Sviluppo sostenibile
da Itas Siena???
dal file natura-sostenib
ARENA 2000

2/1/2000 Villorba, Padova

Gerhard Scherhorn*

CHE COSA E' UNO STILE DI VITA CAPACE DI FUTURO (SOSTENIBILE)?

"Benessere", nella lingua tedesca, indicava prosperità e benessere (salute), assenza di necessità e convivenza pacifica in una comunità.

Solo nel ventesimo secolo la parola è stata legata al significato materiale, alla crescita e alla spesa di beni e servizi, al ben"avere" o, come si può anche dire, al "benessere di beni".

A partire dagli anni '60 viene via via riconosciuto, che questo restringimento non regge più.

Poiché porta con sé il fatto di credere ancora ad una crescita del benessere, nonostante la nuova produzione venga ottenuta attraverso danni all'ambiente, pericoli per la salute, peggioramento del clima sociale. Nei Paesi più industrializzati è proprio questo il caso: a partire dagli anni settanta il benessere netto non cresce più, nonostante il prodotto interno lordo cresca – crescono solo i costi sociali del benessere, i costi della produzione e del consumo scaricati sulla collettività.

Da una parte ci sono le spese "di riparazione", i costi del benessere che vengono pagati.

Essi vengono fatti, per riparare i danni che la produzione o il consumo di beni hanno provocato – danni alla salute, ai mezzi di trasporto (attraverso gli incidenti stradali), agli edifici (disastri creati dal cambiamento climatico), all'ambiente naturale, alle opere d'arte e ai monumenti che vengono erosi dalle piogge acide, all'acqua dei fiumi e dei mari, alle falde acquifere, al terreno coltivabile, all'atmosfera, al clima. Quello che viene speso per riparare questi danni, fa crescere sì il prodotto interno lordo, ma non il benessere, e diminuisce le chance di una vita futura. Nel migliore dei casi ripristina il livello di benessere che già si era precedentemente raggiunto.

Dall'altra ci sono i costi non pagati , cioè tutti quei danni che non vengono riparati, ma sopportati, ad esempio, l'urbanizzazione, l'allungamento della distanza dal luogo di lavoro, il traffico, lo smog estivo, il peggioramento dell'aria nelle città, l'inquinamento da rumore, lo stress, la diminuzione delle riserve di materie prime, ecc. Anche questi costi innalzano il prodotto interno lordo, perché il loro valore viene aggiunto al suo calcolo, anche se dovrebbe essere invece detratto, MA essi diminuiscono quello che rimane al reale benessere per le persone e alle chance di futuro.

Con l'aiuto dell'INDICE DI BENESSERE ECONOMICO SOSTENIBILE, elaborato da Cobb, è stato stimato in più paesi (USA; Germania, Inghilterra, Olanda, Austria, ecc) che i costi del benessere si sono sviluppati proporzionalmente al prodotto interno lordo. Il risultato complessivo è: la loro quota rispetto al prodotto lordo, negli stati industrializzati, è cresciuta sempre più e a partire dagli anni '70 sono cresciuti solo i costi del benessere, ma il benessere netto non più. Ciò sta ad indicare che la crescita del prodotto interno lordo significa solo distruzione aggiuntiva (e nel caso migliore recupero), ma ciò che aiuta il reale benessere degli uomini non può più essere accresciuto. Alexander Max-Neef lo ha espresso in un'ipotesi base: Da un certo livello di produzione in poi, non serve più l'ulteriore crescita del prodotto lordo, perché questo finisce interamente in costi per la collettività e quindi del futuro.

Da qui consegue una prima considerazione:

Lo sforzo di innalzare il benessere materiale ha messo gli stati industrializzati in un vicolo cieco. Si recano da soli danno, e costringono i paesi del Sud a fare altrettanto e a potenziare i danni complessivi. Una riflessione sul concetto di "benessere" porterebbe fuori dal vicolo cieco.

Inoltre bisogna riconoscere che lo star bene include anche il giusto utilizzo di tempo e spazio.

BENESSERE di TEMPO si ha quando c'è tempo sufficiente non solo per il guadagno di denaro (lavoro retribuito) e per comprare, ma anche per le relazioni sociali, per la collaborazione ai compiti della società, per le attività creative, per gustare la natura e l'arte, per le attività fisiche e il riposo. Per tutto questo vengono utilizzati anche dei beni, ma non una quantità sempre maggiore di beni, altrimenti l'acquisto e l'uso dei questi assorbe le energie e la consapevolezza, e il tempo diventa poco. Benessere materiale e di tempo allo stesso tempo si può ottenere solo se si mantiene una certa misura nel desiderio di beni.

BENESSERE DI SPAZIO si ha quando c'è abbastanza spazio per respirare, passeggiare, viaggiare, giocare, abitare, e quando lo spazio è sano e salubre: aria, acqua e terreno liberi da sostanze dannose, rumore e desertificazione, abitazioni e strade non sono abbandonate né affollate, c'è spazio per giocare per i bambini, per gli adulti spazio per comunicare, c'è spazio per l'ambiente di esistere. Anche il benessere di spazio richiede beni, anch'esso è messo in pericolo se per la loro produzione e il loro consumo lo spazio vitale viene limitato.

Così possiamo formulare un secondo risultato:

Poiché l'accumulo di sempre più beni materiali (beni e servizi comprati) porta le persone ad aver bisogno di tempo e di spazio.

Noi abbiamo però bisogno di tempo libero e di uno spazio sano, per riconoscere che il senso del ben"essere" sta nei beni immateriali (attività decise da sé e piene di senso, relazioni sociali soddisfacenti e ricche di aiuto, conoscenze illuminanti e significative), che noi stessi produciamo, e abbiamo bisogno di tempo e di spazio per comportarci di conseguenza.

Se le cose stanno così, perché non ci limitiamo, ragionevolmente e sistematicamente, ad un livello medio di benessere materiale?

Perchè anche al di sopra di questo livello è possibile accrescere la qualità della vita attraverso un po' di più di beni, comperando tempo e spazio.

Chi ha molto denaro può pagare i servizi e vivere in riserve protette.

Tuttavia solo alcuni ricchi potrebbero essere ricchi a sufficienza per gustare un simile oligarchico stile di vita. E tuttavia questo stile di vita possono sognarlo tutti…

Questo sogno è allo stesso tempo il prodotto e la forza motrice della società industriale.

La maggior parte dei consumatori sognano una ricchezza e un comfort che non possono avere, poiché i modelli di consumo che vanno in giro per il mondo sostengono e rinforzano il sogno di uno stile di vita oligarchico.

Se la sua irrealizzabilità non è riconosciuta (e quando lo è viene rimossa), questo perpetua la produzione industriale e la rende distruttiva.

Nel nostro modello di consumo non siamo ancora arrivati alla democrazia, né per l'uguaglianza, né per la fratellanza, e di conseguenza neppure per la libertà, perché sogniamo ancora l'ascesa, il primato, i privilegi.

L'idea democratica sta all'opposto. Essa richiede che poco alla volta tutte le persone siano libere dalla necessità di beni e giungano a gustare il benessere di tempo e di spazio. Da uno stile di vita democratico non ci si può aspettare altro che un benessere materiale medio, anche se poi nella realtà ci sono alcune differenziazioni.

Il modello dello stile di vita oligarchico al contrario porta ad una società di privilegiati e di marginalizzati, che deve distruggere se stessa perché i favoriti non sono mai saturi (soddisfatti) e gli svantaggiati non possono essere liberati dalla necessità. La terza osservazione recita dunque:

Un misurato benessere materiale significa più qualità della vita perché la rinuncia al desiderio di beni inutili ottimizza il benessere di tempo e di spazio. Per riconoscere che cosa è inutile, dobbiamo considerare realmente, ed evitare, i costi del benessere – la distruzione dell'ambiente, i pericoli per la salute, la limitazione dei beni immateriali attraverso l'eccesso di quelli materiali -. Per questo l'azione comune è necessaria. Creare e mantenere il benessere di spazio è un compito della collettività. Il clima e le risorse possiamo proteggerle solo insieme. Anche il benessere di tempo non si può accrescere con l'azione individuale, quando gli altri insistono nell'accumulo di sempre più beni. Anche solo per accorciare l'orario di lavoro è necessario il consenso della ditta e dei colleghi. In ogni caso è perlomeno necessaria la consapevolezza della collaborazione con gli altri e spesso anche l'esperienza dell'agire insieme. Senza comunità il singolo può solo "scendere", ma questo implicherebbe una rinuncia ai beni e alle risorse in quantità tale che solo a pochi sarebbe possibile.

Questa è allora la quarta considerazione:

Qui sta un grosso ostacolo, poiché la disponibilità ad agire collettivamente è stata scoraggiata ampiamente dai sistemi di socializzazione delle società industriali. Fino al primo medioevo è stata sempre presente. Poiché le relazioni di proprietà e di produzione non impedivano a nessuno di usare le terre incolte, anche quando esse appartenevano al re, ad un altro signore o alle istituzioni ecclesiastiche.

"I boschi e i pascoli erano così abbondanti che in un modo o nell'altro tutti potevano accedervi" (Massimo Montanari, LA fame e l'abbondanza, Roma 1993, capitolo 1, paragrafo 6).

Poi però vennero privatizzati dai proprietari terrieri, e il pensiero della proprietà collettiva – soprattutto la preoccupazione per la natura come bene collettivo- andò perso.

Ma la capacità di "essere insieme" (con le persone, con la natura) – e il bisogno di essere insieme- è innato negli esseri umani, quindi anche il sentimento di comunità può essere nuovamente scoperto. "Per un appartenente del nostro modo di vivere in società la punizione peggiore è l'isolamento" si dice in medicina (Randolph M. Nesse & George Wiliams, Perché ci ammaliamo, Monaco 1997).

Naturalmente non esiste "lo" stile di vita sostenibile. Esso può invece avere molte forme. Ma esse hanno alcuni elementi comuni. Non può essere diversamente. Poiché l'ottimizzazione di benessere di tempo – spazio e beni significa una certa misura nel desiderio di beni, quindi presuppone che esista la sazietà. La tendenza della società industriale è di negare la sazietà dei bisogni materiali. Questo viene notoriamente raggiunto, in modo tale che i consumatori vengono distolti dal chiedersi prima di un acquisto "mi serve veramente questa cosa?". Noi dimentichiamo questa domanda quando compriamo beni nella inconsapevole speranza di compensare con essi un bisogno immateriale.

I bisogni immateriali di fondo degli uomini sono il bisogno di competenza, di appartenenza (comunanza, essere insieme) e di senso. Ad essi non viene data risposta nella società industriale, e dietro questa mancanza c'è una logica, poiché la conseguenza è che compriamo più beni di quelli di cui abbiamo davvero bisogno. Se vogliamo evitare questo, dobbiamo assicurarci che i bisogni immateriali vengano soddisfatti. Perciò la quinta osservazione:

Competenza significa occuparsi dell'ambiente naturale e sociale autonomamente, in maniera creativa ed efficace. Da questo bisogno nasce il desiderio di essere protagonisti del proprio agire; esercitare delle attività che valorizzano le proprie capacità, che si ritengono interessanti e importanti; esplorare il proprio ambiente; risolvere i problemi attraverso la propria personale riflessione e azione; sentire il proprio corpo; fare qualcosa con le proprie mani; produrre o riparare beni da sé; essere attivi artigianalmente o artisticamente; gustare la professionalità e l'arte…

Appartenenza significa sentire il legame interiore con l'umanità e la natura e provarne gioia. Da questo bisogno nasce la disponibilità ad aiutare, l'esperienza di amore per la natura, la protezione dell'ambiente, l'impegno di gruppi ambientalisti contro la distruzione ambientale, la responsabilità per le generazioni future e il legame con le passate generazioni, il desiderio di un commercio giusto, la difesa dei consumatori, la difesa dei pazienti…

Senso significa provare che il proprio esistere è far riferimento a qualcosa che non è se stessi, ma un legame più alto, un compito più grande.

Questo bisogno richiama il desiderio di esercitare la giustizia, trasmettere la vita e le conoscenze, gestire responsabilmente e sobriamente le proprie energie vitali (Joe Dominguez & Vicky Robin, La borsa o la vita, New York 1992).

Se si prende tutto questo insieme, diventa chiaro, che stili di vita sostenibili non possono rimanere limitati ad una dimensione privata. Anche se è del tutto normale che sia in questa dimensione che inizia il cambiamento della vita, sarebbe senza senso che lì rimanesse.

Capace di futuro (sostenibile) non deve essere solo la vita privata, ma anche la professione e la politica. Se noi abbiamo iniziato nella nostra piccola cerchia, non dovremmo mancare di allargare sempre il cerchio.

Questo significa anche nel senso contrario, che è ragionevole iniziare dal poco, non pretendere troppo da sé subito, ma all'inizio proporsi un obiettivo e raggiungerlo. Anche quando sembra piccolo. Solo quando lo avremo consolidato, seguiranno i passi successivi, quando sarà giunto il loro tempo.

Gerhard Scherhorn è responsabile della sezione "Nuovi stili di benessere" dell’Istituto di Wuppertal in Germania. Collabora con i Bilanci di Giustizia per il monitoraggio sulla qualità della vita delle famiglie aderenti all’operazione.

A cura di Bilanci di Giustizia. Per informazioni: tel. 041-5381479, lunedì-martedì-giovedì dalle 15.00 alle 19.00;

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