Realizzato dall’I.T.C. "A. Paradisi" in collaborazione con il Comune di Vignola (Modena)

Prima edizione: aprile 1995

Progetto grafico e impaginazione: Marco Graziosi

e Graziano Galassi

Nota: il documento è stato convertito in formato Word per Windows dall’originale preparato per la stampa utilizzando Microsoft Publisher 2.0, la numerazione delle pagine riportata nell’indice non corrisponde pertanto a quella effettiva. Sono inoltre state rimosse le immagini che accompagnavano il testo.

Indice

Introduzione pag. 5
 
 

Nota introduttiva pag. 7
 
 

Capitolo 1

Hitler e l’ideologia del nazionalsocialismo pag. 9
 
 

Capitolo 2

L’olocausto del popolo ebraico

Tecniche per un genocidio pag.19

Bibliografia pag. 27
 
 

Capitolo 3

Barbara Farina e Giacomo Bellettini

Repressione, sterminio e sfruttamento economico

nei lager pag. 29

Origini e sviluppo dei lager nella Germania nazista pag. 29

Lo "sterminio attraverso il lavoro" nei KL e la tragedia finale pag. 32
 
 

Capitolo 4

Michela Tisi

Il fascismo e gli ebrei pag. 37

L’antisemitismo e le leggi razziali pag. 37

Verso la soluzione finale pag. 39

Capitolo 5

Jiulius Evola, il teorico del razzismo pag. 43

Nota pag. 58

Introduzione

Il capitolo più drammatico e più importante della storia italiana ed europea di questo secolo è rappresentato dagli anni ’40-’50.

Esso comprende il periodo che va dall’entrata in guerra dell’Italia alla caduta del fascismo, dalla Resistenza e dalla Liberazione alla nascita della Costituzione democratica.

Questi fatti sono gli eventi costitutivi dell’Italia democratica; sono un capitolo fondamentale per la costruzione della nostra identità nazionale.

A cinquant’anni esatti dalla Liberazione, però, oggi c’è chi tende a rimuoverli - magari sotto il velo di una generica commemorazione - o, peggio, c’è chi tenta un’operazione di rilegittimazione del fascismo e di sostanziale equiparazione delle due parti contrapposte.

Mentre nella coscienza attuale della Germania e della Francia, ad esempio, il passato è ancora una ferita aperta, ciò che colpisce nell’Italia di oggi è il riaffiorare di uno spirito di rivincita, accompagnato a un atteggiamento revisionistico che tenta di rivedere il giudizio negativo e la condanna inappellabile dati dalla storia al fascismo e al nazismo e accompagnato talora a un pericoloso negazionismo assolutorio nei confronti delle loro responsabilità.

Per questo diventa indispensabile conservare e tramandare la memoria storica ai giovani, a cui purtroppo la scuola insegna così poco la storia recente.

Se nell’immediato dopoguerra, "quando le rovine fumavano ancora e i testimoni gridavano", l’esigenza della documentazione non era così evidente, adesso invece, mentre a poco a poco scompaiono i testimoni diretti di quei fatti e di quegli orrori, lo studio della storia e delle nostre istituzioni democratiche è fondamentale e la funzione didattica della scuola diviene un imperativo morale.

Le nuove generazioni devono conoscere i valori e le cause per cui si è combattuto nella guerra e nella Resistenza: da una parte c’era un’idea di Europa fondata sul razzismo, sulla tirannia e sullo sterminio; dall’altra parte si combatteva per l’affermazione della democrazia, della libertà, della giustizia e della solidarietà: valori che saranno poi alla base della nostra Costituzione.

È incontestabile che il fascismo italiano è stato diverso dal nazismo tedesco, ma non è corretto esagerare e strumentalizzare quella diversità come tentativo di autoassoluzione.

Le leggi razziali del fascismo, ad esempio, non furono un "errore di Mussolini", una concessione al prepotente alleato tedesco. Furono invece il risultato coerente, se non necessario, di una aggressiva politica estera e coloniale, di una cultura del pregiudizio, di un’ideologia del dispotismo e del dominio contro neri ed ebrei.

* * *

I diversi fascicoli che compongono la collana "Senza memoria non c’è futuro" nascono dal bisogno, molto sentito nella scuola, di fornire agli studenti uno strumento che, per impostazione divulgativa, per sinteticità e chiarezza di linguaggio, si collochi a metà strada fra il saggio storiografico specialistico e il manuale di storia.

Se si considera che i manuali in uso nelle scuole solitamente riservano alla Resistenza non più di due pagine e se si pensa ancora che nelle classi quinte il programma di storia - disciplina tradizionalmente esclusa dalla rosa delle materie d’esame - assai raramente giunge a trattare gli ultimi 70/50 anni, ci si spiega perché la maggioranza degli studenti - e quindi dei cittadini - non conosca gli avvenimenti fondamentali che hanno caratterizzato il nostro secolo.

Per colmare questo grave vuoto e per non rimanere immobili in attesa di una riforma, è possibile già oggi approfondire la trattazione di alcune tematiche di storia contemporanea e istituzionale, anche in un’ottica trasversale, interdisciplinare di area (in particolare storia, letteratura e diritto costituzionale).

Questa collana, lungi dall’esaurirsi in se stessa come occasione didattica, vuole essere un punto di partenza, vuole fornire le coordinate fondamentali, per la costruzione di successive unità didattiche come interviste, ricerche e approfondimenti, che vedano ancora il coinvolgimento e la partecipazione attiva degli studenti.

Proff. Enzo Cioni, Graziano Galassi, Massimo Mazzanti, Paolo Pollastri

Nota introduttiva

Gli antichi parlavano di "memoria rerum" alludendo a un legame profondo tra storia e vita umana: l’ uomo è memoria e si alimenta di memorie, conserva il passato non solo per salvarlo dall’oblìo, ma per riflettere su di esso, per vivere il presente e progettare il futuro.

Non limitarsi a registrare il passato, ma assumerlo come presagio di futuro può motivare, oggi, lo studio della storia, può contribuire a superare lo ‘sradicamento’ dei giovani, la loro tendenza a vivere freneticamente il presente senza alcuna memoria storica.

Nel momento in cui si è deciso di ricostruire alcuni eventi significativi della nostra storia recente, mi è sembrato del tutto conseguente coinvolgere gli studenti, offrire loro la possibilità di una partecipazione attiva alla ricostruzione storica di avvenimenti ed episodi che hanno profondamente segnato la nascita e la vita della Repubblica.

Avviare questa esperienza con le classi e affidare la stesura di alcuni articoli a un gruppo di lavoro interclasse era opportuno per diversi motivi:

· nella normale attività didattica difficilmente resta il tempo per affrontare in modo appropriato una pagina fondamentale della storia del Novecento;

· si presentava la possibilità di rendere protagonisti gli studenti, ai quali si chiedeva non il semplice ascolto di una lezione o lo studio di una dispensa preconfezionata -azioni peraltro necessarie in altre circostanze-, ma di analizzare e selezionare documenti e informazioni, cogliere gli aspetti caratterizzanti un periodo storico, contestualizzare gli eventi ed infine riassumere i materiali esaminati;

· di conseguenza, era possibile sperimentare quel "salto" dal sapere al "saper fare" che è uno degli obiettivi didattici del nostro Istituto;

· continuare e approfondire la discussione su fascismo-antifascismo, perdono e riconciliazione, memoria storica e cancellazione del passato già avviata in occasione della trasmissione televisiva "Combat film" e della inquietante visione del film "Schindler’s List";

· dare la possibilità a chi non ha vissuto quelle vicende di comprendere e comparare i valori e i disvalori che erano in gioco, le atrocità commesse e i sacrifici compiuti, le ragioni che spinsero alcuni a combattere per un regime oppressivo e violento ed altri ad opporsi in nome della libertà e della giustizia.
 
 

Ho ritenuto dunque necessario coinvolgere gli studenti in prima persona in un’esperienza che giudicavo oltre tutto formativa -anche a rischio dell’incompletezza o della non esaustività dei lavori,che comunque potranno essere arricchiti da altre classi nei prossimi anni- non per alimentare la mitizzazione dei vincitori e l’odio per i vinti, ma per far cogliere, come si legge nella "Pronuncia" del Consiglio Nazionale della P.I. del 13 aprile ‘94,"il fondamento ideale, morale e politico da cui sono nate la Repubblica e la Costituzione, perchè maturino nei giovani consapevoli atteggiamenti di rifiuto dell’intolleranza e di convinto amore per la libertà e la democrazia".

I lavori di Giacomo Bellettini, Barbara Farina, Michela Tisi e Piero Venturelli vengono inseriti, per omogeneità di contenuti, nei fascicoli dedicati alla seconda guerra mondiale e al nazismo; nel fascicolo su fascismo e resistenza vengono pubblicati gli articoli di Daniela Francomacaro e Gioia Ercolano.

Il lavoro al computer è stato effettuato da Emanuel Sighinolfi, Fausto Simboli e Francesca Sirotti, alunni del corso sperimentale Mercurio, coadiuvati dalla prof.ssa Lidia Tondi, del Laboratorio di Informatica.

Prof. Paolo Pollastri

Capitolo 1
Hitler e l’ideologia del nazionalsocialismo

Nel suo libro di memorie, Memorie del Terzo Reich, Albert Speer, architetto prediletto di Hitler e poi ministro degli armamenti, descrive la maniacale passione di Hitler per quella che sarebbe dovuta diventare la futura Berlino, capitale del Reich millenario, sotto il profilo architettonico. Speer ricorda che persino durante le sue ultime ore di vita Hitler si divertiva a spostare e a rimirare i modelli architettonici, che componevano il plastico della Berlino capitale del mondo. Hitler aveva detto a Speer, in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936, parlandogli dei suoi progetti architettonici, che per la capitale prevedeva la costruzione di edifici giganteschi, i più grandi mai visti sulla terra, in grado di sfidare i secoli e di eguagliare la fama del Colosseo e delle Piramidi.

Quando Hitler parlava di gigantismo architettonico non pensava ai grattacieli americani ma alle costruzioni dell’antichità classica, quelle greco-romane. La Berlino che Hitler sognava prevedeva la costruzione di un lungo viale della Vittoria, largo m 123 e lungo km 5,6. Questo viale avrebbe collegato la Grand Platz al futuro palazzo del Führer, dopo essere passato sotto al più grande arco di trionfo mai costruito, alto m 118. Sui lati del viale sarebbero sorti i palazzi che dovevano ospitare le sedi dei ministeri del Reich. La Grand Platz avrebbe avuto ad un’estremità il palazzo del Reichstag, alle cui spalle si sarebbe trovata la Porta di Brandeburgo (alta m 25). Al fianco del Reichstag sarebbe sorto il palazzo del Reich.

Il palazzo del Reich sarebbe stato il complesso architettonico più impressionante: una sorta di Pantheon sovrastato da una cupola alta m 305, in grado di ospitare all’interno più di 180.000 persone. Sulla cima della cupola, Hitler disse a Speer, ci sarebbe stata l’aquila del Reich, che fra gli artigli avrebbe tenuto, non la svastica ma il globo terraqueo a simboleggiare il dominio del mondo da parte del Nazismo.

Hitler immaginava che il popolo dal palazzo del Reich avrebbe sfilato lungo il viale della Vittoria fino alla residenza del Führer per rendergli omaggio. I lavori per la costruzione di questo gigantesco complesso erano appena iniziati quando ebbe inizio la guerra, le esigenze belliche imposero ben presto di abbandonarli; sarebbero ripresi dopo la vittoria ma la storia ha voluto che rimanessero solo un sogno del fanatismo hitleriano.

Se Hitler non fosse stato un architetto o un artista mancato forse il mondo non avrebbe vissuto la tragedia della Seconda Guerra Mondiale ma la storia non si analizza con i se.

Ma chi era Hitler e come si sviluppò la sua tragica Weltanschauung (visione del mondo ) ?

Hitler nacque a Braunan sul fiume Inn, una piccola cittadina austriaca al confine con la Germania nel 1889, in una famiglia di condizioni economiche piccolo-borghesi; il padre era un funzionario dell’impero Austro-Ungarico, la madre una casalinga. Come studente si rivelò fin dall’inizio mediocre e svogliato, l’unica materia che lo attraeva era il disegno, desiderò fin dall’adolescenza diventare un pittore, un artista. Rimasto ben presto orfano si trasferì a Vienna dove tentò di superare l’esame d’ammissione alla Scuola di Belle Arti ma fu bocciato per due volte.

Hitler inizia così a trascorrere il suo tempo vagando per le vie di Vienna, vivendo come un barbone, mangiando e dormendo presso le opere di assistenza per i diseredati e ogni tanto svolgendo qualche umile mansione per brevi periodi: come l’imbianchino.

Come racconterà egli stesso nel suo libro autobiografico-ideologico Mein Kampf ( La mia battaglia ), scritto, ma sarebbe più corretto dire dettato, mentre si trovava in carcere dopo il fallito tentativo di colpo di stato del 1923 a Monaco; fu a Vienna che si sviluppò la sua visione ideologica del mondo insieme alla consapevolezza che il destino gli aveva affidato una missione da compiere.

La cosmopolita capitale di un impero asburgico al crepuscolo appare al giovane Hitler come il crogiuolo di tutti i vizi dell’umanità, lo specchio delle cause della decadenza della civiltà occidentale. Tutti i concetti che sono alla base della formazione culturale borghese di Hitler: la nazione, il popolo, l’autorità, la legge, la morale, sembrano al giovane pervertiti, utilizzati come forma di sfruttamento del popolo. Hitler girovagando per le strade si nutre di discorsi politici, legge ogni opuscolo propagandistico che gli capita, osserva attentamente la realtà che lo circonda cercando d’individuare la causa della corruzione.

Ben presto Hitler individua tre motivi a cui attribuire tale corruzione: il Marxismo, il giudaismo, il parlamentarismo.

A Vienna impera, per Hitler, la social-democrazia marxista, che lo disgusta profondamente in quanto il marxismo è la negazione delle leggi della natura, nega la La forza, l’individualità della personalità umana, l’idea della razza, per non parlare di quella di popolo e nazione, tutto viene appiattito nel concetto di massa.

Hitler si domanda da dove nasca questa dottrina, la risposta a cui giunge è che i maggiori teorici e diffusori del socialismo sono gli ebrei. L’ebreo è il "cattivo genio" del popolo tedesco. Nel Mein Kampf Hitler ricorda di essere rimasto colpito nel vedere aggirarsi, per le vie di Vienna, gli ebrei ortodossi, che gli appaiono decisamente estranei al mondo germanico. Il suo odio, verso gli ebrei, si radicalizza ma lo stesso Hitler specifica che non si trattava di una semplice questione relativa alla diversità religiosa, egli dichiara di essere contrario all’intolleranza religiosa, nei confronti dell’ebreo la questione è più radicale e complessa perchè tutto il discorso si basa sulla diversità razziale.

Altro elemento di negatività è il parlamentarismo il quale basandosi sulla regola che la decisione spetta alla maggioranza nega "il principio aristocratico della natura", soffoca il senso della responsabilità; inoltre la democrazia parlamentare è destinata inevitabilmente a sfociare nel marxismo.

Hitler intuisce che la soluzione del problema, almeno così dichiara nel Mein Kampf, è quella di coniugare il verbo nazionalista con quello socialista, ovvero creare un movimento che sappia dare al popolo fede nella nazione, negando il concetto di lotta di classe.

Nel 1912 Hitler si trasferisce a Monaco, dove sopravvive dipingendo mediocri acquarelli, sognando di diventare un giorno un grande architetto.

Hitler nel 1914 allo scoppio della guerra si arruola come volontario in un reggimento di fanteria tedesco; si rifiuta di rientrare in patria perchè dichiara di volere combattere per il popolo tedesco e non per quella babilonia che è l’impero Austro-Ungarico. Vede nella guerra un evento positivo. Il popolo accorre in difesa della nazione, rifuggendo dal verbo giudaico-marxista, rinasce il patriottismo. Quando nel 1918 arriva la disfatta Hitler, promosso caporale e decorato con la croce di ferro, si trova in un ospedale con gli occhi bruciati dai gas; alla notizia della resa della Germania dichiara di avere pianto. Per Hitler la sconfitta è dovuta al tradimento interno dei gruppi giudaico-marxisti e da questo momento decide che tutta la sua vita sarà dedicata a fare risorgere il popolo tedesco dalle ceneri.

Uscito dall’ospedale Hitler, qui la sua testimonianza autobiografica diventa nebulosa, per ordine dell’esercito entra in contatto con i membri di un minuscolo partito bavarese, il Partito Operaio Tedesco, dopo essersi tesserato scopre la sua vocazione oratoria e in breve tempo ne diviene il leader ribattezzandolo Partito Operaio Tedesco Nazional-socialista.

Il 9 novembre 1923 con altri elementi nazionalisti e con la complicità di alcuni ufficiali dell’esercito come il generale Ludendorff, eroe di guerra, tenta il poi fallito Putsch di Monaco, che si conclude con la morte di alcuni dei dimostranti e l’arresto di Hitler.

Sembra che per Hitler e il nazionalsocialismo sia la fine ma dal processo Hitler esce, sia pur condannato a 5 anni, sconterà solo 13 mesi, come un eroe, un martire il cui nome viene sempre più conoscito in tutta la Germania.

Durante la detenzione nella fortezza di Landsburg, assistito dal suo compagno di lotta Rudolf Hesse scriverà il Mein Kampf, destinato a diventare la bibbia del nazionalsocialismo. Hitler all’uscita dal carcere abbandona ogni vellieità golpista, rifonda il partito e decide di arrivare al potere per vie legali.

Dovrà aspettare fino al 30 gennaio 1933 giorno in cui diventerà cancelliere del Reich; nel frattempo il suo partito è enormemente cresciuto, grazie a tutta una serie di congiunture politiche favorevoli e ai sostanziosi aiuti finanziari degli industriali tedeschi.

Hitler resterà capo della Germania per 12 anni e 3 mesi, fino al giorno del suo suicidio il 30 aprile 1945. La sua missione di fare risorgere la Germania e il suo popolo dalle ceneri si concluderà in un tragico mucchio di cenere reale e non metaforica.

La storia del Mein Kampf è in un certo modo abbastanza singolare. Il libro dalla prosa pesante e scorretta, considerato di noiosa lettura, diventò uno dei testi più venduti nella storia dell’editoria, praticamente in Germania tutti ne possedevano una copia, magari mai aperta ma per motivi di sicurezza era meglio averla. Fu tradotto in diverse lingue europee, con scarsissimo successo all’estero. Ciò che è rilevante è che il suo contenuto anticipava in modo esplicito ciò che poi il suo autore avrebbe fatto durante la guerra. Eppure chi lo lesse non ne rimase allarmato, considerando il programma ideologico di Hitler solo come un programma politico, ovvero qualcosa che si dichiara ma che una volta arrivati al potere non si sarebbe mai messo in atto. Così il mondo assistette all’ascesa di Hitler volutamente ignorando ciò che il futuro Fhurer si proponeva di fare.

Dopo la disfatta del nazismo l’opera è praticamente scomparsa, anche se continuamente viene citata dagli storici. (Il lettore comune ben difficilmente può riuscire a reperirla, se non in qualche copia senza indicazioni editoriali e per quello che riguarda l’Italia dalla discutibile traduzione.) Sicuramente questo è un errore, perchè certi libri, al di la del loro non-valore letterario, non dovrebbero sparire per poi ammantarsi in certi casi di un’aurea mitica ma essere a disposizione dei lettori come testimonianza diretta di un evento storico. )

Nel Mein Kampf Hitler costruisce la sua concezione ideologica del mondo, una visione che può definirsi di tipo religioso in quanto si fonda su precisi dogmi destinati a divenire la base per tutte le leggi a cui il popolo dovrà fare riferimento.

Alla base di tutto c’è il Popolo e la Razza; Hitler sostiene una concezione razziale di tipo biologico, come in natura gli animali si accoppiano solo con quelli della loro specie e la natura stessa non ammette altre possibilità, così deve essere per gli uomini.

Per Hitler esiste la razza Ariana, di cui i tedeschi sono i discendenti e i rappresentanti, è la razza superiore a tutte le altre. L’ariano è per Hitler il "Prometeo dell’umanità" è lui che ha permesso tutti gli sviluppi e le conquiste della civiltà. Ma la dote principale dell’ariano non consiste soltanto nelle sue elevate capacità intellettuali, quanto nell’Idealismo, ovvero nella capacità di offrire agli altri membri della comunità tutto se stesso. A differenza dell’ebreo che invece persegue solo i suoi interessi distruggendo tutto ciò che l’ostacola. Per Hitler l’ebreo ha contaminato la razza ariana, insinuandosi fra di essa con gli incroci razziali e seminando corruzione ovunque sia passato, mirando solo al soddisfacimento dei suoi interessi.

Per Hitler l’insulto supremo alla natura è l’incrocio razziale, perchè ovunque esso abbia inquinato la purezza del sangue il popolo ha perduto la sua anima. La natura ha destinato l’ariano al ruolo di civilizzatore e l’ebreo ha corrotto questo ruolo è quindi essenziale ristabilire l’equilibrio naturale con una rigida politica razziale, emarginando l’ebreo in modo che non possa più nuocere.

Le teorie esposte da Hitler non erano certo originali, prendono spunto da alcuni dei teorici del razzismo che si collocano a cavallo fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Hitler non aveva studiato questi autori ma ne conosceva il pensiero attraverso gli opuscoli razzisti ampiamente diffusi un pò in tutta Europa in quel periodo.

Nel discorso Hitleriano si sente l’influenza di De Gobineau che nel suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane sentenziava che la corruzione dei popoli superiori avviene nel momento in cui il loro "genio civilizzatore" raccoglie intorno a sé quegli elementi inferiori, che con la mescolanza di sangue avviano il processo di corruzione. Il De Gobineau riconosceva agli Ariani, da cui deriva la razza bianca, una superiorità sulle altre razze, gli Arii "coloro che non hanno attitudini servili di fronte agli dei" erano caretterizzati dal culto dell’onore estraneo alle altre razze. Il De Gobineau sosteneva però che ormai non esisteva più una razza Ariana ma che il mondo andava inevitabilmente verso la suprema unità del meticcio.

Autore che influenza in modo più incisivo Hitler è H. S. Chamberlain, un inglese naturalizzato tedesco, che aveva scritto il saggio Le basi del secolo XIX. Chamberlain sostiene che le razze non nascono pure e nobili ma lo divengono; la nazione è il luogo in cui avviene la formazione di una razza, che raggiunge attraverso lo stato la sua condizione migliore in quanto allo stato spetta il compito d’impedire le ibridazioni, solo allora una razza è degna di definirsi libera. Per il Chamberlain la conoscenza equivale alla scienza, la civilizzazione all’ordinamento sociale, la spiritualità alla cultura; questi elementi possono anche svilupparsi in modo disgiunto ma solo dal loro simultaneo sviluppo deriva la civiltà integrale. Chamberlain sostiene che solo i germani sarebbero riusciti, in questo processo di sviluppo, in modo omogeneo.

I suoi riferimenti storici lo portano a condannare la Roma imperiale come centro di caos etnico, esempio di uno stato che non seppe proteggere la razza dalle ibridazioni. Chamberlain sostiene che sia il Sacro Romano Impero, sia la Chiesa Cattolica hanno rappresentato nella storia due assolutismi estranei alla Germania. Lutero sarebbe stato l’uomo più grande della storia universale, il liberatore, l’iniziatore del rinascimento germanico. Questo rinascimento si sarebbe concluso con la Prima Guerra Mondiale, considerata dal Chaberlain una guerra fratricida perchè combattuta da popoli apparteneti allo stesso nucleo razziale, quello: slavo-celto-germanico. Da questo conflitto fratricida avrebbero tratto beneficio gli ebrei, considerati dal Chamberlain dei bastardi, un incrocio fra semiti e siriaci, artefici di una congiura occulta per distruggere la civiltà occidentale.

Hitler utilizza a suo comodo le teorie di questi autori, è bene ricordare che Hitler parla di razza ariana senza porsi il problema delle sueorigini e della sua storia, la razza ariena esiste, è un dato di fatto indiscutibile.

Aprendo una breve parentesi, è opportuno sottolineare che il primo posto fra i teorici del razzismo nazisti non spetta ad Hitler ma a Rosemberg, autore del Il mito del XX secolo. Il testo di Rosemberg, che fu un gerarca di primo piano del partito e che Hitler in segreto disprezzava considerandolo un fumoso intellettuale, non ebbe la fortuna e la diffusione del Mein Kampf ma rimane comunque un momento interessante per la conoscenza dell’ideologia razziale nazista.

Rosemberg riprendendo le teorie del Wirth (antropologo e studioso dell’esoterismo che ebbe stretti legami con le SS) e di Chamberlain, sostiene che - la storia di ogni razza è allo stesso tempo sia naturale che mistica - sangue e carattere designano un’unica realtà. Per Rosemberg la storia non obbedisce a nessun piano preordinato ma rappresenta una continua lotta fra le varie razze e la loro anima.

Alle origini ci sarebbe stata una razza artica che avrebbe colonizzato tutti i popoli del mondo, ad esempio gli Indù sarebbero nati dai ceppi nordici degli Arya (o casta divina) che avrebbero assogettato i Cudra (o casta nemica, inferiore); in occidente la città di Sparta rappresenterebbe lo spirito ario dell’immigrazione ellenica, la Roma repubblicana sarebbe stata retta da un senato nordico, mentre la Roma imperiale avrebbe aperto le porte al caos razziale.

Di fronte al cristianesimo Rosemberg non accetta la figura di un Cristo ebreo ed elabora una teoria, a dir poco pittoresca, di un Cristo figlio di un’adultera siriaca e di un legionario romano; sarebbe stato poi San Paolo ad eliminare dal cristianesimo ogni elemento aristocratico. Il cattolicesimo sarebbe quindi frutto d’influenze siriaco-semite nella sua dottrina dell’amore e dell’umiltà, dell’uguaglianza universale, nelle concezioni di colpa e di peccato e nella minaccia di una punizione eterna. Fattori assolutamente incompatibili con la tradizione nordica, in cui primeggia il concetto di onore e di casta.

Per Rosemberg Lutero avrebbe avuto il merito di staccarsi da Roma ma contemporaneamente il demerito di sostituirla con Gerusalemme; Rosemberg cercherà invano di costruire una chiesa nazionale tedesca fondata sui concetti di onore e sangue da sostituire a quelle cristiane.

Per quanto riguarda gli ebrei la loro maggiore colpa è quella di avere creato una religione del denaro (Mammonismo) al fine d’impadronirsi del potere sull’intera terra, corrompendo razzialmente le nazioni in cui si sono diffusi. Capitalismo e marxismo vengono interpretati come due modi diversi e opposti di giungere allo stesso fine da parte degli ebrei.

Anche Rosemberg come Hitler utilizza concezioni che provengono da altri autori; per ambedue però la conclusione logica è la stessa: la missione del nazismo è la salvezza della razza germanica, che coincide con il popolo e con lo stato.

Nel Mein Kampf Hitler sostiene l’esigenza che lo stato deve rifiutare ogni principio liberale, parlamentare e partitico, deve fondarsi solo sulla guida di un Führer, un capo mistico. Il partito di cui il Führer è il leader farà da tramite con le masse.

Ma per Hitler non è tanto lo stato che conta quanto il contenuto dello stato stesso, ossia il Volk, il popolo. Questa parola Volk-popolo è però da intendersi con un significato molto diverso da quello che ha in italiano, il Volk per Hitler è - l’unità razziale che riposa sulla comunità del sangue. Lo stato quindi ha importanza solo in relazione al fatto che sappia tutelare il Volk, salvaguardare la purezza razziale.

Hitler con lo slogan: un Führer, un Volk, una nazione, arriverà a sintetizzare un concetto di mistica della razza, una trinità che ha come fine la salvaguardia e il potenziamento della razza.

Il compito dello stato-partito sarà perciò di vigilare sulla purezza della razza, impedendo ogni incrocio razziale (dal 1933 in poi Hitler farà promulgare tutta una serie di leggi in questo senso) con esponenti di razze diverse, vedi gli ebrei, impedirà che individui con tare psichiche o fisiche possano procreare trasmettendo i loro Handicap (Hitler iniziò la sua campagna di sterminio non con gli ebrei ma sopprimendo, attraverso la legge sull’eutanasia, migliai di handicappati fisici e pschici, oppure ordinandone la sterilizzazione forzata); contemporaneamente lo stato dovrà favorire la nascita di bambini razzaialmente puri (durante gli ultimi anni del regime si arrivò ad organizzare una campagna propagandistica affinchè uomini e donne, di razza ariana, dai connotati perfetti si accopiassero con il solo fine di generare figli la cui educazione sarebbe poi stata affidata allo stato. Ancora oggi in Germania vivono alcune centinaia d’individui nati da questo esperimento).

Tutto ciò poteva essere conseguito solo attraverso un’accurata propaganda che educasse la popolazione ai suoi doveri, naturalmente i giovani,attraverso la scuola e le attività ricreative di partito, erano i soggetti che maggiormente si prestavano ad essere plasmati. Studi condotti dopo la guerra hanno dimostrato che il più alto grado di nazificazione, fra la popolazione tedesca, si registrava proprio nelle fascie giovanili, che avevano costruito la loro esperienza esistenziale sotto il rigido inquadramento propagandistico-educativo.

Hitler nel Mein Kampf non si limita soltanto ad indicare quali siano i compiti che il suo concetto di stato deve attuare all’interno di sé ma dedica anche ampio spazio ai suoi progetti di politica estera, che si legano strettamente alle sue concezioni razziali. Secondo Hitler la Germania in europa deve cercarsi come alleate l’Italia e l’Inghilterra, mentre la sua nemica resta la Francia.

Infatti Germania, Italia e Inghilterra hanno tutto l’interesse ad allearsi contro la Francia, che Hitler considera la nazione che ha tradito la razza bianca ebraicizzandosi e negrizzandosi e che attraverso la sua forza finanziaria mira al predominio sul continete europeo.

In questo concetto si avverte tutto l’odio tedesco nei confronti del trattato di Versailles, che aveva pesantemente umiliato la Germania e che aveva avuto nei francesi i suoi più forti sostenitori.

La lotta contro la Francia è però solo un momento della politica espansionistica di Hitler; bisogna eliminare la Francia come potenza per proteggersi le spalle prima di attuare la sacra missione di crescita del popolo tedesco.

La Germania ha bisogno di "spazio vitale" affinchè il suo popolo possa crescere e vivere nel benessere, questo spazio si trova ad Est, nelle vaste steppe russe. Per Hitler il destino del popolo tedesco deve realizzarsi ad est, strappare agli slavi e ai marxisti ebrei terreni che i tedeschi potranno colonizzare utilizzando come schiavi i popoli vinti.

Nella logica geopolitica di Hitler il mondo sostanzialmete si divide in tre settori. il continete americano dominato dagli Stati Uniti, l’Inghilterra con il suo vasto impero coloniale e la Germania potenza leader in Europa e dominatrice dell’Eurasia. I popoli slavi, considerati razzialmente inferiori, avrebbero dovuto diventare schiavi dei tedeschi e vivere in una condizione di subumani, fino alla loro estinzione.

Hitler sarebbe rimasto fedele a queste concezioni fino alla fine. Sperò che l’Inghilterra si alleasse con lui o che gli lasciasse mano libera in Europa fino al 1940, quando la guerra era già iniziata da un anno, vista poi la resistenza dei britannici e del mondo democratico, si schierò contro tutti pur di realizzare i suoi progetti, invase l’Unione Sovietica portando così la Germania verso una delle più brutali e tragiche catastrofi che abbiano mai colpito il popolo tedesco nell’arco della sua storia.

Nel suo testamento spirituale, scritto poco prima di suicidarsi, non rinnegò nulla di ciò che aveva fatto, anzi un’ampia parte del testamento è dedicata alla speranza che la lotta per lo sterminio della razza ebraica dal mondo continuasse, anche dopo la sua morte.



Prof. Massimo Mazzant

Capitolo 2
L’olocausto del popolo ebraico
Tecniche per un genocidio

"Lo studio del passato mette
in una luce critica il presente"
(W. Benjamin)

Il genocidio degli ebrei, da parte dei nazisti, durante la Seconda Guerra Mondiale e’ stato descritto in uno sterminato numero di opere: sia a carattere storiografico che memorialistico, ed e’ ancora al centro di un acceso dibattito, che si sviluppa sia a livello storico che morale, ponendo come fondamento della questione, non soltanto i perche’ di questa enorme tragedia ma, nel contesto presente, soprattutto l’importanza del concetto di memoria. Non bisogna assolutamente dimenticare il modo brutale, inumano con il quale milioni di persone, per motivi razziali, furono avvilite nella loro dignita’ di esseri umani e sterminate durante l’ultima guerra mondiale. Le brevi note che seguono, non hanno certo la pretesa di esaminare in tutta la sua complessita’ il fenomeno dell’Olocausto; si cerchera’ soltanto di descrivere quali furono gli aspetti tecnico-pratici con i quali fu attuato lo sterminio di milioni di persone. La storia del genere umano e’ purtroppo piena di esempi di massacri, perpetrati per i motivi piu’ vari e fra questi anche i vari tentativi di eleminare fisicamente persone per la loro appartenenza a gruppi sociali, razziali o religiosi, diversi da chi in un determinato periodo storico deteneva o cercava d’impossesarsi, di quelle che si definiscono le forme del potere. Il XX secolo annovera fra i suoi riferimenti storici uno degli eventipiu’ tragici nella storia dell’umanita’: il genocidio, ovvero lo sterminio fisico di un popolo o di una razza. Negli anni venti i Turchi tentaro di sterminare gli Armeni, a cavallo fra gli anni settanta e gli ottanta, in Cambogia, la fazione comunista, nel contesto di una guerra civile, cerco’ di sopprimere tutti coloro che erano considerati nemici di classe, questi non sono che due esempi, che pure nella loro tragicita’ impallidiscono di fronte al genocidio supremo, perpetrato dai nazisti nei confronti degli Ebrei. Se si considera che il genocidio e’ un triste costume nella storia dell’uomo, in cosa si differenzia quello dei nazisti dagli altri episodi precedenti o seguenti ? Se si rispondesse per il numero delle vittime, si darebbe una risposta errata; non si puo’ moralmente fare delle distinzioni riguardo alle cifre quando si parla di genocidio, qualche migliaio o qualche milione non fanno differenza di fronte all’aberrazione, che il concetto di genocidio contiene in se’. Cio’ che distingue brutalmente lo sterminio degli ebrei e’ la logica razionale-scientifica con cui fu attuato. Nessuno prima del nazismo e dopo ha mai pensato di organizzare la soppressione di una razza nello stesso modo con cui si puo’ concepire la realizzazione di una catena di montaggio, in una fabbrica, per la produzione di un manufatto. Il nazismo realizzo’ una tecnologia della morte in cui il lager divenne la fabbrica dello sterminio, per giungere alla produzione di un manufatto chiamato morte, ovvero il cadavere o per meglio dire la cenere dell’ebreo, in quanto il prodotto finale di questo processo, doveva essere un corpo umano incenerito, affinche’ di esso non rimanesse nulla. La scienza e la tecnologia applicate al fine della cancellazione totale di una razza, di un popolo, di una religione, in questo risiede l’unicita’ storica dell’Olocausto. Ma quali furono le tappe attraverso cui si attuo’ un simile processo ?

Non e’ questa la sede per dibattere se Hitler avesse intenzione di sterminare fisicamente gli Ebrei fin dal momento in cui nacque il suo antisemitismo, il fatto certo e’ che questo sterminio venne attuato, attraverso una serie di passaggi che iniziano nel momento stesso in cui Hitler prese il potere nel 1933. Due mesi dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich inizio’ la persecuzione antiebraica. Il 1 aprile 1933 venneorganizzato il boicottaggio del commercio ebraico, il 7 aprile vennero promulgate le prime leggi antisemite in cui si escludevano gli ebrei dagli uffici pubblici e dall’avvocatura, il 12 aprile furono esclusi i medici dalle mutue ma le vere e proprie leggi razziali furono promulgate il 15 settembre del 1935 e passano alla storia come le leggi di Norimberga. La prima legge e’ quella relativa alla - protezione del sangue e dell’onore tedesco - , i suoi articoli stanno alla base di tutto cio’ che avvenne in seguito:

1 - I matrimoni tra Ebrei e soggetti di sangue tedesco o assimilato sono proibiti . . .

2 - I rapporti extraconiugali tra Ebrei e individui di sangue tedesco o assimilato sono proibiti . . .

3 - Gli Ebrei non possono tenere al loro servizio in qualita’ di domestiche donne di sangue tedesco o assimilato che abbiano meno di quarantacinque anni di eta’.

4 - E’ proibito agli Ebrei esporre bandiere dai colori nazionali tedeschi . . .

Naturalmente ogni infrazione era punita con pene detentive.

Contemporaneamente gli ebrei venivano gradualmente esclusi da tutti gli aspetti del vivere civile, privati o osteggiati nel lavoro e nell’istruzione fino ad arrivare alla svolta del novembre 1938 quando si verifico’ la Notte dei Cristalli. Nei mesi precedenti nuove leggi avevano costretto gli ebrei a denunciare allo stato tutti i loro averi, ad assumere indistintamente ilnome di Israele per gli uomini o di Sara per le donne, all’apposizione della lettera J - Juden sui passaporti, fino a che non si verifico’ l’attentato in cui un giovane profugo ebreo uccise un funzionario dell’ambasciata tedesca di Parigi, dando il via alla rappresaglia nazista, ovvero alla Notte dei cristalli, durante la quale furono distrutti migliaia di negozi di proprieta’ degli ebrei e incendiate le sinagoghe in tutta la Germania. NumerosiEbrei vennero uccisi ma fattore singolare e’ che mentre queste uccisioni furono giustificate e gli assassini non subirono conseguenze legali, il partito nazista espulse dai suoi ranghi e procedette legalmente contro coloro che si erano macchiati del reato di stupro ai danni di donne ebree. Questo avvenne non certo per tutelare le vittime ma per punire gli aggressori ariani per aver contravvenuto alla legge sulla difesa del sangue tedesco, accoppiandosi con donne semite. La comunita’ ebreica fu poi condannata a pagare allo stato tutti i danni che la stessa aveva subito durante la Notte dei cristalli. Nell’aprile 1938 Heydrich, il responsabile dei servizi di sicurezza delle SS, la SD, nonche’ numero due nella gerarchia delle SS, aveva organizzato a Vienna il centro di emigrazione ebraica, affidandone la responsabilita’ all’ Obersturmfuhrer Adolf Eichmann ( Eichmann sopravvisse alla guerra rifugiandosi in Argentina dove fu rapito da agenti Israeliani e condotto a Gerusalemme dove nel 1963 fu processato e condannato a morte ). Tale organizzazione doveva provvedere all’emigrazione all’estero di tutti gli ebrei tedeschi, i quali prima di andarsene avrebbero dovuto lasciare tutti i loro averi ai nazisti. Ilprogetto emigrazione progredi’ molto lentamente sia per la resistenza di altri paesi ad accogliere i profughi, sia perche’ gli ebrei, ormai espropiati di tutti i loro averi , non avevano molte speranze nel rifarsi una nuova vita altrove, dovendo superare le molteplici difficolta’ burocratiche relative all’espatrio.

Ogni discorso relativo all’emigrazione venne abbandonato con lo scoppio della guerra. Nel settembre 1939 Heydrich organizzo’il RSHA ( Servizio principale per la sicurezza del Reich ) in cui venivano raggruppati tutti gli uffici delle SS e del Ministero degli Interni, il RSHA era suddiviso in sette uffici di cui il quarto comprendeva la Gestapo e la sezione B ; questyo ufficio doveva occuparsi della questione ebraica; come responsabile venne designato Eichmann. La folgorante vittoria in Polonia, dilato’ il problema ebraico in quanto contava nella sua popolazione una grossa minoranza ebraica. Molti ebrei vennero massacrati, tramite fucilazione durante il mese di guerra che occorse ai tedeschi per piegare la Polonia . Con la cessazione delle ostilita’ i tedeschi dovettero fronteggiare il problema del controllo degli ebrei polacchi. Si decise allora di rastrellare tutti gli ebrei concentrandoli in ghetti nelle maggiori citta’ . Il primo ghetto ad essere istituito fu quello di Lodz a cui seguirono quello di Cracovia e Varsavia. Gli Ebrei furono ammassati nei ghetti, costretti a vivere in una societa’ apparentemente da loro amministrata, in cui il sovraffollamento, la mancanza di misure igeniche, la scarsita’ di cibo e medicinali rendeva precarie le condizioni di vita. Si puo’ dire che la strutturazione della vita nel ghetto e’ gia’ una forma di genocidio, in quanto per tutti i motivi sopra elencati, l’indice di mortalita’, soprattutto fra vecchi, bambini e malati era elevatissimo. Agli ebrei era concesso di uscire dal ghetto soltanto per recarsi a lavorare. Lavorare voleva dire vivere in una condizione di schiavitu’, prestando la propria professionalita’non per recepire un salario ma per ottenere qualche minima agevolazione per la sopravvivenza quotidiana, mentre si era sfruttati nella produzione di manufatti per il Reich. Quando nel 1940 sembrava che la vittoria tedesca fosse imminente venne ripescata una vecchia idea degli inizi degli anni trenta, quella di organizzare una riserva ebraica, possibilmente in un’isola. La vittoria sulla Francia fece pensare ai vertici nazisti che si potesse usare l’isola del Madagascar al fine d’internarvi tutti gli Ebrei d’Europa, concentrandoli in una sorta di riserva indiana, sotto il controllo delle SS ma con i successivi sviluppi della guerra il progetto si rivelo’ irrealizzabile e fu accantonato. Nel giugno 1941, l’inizio della campagna di Russia , apri’ una nuova prospettiva nella persecuzione degli Ebrei. Fino a questo momento le uccisioni dirette di Ebrei erano state limitate, si era proceduto con l’internamento nei ghetti, invece con l’invasione della Russia si adotto’ un diverso sistema, quello che puo’ essere considerato il primo livello della Endlosung ( Soluzione finale ). Speciali gruppi delle SS gli Einsatzgruppen ( gruppi d’azione ), seguivano le truppe combattenti che penetravano nel territorio sovietico, con il compito di procedere alla elimanazione immediata della popolazione ebraica. In genere gli Ebrei venivano raggruppati e condotti alla periferia delle citta’, dove in enormi fosse comuni venivano sepelliti dopo essere stati fucilati in massa. Spesso dato l’alto numero degli Ebrei da sopprimere si procedeva nel segunte modo: le vittime venivano suddivise in gruppi e fatte denudare, poi erano avviate presso le fosse e fucilate, immediatamente seguiva il gruppo successivo, cosi’ che nelle fosse si accumulavano diversi strati di cadaveri fino a che non venivano colmate, si procedeva poi a spargere calce sopra l’ultimo strato di corpi e si ricopriva il tutto di terra. Naturalmente in queste esecuzioni di massa non si distingueva fra uomini e donne, vecchi e bambini. Spesso le popolazioni locali, fortemente antisemite, accettavano la sparizione degli ebrei con soddisfazione, anche perche’ i tedeschi distribuivano una parte dei loro averi, dai mobili agli indumenti, a chi lo desiderava. Tuttavia questo sistema si rivelo’ inefficace; con l’inverno divenne quasi impossibile scavare le fosse comuni, le fucilazioni, che si protraevano per ore, facevano registrare casi’ di destabilizzazione psicologica fra i membri dei plotoni d’esecuzione, nonostante li si fornisse di abbondanti dosi di bevande alcoliche e di sigarette oppiate, inoltre tale sistema si rivelava eccessivamente costoso per l’alto numero di munizioni che costringeva ad usare. Altro motivo di preoccupazione fu rappresentato dal fatto, soprattutto dopo che i tedeschi scoprirono le fosse comuni di Katyn, dove erano sepelliti migliaia di ufficiali polacchi fucilati dai Russi, che le fosse potessero essere scoperte. Era a questo punto indispensabile risolvere due problemi: il primo consisteva nel trovare un metodo economico ed efficace per l’eliminazione degli ebrei, il secondo nel fare sparire i corpi degli uccisi. Si penso’ cosi’ di utilizzare dei camion trasformati in camere a gas. I prigionieri venivano stipati nel cassone di un camion ermeticamente chiuso in cui i gas di scarico venivano convogliati, il veicolo procedeva in una sorta di viaggio della morte finche’ i passeggeri non fossero tutti deceduti per asfissia. I corpi venivano poi scaricati e bruciati cospargendoli di benzina.

Tuttavia anche questo sistema si rivelo’ inefficace: nei camion si potevano stipare al massimo 50-60 persone, troppo poche, inoltre tale soluzione costava troppo in benzina. Il problema dell’eleminazione dei corpi era ancora piu’ problematico; le cataste cosparse di benzina non bruciavano bene, in quanto solo gli strati esterni ardevano, mentre quelli interni, per mancanza di circolazione di aria rimanevano intatti. Si penso’ allora di fare uno strato di corpi e uno strato di legna, raggingendo un miglioramento nel processo di distruzione, che rimaneva pero’ eccessivamente costoso; benzina e legname servivano alle truppe combattenti e con il procedere della guerra divennero sempre piu’ scarsi. L’assasinio di Heydrich il 27 maggio 1942, ad opera di partigiani cecoslovacchi, sembra essere il punto di svolta nell’accellerazione dell’attuazione della soluzione finale. Nel dicembre 1941 aveva cominciato a funzionare in via sperimentale il campo di sterminio di Chelmo in Polonia, si era poi tenuta quella che e’ passata alla storia come la conferenza del Wannsee, dal nome della localita’ nei pressi di Berlino, dove i vertici del nazismo avevano discusso dei problemi pratici che si sarebbe dovuto affrontare per organizzare uno sterminio di massa degli ebrei . L’entratain guerra degli USA nel dicembre 1941, aveva raffarzato questa intenzione. Quindi con la primavera 1942 si passo’ all’organizzazione e al funzionamento dei campi di sterminio ( Belzec, Treblinka, Sobibor, ecc. ) quasi tutti concentrati in Polonia. E’ opportuno fare una precisazione, spesso si parla genericamente di campi di concentramento, in realta’ bisogna distinguere fra campo di concentramento e campo di sterminio, anche se e’ superfluo sottoliniare che in ambedue i casi la morte era sempre presente. Il campo di concentramento per quanto disumano e’ teoricamente un posto dove il prigioniero ha un minimo di speranze di sopravvivenza, nel campo di sterminio invece non esistono speranze, l’unica certezza e’ la morte. Il deportato poteva essere soppresso immediatamente o rimanere in attesa dell’esecuzione per un periodo piu’ o meno lungo ma la sentenza sarebbe stata inevitabilmente eseguita. Dopo la morte di Heydrich il processo venne accellerato, si organizzarono le camere a gas , l’ossido di carbonio fu sostituito dalCyclon B, un insetticida a base di acido prussico, era finita l’epoca delle eliminazioni caotiche, si passo’ ad una fasedi sterminio razionale-scintifico. L’ufficio IV b diretto da Eichmann si trovo’ di fronte ad un compito immane, organizzare la deportazione di piu’ di dieci milioni di ebrei europei. In un momento in cui la guerra stava arrivando a quella svolta, verso la fine del 1942, che avrebbe segnato l’inizio della fine per la Germania, furono organizzati migliaia di trasporti ferroviari che da tutta l’Europa deportavano gli Ebrei verso la loro tragica fine. L’opera di deportazione non fu pero’ un processo omogeneo: per gli ebrei Russi e Polacchi e dei paesi direttamente controllati dai nazisti non ci furono eccessivi problemi, i ghetti vennero vuotati e la popolazione ebraica avviata allo sterminio. I problemi nacquero nei confronti degli ebrei occidentali come i Francesi e gli Italiani, la cui deportazione avvenne solo dopo l’occupazione della Francia libera di Vichy o il crollo del regime fascista. Paesi alleati della Germania come l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria opposero resistenze ai progetti nazisti e anche in questo caso l’ossesione persecutoria si scateno’ soprattutto verso la fine della guerra. Cio’ non toglie che milioni di Ebrei confluissero presso i campi di sterminio. L’organizzazione della soluzione finale si avvalse di veri e propri tecnici della morte. Fin dal 1939 Hitler aveva organizzato il progetto Eutanasia mirante all’eliminazione fisica di tutta quella parte della popolazione tedesca che poteva essere identificata sotto l’etichetta di - vite indegne di essere vissute - , ovvero di malati mentali, handicapatti psico-fisici, persone affette da varie malattie eredetarie, i quali dovevano essere soppressi o resi inabili definitivamente alla procreazione. In genere qusti soggetti venivano eliminati con iniezioni letali o con un colpo di pistola alla nuca, oppure nei casi meno gravi sterilizzati e restituiti alla vita civile. Nel 1941 tali procedimenti vennero sospesi dopo lediffuse preteste che si svilupparono al livello popolare. Tutto il personale che aveva partecipato al progetto eutanasia si rivelo’ utilissimo nell’essere introdotto come personale tecnico nello sterminio degli Ebrei. Gli Ebrei una volta ginti nei campi venivano selezionati: le persone valide erano destinate al lavoro coatto, gli altri allo sterminio immediato. Venivano fatti spogliare e avviati alle docce, con la scusa di una profilassi igenica ma una volta chiusi ermeticamente negli stanzoni , non usciva acqua ma gas che provocava una rapida morte. Squadre speciali provvedevano poi a portare i corpi presso i forni crematori dove venivano inceneriti. Una vera e propria catena di montaggio della morte, che permetteva nei campi piu’ atrezzati di eliminare piu’ di ventimila persone al giorno.

Cosi’ morirono la maggior parte dei sei milioni di ebrei sterminati da i nazisti ma alcuni erano, in un certo senso piu’ sfortunati, in quanto venivano utilizzati come cavie per esperimenti medici e scientifici, come quelli attuati dal famigerato dottor Mengele ad Auschwitz. In questi casi le vittime erano operate senza anestesia o gli venivano inoculati virus o farmaci in via di sperimentazione, per cui la loro agonia diventava ben piu’ lunga e dolorosa. Nel contesto di quella che e’ stata definita la soluzione finale si scontrano pero’ due metodi di esecuzione; da una parte, anche se non ci sono documenti scritti a testimoniarlo, quello di Hitler sopprimere subito una parte degli Ebrei e far lavorare l’altra fino alla morte, dall’altra il metodo di Himmler, il capo delle SS, che ando’ sempre piu’ convincendosi che gli ebrei dovevano essere sfruttati in modo razionale. Fare lavorare un uomo, soprattutto manualmente e pesantemente dandogli cibo insufficiente lo conduce inevitabilmente ad una rapida morte ma trasformare un uomo in uno schiavo, puo’ assicurare vantaggiose prestazioni per lungo tempo. Himmler sposo’ verso la fine della guerra la teoria, che si sarebbero potuti sfruttare al meglio gli ebrei, conseguendo nello stesso tempo i risultati della soluzione finale, sterilizzandoli. La sterilizzazione poteva avvenire o con i raggi X o con il succo di una pianta tropicale, il Caladium senguinum, che provoca l’inibizione dell’apparato riproduttivo maschile. In questo modo gli ebrei avrebbero potuto essere sfruttati fino all’esaurimento del loro ciclo vitale lavorativo, impedendo il perpetuarsi della razza ; nell’arco di alcuni decenni sarbbero definitivamente scomparsi dall’Europa. Il concetto di castrazione di massa faceva parte di un progetto ben piu’ vasto di cui gli Ebrei rappresentavano solo il primo anello della catena, sarebbe stato poi esteso, dopo la vittoria della Germania, a tutti quei popoli, a partire dagli Slavi, che si voleva schiavizzare e sopprimere. Da queste breve note si puo’ concludere che l’Olocausto del popolo ebraico, al di la’del fatto che gli Ebrei sterminati siano quattro, sei o otto milioni, a cui vanno aggiunti altri quattro o sei milioni fra zingari, pregionieri di guerra, soprattutto russi o altri internati per motivi diversi, non puo’ valutarsi soltanto sul numero impressionante di morti; chi scrive tende a ribadire che non e’ soltanto il numero delle vittime a dare la dimensione di questa tragedia ma e’ soprattutto la logica dello sterminio e il modo in cui fu eseguita in termini tecnici a rendere questo aspetto della storia del Nazismo unico e ci si augura irripetibile, nel panorama dello sviluppo storico di questo secolo che volge al fine. La fusione dell’odio razziale con i progressi tecnici di una societa’ scientifica, di cui furono vittime milioni di Ebrei diventa percio’, al di sopra di qualsia retorica, un punto imprescindibile nel discorso della memoria collettiva di qualsiasi societa’ che voglia definirsi civile, quale sia il suo credo politico o religioso.
 
 

Prof. Massimo Mazzanti







Bibliografia :

Leon POLIAKOV, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi 1955

Gitta SERENY, In quelle tenebre, Milano, Adelphi, 1994

Hanna HARENDT, La banalita’ del male, Milano, Feltrinelli, 1993

Raul HILBERG, Carnefici vittime spettatori, Milano, Mondadori, 1994
 
 

Capitolo 3
Repressione, sterminio e sfruttamento economico nei lager

Origini e sviluppo dei lager nella Germania nazista

Il primo campo di concentramento della Germania nazista fu inaugurato a Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera, il 22 marzo 1933, meno di due mesi dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich; nello stesso anno ne seguirono molti altri, sparsi in tutto il paese.

Questi primi lager nascevano per iniziativa delle SA, SS e dei capi regionali del partito nazista, spesso all’insaputa della stessa polizia; alla fine del 1933 se ne contavano una cinquantina in tutta la Germania.

Il compito di questi centri era di mettere nell’impossibilità di agire tutti i nemici e gli oppositori della "rivoluzione nazionalsocialista" creando il clima di terrore necessario affinché i disegni totalitari di Hitler potessero realizzarsi senza ostacoli.

A partire dalla fine del ‘33, si avviò un processo di istituzionalizzazione e di legalizzazione della rete dei campi di concentramento: ciò consentiva l’arresto e la detenzione di persone senza alcuna accusa specifica come stabilito dal decreto del 28 febbraio 1933.

Gli apparati nazisti del terrore erano ormai saldamente nelle mani delle SS che ebbero il controllo di tutti i KL. (KONZENTRATIONSLAGER)

Si estese in tutti i lager il durissimo regolamento che legittimava molti degli eccessi e delle cause di uccisione che si verificavano abitualmente.

Ai detenuti politici si devono aggiungere "gli elementi considerati nocivi al popolo tedesco" come gli omosessuali, i testimoni di Geova, i marxisti, gli oppositori in genere; tutti costoro secondo il diritto vigente non avrebbero potuto essere arrestati.

Dopo la "notte dei cristalli" furono imprigionati trentamila ebrei.

Himmler, capo della polizia del Reich, costituì due società, la DEST e la DAW, allo scopo di sfruttare il lavoro dei prigionieri: le SS entrarono così negli affari con vere e proprie imprese commerciali. In questi ultimi mesi prima della guerra, già cominciavano a delinearsi, almeno potenzialmente, i nodi e le contraddizioni che avrebbero caratterizzato lo sfruttamento degli internati dei lager negli anni cruciali e terribili che sarebbero seguiti. Da un lato, infatti, essi venivano affidati alle SS per essere sottoposti ad un processo di totale degradazione fisica e morale, dall’altro, però, rappresentavano pur sempre una forza lavoro in grado di procurare dei profitti ai propri padroni.

Fin dall’inizio della guerra l’economia tedesca fece ad ricorso una discreta quantità di manodopera straniera, costituita da lavoratori civili reclutati nei paesi soggetti al Reich, dagli internati nei KL e tra i prigionieri di guerra impiegati nelle fabbriche di armamenti, nella costruzione di fortificazioni, nel trasporto di munizioni al fronte e persino per servire alle artiglierie contraeree. Lo sfruttamento dei prigionieri era particolarmente spietato, allo stesso tempo però continuavano i massacri. Nei vari campi si registravano, inoltre, sprechi e abusi da parte dei comandanti, i quali molto spesso si servivano dei loro "schiavi" per ricavarne vantaggi personali. Nel ‘41 erano circa 60000 gli internati impiegati nelle aziende delle SS o destinati alla grande industria bellica o utilizzati presso ditte private fornitrici dei campi per i loro bisogni interni.

Con l’inizio della guerra dunque si completò l’organizzazione totalitaria dello stato nazista diretta all’eliminazione degli avversari, anche potenziali, sfruttando gli apparati delle SS e la rete che si allargò a dismisura dei campi di concentramento creati in tempo di pace. Nei lager furono rinchiusi comunisti, socialisti, socialdemocratici, cittadini polacchi considerati sospetti, ebrei, vagabondi, zingari, psicopatici, ecclesiastici ecc... Nel 1941 fu emanato il decreto "Notte e Nebbia", col quale si stabilì che tutte le persone sospette di appartenere alla resistenza venissero deportate in Germania e fatte "sparire".

Il 14 giugno 1940 fu inaugurato il campo di concentramento di Auschwiz sorto per i detenuti politici polacchi da trattare con particolare durezza. Sorsero inoltre campi di smistamento, "di educazione al lavoro" per lavoratori stranieri: si andò formando così la galassia concentrazionaria del Terzo Reich.

Le varie categorie di detenuti erano contraddistinte da un triangolo di stoffa di vari colori cucito sulla casacca a strisce: "rosso" per i detenuti politici, "marrone" per gli zingari, "rosa" per gli omosessuali, "nero" per gli asociali, la stella di Davide "gialla" per gli ebrei. Vi erano infine i "verdi" delinquenti e criminali tedeschi di diritto comune ai quali i comandanti dei campi affidavano di preferenza gli incarichi subalterni, riconoscendo loro in pratica diritto di vita e di morte sugli altri internati, purché garantissero l’ordine interno. Senza di loro, molto difficilmente le SS avrebbero potuto governare migliaia di prigionieri.

I campi di concentramento nazisti furono anche il teatro e lo strumento principale di un’immane tragedia, quella che fu definita "la soluzione finale" della questione ebraica. La prima fase dello sterminio fu attuata cominciando ad operare dietro le linee tedesche, uccidendo decine di migliaia di ebrei russi e polacchi mediante fucilazione o, a partire dal settembre ‘41, utilizzando autocarri chiusi trasformati in camere a gas mobili; nel frattempo si programmò di ingrandire Auschwitz perché esso sarebbe stato uno dei maggiori centri per lo sterminio degli ebrei.

Le selezioni effettuate dal 1942 per scegliere gli ebrei adatti al lavoro rinviarono solo di pochi giorni, settimane o mesi la loro fine prestabilita; le camere a gas, stabili o improvvisate, presenti in quasi tutti i lager principali avrebbero inghiottito accanto agli ebrei, anche prigionieri politici, oppositori malati di ogni fede e nazionalità. Negli ultimi mesi del 1942 in Polonia, furono costruiti 4 campi, destinati esclusivamente allo sterminio di ebrei e, in misura minore, di zingari.

Si usava il monossido di carbonio prodotto dai motori diesel o si ricorreva a iniezioni di benzolo; la fame, il freddo, le malattie facevano il resto. I cadaveri venivano bruciati in fosse comuni dopo aver raccolto le protesi dentarie in oro. I deportati impiegati come manodopera e sopravvissuti agli stenti e alle fatiche venivano poi eliminati se giudicati ormai "inservibili" perché malati, debilitati o troppo anziani. Questi massacri non suscitavano alcuna forma di opposizione o malcontento tra il personale delle SS, anzi, il numero dei volontari superava il numero delle richieste.

Ai circa 6 milioni di ebrei sterminati sui 10 milioni che abitavano nei campi tedeschi si deve aggiungere il mezzo milione di zingari, anch’essi coinvolti nella "soluzione finale". Assai turpe era anche il commercio dei beni sottratti alle vittime, dal quale le SS ricavavano milioni di marchi.

Lo "sterminio attraverso il lavoro" nei KL e la tragedia finale

Dal 1942 al 1945 i campi di concentramento tedeschi diventarono vere e proprie "miniere di manodopera", usate completamente per produrre risorse utili allo sforzo bellico.

Fu proprio questo il nuovo ruolo dei lager, da strutture create per l’isolamento e la morte di migliaia di persone ad apparati organizzati , secondo Hitler, prima per la produzione di armi e successivamente per la ricostruzione edile in tempo di pace.

Viene quindi adottata una nuova linea repressiva da parte delle SS, il cosiddetto "sterminio attraverso il lavoro".

Con una circolare inviata da Himmler a tutti i lager si imponeva l’impiego totale di tutte le risorse a propria disposizione, stabilendo orari di lavoro che variavano dalle diciotto alle ventidue ore effettive e limitando allo stretto indispensabile ogni pausa dovuta ad esigenze nutritive, burocratiche o biologiche degli internati.

Da quel momento mentre gli ebrei gli zingari anziani inabili o troppo giovani continuarono ad essere sterminati immediamente, i deportati razziali più produttivi vennero temporaneamente risparmiati per essere impiegati nei campi di concentramento al fine di sfruttare fino alla fine ogni loro capacità produttiva.

Dietro a questa nuova linea direttiva adottata da Hitler si nascondevano però interessi diversi e spesso contrastanti tra la società delle SS che volevano arricchirsi utilizzando un tipo di manodopera poco produttivo a causa delle condizioni di vita dei deportati, ma che non costava nulla e la GESTAPO che vedeva nel prolungamento della vita degli ebrei un forte pericolo e una recessione dalla "soluzione finale".

Questi attriti erano dovuti anche al fatto che i campi rientravano nelle sfere di competenza sia delle strutture economico - amministrative delle SS sia dei servizi di sicurezza e di polizia, uffici che perseguivano obiettivi diversi e talvolta contrastanti. L’insanabile contraddizione tra sfruttamento produttivo e "soluzione finale" si manifestò in vari ordini in contrasto tra loro.

Così nei primi due anni a partire dal 1942 si susseguirono circolari in cui si ordinava la purificazione dei KL da tutti gli ebrei e meticci, oppure il loro impiego in varie industrie per la crescente necessità di manodopera.

Fu proprio per questo motivo che i lager vennero costruiti vicino a complessi industriali ed arrivarono ad ospitare fino a duemila deportati.

Questa affannosa immissione di uomini in grado di lavorare nei KL venne però vanificata da un altissimo tasso di mortalità. In alcuni rapporti delle SS si poté notare che nel periodo giugno - novembre del 1942 su 1367000 persone internate, 70610 erano morte, 9267 erano state giustiziate, 28610 erano state "trasferite" (eufemismo per indicare la camera a gas). Viene quindi deciso che dal dicembre del 1942 doveva essere assolutamente diminuito l’indice di mortalità, imponendo controlli sull’alimentazione e sulle condizioni sanitarie dei luoghi di lavoro; però nulla si diceva circa le esecuzioni, che pure costituivano un’importante causa di morte. Da quel momento si accesero violente polemiche tra le SS e la direzione generale dell’alto comando, perché le SS consideravano gli internati merce su cui lucrare, per di più di loro proprietà piuttosto che dello Stato.

Per un primo periodo le condizioni di vita dei detenuti migliorarono, ma durò solo alcuni mesi; poi a causa dell’affollamento dei campi, delle durissime condizioni di lavoro, nonché dei massacri nel quadro della "soluzione finale", il tasso di mortalità tornò a crescere e si mantenne elevatissimo per tutto il ‘44.

Quali erano le condizioni di vita e le condizioni di lavoro nei KL? La vita media di un internato nei campi di sterminio variava dai sei ai nove mesi e l’attività lavorativa era divisa solitamente in due turni, uno diurno e l’altro notturno, che duravano da dieci ore e mezza a dodici ore ciascuno, con una pausa variante da mezz’ora ad un’ora.

Ogni comandante dei KL riceveva, come compenso per l’attività dei detenuti, da tre a cinque marchi dalle ditte private e altrettanti dalle imprese delle SS. I vantaggi per gli imprenditori erano notevoli, poiché queste tariffe rappresentavano un terzo della paga di un lavoratore tedesco di qualifica equivalente. I maggiori profitti venivano però realizzati dalle società legate alle SS, le quali svolgevano la funzione di fornitrici di manodopera, impiegando la maggior parte degli internati avviati al lavoro.

E’ molto difficile valutare l’effettiva produttività dei prigionieri dei lager e ancor più il contributo da loro fornito allo sforzo bellico della Germania. Indubbiamente molti fattori oggettivi e soggettivi limitavano e condizionavano negativamente il loro rendimento, in primo luogo le loro condizioni fisiche estremamente precarie, gli stenti, la fame. Bisogna dire però che questo non preoccupava i nazisti perché interpretavano il concetto di sterminio attraverso il lavoro come sterminio "tout court". D’altra parte, tutta la struttura dei lager era finalizzata alla distruzione fisica e morale degli individui, basta pensare agli estenuanti appelli, alle rigide formalità, alle pratiche vessatorie molto spesso prive di ogni senso.

Vi erano poi degli insormontabili problemi oggettivi: la violenza, le percosse, le punizioni possono risultare efficaci in un lavoro di bassa manovalanza, dove è sufficiente la forza fisica e i risultati possono essere misurati secondo un criterio puramente quantitativo, ma non quando è necessaria una dose anche minima di adesione personale.

A tutto ciò si dovevano aggiungere sia le carenze organizzative del sistema concentrazonario sia varie forme di sabotaggio attuate dai detenuti nel tentativo di danneggiare con i piccoli atti, con imprecisioni nelle lavorazioni, con l’incuria la produzione bellica del nemico. Le autorità economiche nazista e le industrie cercarono di risolvere questi problemi attraverso la parcellizzazione del lavoro, la catena di montaggio, l’intensificazione dei ritmi e dei turni.

La responsabilità di questo tremendo sfruttamento ricade oltre che sui generali del regime e sulle SS anche su un gran numero di imprenditori privati tedeschi. Essi approfittarono crudelmente e spregiudicatamente delle masse di "schiavi" che il potere nazista metteva a loro disposizione, valutando unicamente le enormi possibilità di arricchimento che ciò comportava.

Nel 1944, però, l’avanzata delle truppe sovietiche a Est e degli anglo - americani a Ovest costrinse le SS ad evacuare i KL ad un ritmo che si fece sempre più incalzante con il passare dei mesi. L’obiettivo era di impedire con ogni mezzo che i prigionieri testimoni di tanti crimini e atrocità finissero nelle mani dei nemici del Reich.

La realtà fu che i detenuti, affamati e già duramente provati, furono costretti a delle vere e proprie "marce della morte" durante le quali morirono a decine di migliaia lungo le strade, uccisi dagli stenti o dalle SS, che abbattevano chiunque non ce la facesse a proseguire. Molti altri furono lasciati morire chiusi in vagoni ferroviari o nei campi sovraffollati dove i vivi giacevano accanto ai cadaveri. Tra il gennaio e l’aprile del ‘45 persero la vita circa 300000 detenuti dei KL su 750000.

I campi di concentramento, sorti in Germania a partire dal 1933, non furono il frutto di un’aberrazione casuale, di una degenerazione del sistema; al contrario, furono un elemento essenziale e caratterizzante del regime nazionalsocialista. Essi rappresentarono il microcosmo in cui si realizzò pienamente la società auspicata dai nazisti per la Germania e per l’intera Europa: il "nuovo ordine", che non fu possibile instaurare nell’impero conquistato dalla Wehrmacht, fu creato nel KL, nelle sue gerarchie e nei rapporti fra le razze esistenti al suo interno. In questo quadro, anche lo sfruttamento economico degli internati non fu un accidente storico, ma l’espressione di una ben determinata Weltanschauung. I seicento - settecentomila detenuti costretti a lavorare per le imprese tedesche, SS, statali e private, e le centinaia di migliaia di altri che servirono le SS all’interno dei campi per garantirne il funzionamento, subirono il destino riservato dai nazisti a tutti coloro che non appartenevano alla razza dei padroni.



Barbara Farina e Giacomo Bellettini

Capitolo 4
Il fascismo e gli ebrei

L’antisemitismo e le leggi razziali.

Tra il 1919 e il 1922 non mancarono espressioni di antisemitismo di origine nazionalistica, tese a identificare gli ebrei con i massoni, con i socialisti o i bolscevichi, tutti considerati nemici del fascismo e dell’Italia; manca ancora, però, un motivo nazionale per incoraggiare una campagna antisemita in Italia. Gli ebrei sono ben integrati nella società italiana e appartengono spesso alle élites politico-culturali; lo stesso, tradizionale antisemitismo cattolico ha una influenza limitata e i fascisti erano troppo impegnati nella conquista del potere per occuparsi degli ebrei. Lo stesso Mussolini ha un atteggiamento ambivalente: considera il sionismo anti-italiano perchè promotore degli interessi inglesi in Medio Oriente; allo stesso tempo intrattiene rapporti professionali e politici con varie personalità israelite; inoltre, cinque padri fondatori del movimento fascista, 230 partecipanti alla marcia su Roma e migliaia di iscritti al partito fascista erano ebrei.

Negli anni venti il duce oscilla, dunque, tra due posizioni: non esiste un "problema ebraico" dal momento che gli ebrei sono italiani; esiste una cospirazione ebraica per il dominio del mondo, come attestano i ruoli di rilievo nell’attività politico-economica ricoperti dagli ebrei.

I giudizi personali di Mussolini sono importanti perché il fascismo s’incarnò nel duce attraverso il culto del capo, ed egli, personificando il fascismo, poteva scegliere se schierarsi su posizioni antisemite, restare indifferente agli ebrei o sostenerli. In tal modo il duce poteva muoversi secondo le circostanze e la contingenza politica, nella direzione che riteneva giusta al fine di raggiungere gli obiettivi nazionali dell’Italia fascista, come il migliorare le condizioni dell’Italia tramite un processo di modernizzazione ed estendere il suo dominio come impero fascista. A questo fine venne assunta una politica liberale di apertura delle università italiane a un numero rilevante di studenti ebrei.

Durante i primi anni del regime fascista, gli ebrei non furono oggetto di nessuna attenzione particolare da parte del PNF e delle autorità. Tra il 1928 e il 1933 gli ebrei iscritti al PNF erano 4819. Nel 1932 in un’intervista Mussolini attacca il razzismo definendolo una "stupidaggine"; dunque, fino al 1932 le relazioni tra il regime fascista e gli ebrei italiani furono ragionevolmente buone. Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, accolta dai circoli italiani ufficiali con soddisfazione, la situazione comincia a mutare, anche se Mussolini assume un atteggiamento critico nei confronti del razzismo nazionalsocialista tedesco. Nell’Italia fascista la corrente antiebraica stava comunque acquistando una certa consistenza: furono processati 17 antifascisti (per la maggioranza ebrei), in seguito all’arresto di Sion Segre nel 1934. Essenziale fu la guerra dell’Italia in Etiopia; Mussolini era convinto che la "comunità ebraica internazionale" stesse aiutando la Gran Bretagna nella campagna contro l’Italia. Il razzismo penetrava in Italia anche attraverso questo scontro; inoltre la guerra civile spagnola favorì una collaborazione più stretta tra l’Italia fascista e la Germania nazista. Fu così che, nel 1937, Paolo Orano pubblicò "Gli ebrei italiani", testo che riflesse molte idee dello stesso Mussolini. Secondo Orano, gli ebrei dovevano diventare completamente italiani, staccarsi dal sionismo per poi sostenere la lotta dell’Italia contro l’ "Internazionale ebraica".

Il 14 luglio 1938 fu pubblicato il "Manifesto degli scienziati razzisti", secondo il quale gli ebrei non appartenevano alla razza italiana, essendo costituiti da elementi razziali non europei. Successivamente, nel luglio 1938, l’ufficio demografico del Ministero degli Interni venne trasformato in una "Direzione generale per la demografia e la Razza". In questa Mussolini inizia ad attaccare ripetutamente gli ebrei, convinto che una politica antisemita in Italia avrebbe rafforzato l’alleanza nazista e sarebbe così servita a tutelare gli interessi italiani. Non secondari sono anche i timori di Mussolini che la sua politica economica non fosse approvata dai circoli finanziari ebrei e la pressione crescente degli elementi antisemiti nel partito. Il razzismo dell’Italia fascista fu molto diverso dal razzismo del suo alleato nazista, non introducendo mai elementi mitologici e scartandone altri di carattere biologico, fondamentali nel razzismo nazionalsocialista tedesco. L’ideologia fascista mirava alla mobilitazione politica e militare di massa contro i nemici della nazione: alla fine degli anni trenta, gli ebrei italiani furono considerati tra questi, cosicché l’antisemitismo fu usato per rivitalizzare il fascismo e slanciare l’iniziativa tra le masse. L’intenzione di Mussolini è volta più alla discriminazione che alla persecuzione : ma una volta che il processo viene avviato dalle campagne antisemite, risulterà poi difficile prevederne le conseguenze.

Per gli ebrei italiani, il processo di delegittimazione sociale, politica e legale fu un colpo davvero duro. Le leggi razziali approvate tra il 1938 e il 1939 riportarono la comunità ebraica ad una condizione quasi medioevale. Le leggi per la difesa della razza proibirono i matrimoni misti tra ebrei e ariani, stabilirono l’obbligo della registrazione degli ebrei in quanto tali e definirono gli israeliti sulla base di criteri religiosi e comunitari; imposero inoltre limitazioni al loro diritto di proprietà; gli israeliti non potevano più prestare servizio nell’esercito, né lavorare al servizio civile o iscriversi al partito a qualunque altra istituzione fascista. Gli ebrei stranieri furono costretti a lasciare l’Italia entro il 12 marzo 1939 e la cittadinanza italiana, garantita agli ebrei dal 1 gennaio 1919, fu loro ritirata. Gli ebrei furono esclusi per legge dalla vita pubblica e fu loro proibito il libero esercizio delle professioni; è vietato anche leggere, pubblicare libri, possedere radio e frequentare luoghi di villeggiatura popolari.

"Vita italiana" di Preziosi, che precedette la legislazione antiebraica, propugnava un antisemitismo affine al razzismo tedesco. Importanti furono inoltre il bisettimanale "Difesa della Razza", "Il Diritto Razzista. Rivista italiana-germanica del diritto razziale" diretta da Stefano Maria Cutelli. Queste riveste rilevano i contenuti delle politiche razziali in Italia ed erano strumenti per garantire agli stessi una legittimazione che fosse politica, culturale e scientifica.

Verso la "soluzione finale"

Un crescente senso di isolamento pervase gli ebrei che vivevano in Italia : le comunità ebraiche furono costrette ad assumersi la piena responsabilità per l`istruzione, l`assistenza sociale e il lavoro, mentre gli ebrei stranieri, se in grado di farlo, abbandonano l`Italia. Campi di concentramento per israeliti non italiani vennero aperti in alcune zone del paese ed ebrei vennero rinchiusi anche nelle prigioni delle principali città d’Italia o mandati in esilio in zone remote; misure ristrettive vennero adottate nei riguardi di ebrei considerati pericolosi per il regime. Nel maggio 1942 gli israeliti di età compresa tra i 18 e 55 anni furono precettati in servizi di lavoro forzato, anche se questa disposizione venne eseguita senza una particolare efficienza e "solo" 2000 dei circa 16000 ebrei registrati dovettero sottostare a tale obbligo.

Dopo il luglio ‘43 e l`occupazione tedesca del territorio italiano, la situazione si aggravò poiché i nazisti cominciarono a uccidere ebrei nell’Italia settentrionale o ad arrestarli : a Roma, ad esempio, nel settembre del ‘43 arrestarono 1200 ebrei utilizzando i dati del censimento del 1938 preparato dai fascisti italiani.

Se la situazione della comunità ebraica peggiorò drammaticamente con l’occupazione nazista, dal ‘40 al ‘43 numerosi furono gli episodi di violenza antisemita, compresi gli assalti alle sinagoghe, a negozi e proprietà di ebrei. In numerose città apparvero manifesti che incitano a liquidare gli ebrei di cui erano pubblicati i nomi e gli indirizzi.

Con la nascita della Repubblica Sociale Italiana le torture e le uccisioni di ebrei da parte delle bande "repubblichine" diventarono sistematiche.

La Carta di Verona del 14 novembre ‘43 - il manifesto politico della Repubblica di Salò - dichiarò stranieri gli ebrei e appartenenti a nazione nemica : di conseguenza, le proprietà ebraiche nella Repubblica di Salò vennero confiscate e gli ebrei inviati nei campi di concentramento. A tale opera si dedicarono con particolare efficacia le "brigate nere", una forza di circa 30000 iscritti al partito fascista costituita da veterani fascisti e criminali comuni.

Gli Israeliti vennero rinchiusi nel campo di Fossoli di Carpi ed avviati verso i campi di sterminio dell’Europa orientale. I repubblichini si impegnarono nell’identificazione e nell’arresto degli ebrei che, una volta trasferiti a Fossoli, venivano presi in consegna dalle autorità tedesche.

Da Trieste, dove il 4% della popolazione era israelita, migliaia di ebrei vennero spediti a morte. Malgrado le persecuzioni, la maggioranza dei 45000 ebrei italiani sopravvisse alle guerre, al regime fascista e alla occupazione tedesca.

Non si può paragonare l’Olocausto in Italia con quello che ebbe luogo in altre nazioni europee, poiché nel nostro paese la minoranze ebraica era estremamente ridotta, ma le leggi antiebraiche promulgate del fascismo furono sufficienti a distruggere, innanzitutto, la legittimità della presenza ebraica all’interno della società italiana, poi a diffondere quello spirito antisemita e razzista che prepararono il terreno alla "soluzione finale".

In meno di diciotto mesi di occupazione tedesca, la collaborazione tra fascisti e nazisti produsse l’Olocausto italiano : antisemitismo, razzismo , persecuzioni e morte entrarono nella storia d’Italia come prodotto del regime fascista.

Michela Tisi

Capitolo 5
Jiulius Evola, il teorico del razzismo spirituale

Nel panorama dei teorici del razzismo italiano, da cui non emergono nomi particolarmente significativi ma solo imitatori delle teorie razziali tedesche, l’unica eccezione riscontrabile, sia per levatura intellettuale, che per capacita’ di elaborazione, e’ quella rappresentata da Julius Evola, che puo’ essere definito come l’inascoltato teorico di una concezione razziale di tipo spirituale.

Nel periodo che intercorre fra la guerra d’Etiopia e la caduta del regime fascista, si può collocare il maggiore impegno di Evola, sia teorico che pratico nell’affrontare la tematica del razzismo.

L’occupazione dell’Etiopia e la nascita dell’impero creò in alcuni circoli fascisti il problema del "meticcio"; il timore che potessero nascere, nei territori dell’A.O.I.una serie d’incroci razziali fra le truppe italiane e le donne indigene.

In realtà il regime non intervenne mai attivamente per impedire questo tipo di rapporti, come testimoniano fotografie e cartoline d’epoca. (1)

Ciò non toglie che si sviluppasse almeno sul piano teorico una discussione sulle tematiche razziali, che aveva come inevitabile termine di confronto la legislazione razziale della Germania nazista.

Il dibattito razziale offrì ad Evola la possibilità d’uscire dai limitati confini, che le sue precedenti opere gli avevano imposto.

Nel 1935 pubblicò un saggio dal titolo "Razza e cultura" su Rassegna italiana, che riscosse l’attenzione dello stesso Mussolini. (2)

Un altro editoriale intitolato "Responsabilità di dirsi ariani" apparso sul Corriere padano di Italo Balbo, riscosse interesse fra le più alte gerarchie del regime. (3)

In ambedue i casi Evola vi sosteneva la tesi che non si poteva parlare di razzismo soltanto in termini biologici ma per affrontare concretamente il problema della razza, bisognava definirlo inanzitutto in termini spirituali ed etici.

Ad Evola si apriva la possibilità di dare un suo personale contributo, che influisse direttamente nella costituzione dell’Italia fascista.

Attraverso la discussione sul razzismo poteva ribadire quie principi d’inuguaglianza, di differenziazione organica e di predominio dei valori spirituali, già sostenuti nelle sue opere precedenti.

Nel 1937 l’editore Hoelpi incaricò Evola di scrivere una storia del razzismo, che fu pubblicata alcuni mesi dopo con il titolo "Il mito del sangue".

Questo libro contiene una sintesi del pensiero europeo sul razzismo che va da Fichte ai teorici del nazismo e può essere giudicato come l’introduzione alla "Sintesi di dottrina della razza" apparso nel 1941, che rappresentò l’espressione teorica del pensiero evoliano sul razzismo.

Nel "Il mito del sangue" Evola partì, nell’esame delle concezioni razziste fra il XIX e il XX secolo in Europa, dal presupposto che il razzismo poggia su due corollari fondamentali.

"Non l’uguaglianza ma la disuguaglianza è il dato originario e la condizione normale" del genere umano e ad ognuna delle differenziazioni "razziali del genere umano corrisponde un determinato spirito" il quale si riflette sia sulle caratteristiche fisiche sia su quelle culturali di una determinata razza. (4)

A questi due corollari se ne può aggiugere un terzo riguardante la purezza della razza in rapporto all’ereditarietà e alla non mescolanza sanguigna.

Si può così constatare che fin dalla prima pagina del libro il discorso su un razzismo biologico, di tipo nazista, viene ad essere, nelle concezioni evoliane un elemento subordinato, ma non negato, come fattore per una giusta comprensione del concetto di razzismo.

Fichte con la sua concezione di uno stato autarchico morale, rappresenta per Evola il precursore delle moderne teorie razziali in Europa.

Del filosofo idealista Evola apprezza il concetto di "Urvolk", che si accosta a quello di razza pura, emergente nei "Discorsi alla nazione tedesca". (5)

Questo spirito primordiale sarebbe sopravvissuto nel "popolo normale" tedesco, che non avrebbe subito "adulterazioni fisiche e morali" nei secoli, restando così fedele al suo "io metafisico" a differenza dei popoli, che si sono sviluppati in balia degli eventi storici e che possono perciò fare riferimento soltanto ad un "io storico". (6)

Per Evola nelle concezioni fichtiane è già contenuto il discorso del germano come erede diretto della razza Aria primordiale, concetto questo basilare nel razzismo contemporaneo. (7)

Il posto di padre del razzismo europeo spetta però al De Gobineau e al suo "Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane".

Nell’accumunare la teoria della razza al problema della decadenza delle civiltà il De Gobineau rappresenta un autore con il quale Evola trova un punto di contatto, con le sue concezioni sulla crisi del mondo della tradizione di fronte al mondo moderno.

De Gobineau afferma che la corruzione dei popoli superiori avviene nel momento in cui il loro "genio civilizzatore" raccoglie intorno a se quegli elementi inferiori, che con una mescolanza di sangue avviano il processo di corruzione. (8)

Teoria questa che si avvicina alla concezione evoliana sulla regressione delle caste.

Altri punti di contatto fra i due autori si hanno:nel "culto dell’onore" che caratterizza la razza bianca, culto ereditato da quell’ "Urvolk" che sarebbero gli Ari (coloro che non hanno attitudini servili di fronte agli dei), nelle critiche al cristianesimo e nel considerare l’ideale passaggio dello scettro imperiale da Roma alla Germania.

Inoltre il De Gobineau sostiene che la storia del mondo volge verso la "suprema unità" del meticcio, del senza razza, per lui non esistono più Ariani puri. (9)

Questa visione negativa della storia può essere ricollegate alla teoria dei cicli evoliana, al Kali-yuga l’età oscura per gli Indù, quella che segna la fine di un grande ciclo cosmico.

Nell’inglese naturalizzato tedesco H. S. Chamberlain autore del saggio "Le basi del secolo XIX" Evola individua colui che ha dato un forte contributo alla teoria razziale nazista.

Chamberlain per Evola ha avuto una fama immeritata essendo le sue teorie "asistematiche e dilettantesche" in rapporto a quelle di De Gobineau.

L’accusa principale imputata al Chamberlain è di avere teorizzato un razzismo "modenista", "privo di spina dorsale". (10)

Chamberlain, in netto contrasto con la dottrina della tradizione, sostiene che le razze non nascono pure e nobili ma lo divengono.

La nazione è il luogo in cui avviene la formazione di una razza, che raggiunge attraverso lo stato la sua condizione migliore in quanto allo stato spetta il compito d’impedire le ibridazioni.

Solo allora una razza è degna di definirsi libera.

Per il Chamberlain la conoscenza equivale alla scienza, la civilizzazione all’ordinamento sociale, la spiritualità alla cultura.

Questi elementi possono anche svilupparsi in modo disgiunto ma solo dal loro simultaneo sviluppo deriva una civiltà integrale.

Secondo lui solo i germani sarebbero riusciti in questo processo di sviluppo in modo omogeneo.

I suoi riferimenti storici lo portano a condannare la Roma imperiale come centro di un caos etnico, esempio di uno stato che non sà proteggere la razza dalle ibridazioni.

Carlo Magno avrebbe sbagliato nel farsi incoronare imperatore del Sacro Romano Impero, perchè sia l’impero che la chiesa rappresentano due assolutismi estranei alla Germania.

Per il Chamberlain Lutero è "l’uomo più grande nella storia universale", il liberatore, l’iniziatore del rinascimento germanico, che si sviluppo fino a decadere con la Prima Guerra Mondiale, considerata una guerra fratricida, perchè combattuta da popoli appartenenti tutti allo stesso nucleo razziale quello:Slavo-Celto-Germanico. (11)

Da questo conflitto fratricida avrebbero tratto beneficio gli Ebrei, che il Chamberlain considera dei "bastardi", un miscuglio fra Semiti e Siriaci, impegnati in una specie di congiura occulta per distruggere la civiltà occidentale.

Evola non accetava una simile concezione dello sviluppo storico che presupponeva la condanna dell’impero, punto cardine nel concetto tradizionale e l’esaltazione del Rinascimento e della Riforma Protestante, che lui considerava come il momento storico in cui gli ultimi bagliori della tradizione, incarnati dal medioevo ghibellino si spegnevano.

I capitoli centrali del "Il mito del sangue" sono dedicati all’analisi delle teorie razziste che si possono definire più scientiste, rappresentate dalle categorie razziali del Gunther e del Clauss, in cui compare il concetti del cacciatore primordiale (Urjager) contrpposto a quello del coltivatore primordiale (Urbauer). (12)

Queste concezioni si rifanno al cosidetto Mito Artico che vede la razza primordiale popolare le regioni artiche, per poi migrare in seguito ad un cataclisma, prima in occidente poi in oriente, sottomettendo gli altri popoli.

Evola si sofferma sulle teorie del Wirth, che vede nella mitica Atlantide un luogo intermedio, in cui la razza artica avrebbe sostato dopo avere abbandonato il Nord e prima di colonizzare l’oriente, in un periodo collocabile circa 20.000 anni A.C.. (13)

Sarebbe stata questa razza artica a diffondere la concezione divina del sole, come portatore di vita, che secondo il Wirth rappresenterebbe una forma di religione monoteistica in contrasto a quanto creduto, ossia che gli Ebrei sarebbero stati i primi a professare una religione monoteista.

Le teorie di questi autori, in particolare quella del Wirth, si accostano notevolmente a quelle esposte dall’Evola in Rivolta contro il mondo moderno.

L’ultima parte del libro è interamente dedicata alle concezioni razziste del Nazionalsocialismo e diviene quella più significativa, al fine di valutare i punti di contatto e quelli d’attrito fra tali dottrine e quelle evoliane.

Il primo posto, fra i teorici del razzismo nazista, spetta ad A. Rosenberg autore del "Il mito del XX secolo", testo erroneamente considerato insieme al Mein Kampf di Hitler una sorta di bibbia del nazismo. (14)

Il Rosenberg, che subisce una forte influenza da parte di Chamberlain, parte dal concetto che la "storia di ogni razza è allo stesso tempo sia naturale che mistica", "sangue e carattere" designano un’unica realtà (15)

Per lui la storia non "obbedisce a nessun piano preordinato", ma rappresenta una continua lotta fra le varie razze e le loro anime.

Il Rosenberg riprende il concetto del Wirth, di una primordiale razza artica, che avrebbe colonixzzato, imponendosi sui popoli preesistenti, America, Europa e Asia.

La civiltà Indù sarebbe stata creata dai ceppi nordici degli Arya (o casta divina) che avrebbero assogettato i Cudra (o casta nemica).

Per Evola il Rosenberg non avrebbe compreso l’essenza della civiltà Indù nel momento in cui ne sottovaluta l’ascetismo, per preferire i valori guerrieri della vicina Persia;di cui esalta Zarathustra e considera, in netto contrasto con Evola, il culto di MIthra come un culto decadente, per le sue caratteristiche di "salvatore" che connotano in modo anti nordico questa divinità.

In occidente Sparta rappresenterebbe lo spirito ario dell’immigrazione Ellenica, la Roma repubblicana sarebbe retta da un senato nordico, la Roma imperiale invece aprì le porte al caos razziale. (16)

Di fronte al cristianesimo Rosenberg non accetta la figura di un Cristo ebreo ed elabora una teoria, a dir poco pittoresca, di un Cristo figlio di un’adultera siriaca e di un legionario romano.

Sarebbe stato poi San Paolo ad eliminare definitivamente dal cristianesimo ogni elemento aristocratico.

Il cattolicesimo sarebbe quindi frutto d’influenze siriaco-semite:nella sua dottrina dell’amore e dell’umiltà, dell’uguaglianza universale, nelle concezioni di colpa e peccato e nella minaccia della punizione eterna.

Fattori questi assolutamente incompatibili con la tradizione nordica, in cui primeggia il concetto d’onore e di casta.

Il protestantesimo di Lutero assume per lui una doppia valenza:è positivo per essersi staccato da Roma, negativo per averla sostituita con Gerusalemme. (17)

Evola si mostra scettico di fronte al progetto di Rosenberg di fondare una chiesa "nazionale tedesca" sulla base delle idee di "sangue e onore", in quanto ritiene tale progetto troppo approssimativo e indefinito per poter sostituire il protestantesimo e il cattolicesimo ormai radicati da secoli.

Riguardo alla questione ebraica Evola rimprovera ai teorici nazisti di avere contrapposto il termine ariano a quello semita, così che automaticamente l’arianesimo finisce per ridursi ad una semplice antitesi dell’ebraismo. (18)

La maggiore colpa dell’ebreo appare quella di avere creato, attraverso una religione del denaro (Mammonismo) i presupposti per impossessarsi del potere sull’intera terra, corrompendo dall’interno delle nazioni, in cui si sono diffusi, ogni fondamento culturale. Capitalismo e Marxismo vengono identificati come due modi diversi e opposti, di giungere allo stesso fine da parte degli Ebrei.

I "Protocolli dei savi anziani di Sion" divengono così la prova plateale di questa congiura. (19)

Evola non crede all’autenticità di questo documento e si dimostra scettico nel pensare, che di fronte ai posti chiave occupati dagli Ebrei nella società tedesca della repubblica di Weimar, si possa individuare una manovra per distruggere la germania.

Per lui l’ebreo è il maggiore rappresentante di un certo razionalismo moderno, la punta di diamante della corruzione della società ma non per questo deve essere considerato come l’unico imputato. Di fronte alle leggi razziali tedesche, in particolare quella sulla ricostituzione della classe dei funzionari statali (7/4/1933) e a quella sulla definizione di non ario (11/4/1933) a cui va aggiunta la legge sulle malattie ereditarie, Evola non prende una posizione diretta, limitandosi a dire che tali leggi rappresentano un passaggio dalla teoria alla pratica.

Il libro si chiude con alcune considerazioni sul pensiero di Hitler, che Evola fa precedere da una considerazione interessante: "Senza la personalità di Adolf Hitler e senza l’avvento al potere del partito nazionalsocialista, da lui diretto, il razzismo, come abbiamo già notato, sarebbe rimasto allo stato di una tendenza secondaria tenuta piuttosto in sospetto dalla cultura moderna.Tuttavia è ben possibile chein questo stato il razzismo avrebbe potuto avere la possibilità di sviluppare più proficuamente gli elementi valevoli che esso può comprendere in sè.Invece con l’assurgere a ideologia ufficiale di una rivoluzione, il razzismo ha finito con il pregiudicare siffatti elementi per via di esagerazioni, di confusioni, di generalizzazioni, di formulazioni di parole d’ordine politiche le quali finiscono con lo screditarli anche di fronte alle persone meglio intenzionate." (20)

L’accusa che Evola fa ad Hitler è quella, come ribadirà alcuni anni dopo nel 1974 in un altro suo scritto, di avere dato all’antisemitismo un carattere di "fanatismo ossesivo" sintomo di una mancanza di "controllo interiore" (21)

In questo modo Hitler commise un duplice errore, quello d’identificare razzismo e antisemitismo come sinonimi e facendo confusione fra il concetto di razza e quello di nazione.

In questo modo si "democraticizza e degrada" la razza, in quanto lo stato diviene nella sua funzione principale strumento di difesa della purezza razziale.

Lo stato per Hitler viene così ad essere non un fine ma un mezzo per la formazione di una civiltà superiore, da qui le misure eugenetiche come la divisione dei cittadini in tre classi:cittadini del Reich, appartenenti allo stato, stranieri e le leggi su i matrimoni. (22)

Evola vede in questo "razzismo democraticizzante" una distorsione, perchè ogni tedesco è automaticamente definito Ario ad eccezzione degli ebrei tedeschi, quindi è esclusa la formazione di un’elite spirituale.

Infatti i nazisti si limitano solo ad una profilassi su base biologica, per difendere la razza;concezione destinata a rivelarsi fallimentare proprio perchè non sufficiente a realizzare un elevazione del livello spirituale, con un’unica eccezzione quella riguardante le SS.

Il secondo errore che Evola imputa ad Hitler riguarda la legislazione ebraica del 1938.

Queste leggi servirono solo ad attirare sul Reich l’ostilità della comunità internazionale, inoltre posero la figura dell’ebreo come unico responsabile della corruzione sociale;mentre per Evola il morbo della corruzione del mondo moderno era già ampiamente diffuso fra molti dei cosidetti ariani, tanto da considerarli irrecuperabili.

Quindi l’ebreo resta si per Evola elemento corruttore della società ma in questo affiancato e appoggiato da numerose correnti ideologiche e intellettuali di non-ebrei.

Riguardo all’olocausto e allo sterminio di massa di altre razze come ad esmpio gli zingari, Evola si espresse sempre in termini di netta condanna, anche se la sua posizione risulta fortemente ambigua, soprattutto tenendo conto del suo lavoro negli anni che seguirono alla pubblicazione del "Il mito del sangue".

Per comprendere appieno quale fosse la concezione razzista di Evola è necessario però rifarsi all’opera che può definirsi il manifesto teorico del razzismo evoliano, ovvero "Sintesi di dottrina della razza" pubblicato dall’editore Hoelpi nel 1941.

Nel momento in cui nel 1938 Mussolini fece promulgare il manifesto della razza, accostando l’Italia alla legislazione nazista, Evola reagì con una critica spietata nei confronti del razzismo di regime.

Accusò i firmatari del manifesto di avere prodotto una legislazione superficiale e pressapochista, mancando loro una preparazione sufficiente per poter affrontare il problema in una prospettiva completa.

Per evola parlare di una "razza italiana" voleva dire esprimere un concetto assolutamente privo di senso, in quanto nessuna nazione moderna può corrispondere ad una razza specifica. (23)

Lo storico R.De Feelice isola l’Evola dagli altri teorici del razzismo italiano, che definisce "pallide e pedisseque vestali del razzismo nazista", considerandolo come un razzista convinto, tra i pochi che "imboccata ognuno una propria strada la seppero percorrere, in confronto a tanti che scelsero quella della menzogna, dell’insulto, del completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serietà." (24)

Lo stesso Mussolini si interessò al libro, autorizzando l’autore a modificare il titolo in "Sintesi di dottrina fascista della razza" nella sua edizione tedesca;fatto che non passò inosservato fra i circoli del razzismo di regime, che iniziarono una spietata guerra di corridoio contro le teorie evoliane. (25)

In "Sintesi di dottrina della razza" Evola parte dal presupposto che il razzismo si presenta come: "ulteriore potenza del nazionalismo" perchè l’essere di una stessa razza è "qualcosa di più che sentirsi di una stessa nazione". (26)

Il razzismo è antindividualismo perchè la "personalità non ha nulla a che fare con l’individuo" essendo un concetto organico che si richiama:al sangue, alla stirpe e alla tradizione. (27)

Quindi si ha una visione aristocratica dell’ereditarietà e del carattere. Inoltre il razzismo è anti-razionalismo, non perchè espressione irrazionale, ma perchè super-razionalismo in quanto la razza trascende come qualità, sia gli aspetti culturali che quelli naturalistici dell’uomo, rifiutando le concezioni ambientalistiche di stampo marxista. (28)

Evola distingue tre gradi della dottrina della razza:il corpo (soma), l’anima (psyche) e lo spirito (nous).

Solo tenendo conto di questi tre aspetti si può parlare di razza pura, che però rimane per l’autore un concetto limite, non esistente nel mondo attuale.

Evola si rifà a quanto già espresso in "Rivolta contro il mondo moderno" prendendo come base del discorso l’esistenza di una razza Iperborea-artica, che sarebbe la razza pura per eccellenza, da cui derivano le stirpi Arie e Nordico-arie, in seguito ad una serie di migrazioni che vanno da occidente ad oriente (da Nord-Ovest a Sud-Est).

Tale razza sarebbe nel corso dei secoli andata inquinandosi a causa degli incroci con le razze sottomesse.

Per Evola il concetto d’incrocio non è però da considerarsi sempre con valenza negativa, in quanto si avrebbe un incrocio negativo quando la razza del corpo è in contrasto con quella dell’anima, mentre l’incrocio è da considerarsi positivo se esiste una situazione inversa, che può portare un elemento galvanizzante alla stirpe. (29)

Le razze possono manifestarsi in tre modi. Il primo è quello biologicamente puro, da considerarsi come il già citato caso limite.

Nel secondo si tiene in considerazione una razza con sopravvivenza biologica, in cui alcune caratteristiche fisiche e un certo istinto si mantengono vitali in base ad una sorta di sopavvivenza "latente o subconscia" di elementi interni spirituali.

Infine nel terzo è considerata la razza che si rivela a "guizzi", in cui si hanno improvvise resurrezioni dell’elemento interno;sarebbe questo il caso delle razze contemporanee dell’occidente. (30) Perciò oggi gli occidentali sarebbero una razza del corpo, derivante dalla progressiva decadenza della razza Iperborea, con la capacità però d’avere quelli che Evola chiama "guizzi", ovvero risvegli di un’antichissima memoria spirituale.

Al secondo grado della dottrina si trova il concetto di anima, che deve essere sempre distinto dal primo grado, quello puramente biologico.

L’anima è denotata da un costante modo di essere, pensare e agire. La razza dell’anima ha la coscienza di una pre-esistenza (Karma), concetto che non va confuso con quello di reincarnazione.

Tale pre-esistenza starebbe nella consapevolezza d’avere un doppio Io:uno terrestre ed uno spirituale. (31) Ciò si rivelerebbe nel momento della nascita, da una parte l’ereditarietà dei genitori e dall’altra un’ereditarietà spirituale, "l’esistenza di un ente spirituale" che pre-esiste e trascende l’individuo. Tale fattore si rivelerebbe ad esempio nel discorso del "demone platonico" o nella formula del "conosci te stesso" scritta sul tempio delfico di Apollo.

L’essere umano sarebbe dotato di un libero arbitrio, che gli permetterebbe di ricongiungersi al suo principio pre-umano.

L’ultimo anello della catena è rappresentato dallo spirito "radice ultima della razza", che avrebbe come elementi distintivi "il mito e il simbolo" nella loro natura atemporale e astorica d’immutabilità.

La razza dello spirito s’identifica in quella:solare, olimpica, Iperborea, in contrasto con quella:lunare, femminile, Demetrica.

Gli Ari come discendenti della razza primordiale iperboreo-artica, sarebbero, come l’etimologia del nome Ario distingue, i signori, quindi la razza incarnante il più alto concetto di purezza.

Due condizioni definivano gli Ari.la nascita e l’iniziazione e solo con quest’ultima si accedeva al dominio metafisico dello spirito. Gli Ari si distinguevano per una religiosità rituale esplicata attraverso il rito, che era un chiedere virilmente e non un pregare come nel cattolicesimo, in cui il sacramento distribuito a tutti porta ad una "democrazia dello spirito".

L’ultima parte del libro è dedicata alla creazione del "nuovo tipo d’italiano" secondo il progetto mussoliniano.

Evola da una parte evidenzia la tradizione Ario-romana come elemento di riferimento per l’Italia fascista, tenendo però presente che l’Italia era un miscuglio di razze di derivazione mediterranea;da qui la necessità per il fascismo d’opporsi alla razza "borghese del corpo e dell’anima", creando uno stato in cui fosse evidente l’idea "forza di un valore mitico", che respingesse gli aspetti materialistici e fosse punto di riferimento per una nuova eticità. (33)

Un’etica che fosse il caposaldo di una "dedizione eroica", che si concretizzasse nella formazione di una’elite, di una razza di capi capaci di riaccendere la forza spirituale latente nei singoli.

Questa elite, non solo sarebbe stata la base per la creazione dell’italiano nuovo fascista, valorizzando gli aspetti aristocratici del fascismo ma avrebbe rappresentato anche la reale partecipazione dell’Italia all’appartenenza di un fronte Ario-occidentale.

Per Evola la razza diviene dunque un problema relativo all’elite, il concetto tedesco di Volk viene rifiutato in quanto semplicistico, un popolo non può contenere in sè ogni elemento che ne faccia una razza.

L’elite diviene il punto di riferimento essenziale non soltanto sotto il profilo teorico ma anche come elemento da tradursi su un piano pratico in rapporto alle vicende inerenti allo sviluppo della guerra.

Il discorso razza, nel contesto del fronte Ario-occidentale, diventava per Evola un momento fondamentale traducendosi automaticamente in una mistica della guerra.

L’approvazione ricevuta da Mussolini riguardo alla "Sintesi di dottrina della razza", permise ad Evola d’ottenere l’autorizzazione a sviluppare il discorso razziale, mettendo allo studio il progetto per una rivista, che avrebbe dovuto intitolarsi "Sangue e spirito" Nelle intenzioni dell’Evola, la pubblicazione doveva avere una veste editoriale bilingue, italana e tedesca, ed essere una sorta di tribuna in cui trovassero un punto d’incontro le teorie razziali dei due paesi alleati.

La rivista era però destinata a rimanere alla fase di progettazione in quanto, mentre Evola si trovava in Germania per prendere accordi con i tedeschi, Mussolini fu sottoposto a forti pressioni sia da parte di gruppi cattolici, sia da esponenti della rivista "Difesa della razza", che ritenevano Evola un pagano anti cattolico.

Vennereo resuscitate le polemiche che avevano accolto a suo tempo Imperialismo Pagano, Mussolini decise di sospendere la fase di progettazione della rivista a data da destinarsi.

Ma l’idea non ebbe più modo di resuscitare di fronte alla catastrofe in cui il regime sarebbe precipitato pochi mesi dopo. (33)

In questo contesto è interessante evidenziare il punto di vista tedesco.

I tedeschi si mostrarono interessati al progetto di una rivista bilingue, in quanto ritenevano le posizioni italiane sul razzismo troppo deboli e inefficaci.

La rivista avrebbe potuto essere uno strumento valido per permettere ai nazisti di forzare la mano agli italiani.

Tuttavia i tedeschi si mostrarono scettici di fronte alle concezioni evoliane, troppo distanti dalle teorie biologiche su cui verteva la legislazione razziale del Terzo Reich.

Soprattutto di fronte alla teoria della razza dello spirito ci fu da parte tedesca un atteggiamento negativo.

Si vide nel pensiero evoliano una sorta di "miscuglio di tutti i meno chiari ragionamenti filosofici ricavati in parte dalla tradizione indo-aria, in parte da quelle caricature moderne che sono le dottrine esoteriche e antroposofiche". (34)

Evola da parte sua aveva sperato che la rivista potesse costituire un passo avanti nel rafforzamento del fronte Ario-occidentale, che si stava ormai avviando verso la svolta decisiva della guerra.

Nel 1942 il piatto della bilancia aveva cominciato a pesare a sfavore dell’asse.

Lo scontro, soprattutto dopo la battaglia di Stalingrado poteva anche essere interpretato, non solo come il conflitto fra due opposte ideologie, ma anche come il supremo scontro fra due razze:gli Ariani da una parte e gli Slavi e gli asiatici dall’altra.Il vecchio mito dell’orda mongolica che minaccia la sacralità dell’Europa si riproponeva, dando alla guerra una visione mistica che ben si accordava con le teorie del mondo della tradizione.

La guerra rientrava pienamente in quella tradizione all’azione che caratterizzava gli Ari-occidentali, in questo senso bisogna soffermarsi sul concetto delle due guerre sante, non dimenticando che per gli Ari non esisteva un’opposizione fra azione e contemplazione.

Nel mondo della tradizione la guerra si divide in grande guerra, che appartiene all’ordine spirituale e in piccola guerra, che contraddistingue la lotta fisica.

Naturalmente la prima è la più importante perchè riguarda la lotta che l’uomo combatte contro sè stesso, da cui deve emergere il trionfo dell’elemento sopranaturale, soltanto in questo caso il guerriero può definirsi tale e distinguersi così dal soldato borghese.

Vengono così realizzate quelle virtù fondamentali per Evola: obbedienza, disciplina, coraggio, ordine e sacrificio.

Il guerriero si predispone alla morte vittoriosa, che porta alla vera immortalità, privilegio di pochi eletti, è il momento in cui il guerriero nella mitologia nordica vede la propria Walkiria.

Il sacrificio in battaglia viene visto come catarsi, liberazione del risveglio interiore.

Concetti traducibili nell’antico motto: "La vita come un arco, l’anima come una freccia, lo spirito assoluto come bersaglio da trapassare." (35)

Il guerriero con il suo sacrificio tende ad una vera e propria rigenerazione:sia dello spirito della persona, sia di quello della razza, che nel guerriero vengono a coincidere.

Tradotti sul piano pratico tali concetti in Italia non trovarono che pallidi tentativi d’applicazione.

Evola si mostrò sempre deluso dalla scuola di mistica fascista nata a Milano nel 1930.

Bisogna sottolineare che su questo punto l’atteggiamento di Evola si può considerare incerto.

Nel 1940 su Diorama Filosofico scrisse: "La prima giustificazione del parlare di mistica in riferimento al fascismo sta già nelle origini e nell’aspetto più immediato del movimento.Una fede e una volontà eroica ha stretto all’inizio un pugno di uomini intorno a Mussolini, una idea, un mito, ha animato la loro lotta e l’ha nettamente differenziata... Questo elemento si è conservato in tutto lo sviluppo del fascismo.E’ dunque legittimo parlare di un contenuto mistico in senso generico del fascismo." (36)

Ma certamente per Evola non si andò mai oltre quel senso generico, infatti qualche decennio dopo scriverà: "Il fascismo non affrontò il problema dei valori superiori, del sacro, valori solo in relazione ai quali si può parlare di mistica." (37)

La scuola di mistica diretta da Niccolò Giani e Guido Pallotta, si prometteva di diventare lo strumento per dare ai giovani un’idea anti-razionale e super- razionale , per sviluppare in loro il senso di un nuovo fascismo, che fosse vissuto come stato d’animo, come ricerca di perfezione dello spirito.

Giani in un suo discorso si rifece ad Evola citandolo direttamente, resta però il fatto che non si andò mai oltre le parole.

Da questo deriva la delusione dell’Evola, che vedeva nella mistica uno strumento per creare un’elite guerriera e nello stesso tempo la possibilità di depurare una volta per tutte il fascismo dalle sue torbide origini. Per Evola saranno proprio queste torbide origini a creare il crollo del fascismo, con il colpo di stato del 25 luglio 1943, che mise "a nudo quel che di inconsistente e di deteriore, specie come sostanza umana, si celava dietro la facciata del fascismo". (38)

Con la caduta del fascismo le speranze ed i progetti di Evola naufragarono.

La monarchia non aveva saputo imporre una rivoluzione dall’alto ma anzi aveva appoggiato il colpo di stato contro Mussolini, che ora tornava a rispolverare le sue idee repubblicane e socialisteggianti.

Egli non condivise mai l’ideologia della Repubblica Sociale Italiana, ma tributò a Salò un riconoscimento per lo spirito "combattentistico e legionario" che incarnava.

Nel 1944 si trasferì a Vienna per assolvere un incarico presso gli archivi delle SS.

Della natura di quest’incarico non si è mai saputo molto, se non che riguardava le organizzazioni massoniche-giudaiche internazionali.

A Vienna evola restò ferito nel corso di un bombardamento, ferita che lo costrinse su una sedia a rotelle fino per il resto della sua vita.

Se non è dato sapere quale fosse l’esatta natura dei rapporti di Evola con le SS è però conosciuta l’opinione che egli ne ebbe.

Nelle SS egli vide la ricostruzione di un ordine ascetico-guerriero, che perpetrò le grandi tradizioni degli ordini cavallereschi come i Templari o i cavalieri Teutonici.

I rituali che circondavano "l’ordine nero" affascinarono Evola, che vide nella disciplina delle SS una "mescolanza fra spirito spartano e disciplina prussiana". (39)

La severa selezione per potere essere ammessi nel corpo e la libertà guidata nelle scelte matrimoniali furono molto apprezzate dall’Evola;così come il fatto che molti aristocratici tedeschi entrassero a fare parte delle SS.

Ma l’aspetto con il quale Evola concordò maggiormente fu la creazione delle Waffen SS, il primo esercito europeo che rappresento un passaggio dal Pangermanesimo nazista ad un ideale superiore di nuovo ordine europeo.

Tale ordine però, per Evola, giunse troppo tardi, "la boria tedesca del popolo superiore" impedì alla Germania di cogliere lo spirito di quella che sarebbe potuta essere la carta vincente della guerra.

Un ordine europeo di carattere organico avrebbe fuso popoli diversi in nome di un comune esercito, che avrebbe costituito il momento iniziale per una rettificazione dell’intera Europa.

La campagna di Russia è citata a riprova di un impegno comune di lotta di tutti i popoli europei, non solo come simbolo di una guerra combattuta contro il comunismo ma anche come momento di confronto fra due razze.
 
 

Note

1) Può essere citato a testimonianza del clima in cui gli italiani vissero quell’esperienza il pregevole romanzo di che Ennio Flaiano pubblicò nel 1947, Tempo di uccidere.

2) J. Evola, Il cammino del cinabro, Milano, 1972, pag 148

3) ibid.pag 148

4) J. Evola, Il mito del sangue, Padova, 1978, pag 1

5) ibid.pag 8

6) ibid.pag 7

7) Per quanto riguarda il discorso sulle ideologie razziste in Europa si veda: L. Poliakov, Il mito ariano, Milano, 1976

8) J.Evola, Il mito del sangue, op.cit., pag 18-19

9) ibid.pag 30

10) ibid.pag 56

11) ibid.pag 69-72

12) ibid.pag 106-107

13) ibid.pag 155-158

14) Per quanto riguarda il ruolo svolto da Rosenberg nella storia del nazismo è significativo citare questi giudizi espressi su di lui da Hitler riguardo al suo libro:

"roba che nessuno può capire"

"baltico cervello di gallina, che pensa in modo terribilmente complicato"

"il suo libro è un passo indietro verso le concezioni del medioevo"

Testimonianza di quanto poco Rosenberg fosse simato da Hitler e dai gerarchi nazisti.

A. Speer, Memorie del Terzo Reich, Milano, 1971, pag 120, si veda inoltre: J.C.Fest, Il volto del Terzo Reich, Milano, 1970

15) J.Evola, Il mito del sangue, op.cit., pag 173

16) ibid.pag 186-187

17) ibid.pag 193

18) ibid.pag 203

19) ibid.pag 213

20) ibid.pag 241

21) J.Evola, Il fascismo visto da destra con note sul Terzo Reich, Roma, 1979, pag 187

22) J.Evola, Il mito del sangue, op.cit., pag 250-253

23) J.Evola, Il cammino del cinabro, op.cit., pag 148-149

24) R.De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Milano, 1977, vol II, pag 470

25) J.Evola, Il cammino del cinabro, op.cit., pag 155

26) J.Evola, Sintesi di dottrina della razza, Padova, 1978 pag 12

27) ibid.pag 16

28) ibid.pag 18-19

29) ibid.pag 80

30) ibid.pag 86

31) ibid.pag 135

32) ibid.pag 239

33) J.Evola, Il cammino del cinabro, op.cit., pag 157

34) A cura di N.Caspito e H.W.Neulen, Julius Evola nei documenti segreti del Terzo Reich, Roma, 1986, pag 129

35) J.Evola, La dottrina Aria di lotta e vittoria, Padova, 1977, pag 38

36) J.Evola, Diorama filosofico, Roma, 1974, pag LXXIII

37) J.Evola, Il fascismo visto dalla destra con note sul Terzo Reich, op.cit., pag 117

38) J.Evola, Il cammino del cinabro, op.cit., pag 161

39) J.Evola, Il fascismo visto da destra con note sul Terzo Reich, op.cit., pag. 210.

Prof. Massimo Mazzanti