Il Grillo (5/6/2001)
Marcello Flores
Gulag
 

Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Scientifico "Giordano Bruno" di Torino
Gulag sovietico e campo di sterminio nazista, differenze ed elementi in comune
Organizzazione interna e le finalità dei Gulag
 Che conoscenza aveva la società sovietica di allora dei gulag?
 Come ha influito il gulag sulla storia del comunismo?
Siti internet sul tema
STUDENTE: Ringraziamo il professor Marcello Flores per aver accettato il nostro invito. Prima di iniziare la discussione, guardiamo la scheda filmata
Fra le molte immagini sintetiche del secolo appena concluso c'è questa di Jean-Marie Domenach: "Un nuovo mondo che è indissolubilmente quello dell'orrore inaudito e dell'utopia senza misura". Tra orrore e utopia il Novecento ha stretto un rapporto di complicità e il gulag sovietico è il luogo in cui l'utopia si è trovata a precipitare nell'orrore. Non c'era bisogno di attendere il "Libro nero del comunismo", che computa milioni di vittime stritolate dalla micidiale macchina delle epurazioni staliniane o dal sistema del gulag. Prima di essere arrestato, nel marzo del 1938, Nikolaj Bucharin, una delle figure di spicco del comunismo bolscevico, lascia scritte nel proprio testamento politico queste parole: "Vado incontro alla morte. Sento la mia impotenza di fronte a una macchina infernale dalla forza spaventosa". Molto dunque di questa "macchina infernale" era noto da tempo e da tempo era noto il rapporto di scambio, di sinistra complicità, fra umanismo e terrore, fra utopia e orrore. Proprio il paese, l'Unione Sovietica, che più aveva osato nella realizzazione di una società di uguali, ora mostrava il volto più brutale del potere, una strategia di repressione che nel gulag ha preso i tratti dell'annientamento. Shalamov, Herling, Solzenicyn e molti altri hanno reso una testimonianza completa su quel mondo a parte. Hanno steso una cronaca, un resoconto impietoso di quell'estrema landa dell'umanità che è stato il gulag. Quel micidiale accumulo di sopraffazione, di fame, di freddo, di morte, di umanità negata deve restare come patrimonio della memoria di questo secolo.
STUDENTE: Vorrei sapere quali sono sostanzialmente le differenze tra un gulag sovietico e un campo di sterminio nazista, e quali gli elementi in comune, se ce ne sono.
FLORES: Innanzi tutto il lungo periodo che copre il gulag sovietico, da un punto di vista quantitativo di anni, rispetto ai campi di sterminio. Questo rende anche più difficile il confronto, perché nella lunga storia dei campi sovietici ci sono numerose modificazioni  dai primi campi degli anni Venti fino alla destalinizzazione, quando vengono chiusi in gran parte, o almeno vengono ridimensionati, mentre invece per i campi nazisti abbiamo grosso modo due tipologie, quelle dell'inizio del regime, che erano campi di detenzione per prigionieri politici, e poi campi di sterminio, quando cominciò a essere messa in atto la soluzione finale. Per quanto riguarda  i lager sovietici invece la tipologia è estremamente varia non solo nel tempo, ma anche nello stesso periodo. Negli stessi anni abbiamo campi che si chiamano in dieci, dodici modi diversi, che dipendono da tre, quattro, a volte anche più direzioni, ministeri differenti. Questo rende molto difficile una ricostruzione unitaria. Parliamo di gulag, che è il nome che viene dato solamente a partire dal 1930, non a tutti, ma alla maggioranza dei campi che vengono raccolti sotto una direzione unica, che si chiama per l'appunto "Amministrazione generale dei campi di lavoro correttivi", che sono le iniziali da cui viene Gulag: Glavnoje upravlenije lagerej. Da questo punto di vista la prima differenza è che non è facile fare questo confronto. Da un punto di vista generale la grossa differenza è che, mentre i campi di sterminio, che poi sono  la parte più importante e più rilevante dell'esperienza concentrazionaria nazista, erano per l'appunto campi in cui si andava per morire,  per quello che riguarda i campi sovietici, la destinazione è quella di essere  mano d'opera di una grandiosa impresa di lavoro servile, praticamente schiavistico, per costruire delle grandi opere. Opere in genere che debbono modificare la natura in alcuni elementi cruciali: disboscare foreste, costruire ferrovie o strade, fare canali che passino da un mare all'altro. Tutto questo portato a termine con centinaia di migliaia di uomini, che hanno praticamente la loro forza umana, qualche pala, qualche carriola, nessuna tecnologia. All'interno di questa organizzazione, che è tutta incentrata sulla produttività, sul lavoro, sul costruire qualche cosa, le condizioni sono tali che la mortalità è enorme; una mortalità che cambia molto negli anni e da campo a campo. Una mortalità media negli anni Trenta è dall'1,5% al 4,5% annuale. Si arriverà negli anni '37-'38, e poi durante la guerra, in alcuni campi, addirittura a mortalità del 25-30% annuo. La morte è un risultato che accomuna chiaramente i due tipi di campi, ma non ne è in qualche modo l'obiettivo iniziale.
STUDENTE: Come mai per l'opinione pubblica è più famoso un campo di concentramento nazista di un gulag sovietico?
FLORES: Ma questo non so se ormai  è ancora così vero dovunque. Sicuramente in Unione Sovietica è più famoso un campo di concentramento sovietico che non uno nazista, intanto perché i campi di concentramento nazisti, proprio per quello che hanno rappresentato nell'insieme della storia del Novecento, in un momento concentrato nel tempo, tragico, e per l'effetto che aveva l' ideologia razzista, che aveva lo scopo di sterminare completamente un intero gruppo umano, è rimasto un  simbolo di tutti i campi del Novecento, di tutti gli orrori che si sono poi manifestati e organizzati attraverso campi di concentramento. I gulag sono forse meno noti - o lo sono stati - per una pretesa di minore gravità, che spesso ha rappresentato e costituito il giudizio su di loro. Intanto perché per molto tempo venivano presentati, anche quando già si avevano notizie e testimonianze contrarie, come campi di correzione e di rieducazione attraverso il lavoro; questa era, soprattutto negli anni Venti,  la posizione ufficiale dello Stato sovietico. Poi forse proprio per questa lunga storia,  ne ha fatto una tipologia non immediatamente identificabile come i campi di sterminio nazisti. Però credo che ormai, così come Auschwitz identifica, non solo un campo, ma l'insieme dei campi messi su dai nazisti, altri nomi di campi sovietici, come Kolyma, ormai rappresentano e sintetizzano ugualmente un altro di questi grandi orrori del Novecento.
STUDENTE: Potrebbe approfondire maggiormente l'organizzazione interna del gulag e, se possibile, le finalità di questa rieducazione di cui ha parlato?
FLORES: Dunque, intanto di rieducazione si parla solamente negli anni Venti, quando ancora nello Stato Sovietico c'è, dal punto di vista almeno ideologico e anche della discussione giuridica, questa opzione rieducativa. A partire dagli anni Trenta, dal 1929-'30, quando invece diventa prioritario il fine economico, non si parlerà più di rieducazione. Se ne parlerà in termini di propaganda da parte di quelli che cercheranno di giustificarlo, di ridimensionare, di minimizzare la gravità e l'orrore di questa esperienza. L'organizzazione è difficile da raccontare proprio perché è diversissima. È diversa intanto nei grandi lager che sono nell'estremo Nord, dove la vita si svolge sui meno venti, meno trenta, anche quaranta gradi sotto zero, o quelli nell'Asia Centrale, dove, viceversa, si arriva spesso sui quaranta gradi. Il tipo di organizzazione anche, perché pure questo si modifica molto nel tempo; diciamo che i lager, soprattutto quelli più grossi e più famosi degli anni Trenta, che diventano enormi  e che hanno  l'obiettivo di queste grosse opere:  grandi canali, disboscamenti, ferrovie, sono organizzati proprio in luoghi selvaggi, all'interno di una natura ostile, per lo scopo di addomesticare questa natura e poi perché c'è meno bisogno di controllo, di guardie, perché anche quelli che volessero e spesso cercano di fuggire, in realtà non hanno via di scampo, perché la natura li ucciderebbe. Quindi è una organizzazione che cerca di usare pochi uomini di guardia, che cerca di usare molto dei controlli  tra le diverse categorie dei prigionieri, per esempio usando molto i criminali comuni, diciamo così, a far funzioni da kapò,  funzioni  intermedie di controllo nei confronti della maggioranza degli altri, e spesso c'è una simbiosi con la realtà dei piccoli villaggi,  accanto ai quali sono situati i campi, che fa sì che molti, una volta liberati, per esempio, rimarranno lì, perché avendo perso ormai ogni legame con la famiglia, con le proprie origini, non hanno altra vita, se non di rimanere all'interno di quella situazione.
STUDENTESSA: Vorrei sapere che conoscenza aveva la società sovietica di allora dei gulag e se ci sono state delle denunce.
FLORES: La società sovietica aveva  una certa  quantità di persone che finivano nei campi, ne aveva una conoscenza pressoché totale, perché in ogni famiglia c'era qualcuno che era stato preso, questo soprattutto negli anni Trenta, in particolar modo nella seconda metà degli anni Trenta. Nella prima metà degli anni Trenta i numeri sono lo stesso enormi. Ecco io parlo soprattutto degli anni Trenta, perché tra gli anni Venti e gli anni Trenta c'è una grossa differenza, non tanto nella struttura - in parte anche -, ma soprattutto numerica. I prigionieri nei campi degli anni Venti spesso sono 250-300 mila, che è già un numero enorme; ma negli anni Trenta si arriva a due milioni-due milioni e mezzo, che poi, nel corso di tutto il decennio fanno parecchi milioni di internati. Quindi questa è la prima cosa da ricordare. Per cui quando si parla del gulag, oltre che per il nome che nasce in quel periodo, è sempre agli anni Trenta che si fa riferimento. E poi direi che quello che sapeva la società sovietica era quello che sapeva del modo in cui viveva. Per molti il gulag era solo l'espressione estrema e terribile di una condizione in cui viveva tutta la società, cioè una società controllata e repressa. Certo era diverso essere repressi e lavorare in qualche modo a casa propria, o essere mandati in questi campi. Però si sapeva. Si sapeva e si taceva, perché si capiva che parlare significava aumentare le possibilità di essere inviati dentro. Adesso proprio negli ultimi dieci-quindici anni sono uscite tantissime memorie, che erano state tenute nascoste o addirittura che sono state scritte molto dopo gli eventi. E quello che viene fuori è questo clima di terrore, ansia e angoscia generalizzata, perché si sa che si può finire in un campo. Quanto poi che si sapesse davvero come si viveva nei campi non solo è meno certo, ma si sapeva poco, perché in gran parte, per esempio, le notizie delle morti venivano date dopo o venivano date con l'inganno. Si diceva che qualcuno fucilato era morto di malattia o che era morto cinque anni dopo il giorno reale del suo decesso. Si è saputo molto quando, nella prima fase della destalinizzazione, dopo il '54 sostanzialmente, tra il '54 e il '62, c'è stato un grande ritorno di prigionieri dai campi, che hanno cominciato a raccontare, anche se molti di loro non volevano raccontare. E quindi la società, proprio perché viveva ancora in una clima di sistema dittatoriale, anche se il periodo di Krusciov ovviamente è ben diverso da quello di Stalin, c'era questo desiderio collettivo di stendere un velo, di parlarne poco, di raccontarlo solo alle persone di cui si aveva fiducia, e spesso neanche a tutti i familiari.
STUDENTESSA: Al giorno d'oggi, invece, che conoscenza ha la società sovietica dei gulag?
FLORES: La società sovietica si è interrogata moltissimo e ne ha parlato, ha raccolto materiale, pubblicato, soprattutto nel periodo di passaggio dallo Stato comunista allo Stato democratico, pur con tutti i grossi limiti che ha la democrazia russa adesso. Diciamo a partire dall'epoca di Gorbaciov, cioè dal 1985 fino, grosso modo, al '92-'93 c'è stato un interesse crescente, quindi si è favorita la raccolta e la pubblicazione di memorie, di documentari, eccetera. Poi questo interesse, una volta che il nuovo sistema si è organizzato secondo binari abbastanza tranquilli, è sparito. E a cercare di ricordare, a tener viva la memoria, a continuare a raccogliere il materiale che riguarda il gulag, è soprattutto una associazione, l'Associazione Memorial, che fa capo a Mosca, ma che ha sedi in tutta la Russia, che ha il più grande archivio di queste cose, insieme agli Archivi di Stato, che però, dopo una prima fase di apertura di possibilità di controllo del materiale, adesso conoscono una chiusura maggiore. Per cui diciamo che si sa molto perché sono centinaia, per esempio, le memorie pubblicate e quelle non pubblicate, ma che si possono conoscere; però progressivamente c'è stato un disinteresse, un disinteresse per certi versi analogo a quello che ha colpito l'Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale riguardo ai crimini del nazismo. Si è pensato subito, nel primo decennio, più a ricostruire la nuova vita, che non a fare i conti con il passato. In Russia è successo un po' questo: mentre c'era la transizione alla democrazia, la memoria e la storia erano al centro dell'interesse del dibattito. Adesso tutti pensano all'oggi e preferiscono dimenticarsi, accantonare, direi, più che dimenticarsi il passato. Però la documentazione e la conoscenza è sicuramente molto più avanti, enormemente più avanti, del passato.
STUDENTE: Vi erano, all'interno del gulag, persecuzioni etniche?
FLORES: Ci sono state in diversi periodi, certamente. Ci sono state non nella fase iniziale, sicuramente, e neanche nella prima metà degli anni Trenta, in cui le persecuzioni riguardavano soprattutto i contadini che resistevano alla collettivizzazione delle campagne e gran parte degli operai, immessi nel grande processo di industrializzazione accelerata e forzata dei primi anni Trenta, che rifiutavano un regime di controllo in fabbrica estremamente duro e forte. Le persecuzioni etniche avvengono soprattutto a ridosso della guerra, un po' prima, durante la guerra e dopo la guerra, e riguardano delle minoranze, in alcuni casi cospicue. I Tedeschi della zona del Volga, per esempio, che vivevano lì da centinaia d'anni, ma che nel momento della guerra con la Germania, per esempio, sono costretti a subire, non solo una persecuzione, ma un esodo forzato, che li decima in modo incredibile, o anche altri, i Tartari, popoli soprattutto non russi, considerati poco affidabili, in un periodo, come quello della guerra, difficile e quindi non in base a delle discriminazioni etniche di principio, ma in base a una di fatto prevalenza dell'elemento russo - o meglio, grande russo -, che comprendeva anche tutte le repubbliche slave, rispetto alle popolazioni non slave, che durante la guerra è stato un elemento per riaccendere il nazionalismo russo e quindi far combattere meglio il popolo contro l'invasore tedesco, ma che serviva anche per avvantaggiare, in una situazione precaria, con scarse risorse, alcuni piuttosto che altri. Ecco, diciamo quindi che ci sono state in alcuni periodi e con alcuni strascichi. Per esempio la guerra in Cecenia ha un lungo strascico di atteggiamento non continuo, ma intervallato, di persecuzione nei confronti dei Ceceni, però è stato qualcosa che non è mai stato legalizzato, né teorizzato. Non c'è mai stata una legge che prevedesse che i cittadini di questa o quell'etnia erano cittadini di seconda categoria, anche se però nelle repubbliche non potevano parlare la loro lingua, non potevano spesso praticare i loro costumi, la loro religione, e così via.
STUDENTE: È possibile tracciare il profilo di un internato?
FLORES: Il profilo di un internato-tipo no, perché ce ne sono tanti di internati-tipo. Io credo che la galleria di profili più sconvolgente, ma nello stesso tempo apparentemente quasi fredda, è quella che ci ha offerto il più grande scrittore russo, che ha parlato del gulag, che è Varlam Shalamov, e che è anche probabilmente uno dei più grandi scrittori russi del secolo, che ha raccontato e che ha passato quindici anni nel gulag. L'ha vista tutta, diciamo così, la sua storia, ha visto anche diverse tipologie, diversi momenti, diverse epoche e organizzazioni, e quindi è riuscito in questi suoi racconti, veramente terribili, a fare una galleria di quello che è stato il gulag. Diciamo che il profilo dell'internato è un profilo che nei primi anni, negli anni Venti, ha un profilo molto più marcato di origine sociale, borghese, aristocratica, o origine politica, contro rivoluzionaria, o supposta contro rivoluzionaria: i menscevichi, i socialisti, i rivoluzionari, gli anarchici. Agli inizi degli anni Trenta è un profilo di nuovo sociale. Saranno i contadini, che resistono alle collettivizzazioni, accusati di essere contadini ricchi, anche perché magari avevano uno o due animali e basta. Questi operai che appunto non accettavano una irrigimentazione totale, di nuovo, nella seconda metà degli anni Trenta, sono politici, però sono politici spesso a caso, perché in gran parte finiscono in gulag anche degli staliniani ortodossi, che però sono vittime di queste periodiche, e negli anni '37-'38, atroci pulizie politiche, che colpiscono dentro il partito, spesso molto a caso o in base a denunce anonime spesso false. L'importante era comunque mandarne ai campi molti. Da una parte perché questo permetteva di controllare di più e di estendere il regime di terrore, dall'altra perché, in quegli anni, i gulag, che erano diventati ormai delle imprese economiche, avevano bisogno di maggior mano d'opera. E quindi, siccome il sistema era sempre in mano a, diciamo, la polizia politica, alla polizia segreta, questi decidevano che bisognava arrestarne tanti, perché c'era bisogno di maggior mano d'opera. Le due cose s'intrecciano; la repressione che si voleva fare dentro la società e il bisogno di mano d'opera. Queste due cose, organizzate e gestite insieme dalla stessa struttura repressiva, ha fatto aumentare a dismisura, in alcuni momenti, il numero dei prigionieri.
STUDENTE: Quale diritto, inteso come sistema di legge, ha potuto giustificare l'internamento nel gulag?
FLORES: Per un lungo periodo, cioè negli anni Venti c'era una forte contraddizione, tra le leggi ufficiali, che erano leggi spesso molto aperte, molto garantiste diremmo oggi, e la realtà dei fatti. Tant'è vero che molti prigionieri hanno cercato, e in alcuna piccola misura sono anche riusciti, di combattere e resistere alla loro situazione, appellandosi continuamente alle leggi e alle norme. Con la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta le nuove leggi sono diventate delle leggi di per sé molto arbitrarie e vaghe. Venivano da una parte, per esempio, colpiti delitti contro la proprietà dello Stato. Contro la proprietà dello Stato poteva significare tutto, poteva significare mettere una bomba dentro la fabbrica dove si lavorava o significava anche sporcare la carrozza del treno, e si faceva più o meno la stessa fine, e dall'altra anche perché venivano comminate pene, non più sulla base di un giudizio del tribunale, ma pene amministrative, che cioè erano decise al di fuori di un normale sistema processuale, sia pure terribile, perché i processi che hanno luogo a Mosca, i grandi processi, quello in cui la prima vittima è Bukarin, di cui abbiamo sentito la testimonianza, diciamo così, a futura memoria, all'inizio, che l'ha lasciata alla giovanissima moglie, che se l'è imparata a memoria per trent'anni, prima di poterla poi raccontare, ecco, questo tipo di logica aberrante, che c'era anche nei processi ufficiali - processi, piccola parentesi, questi del, '35, del '36-'37-'38, in cui c'erano giornalisti, e non solo giornalisti occidentali, che li osservavano e che spesso, dicevano, sono processi fatti con tutte le regole della giustizia internazionale. L'ambasciatore americano a Mosca, che era un ex avvocato, ha detto:"Io non ci trovo niente di male in questi processi", per esempio. Però gran parte delle persone che finivano nel gulag, non ci finivano attraverso questo meccanismo processuale, sia pure distorto e terribile, ma ci finivano con atti arbitrari e amministrativi, ad opera di piccoli gruppi - in cui c'era un membro del partito, un membro della polizia politica e un membro della fabbrica -, chiamati le troike. E in quel caso ci poteva capitare chiunque.
STUDENTESSA: Secondo Lei, attraverso quali passaggi storici una grande rivoluzione sociale, come è stata quella sovietica, si è invece poi trasformata in una macchina di oppressione e persecuzione?
FLORES: Bisognerebbe fare una storia di tutta la Russia precedente, durante e posteriore alla rivoluzione, per rispondere bene a questa Sua domanda. Da una parte sono in qualche modo delle necessità interne ad ogni rivoluzione, che, come tutti gli storici che le hanno raccontate ci descrivono, mangiano sempre i propri figli. Insomma una rivoluzione mangia i propri figli quasi inesorabilmente, dalla Rivoluzione Francese in poi, da quella Inglese prima, ecco. Le rivoluzioni sono una spinta, un'enorme trasformazione, che mobilita milioni di persone, con spinte più o meno utopiche, più o meno di giustizia, comunque di cambiamento. A un certo punto ci si deve fermare per riorganizzare la società, e, quando si deve fermare una società in movimento, sicuramente qualcuno, che vuole continuare a muoversi, viene decapitato, nel senso metaforico o reale. Nel caso della Rivoluzione Russa credo che c'è un elemento anche a priori, diciamo, che facilita questo, cioè una ideologia che si basava su un'idea del potere particolare. L'idea del potere era che il potere durante la rivoluzione avrebbe dovuto essere il potere di una classe sola, del proletariato, per giungere poi a una società senza classi, ma siccome il proletariato non era abbastanza maturo per farlo nel suo insieme, c'era una sua avanguardia, il partito, che si prendeva il diritto, un diritto storico, cioè di rappresentare la storia in qualche modo, di svolgere quel lavoro. Questo significava che un piccolo gruppo di persone ha deciso e decideva per una dittatura, all'inizio momentanea, che però, una volta che il potere si organizzava, diventava sempre meno momentanea e diventava sempre più dittatura di un organismo che si era trasformato a sua volta. Il Partito Bolscevico alla vigilia della Rivoluzione ha poche migliaia di iscritti. Nel 1923, diciamo, che è il momento in cui nasce il primo grande lager, siamo alla vigilia della morte di Lenin, che darà poi il passaggio del potere a Stalin, eccetera, in questo momento il partito ha già milioni di iscritti. Quindi ha cambiato natura, dentro il partito si sono iscritti tutti, sia persone chiaramente che credono nel comunismo, ma anche molti che hanno visto solo un partito che è arrivato al potere, con cui bisogna intrecciarsi se si vuole vivere e soprattutto se si vuole fare carriera. Quindi diciamo che è una natura già orientata in una dimensione, quella del monopartito, quindi dittatoriale, con delle trasformazioni che accadono alcune molto rapidamente negli anni stessi dopo la rivoluzione, quelle del partito, che cambia proprio di natura, diventa un grande apparato burocratico, che governa sempre più se stesso, e anche alcune decisioni che sono state fatte. Nel 1921 una decisione che è presa questa volta non da Stalin, ma da Lenin e da Trotzkij insieme, è quella da una parte di reprimere con la violenza la rivolta di Kronštandt, che è la rivolta di una base navale, che era stata una delle zone, dove maggiore era stata la forza rivoluzionaria e i bolscevichi erano forti, i quali però ritenevano che ormai la rivoluzione si era burocratizzata e volevano fare una sorta di Terza Rivoluzione, dopo quella del Febbraio e dell'Ottobre del '17. E questi, che erano tutti comunisti, vengono tutti massacrati dall'Armata Rossa, anch'essa fatta di comunisti, creando anche gravi casi di coscienza. Dall'altra nello stesso anno si decide che, anche all'interno del Partito bolscevico, non sono più ammesse le frazioni, che prima invece erano permesse. Cioè prima la discussione era possibile solo dentro il Partito Bolscevico, adesso non è possibile neanche più lì dentro. Quindi chi comanda, chi governa è la direzione, la segreteria, il gruppo dei vertici. Da questo punto di vista quindi le trasformazioni che avvengono dopo si intrecciano con un tipo di organizzazione, di istituzione, che favoriva quel tipo di situazione. Naturalmente questo non vuol dire però che era tutto necessario quello che è accaduto. Probabilmente è sempre necessario che una rivoluzione si trasformi e cambi, ma che sia finita nel modo in cui è finita quella russa, è il frutto di una serie di elementi concomitanti, oggettivi, soggettivi, anche internazionali, che vanno analizzati in dettaglio un po' meglio.
STUDENTESSA: Come ha influito il gulag sulla storia del comunismo?
FLORES: Anche qui bisogna distinguere, se parliamo della storia del comunismo al potere, che è sicuramente la storia più importante, da un punto di vista numerico, da un punto di vista del periodo. E da questo punto di vista ha influito enormemente, nel modo in cui ha organizzato il potere, ha creato un clima di terrore, di paura, per i cittadini che facevano parte degli Stati comunisti. Però per quella storia del comunismo, che riguarda i comunisti che non erano al potere, ma che lottavano per poterlo conquistare, e che quindi riguarda, per esempio, la storia italiana, dove i comunisti non sono mai stati al potere, ma sempre all'opposizione, con una prospettiva di rivoluzione, più o meno chiara, ecco in questo caso il gulag ha contato assai poco, nel senso che è stato lungamente rimosso, negato addirittura per tantissimi anni. Se ne è parlato come qualcosa che non apparteneva al comunismo, ma apparteneva solo allo Stato sovietico, alla sua degenerazione, alla sua storia. E quindi da questo punto di vista era soprattutto una presenza ingombrante. Però certamente credo che abbia pesato, perché anche nei momenti di crisi che il comunismo ha avuto, questo comunismo, diciamo così, che stava all'opposizione in alcune fasi, nel '56, quando c'è stata la Rivolta d'Ungheria, nel '68, quando c'è stata l'invasione della Cecoslovacchia, ecco, anche in questi casi il ripensare, il raccontare, il venir fuori della realtà del gulag ha pesato per approfondire questa crisi. Però, ripeto, nell'Occidente non in maniera forte. Tant'è vero che si è dovuto aspettare, tutto sommato, la metà degli anni Settanta, quando sono stati tradotti nelle lingue europee  i libri di Solzenicyn, che è l'altro grande scrittore che racconta il gulag, il primo che l'ha raccontato è Shalamov, che forse è il racconto più bello e completo, però ha scritto molto dopo.Solo quando Solzenicyn è stato tradotto, quella del gulag  è diventata una realtà in qualche modo inconfutabile. Prima era sempre più difficile poterne parlare, un po' perché si sapeva poco, ma soprattutto perché si cercava di ignorarlo. Per esempio nel 1970 torna in Italia un ex comunista italiano, che è stato anche lui 15 o 20 anni nel gulag, che era di Tivoli, e nessuno vuole pubblicare le sue testimonianze, nessuna casa editrice, né le grandi case editrici capitaliste, borghesi, conservatrici e reazionarie: Rusconi, Mondadori, Rizzoli, né le case editrici che erano di sinistra: Einaudi, gli Editori Riuniti, eccetera. Nessuno le vuole. E lui se le fa a sue spese. Ecco vuol dire che c'era qualche meccanismo di rimozione collettiva e di difficoltà maggiore, perché si preferiva in quegli anni vedere la politica dei rapporti con l'U.R.S.S. da un punto di vista della politique. Ecco, parliamo di quello che si può fare, dimentichiamo i problemi grossi e difficili.
STUDENTESSA: Professore, come ultima domanda volevo proporLe proprio una lettura de L'arcipelago gulag di Solzenicyn: "Nel pieno fiore del grande secolo Ventesimo, in una società ideata secondo un principio socialista, negli anni quando già volavano gli aerei, erano apparsi il cinema sonoro e la radio, il sistema del gulag fu perpetrato non da un unico malvagio, non in un unico luogo segreto, ma da decine di migliaia di belve umane appositamente addestrate, su milioni di vittime indifese". Secondo Lei queste condizioni possono tornare?
FLORES: Dipende. Credo che difficilmente possono tornare in paesi, in civiltà, in società che si sono evolute, come quelle occidentali, ma adesso anche come quelle orientali, che sono uscite dai regimi comunisti. Credo che però in misura ridotta e magari più circoscritta nel tempo episodi del genere siano ancora assolutamente possibili e lo sono stati, magari per breve tempo, anche in paesi vicino a noi, negli ultimi quindici, vent'anni. Le tragedie e i crimini compiuti dagli Stati totalitari e dittatoriali possono continuare sicuramente. È cresciuta enormemente anche una coscienza mondiale, diciamo così, contro questo tipo di cose, per cui c'è, forse, maggiore attenzione. E sicuramente non ci sono ormai delle ipotesi di rivolgimento complessivo del mondo nei grandi paesi, oppure in paesi di grosso rilievo geografico e di popolazione come l'Unione Sovietica, per cui questo possa essere possibile. Però credo non è perché non ci sarà sicuramente un altro gulag che non ci potranno essere crimini di altra natura. E allora bisogna stare attenti in questo senso, così come è difficile che si ripresenti una soluzione finale in qualche parte del mondo con le caratteristiche che hanno caratterizzato il nazismo. Però sicuramente eccidi, violenze di massa, massacri e anche tendenziali genocidi hanno continuato ad esserci anche negli ultimi venti anni.
Puntata registrata il 6 aprile 2001
 
 
 
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