LEGGI RAZZIALI E EDUCAZIONE ALLA DIFFERENZA

di Laurana Lajolo
vicepresidente Insmli, presidente della Commissione didattica nazionale

Apprroccio metodologico – didattico per l’insegnamento delle questioni relative ai razzismi

La Shoah è uno dei nodi problematici più significativi per interpretare il Novecento, attraverso un progetto conoscitivo ed insieme educativo per l’apprendimento dei temi legati al totalitarismo nazista e alla dittatura fascista, caratterizzanti la parte centrale del secolo.

La prima domanda che gli studenti, ma non solo loro, si fanno al cospetto dell’evento terribile è "come è potuto accadere?". Ed è questa la domanda da cui partire per delineare l’articolazione di un percorso di lavoro a scuola, che consenta di acquisire conoscenza delle varie tappe di attuazione del programma di annientamento degli ebrei in Europa, anche nelle sue fasi più banali e insignificanti. 

Il tema della deportazione nei Lager è tema di grande impatto emotivo e di rifiuto etico, ma non basta la visione di un film emozionante e coinvolgente, non basta la lettura, seppure indispensabile, dei libri di Primo Levi, che ha saputo raccontare e anche proporre riflessioni per capire razionalmente l’esperienza concentrazionaria. 

Si rende necessario, nel tempo presente dove c’è la tendenza a cancellare la memoria del passato, conoscere ed analizzare i documenti ufficiali e quelli privati della vita quotidiana per entrare nei meccanismi di quello che Hanna Arendt ha definito "la banalità del male", cioè l’insieme di operazioni burocratiche del censimento degli ebrei, di per sé prive di significato terrificante, e che pure costruiscono l’intelaiatura indispensabile per le deportazioni di massa e l’annientamento. La stessa mentalità diffusa e il radicamento dei pregiudizi sono elementi significanti di quel processo.

I lavori di ricerca e i prodotti di divulgazione realizzati dall’Istituto Nazionale, dagli Istituti della Resistenza regionali e provinciali e dal Laboratorio nazionale di didattica della storia mettono a fuoco e problematizzano l’emanazione delle leggi razziali emanate da parte del governo dittatoriale fascista nel 1938, la loro diligente applicazione tra il 1938 e il 1944 e gli effetti distruttivi sulle comunità ebraiche italiane. 

Le modalità di approccio prendono avvio dalla domanda sempre presente "come è potuto accadere?" e delineano la spiegazione storica e storiografica, prestando attenzione al pregiudizio razziale, ancora operante in strati diffusi della popolazione e riportato in superficie negli atteggiamenti e nei comportamenti razzisti verso gli immigrati di etnie diverse, sempre più numerosi in Italia e nell’Europa sviluppata.

Spiegare l’applicazione delle leggi razziali attraverso i documenti archivistici, iconografici, autobiografici e l’ormai ampia letteratura storiografica consente di entrare "dentro" ai meccanismi strutturali di "invenzione del nemico", attraverso cui gli ebrei, assimilati nella nostra società da circa un secolo (a partire dall’emancipazione concessa dallo Statuto Albertino nel 1848) vennero identificati come "diversi", nonostante fossero di nazionalità italiana e di pelle bianca, nonostante fossero il commerciante, il professore, il medico, la compagna di banco, la collega d’ufficio, da sempre conosciuti, gente considerata assolutamente "normale", che improvvisamente si scopre "diversa". 

Al momento della promulgazione delle leggi raziali non prende forma un rifiuto di massa contro il provvedimento. La religione cattolica ha considerato per secoli il popolo ebreo deicida e ha contribuito a radicare la credenza in un destino di espiazione per gli ebrei. Riaffiorano antichi pregiudizi, che trovano terreno fertile nel colonialismo che l’Italia pratica con le guerre di conquista. Non apre contraddizioni evidenti neppure la casistica dettagliata della definizione di "ebreo", di "sangue misto", il risalire ai genitori e ai nonni per capire se inserire anche quel nome negli elenchi. Non appaiono ignobili ai più né la confisca dei beni degli ebrei, né la compilazione di elenchi precisi dei beni personali dei singoli, l’espulsione dalla scuola, dall’Università, dalle professioni e dalle attività commerciali. Forse qualcuno rimane sorpreso, ma non può manifestare il suo pensiero in alcun modo, data la rigida censura della dittatura. Sembra che la palude della maggioranza non sia turbata.

Soltanto quando dagli elenchi anagrafici si passa a forme di persecuzione evidenti e quindi agli arresti e alla deportazione, una minoranza ha il coraggio di prestare aiuto, di nascondere gli amici, anche correndo gravi rischi. Ma ormai la "banale" macchina del male è avviata e diventa inarrestabile.

Il revisionismo storico tende a minimizzare i provvedimenti e le procedure, a non individuare responsabilità storiche precise, indicando piuttosto nel clima di un’epoca totalitaria la ragione di tanto orrore. Questo orientamento interpretativo ha influenzato il pensare comune anche di molti docenti e studenti. Il rinvio alla documentazione esistente e a quella che ancora si può far emergere con ricerche intelligenti comporta, invece, la "revisione" del revisionismo e del negazionismo, che vuole dimostrare addirittura che i lager non erano luoghi di sterminio.

L’analisi dei documenti produce una conoscenza della realtà e dello sviluppo delle leggi razziali, che non possono essere storicamente sottovalutati o minimizzati, esistono le leggi e le circolari applicative, i censimenti nominativi degli ebrei in ogni città, i campi di internamento degli ebrei stranieri, i nomi delle persone "allontanate", gli elenchi dei deportati e dei morti nei Lager. Si possono leggere o ascoltare testimonianze, memorie, narrazioni di fatti incontrovertibili. Si può vedere con i nostri occhi ciò che resta, come monumento permanente della memoria, di lager italiani e stranieri. Il profondo impatto emotivo si accompagna alla conoscenza storica e ci fa diventare, a nostra volta, testimoni: i campi di sterminio sono esistiti e hanno funzionato per disumanizzare uomini e donne, sfruttandoli con il lavoro coatto, e per produrre morte con diligenza burocratica e con ferocia ideologica

Il compito del revisionismo è di "far passare" il passato, che ancora si impone nel presente, il nostro impegno è di ricordare l’ammonimento di Primo Levi: "Meditate che questo è stato". I razzismi sono ancora una componente inquietante della contemporaneità. La conoscenza dell’evento deportazione permette di ragionare su concetti fondativi delle democrazie quali uguaglianza/differenza e diritti umani.

Non intendiamo, con la nostra impostazione critica sulla storia del Novecento, diventare "trasmettitori" di valori, creduti ormai superati, ma vogliamo, attraverso il nesso fecondo memoria-storia, "riscrivere i valori" insieme alle nuove generazioni, non dimenticare né dal punto di vista storico né da quello emotivo che i razzismi sono un problema aperto e che la strada per il rispetto delle minoranze etniche, culturali e religiose e la convivenza civile va percorsa ogni giorno con tenacia e consapevolezza. Intendiamo anche offrire occasioni di riflessione sulle responsabilità istituzionali, collettive e individuali per smontare gli alibi di chi "non sapeva quello che stava succedendo" e per rispondere alle domande originarie e tremendamente attuali: "come è potuto succedere?" e "potrà accadere ancora?", considerando che le violazioni dei diritti umani continuano a verificarsi anche nella storia recente (basti pensare, a titolo d’esempio, ai desaparecidos di Pinochet, all’aparheid, alla pulizia etnica nella ex-Jugoslavia, ma non solo) e potranno trovare nuove forme di legittimazione o di acquiescenza.

La Shoah è, comunque, evento "unico" nella storia e non è paragonabile, così come fa in modo semplicistico il revisionismo, ad altre terribili esperienze concentrazionarie come i gulag stalinisti, che meritano specifiche ricerche con adeguati criteri di interpretazione storica. Se si perde il senso di quella unicità, si perde il senso storico di quello che è realmente accaduto e si annullano le condizioni per ricordare.

La raccolta di documentazione che segue, preparata per il Convegno "L’invenzione del nemico. Sessantesimo anniversario delle leggi razziali" (Roma, Camera dei Deputati, 3 dicembre 1998), è stata curata da Silvana Sgarioto docente comandata presso l’Insmli e segretaria della Commissione didattica nazionale. Il dossier contiene la schedatura delle molteplici attività di ricerche e proposte didattiche della rete degli Istituti: mostre, percorsi didattici, corsi di aggiornamento, convegni, seminari, cdrom, video, pubblicazioni. 

Dalla documentazione emerge con chiarezza il nostro metodo di lavoro: l’uso critico delle fonti archivistiche e multimediali, delle fonti soggettive, della ricognizione e visita dei luoghi su cui costruire percorsi della memoria. La ricerca e la proposta traggono origine dalla problematizzazione dei valori negati nell’esperienza quotidiana, dall’analisi dei meccanismi strutturali del pregiudizio e delle sue modalità di costruzione, della riflessione sulle procedure di applicazione delle leggi.

Noi partiamo dalle domande degli studenti, della loro percezione del tema storico e del presente per interrogare i documenti e produrre un percorso storico rigoroso e adeguato sia dal punto di vista conoscitivo che da quello dell’educazione dei sentimenti, perché la storia si compone di fatti, idee e ideologie, ma anche sentimenti soggettivi e collettivi.

Abbiamo ospitato presso molti dei nostri Istituti la mostra "La menzogna della razza", curata dal Centro Furio Jesi di Bologna, dalla Soprintendenza dei beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna, dalla Biblioteca dell’Archiginnasio e dall’Istituto Parri. La mostra è diventata spesso occasione per allestire una sezione locale sul tema, per fare ricerca e percorsi didattici attraverso la selezione e la predisposizione di documenti e di fonti.

La ricerca locale è una risorsa preziosa per avviare e consolidare la formazione di una coscienza storica negli studenti, perché consente di circoscrivere il periodo, di rintracciare documenti significativi e spesso carichi di emozioni in un luogo noto ai ragazzi. Tali procedure producono una migliore conoscenza della storia della propria città e della provincia e consentono una riflessione non stereotipata o rituale sulle responsabilità collettive e personali, così come effettivamente si delineano in un contesto limitato e conoscibile nelle sue diverse dimensioni, attraverso un approccio multidisciplinare, che dalla disciplina storica si allarga a comprendere la lettura antropologica e culturale in senso complessivo degli avvenimenti.

Gli allievi possono fare direttamente pratica di archivio: nell’archivio scolastico trovano l’elenco degli studenti e dei professori ebrei espulsi e magari nella biblioteca di scuola rintracciano qualche annuario di quegli anni con articoli dichiaratamente razzisti e libri d’epoca sull’argomento. Possono anche individuare e analizzare esperienze di attività scolastiche chiaramente influenzate dallo spirito delle leggi razziali: qualche quaderno o libro di testo, qualche memoria personale di ebrei o di loro compagni, e così via.

Nell’Archivio di Stato consultano le circolari prefettizie con le disposizioni esplicative delle Leggi (e sono tante), i provvedimenti locali che danno il quadro del comportamento delle istituzioni. Nell’Archivio della Camera di Commercio, ad esempio, trovano i cambi di proprietà di aziende e di esercizi commerciali di proprietà di ebrei; nell’Archivio comunale le disposizioni del Podestà per la compilazione delle liste degli ebrei e per la limitazione dei loro diritti politici e civili, i regolamenti dei campi di internamento per ebrei stranieri in Italia, le nuove di vita quotidiana imposte ai "diversi". Sarebbe utile anche potersi servire degli archivi delle banche per tutto il comparto della confisca dei beni, ma questo è compito di indagine ancora in atto e da espletare non solo da parte degli storici.

Nella biblioteca comunale è possibile fare una rassegna della stampa locale, che contiene espliciti e reiterati riferimenti all’espulsione degli ebrei dalla società, con notizie di particolare rilevanza per capire la battaglia di propaganda ideologica in atto, ma anche il razzismo quotidiano, e le successive tappe del processo dalla discriminazione alla deportazione.

Le testimonianze sia delle vittime sia di coloro che le hanno aiutate (tutti gli altri non testimoniano certamente i loro pregiudizi) possono rendere consapevoli i ragazzi dell’incomprensione diffusa della reale portata storica delle leggi razziali, al momento della loro promulgazione. Gli stessi ebrei sono increduli e impreparati a cogliere le conseguenze estreme di quei provvedimenti.

La storia quotidiana di una città e di una provincia dal 1938 al 1944 consente dunque di ricostruire le premesse della storia estrema della Shoah e, messa a confronto con la storiografia sull’argomento, può dar luogo a un fecondo intreccio di microcostoria e storia generale.

Il lavoro a scuola sulle Leggi razziali si presenta dalle sue prime battute necessariamente multidisciplinare, perché oltre alle fonti archivistiche, si rendono necessari la visione di film e di documenti visivi, la lettura di testi letterari, considerazioni sull’arte, la tecnica e la scienza del periodo, la chiave di lettura antropologica. Gli strumenti informatici forniscono la possibilità di ricerche quantitative e comparative e occasioni di comunicazione pubblica del lavoro svolto.

In particolare la lettura storicizzata dei film sull’argomento, per esempio, consente di individuare il formarsi di una memoria pubblica dell’evento, l’uso politico dello strumento cinematografico, il fissarsi stereotipato di alcuni fatti simbolici ed è quindi possibile che gli studenti acquisiscano strumenti per operare il confronto su altri temi e problemi aperti nel nostro presente. Così anche i documenti visivi, reperiti a distanza di molti anni, inducono ad altre riflessioni sulle modalità della registrazione di atti ed eventi da parte dei vincitori.

I nostri Istituti, che sperimentano il modello di laboratorio di didattica della storia, hanno predisposto selezioni di documenti e testimonianze, di memorie e brani letterari, di antologie di film e documenti visivi; forniscono bibliografie ragionate e indicazione di siti internet. Con questi materiali è dunque possibile per gli insegnanti predisporre la ricerca con percorsi già collaudati e fruire della consulenza degli Istituti al fine di acquisire nuova documentazione archivistica, fotografica, memorialistica e multimediale.

Le nostre proposte didattiche prendono spunto, infatti, dalle ricerche storiche condotte dagli Istituti e sono il risultato di una necessaria mediazione didattica tra il risultato scientifico e l’utilizzazione a scuola, con gli studenti.

Insegnare la discriminazione legislativa degli ebrei e gli obiettivi di annientamento comporta per i docenti una esplicita riflessione sui problemi storiografici ed etici, sulle modalità di rappresentazione e di autorappresentazione da parte dei protagonisti e dei testimoni, e anche sui modelli della trasmissione educativa e dell’interazione scolastica. Non si tratta di ribadire enfaticamente e retoricamente valori disconosciuti, ma di essere coinvolti con i propri allievi nella discussione sulla rilevanza cognitiva ed etica del tema da studiare, di individuare insieme i valori del tempo presente, attualizzando il passato.

I laboratori di didattica della storia sono luoghi di discussione e di elaborazione per realizzare una ricerca didattica a partire da un contesto circoscritto e quindi delineabile in tutte le sue configurazioni, sperimentando una pratica che superi l’impostazione tradizionale della lezione e preveda, invece, il coinvolgimento attivo di chi insegna e di chi apprende, nel percorso di studio e nelle forme di comunicazione e di socializzazione.

Con questa metodologia, gli studenti possono imparare non solo a ricostruire, attraverso i documenti, un fatto storico, ma anche cominciare a pensare storicamente il passato, così da poter interpretare il presente e progettare il futuro. 

Il tema dei razzismi è fortemente carico di valenze conoscitive. Non basta, ma soprattutto non risulta efficace deprecarlo; bisogna conoscerne i meccanismi di radicamento in ancestrali pregiudizi e le fasi storiche di sviluppo. Va tenuto presente l’impatto emotivo, perché non può non indurre a commozione la distruzione di un popolo. E la com-passione, ovvero l’immedesimazione in un destino che ha colpito sei milioni di uomini, donne, bambini e non ancora nati, comporta la riflessione sui propri atti e quelli della collettività di cui si fa parte, cioè impone con forza domande radicali sulle responsabilità individuali, sociali e politiche. 

E tale composito processo di apprendimento e di formazione della coscienza storica è insieme percorso educativo alla differenza, al confronto, al rispetto di etnie e culture.