchini. Nei questi campi di concentramento che la circondano più che l’odio è la nostalgia il sentimento che tiene in vita gli abitanti, i quali si augurano che Dio risparmi perfino ai loro nemici l’esperienza di un tempo così spietato e crudele.

 

 

Oltre Sarajevo

Srebrenica, Tuzla, Goradze:

nomi strani, brutali, impronunziabili,

da rimuovere -certo- fra il prillare

dei tuoi giorni sereni e luminosi.

Nomi di luoghi, di misfatti

troppo vicini,

troppo reali per non darvi peso,

troppo crudeli per essere veri.

Terre aliene, villaggi d'altri tempi,

venete architetture violentate.

E due corpi sul fiume Miljacka:

remake di un classico immortale.

 

Sarajevo, senza sepoltura i due giovani innamorati
Ecco la morte di Romeo e Giulietta

 

SARAJEVO - Non hanno pace neppure da morti i due amanti infelici di Sarajevo, lui serbo e lei musulmana, i cui corpi, ancora stretti in un tenero abbraccio, giac-ciono da Mercoledì scorso presso il ponte di Vrbana sul fiume Miljacka. Le fazioni non riescono ad accordarsi né su una tregua che consenta di recuperare i cada-veri né sulla comunità alla quale spettino le onoranze funebri. Bosko e Admira erano stati uccisi da un cecchino mentre cercavano di fuggire verso la parte ser-ba della capitale bosniaca. (Foto Associated Press)

perché ricordare ?

 

 

 

Le vittime

La storia fosse scritta dalle vittime

altro sarebbe, un tempo di minuti,

di formiche incessanti che ripullulano

al nostro soffio e pure ad una ad una

vivide di tenacia, intente d’essere.

Gli inermi che si scostano al passaggio

delle divise chiedono allo sguardo

dei propri occhi la letizia ansiosa

d’essere vinti, il numero che oblia

la sua sabbia infinita nel crepuscolo.

Dei vincitori, ai ruinosi alberghi

del loro oblio, più nulla.

Rimane chi disparve nella sera

dell’opera compiuta, sua la mano

di tutti e il fare che è del fare il tenero.

È il nostro soffio che gli crede, il dubbio

di perderlo nel numero, tra noi.

Alfonso Gatto

bibliografia minima

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Traverso Enzo, Perché l'Europa non ferma la guerra in Bosnia

Trovato Gerardina, Non è un film

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Uhlman Fred, Niente resurrezioni, per favore, Tea, Milano 1990 (19933)

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Vasari Bruno, Mauthausen, bivacco della morte, Giuntina, Firenze 19912

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Wiesel Elie, La notte, La Giuntina, Firenze 19938

Wiesel Elie, Le porte della foresta, Tea Tascabili, Milano 1994

 

 

 

 

 

 

Schema dell’audiovisivo: da Auschwitz a Sarajevo

 

Argomento

Poesie

Musica

durata

 

Titoli di testa

 

Daddy, gonna pay for your...

0’00"-0’50"

 

Breve storia dell’ebraismo

 

"

1’00"-3’00"

 

Il Ghetto

 

"

3’05"-4’21"

 

Anna Frank e Zlata Filipovic

 

"

4’21"-6’00"

 

Origine e struttura dei Lager

 

F.Chopin, Marche funèbre

6’05"-9’48"

 

La vita nei campi: i prigionieri

 

"

9’50"-14’00"

 

La situazione delle donne

Buna

"

14’00"-16’45"

 

Bambini nei Lager

Un bambino di Dachau

J.S.Bach, Toccata e fuga

16’50"-19’40"

 

Gli "esperimenti scientifici"

Shemà

"

19’40"-22’35"

 

La riflessione di Primo Levi

Alzarsi

"

22’40"-24’40"

 

La paura/vergogna di raccontare

 

"

24’40"-26’50"

 

La visione tedesca

 

"

26’55"-28’40"

 

La guerra in Bosnia

 

Canto chassidim

28’44"-30’00"

 

Le mille guerre di oggi

Le vittime

"

30’10"-30’52"

 

Titoli di coda

 

"

30’53"-32’05"

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

INDICE

PROGETTO

Gli ebrei dalla Diaspora allo sterminio

LETTERA A UN’AMICA IMMAGINARIA

organizzazione e struttura dei Campi di concentramento

l’erba non cresceva ad Auschwitz : Donne nei Lager

BAMBINI nel massacro

gli Esperimenti "scientifici"

Testimonianze di sopravvissuti

i tedeschi oggi di fronte all’olocausto

LA POSIZIONE DELLA CHIESA nei confronti dello sterminio

l’olocausto continua a SARAJEVO

perché ricordare ?

bibliografia minima

Schema dell’audiovisivo 19

INDICE 19

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi ascolta un testimone

chi lo legge

diventa a sua volta testimone

Elie Wiesel