LA
DISCIPLINA URBANISTICA DALL’UNITA’ D’ITALIA ALLA PRIMA SANATORIA EDILIZIA
(1985) Sintesi incompleta delle principali leggi
in materia urbanistica |
La scelta di porre come limite temporale
il 1985 a questa breve e sintetica rassegna di legislazione urbanistica è stata
dettata dalla necessità di delineare un quadro di riferimento essenziale ad uso
degli allievi del quinto anno del corso per geometri; quadro che può consentire
di percepire la difficile problematica della gestione del territorio.
Sommario
L.N. 2359 del 25/6/1865, “Disciplina delle espropriazioni
forzate per causa di pubblica utilità”. 1
L.N. 2892 del 15/1/1885, “Legge per il risanamento della
città di Napoli”
L.N. 1150 del 17/8/1942, “Legge Urbanistica Nazionale”
D.l. n 154 del 1/3/1945, “Piani di ricostruzione degli
abitati danneggiati dalla guerra”
L.N. 765 del 6/8/1967, nota come “Legge ponte”
L.N. 865 del 22/10/1971, “Legge per la casa”
L.n. 10 del 28/1/1977, “Norme per l’edificabilità dei
suoli”, nota come “legge Bucalossi”
L.N. 513 del 8/8/1977, “Provvedimenti urgenti per
l’accelerazione dei programmi in corso”
L.N. 457 del 5/8/1978, “Norme per l’edilizia residenziale”,
L.N. 94 del 25/3/1982, “Norme per l’edilizia residenziale”
Gli anni che seguirono l’unità d’Italia videro un crescente bisogno, da
parte del nuovo stato, di promuovere le disuguaglianze economiche che
affliggevano il territorio nazionale. La pesante eredità degli stati preunitari
si concretizzava nella mancanza di efficienti vie di comunicazione ed in un
sistema economico disomogeneo; al nord una nascente industrializzazione, al sud
estesi latifondi ed un’agricoltura arcaica.
Per l’urgente esigenza della creazione di una rete stradale e
ferroviaria che promuovesse i commerci il Parlamento pose mano ad una legge che
consentisse gli espropri necessari. La materia fu regolata dalla:
Con la suddetta legge si introducono i Piani Regolatori
Edilizi ed i Piani di Ampliamento. Il primo, destinato al centro
storico da risanare, consentiva di allargare o aprire nuove strade, di fissare
le altezze e gli allineamenti degli edifici ricostruiti, di definire le aree di
demolizione e di ricostruzione; il secondo, destinato all’espansione della
città, dettava disposizioni in merito all’individuazione delle aree per
l’edificazione, i collegamenti con la viabilità preesistente, le opere di
urbanizzazione.
La legge stabilisce inoltre la non obbligatorietà dei PRE
che, comunque, possono essere adottati solo dai comuni con più di 10000 ab.
Stabilisce il termine di 25 anni per la loro attuazione ed il riconoscimento
implicito nel PR della dichiarazione di pubblica utilità. Nei Piani di
Ampliamento si stabilisce l’obbligo di cedere il terreno per la viabilità,
dietro compenso per l’esproprio.
Questa legge ha come criterio base il pagamento di un
indennizzo che risarcisca completamente il danno economico subito, senza tener
conto, ovviamente, del valore affettivo che il proprietario ha nei riguardi del
bene. In essa si prende, come riferimento per l’indennizzo, il valore del terreno insieme al reddito agricolo da esso prodotto; tale
valore va ricavato mediante stima e perciò fa riferimento al valore di mercato.
La legge non ebbe una vasta applicazione a causa del forte
onere economico derivante ai comuni soprattutto nel caso di esproprio di
edifici.
Sia prima che dopo l’unità d’Italia le grandi città, cresciute sia per
lo sviluppo industriale che per la spinta demografica, manifestano urgenti
problemi di assetto urbanistico. Essi vennero affrontati dalle amministrazioni
locali principalmente attraverso disposizioni finalizzate al miglioramento
dell’igiene pubblica e al conseguimento dell’ideale, allora in voga, del “bello
e ordinato”.
Gli interventi erano principalmente concentrati nelle zone dei centri
urbani, solitamente i più degradati, dove furono frequenti le demolizioni per
garantire la sicurezza statica e gli allineamenti stradali.
Questi interventi restavano comunque limitati e parziali (diversamente
da quanto si stava realizzando in tutte le grandi città europee). Ciò però
conferma la gravità della situazione che attraversavano le nostre città.
Fu proprio il Sud che fornì al legislatore la ragione di un successivo intervento.
Il centro antico di Napoli superaffollato e privo di un decente sistema
fognario subì, nel 1884, un’epidemia di colera. Il Parlamento affrontò il
problema con un intervento straordinario mediante la:
Questa legge, come avverte
l’intestazione, fu varata solo per il caso particolare della città di Napoli,
onde demolire e ricostruire un quartiere malsano colpito da epidemia di colera,
causata dalle condizioni antigieniche e dal sovraffollamento delle abitazioni.
In parole povere lo scopo che si prefiggeva il legislatore era quello di “espropriare molto e pagare poco”,
dovendosi adattare alle condizioni economiche del tempo e del luogo, con
finalità sociali.
L’art. 13 stabilisce che
l’indennità dovuta ai proprietari va determinata effettuando la media del
valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio con data certa. In
difetto di tali fitti accertati, si deve sostituirli con l’imponibile netto
agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati.
Negli anni seguenti furono messi in atto interventi legislativi
particolari per alcune grandi città:
Introduce per la città di Roma l’imposta sulle aree fabbricabili;tale
legge era comunque valida per tutti i comuni che reputassero necessario
promuovere nuove edificazioni.
Destina metà del ricavato delle
imposte sulle aree fabbricabili a beneficio dello IACP (istituto autonomo case popolari)
di Roma; tale legge dichiarava inoltre fabbricabili tutte le aree comprese nel
perimetro del PR di Roma (precedentemente
la legge Luzzati sulle case operaie, del 1903, aveva introdotto l’edilizia
popolare in Italia; a questa legge risalgono i primi Istituti Case Popolari).
Dal punto di vista urbanistico
questa innovazione è assai importante perché in opposizione al concetto
tradizionale di edificabilità come diritto connaturato ad ogni suolo,
stabilisce il principio che sono fabbricabili solo le aree comprese nel
perimetro del Piano Regolatore
Altra innovazione è l’aver
introdotto l’obbligo per i Comuni di dotarsi di Regolamento Edilizio, strumento che, a
quella data, era limitato al controllo dell’espansione edilizia e non a
regolare tutta l’attività edilizia come avviene oggi.
Il ripetersi del ricorso alle leggi speciali per risolvere situazioni
contingenti fece sì che da più parti si sentisse la necessità di una disciplina
urbanistica integrale, organica e autonoma, alla quale si poteva giungere solo
separando le norme urbanistiche da quelle riguardanti l’esproprio, evitando
l’equivoco che il PR (piano regolatore) fosse solo una particolare ipotesi di
dichiarazione di pubblica utilità.
Il Piano Regolatore infatti, pur introducendo il vincolo sulla proprietà
privata per l’esecuzione di certe opere, non è soltanto un progetto di opere
pubbliche ma, soprattutto, uno strumento guida per la gestione del territorio.
Si pervenne, in tal modo, alla legge istitutiva del piano regolatore per la
città di Roma.
1931 - Con la legge istitutiva del PR di Roma si
introdussero alcuni principi fondamentali in materia di procedura urbanistica,
fra i quali quello della lottizzazione dei terreni per nuovi insediamenti
abitativi e quello sulla formazione dei comparti edilizi.
Tali principi formeranno la
base per la futura:
La legge n. 1150 entrò in vigore
durante la guerra e rimase inattuata per molti anni. Ad essa doveva far seguito
il regolamento di attuazione per renderla operativa, ma al termine del periodo
bellico, a causa della situazione d’emergenza, il legislatore si orientò a
favore dell’approvazione di “Piani di
Ricostruzione” che tra il 1945 ed il 1951 furono introdotti nella normativa
italiana per porre mano alla ricostruzione postbellica.
In essa si stabiliva, inoltre,
che la disciplina urbanistica doveva attuarsi mediante piani regolatori di
vario ordine, tra cui, i piani regolatori ed i piani particolareggiati.
I Piani di Ricostruzione
riunendo in un unico atto le previsioni dei Piani Regolatori e dei Piani
Particolareggiati costituirono, di fatto, una prima deroga alla legge del 1942
e ne ritardarono l’attuazione.
La LUN è l’unica legge organica in materia urbanistica alla quale, nel
corso degli anni, successive leggi hanno apportato modifiche sostanziali senza,
peraltro, sostituirla. È tuttora in vigore nelle sue linee
sostanziali. Le modificazioni più significative alla LUN sono state introdotte
con la L.n. 765 del 1967 (se vuoi
saperne di più sulle leggi 1150/1942 e 765/1967 scorri la pagina sino agli
approfondimenti).
La ricostruzione postbellica fu un’occasione perduta per l’urbanistica
italiana. Anziché realizzare veri e propri interventi di riprogettazione
urbanistica, come avveniva nelle altre nazioni europee coinvolte nella guerra,
si decise di procedere per mezzo di decreti legge che autorizzassero e
aiutassero la ricostruzione di ciò che era come era.
Il primo emanato riguardò l’Italia a sud della “Linea Gotica”, già
liberata dalle truppe alleate, e fu il:
L’ultimo fu il:
Questi lodevoli interventi
pensati per garantire un tetto agli italiani venivano calati in una situazione
caratterizzata da controlli inesistenti ed inefficienza amministrativa che
inibirono una corretta pianificazione delle aree urbane distrutte nonché quelle
periferiche prese d’assalto dalla speculazione edilizia.
Ma la voglia di approfittare
ancora di un regime transitorio e rimandare ancora la predisposizione dei piani
regolatori resta forte a tal punto che il Parlamento nel 1955 emana la:
Non stupiamoci di questo modo di far leggi perché ancora nel 1993 la
L.n. 317 annuncia “Norme generali per il completamento dei piani di
ricostruzione postbellica”.
I successivi anni ’60 videro un grande riequilibrio sociale ed economico
tra industria e agricoltura e tra nord e sud Italia. Il “miracolo economico”
provocò lo svuotamento delle campagne del sud e il sovraffollamento delle città
del nord, per cui a causa della diffusa povertà delle masse operaie e
bracciantili si dovette affrontare il problema degli alloggi per i lavoratori e
le categorie svantaggiate.
La problematica venne affrontata con la:
In essa, i Comuni con
popolazione superiore ai 50000 abitanti, sono obbligati a dotarsi di piani di zona o PEEP comprensivi di
opere di urbanizzazione, attrezzature di servizio e, finalmente, di verde
pubblico.
Con l’art. 10 la legge consente
inoltre ai Comuni di espropriare fino al 50% delle aree per riutilizzarle in
proprio o per rivenderle ai privati che si impegnano a costruire case con
caratteristiche (per prezzi e qualità) economiche
e popolari. La restante parte resta a disposizione dello Stato per alloggi
demaniali, o delle Regioni, o degli istituti INA-Casa, cooperative, ecc.
L’art. 12 contiene un principio
dirompente: l’indennità di esproprio va determinata dall’Ufficio Tecnico
Erariale sulla base del valore del terreno senza tener conto del suo incremento
dipeso direttamente o indirettamente dalla formazione e attuazione dei piani
urbanistici. Viene così azzerato il valore delle aree periferiche.
Riepilogando la 167/1962 è
assai importante perché con lo snellimento delle procedure, con la
dichiarazione di pubblica utilità per l’edilizia residenziale, con la
previsione delle opere di urbanizzazione nonché l’acquisizione delle aree da
parte dei Comuni a prezzo di terreno agricolo costituisce una coraggiosa
rottura con la prassi degli anni precedenti.
La cronica scarsità di risorse
finanziarie fece sì che la legge trovasse attuazione pratica soltanto nelle
regioni del nord e, per di più, nelle città più grandi; inoltre la Corte
Costituzionale dichiarò illegittimo l’art 10 poiché è giustificabile
l’esproprio delle aree destinate ad usi pubblici da parte della collettività
(strade, parcheggi, verde, ecc.), ma non altrettanto può dirsi per le aree
destinate alla residenza che, perciò, hanno un uso strettamente privatistico; e
comunque queste aree non possono essere valutate con il criterio del prezzo
agricolo, ma riferendosi al prezzo di mercato.
La frenetica attività edilizia seguita al “miracolo economico”, che
caratterizzò l’Italia dalla fine degli anni ’50 alla fine degli anni ’60, aveva
prodotto un’espansione disordinata delle città con indici di affollamento
inaccettabili e tutto ciò aggirando norme e vincoli con ogni sorta di abuso
generalizzato che comprometteva ogni successiva possibilità d’intervento di
pianificazione.
Da più parti si chiedeva una riformulazione sostanziale della legge
urbanistica. Nel 1966 tre eventi catastrofici (la frana di Agrigento che fece
sprofondare un intero quartiere, e le alluvioni di Firenze e del Veneto)
convinsero il Parlamento che era giunto il momento di fare qualcosa.
L’intervento legislativo mirava quindi ad abbattere la speculazione edilizia ed
a salvaguardare il patrimonio culturale e paesaggistico nazionale.
Si pervenne cosi alla:
Tale legge avrebbe dovuto
finalmente consentire sostanziali mutamenti nella politica urbanistica italiana
poiché stabiliva la demolizione per le opre eseguite senza licenza edilizia o
in modo difforme da questa, la licenza inoltre poteva essere rilasciata solo se
l’area fosse già servita da opere di urbanizzazione, infine le nuove
lottizzazioni erano subordinate alla stipulazione di una convenzione tra
privati e Comune. Fissava, inoltre, consistenti limitazioni all’edificazione in
quei Comuni ancora sprovvisti di strumenti urbanistici e stabiliva anche che
ogni nuova costruzione fosse dotata di parcheggi auto in misura non inferiore
ad 1 m2 ogni 20 m2 di superficie.
La legge si concludeva
preannunciando l’emanazione di norme relative agli standard urbanistici e i
limiti all’edificazione per mezzo di decreti ministeriali. (I D.M. 1404 e 1444 furono
emanati nel 1968 e se vuoi saperne di più clicca su di essi).
Nonostante il nostro Paese attualmente non stia attraversando un periodo
economico favorevole, non è facile capire o ricordare le difficoltà e i disagi
che molti italiani hanno dovuto sopportare in una fase storica di grandi
riequilibri economici e di fortissima emigrazione interna quale è stato il
periodo degli anni Sessanta.
La contestazione giovanile del 1968, le grandi lotte operaie e la
mobilitazione dei sindacati sul problema degli alloggi, culminata nello
sciopero generale per la casa del 1970, indussero il Parlamento a varare la:
Nelle intenzioni del
legislatore essa avrebbe consentito di operare in modo organico e definitivo su
di un bene fondamentale quale la casa.
Con essa viene istituito un
comitato, il CER, con compiti di orientamento, controllo e coordinamento dei
programmi per l’edilizia; si ritorna, nel caso di espropri, all’indennizzo
stabilito sulla base del valore medio agricolo determinato dall’UTE; vengono
estesi i programmi pubblici di edilizia residenziale ad abitazioni malsane o
colpite da calamità naturali; viene ampiamente trattata l’edilizia agevolata e
convenzionata. Si cerca, poi, di orientare gli operatori del settore verso il
recupero edilizio.
La prima metà degli anni Settanta è caratterizzata anche da leggi e
decreti che, pur non avendo connotazioni strettamente urbanistiche, hanno a che
vedere con l’edilizia: si tratta della L.N. 1086/1971 “Norme per la disciplina
delle opere in conglomerato cementizio armato e precompresso e a struttura
metallica”, dei Decreti Delegati del 1972 che trasferiscono alle Regioni a
statuto ordinario alcune competenze in materia urbanistica e della L.N. 64/1974
“Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone
sismiche”. Da questo momento in poi tutte le figure professionali coinvolte nel
processo edilizio, limitatamente all’ambito di rispettiva competenza, saranno
chiamate a rispondere dei propri atti davanti alla legge.
Giungiamo alla fine degli anni Settanta che vedono la promulgazione
della:
La legge contiene importanti
elementi innovativi alcuni dei quali, secondo il parere degli esperti, non ben
formulati. Innanzitutto introduce il programma pluriennale di attuazione (p.p.a.), mediante il quale
l’Amministrazione comunale stabilisce i tempi e i modi degli interventi
edificatori; l’altra grande novità riguarda la possibilità o meno di concedere
il permesso a qualsiasi trasformazione dei suoli; comunque chi ottiene tale
permesso deve pagare un contributo destinato a coprire i costi di
urbanizzazione.
Ciò, in sostanza, equivale alla
separazione dello jus
ædificandi dallo jus possidendi, ma
questo la legge Bucalossi non lo dice esplicitamente. Ragion per cui la Corte
Costituzionale sarà chiamata in causa per le controversie sollevate dai
proprietari di aree fabbricabili che vedevano lesi i loro diritti naturali (se
vuoi saperne di più sulla legge Bucalossi, sullo jus ædificandi e lo jus
possidendi scorri la pagina sino agli approfondimenti).
Con la:
e con la:
si assiste, finalmente, ad una
ripresa del settore edilizio che, non dimentichiamolo, è un settore trainante
poiché fa da volano a molteplici attività e settori ad esso collegati. In
particolare la L.N. 457 introduce un piano decennale che riguarda tutti gli
interventi di edilizia sovvenzionata, convenzionata e agevolata finalizzati
alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio esistente,
nonché l’acquisizione e l’urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti
residenziali.
Siamo così giunti agli anni Ottanta che vedono l’intervento della Corte
Costituzionale e, in seguito, il primo condono edilizio.
La Corte, con sentenza n. 5 del 30/1/1980, definiva illegittimo
l’indennizzo delle aree espropriate calcolato sulla base del loro valore
agricolo. Ciò avrebbe comportato un enorme esborso di denaro in più per quelle
amministrazioni che si erano impegnate in programmi di edilizia pubblica. Per
evitare un tracollo delle casse comunali il Parlamento provvide ad apporre una
“toppa”, con la L.N. 385 del 31/12/1980, mediante la quale veniva prorogata la
validità degli indennizzi con possibilità di un conguaglio successivo e in
attesa di una nuova e risolutiva norma.
Ma il problema della casa restava comunque di difficile soluzione, anche
perché la situazione economica del paese presentava ancora prospettive negative.
In questa cupa atmosfera il Governo ricorse ad interventi straordinari varando
la:
Essa concedeva mutui a tasso
zero ai Comuni che si impegnavano in programmi di acquisizione di aree da
urbanizzare e destinare all’edilizia residenziale, arrivando ad ipotizzare
l’occupazione d’urgenza delle aree.
La legge elencava anche una
serie di opere non soggette a concessione ma a semplice autorizzazione gratuita ed arrivando alla implicita ammissione di
impossibilità di controllo del processo pianificatorio con l’introduzione del principio del silenzio-assenso.
La semplificazione delle procedure introdotte dalla legge 94/1982 fu
intesa dagli operatori del settore e dai singoli proprietari di aree edificabili
non già come una accelerazione dei tempi lenti della burocrazia, ma come un
tacito invito ad arrangiarsi con probabile garanzia d’impunità. Gli italiani,
nonostante leggi, decreti, circolari esplicative, PRG, PP e quant’altro,
continuavano ad impegnarsi in uno degli sport preferiti: costruire dovunque e
comunque abusivamente eludendo vincoli, norme, piani regolatori, tasse. Le
stime di questo fenomeno, peraltro approssimate, davano i brividi: circa il 30
– 40% del patrimonio edilizio. Alcune località erano (e sono) abusive al 90%
includendo anche gli edifici pubblici.
L’indulgenza con relativa assoluzione dai peccati venne sotto forma di condono edilizio; tale rimedio invocato
a gran voce dagli italiani fu introdotto dal Parlamento con la:
La legge nei primi articoli elenca
i casi di opere abusive e prosegue annunciando la concessione in sanatoria
previo pagamento della oblazione. Si rendono nulli gli atti di compravendita
relativi ad edifici abusivi o lottizzazioni abusive; si dispone la confisca
delle lottizzazioni abusive e si annunciano controlli periodici del territorio
mediante rilevamenti aerofotogrammetrici.
Per quanto riguarda lo
snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie si specificano le
categorie di opere edilizie per le quali non è più necessaria la concessione e
l’autorizzazione, ma una semplice relazione che descriva le opere da eseguirsi
nel rispetto delle norme vigenti, presentata all’inizio dei lavori, e firmata
da un professionista abilitato.
Che dire di ciò che è successo in campo legislativo ed urbanistico dal
1985 sino ai giorni nostri?
Molto semplicemente che gli italiani, un po’ per necessità e, un po’ per
naturale inclinazione, hanno continuato a costruire abusivamente in spregio
alle leggi, tanto è che nel 1994 sono stati riaperti i termini del condono
edilizio (ma forse anche per la cronica necessità che hanno le casse dello
Stato di denaro). Ancora nel corrente anno, 2004, ci viene riproposta una nuova
sanatoria edilizia.
Concludendo possiamo affermare
che la nostra normativa è affetta da:
§
complessità
organizzativa;
§
difficoltà
interpretativa;
§
sovrapposizione
di competenze.
APPROFONDIMENTI
|
Analizziamo più dettagliatamente
i punti significativi della legge urbanistica nazionale n° 1150 del 1942.
Essa si articola in quattro
titoli suddivisi, a loro volta, in capi.
Il titolo I riguarda
l’ordinamento statale dei servizi urbanistici ed all’art. 1 si afferma che:”L’assetto e l’incremento edilizio dei centri
abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio dello Stato sono
disciplinati dalla presente legge. Il Ministro dei lavori Pubblici vigila
sull’attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed
ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di
favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo.”
Il titolo II tratta della
disciplina urbanistica. Nei capi che lo costituiscono si stabilisce che essa è
regolamentata da piani regolatori di
vario ordine i quali devono essere corredati di norme di attuazione. Viene inoltre introdotto per la prima volta il
concetto di piano territoriale di
coordinamento (senza però dire se si tratta di piani regionali o
provinciali).
Vengono definite le
caratteristiche dei piani regolatori
generali che devono estendersi a
tutto il territorio comunale qualificandone la destinazione d’uso (zonizzazione); essi, una volta
approvati, hanno durata a tempo indeterminato.
Introduce, poi, i piani particolareggiati esecutivi (PPE) che sono i veri strumenti di
attuazione dei PRG. I PPE devono
essere corredati da un piano finanziario
che specifichi le risorse destinate alla sua attuazione (costi di acquisizione
aree, pagamento opere di urbanizzazione, ecc.). La loro approvazione equivale a
dichiarazione di pubblica utilità (con durata limitata a 5 e 10 anni) e quindi
rende possibile l’espropriazione delle aree ad esso necessarie.
Tra i contenuti delle norme di
attuazione dei PPE vi è l’epropriabilità delle aree inedificate o di quelle su
cui insistono costruzioni in contrasto con la destinazione di zona.
I proprietari di piccole aree o
di zone con confini di proprietà irregolari tali da non consentirne un utilizzo
efficace possono costituire volontariamente dei comparti edificatori.
Si introduce l’obbligatorietà
della licenza per qualsiasi costruzione. L’art. 33 definisce i contenuti del Regolamento Edilizio; l’art. 34, poi, consente
ai piccoli Comuni di dotarsi di uno strumento urbanistico più agile, il Programma di fabbricazione (P di F) da allegare al proprio
regolamento edilizio.
Il titolo III tratta della
determinazione della indennità di
espropriazione, per la quale l’art. 37 fa riferimento alla l.n. 2359 del
25/6/1865, stabilendo inoltre il criterio che nessun indennizzo è dovuto ai
proprietari per le limitazioni ed i vincoli derivanti alla loro proprietà a causa
dell’approvazione del PRG.
Il titolo IV contiene le
disposizioni generali e transitorie con riferimento alla pubblicazione di un
successivo regolamento di attuazione che non ebbe mai seguito.
Riepilogando la Legge Urbanistica Nazionale ha portato
profonde modificazioni all’assetto giuridico in materia urbanistica
introducendo innovazioni riguardanti principalmente:
§
I
PRINCIPI NORMATIVI
§
L’ORGANIZZAZIONE
DELLA PIANIFICAZIONE
§
I POTERI
CONFERITI AI COMUNI
Principi normativi
Principali innovazioni
introdotte dalla legge:
§
la pianificazione urbanistica riguarda tutto il
territorio nazionale;
§
l’attività edilizia, sino ad ora regolamentata
all’interno dei centri abitati, viene regolamentata in tutto il territorio
dello Stato;
§
obbligo della licenza edilizia;
§
la licenza edilizia è subordinata all’esistenza
delle opere di urbanizzazione primaria o alla realizzazione delle stesse da
parte del Comune nel triennio successivo, o all’impegno dei privati di
realizzarle contemporaneamente alle opere oggetto della licenza;
§
responsabilità del titolare della licenza, del
Direttore dei lavori e dell’assuntore per ogni inosservanza delle norme di
legge fissate nella licenza;
§
attribuzione al Sindaco della vigilanza
sull’attività edilizia;
§
vengono introdotte sanzioni penali per le
infrazioni e le violazioni di legge.
Organizzazione della
pianificazione
La pianificazione urbanistica
si attua mediante due livelli:
§
un primo
livello territoriale mediante i PIANI TERRITORIALI;
§
un secondo
livello locale mediante gli STRUMENTI URBANISTICI GENERALI ED ESECUTIVI.
La pianificazione locale si
articola ulteriormente in due fasi:
§
fase previsionale
mediante il Piano Regolatore Generale,
che ha vigore a tempo indeterminato;
§
fase attuativa
mediante i Piani Particolareggiati
di esecuzione di iniziativa pubblica e validità decennale.
Vengono anche disciplinate le Lottizzazioni di aree a scopo edilizio
che dopo la L.n. 765/1967 si configureranno come veri e propri strumenti di
attuazione del PRG ad opera dell’iniziativa privata.
Poteri conferiti ai
Comuni
La LUN estende a tutti i Comuni
la facoltà di dotarsi di PR; questa facoltà antecedentemente alla L.U.N. era
limitata ai Comuni con almeno 10000 ab. (ricordiamo la L.n. 2359 del 1865).
Nella LUN è inserito un elenco di Comuni di preminente importanza per i quali
vige l’obbligo di dotarsi di PR. I Comuni, inoltre, possono espropriare, entro
i limiti di espansione dell’abitato, le aree inedificate e quelle su cui
insistono costruzioni in contrasto con le destinazioni attribuite all’area dal
piano, onde realizzare su di esse residenze, industrie o opere pubbliche di
competenza di Comuni, Province, Regioni, Stato e altri enti pubblici o di
diritto pubblico.
Come conclusione possiamo dire che il potere che hanno i Comuni di
predisporre il PRG e di attuarlo si scontra con la cronica carenza di mezzi
tecnici e finanziari da parte di questi; inoltre le difficoltà nella procedura
di predisposizione e approvazione dei PRG e gli strumenti d’intervento assai
scarsi si sono rivelati ostacoli insormontabili per la piena attuazione della
legge. Si dovette attendere sino al 1967 perché finalmente la normativa
urbanistica si arricchisse di disposizioni che prendessero il posto dei decreti
attuativi promessi dalla L.n. 1150/42 e mai emanati.
Il Parlamento nel 1967 approva
la L.n. 765 anche conosciuta con il
nome di “Legge ponte”. Tale legge avrebbe finalmente consentito sostanziali mutamenti
nella politica urbanistica italiana.
I primi articoli stabiliscono
tempi più brevi per la formazione dei piani; gli artt. 6 e 7 affermano che le opere eseguite senza licenza edilizia o
in modo difforme da questa o che siano in contrasto con le indicazioni del PRG
devono essere demolite e gli atti relativi (compravendita) devono essere
annullati.
Anche l’art. 8 è assai
importante perché stabilisce, per la prima volta, che le nuove lottizzazioni sono subordinate alla stipulazione di una
convenzione tra privati e Comune.
La legge, tra le altre cose,
demandava al Ministero dei Lavori Pubblici l’emanazione di appositi decreti
tesi a migliorare l’attività edilizia.
I
decreti furono pubblicati nel 1968; essi sono:
§
il D.M. n.
1404/68, “Distanze minime a protezione
del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori dai centri abitati e
nei nuovi insediamenti previsti dagli strumenti urbanistici”;
§
il D.M. n.
1444/68, “Limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e rapporti massimi tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi
pubblici...”.
Ecco in sintesi il contenuto
dei due decreti.
Il D.M. n. 1404 definisce innanzitutto il “ciglio stradale” come il
limite della sede o piattaforma stradale comprendente tutte le sedi viabili sia
veicolari che pedonali, incluse le banchine quando siano transitabili, nonché
le strutture di delimitazione non transitabili, come parapetti arginetti e
simili. Definisce inoltre la classificazione delle strade tenendo conto della
funzione che svolgono.
Si hanno così:
a) autostrade, e raccordi
autostradali: distanza minima di edificabilità dal ciglio 60 m;
b) strade statali di interesse
nazionale e internazionale, strade di
grande comunicazione o ad elevato traffico (statali), tangenziali e raccordi di scorrimento veloce:
distanza minima 40 m;
c) altre strade statali, strade provinciali e comunali di larghezza /10,50 m: distanza minima 30 m;
d) altre strade provinciali e comunali: distanza minima 20 m.
Il nuovo Codice della Strada
(D.P.R. del 26/4/1993) si sovrappone al suddetto decreto con dei limiti più
articolati che si riportano nella seguente tabella:
Tipo
di strada |
Strade
extraurbane |
Strade
urbane |
||
Fuori dai
centri abitati ma all’interno del perimetro urbano |
Nei
centri abitati |
|||
Con
PRG |
Senza
PRG |
|||
A |
60 |
30 |
30 |
30 |
B |
40 |
20 |
- |
- |
C |
30 |
10 |
- |
- |
D |
- |
- |
20 |
20 |
E |
- |
non
stabilita |
non
stabilita |
20 |
F |
20 (10
se strade vicinali) |
non
stabilita |
non
stabilita |
10 |
Per gli edifici esistenti che
ricadono in zona di rispetto stradale possono essere autorizzati solo il
restauro e la ristrutturazione senza modifiche planimetriche o aumenti di
volume.
Il D.M. n. 1444 stabilisce limiti inderogabili di densità edilizia, di
altezza, di distanza fra fabbricati nonché le zone omogenee nel seguente modo:
§
Zone
tipo A: il territorio interessato da agglomerati urbani che hanno carattere storico,
artistico o di particolare pregio ambientale.
§
Zone
tipo B: il territorio totalmente o parzialmente edificato, diverso dalle zone
A. Si intendono parzialmente edificate le zone la cui superficie coperta degli
edifici esistenti non sia inferiore al 12,50 % (1/8) della superficie
fondiaria.
§
Zone
tipo C: il territorio destinato a nuovi complessi abitativi inedificato o in
cui non si raggiunga il limite di superficie di cui alla zona di tipo B.
§
Zone
tipo D: il territorio destinato a nuovi insediamenti industriali.
§
Zone
tipo E: il territorio destinato ad usi agricoli.
§
Zone
tipo F: il territorio destinato ad attrezzature e impianti di interesse
generale quali: attrezzature per l’istruzione superiore all’obbligo, sanitarie
e ospedaliere, parchi pubblici urbani e territoriali.
La capacità insediativa di
un’area viene stabilita assegnando a ciascun abitante una superficie di 20 m2
esclusivamente residenziali oltre a 5 m2 per i servizi di
prima necessità (pari a un volume convenzionale rispettivamente di 80 e 20 m3).
Zona territoriale omogenea |
Dotazione minima inderogabile in m2 per abitante insediato o
insediabile esclusi gli spazi per sedi viarie (2) |
Limiti all’edificazione |
||||||||
Classe |
Carattere o destinazione |
Assistenza prescolastica scuole d’obbligo a |
Attrezzature d’interesse comune b |
Verde attrezzato c |
Parcheggi pubblici d |
Totale a+b+c+d |
Densità edilizia (in m3/m2) |
Altezza H di edificazione in metri |
Distanza D tra edifici antistanti (come in figura) |
Edificazione in zona C |
Risanamento: minore o uguale ai
valori preesistenti, escluse le sovrastrutture e le aggiunte recenti |
Distanze minime tra edifici con e
senza strada interclusa, da applicare in zona C |
|||||||||
A |
-
Esistente con carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale - Zone
circostanti integrative di tale carattere |
4,5 |
2 |
9 |
2,5+4 (1) |
18+4 (1),(3),(4) |
Nuove
costruzioni: [ del 50% della densità media della
zona e comunque [5 |
Nuove
costruzioni: [ dell’altezza media di edifici
storico-artistici situati in prossimità |
[ delle preesistenti, escluse le
sovrastrutture e le aggiunte recenti senza valore storico-artistico |
|
B |
- Esistente
ma senza il carattere della zona A -
Edificata totalmente -
Edificata parzialmente ma con rapporto di copertura fondiario / 1/8e con densità territoriale / 1,5 m3/m2 |
4,5 |
2 |
9 |
2,5+4 (1) |
18+4 (1),(3),(4) |
Secondo
PRG o PdiF Ricostruzioni: [ 5 sino a 50000 ab. [ 6 sino a 200000 ab. [ 7 oltre 200000 ab. Densità
> ammesse se [ 70% delle preesistenti |
Nuove costruzioni: [ altezze edifici preesistenti e
circostanti, salvo pianificazione esecutiva |
D minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti
di edifici antistanti |
Vedi
disegno 1 |
C |
-
Inedificata destinata a nuovi complessi insediativi; edificata
parzialmente con rapporto di copertura [ 1/8 e con densità territoriale [ 1,5 m3/m2 - Id. per
zone contigue o in rapporto con preesistenze amb. art. e archeologiche - Id.
per Comuni con pop. prevista [ 10000 ab. |
4,5 4,5 4 |
2 2 2 |
9 15 4 |
2,5+4 (1) 2,5+4 (1) 2+4 (1) |
18+4 (1) 24+4 (1) 12+4 (1) |
Secondo
PRG o PdiF |
Secondo
PRG o RE - In
contiguità a zone A , H compatibili con quelle della zona A contigua |
||
D |
Per
nuovi insediamenti industriali e assimilabili |
|
10% dell’intera superficie utile
della zona |
10% |
Secondo
PRG o PdiF |
Secondo
PRG o PdiF |
Vedi
disegno 2 |
|||
E |
Per usi
agricoli |
6 |
|
6 |
Secondo
PRG o PdiF Abitazioni:
[ 0,03 |
Secondo
PRG o PdiF |
||||
F |
Per attrezzature
e impianti di interesse generale, anche sovracomunale |
Istruzione
superiore all’obbligo |
Attrezzature
sanitarie ed ospedaliere |
Parchi
urbani e territoriali |
|
|||||
1,5 |
1 |
15 |
||||||||
Per complessi commerciali e
direzionali |
Centri
commerciali e zone direzionali |
Dotazione
in m2 per 100 m2 di sup. lorda di pavimento degli
edifici previsti |
Secondo
PRG o PdiF (preferire alla densità l’indice di sfruttamento in m2/m2 |
Secondo
PRG o PdiF |
||||||
|
|
80 |
|
|||||||
/ 40+16(1) |
Min. 40 |
80+16(1) |
(1) Previsto dall’art. 41 sexies della LUN. (2) Per la
sola residenza si considerano 20 m2/ab. (pari a 80 m3/ab.),
per residenza e servizi integrativi si considerano 25 m2/ab. (100 m3/ab.)
(3) Salvo impossibilità. (4) In caso di impossibilità si possono reperire gli
spazi nelle adiacenze.
|
|
Questi indici fissano misure e dimensioni da rispettare nella
progettazione urbanistica dei piani particolareggiati e nella costruzione degli
edifici per consentire alla popolazione insediata di poter contare su una
edilizia rispettosa dei moderni criteri dimensionali.
L. n. 865 del 22/10/1971 nota come
“Legge per la casa”
Tale legge ha 76 articoli
divisi in 5 titoli e, forse per questa ragione, fu definita “legge fiume”.
In essa si stabiliscono tempi e
modi per la formazione ed il finanziamento dei programmi per l’edilizia. Viene
prevista la costituzione del Comitato
per l’edilizia residenziale (CER), con compiti di orientamento controllo e
coordinamento di enti e strutture destinati a fornire case ai lavoratori.
L’intero titolo II (artt. 9-25)contiene
le norme sulle espropriazioni per pubblica utilità. Dal momento che si afferma
il principio di “casa come servizio sociale” gli indennizzi vengono stabiliti
sulla base del valore medio agricolo determinato dall’UTE (Ufficio Tecnico
Erariale); se le aree ricadono nel perimetro urbano è previsto un incremento di
valore con modalità variabili in base alla dimensione numerica del Comune.
Poiché si estende la facoltà di
esproprio alle zone costruite, ma da risanare (centri storici), si deduce un chiaro
intento del legislatore di orientare gli operatori verso il recupero edilizio.
I successivi titoli trattano la
materia dei programmi pubblici di edilizia residenziale, edilizia agevolata e
convenzionata.
Nonostante le grandi
aspettative questa legge subì gravi ritardi applicativi, ma soprattutto divenne
operativa in un periodo di grande crisi che colpì l’economia mondiale (guerra
del Kippur che vide Israele scontrarsi con i Paesi Arabi del Medio Oriente),
causando un forte rincaro dei prodotti petroliferi con conseguenze inevitabili
sulla traballante economia nazionale.
L. n. 10 del 28/1/1977 - “Norme per
l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge Bucalossi”, dal nome del Ministro
dei Lavori Pubblici che la firmò.
Tale provvedimento si configura
come legge quadro in materia urbanistico-edilizia cioè come legge che pone i
principi fondamentali ai quali dovranno adeguarsi le Regioni nell’emanare le
proprie leggi urbanistiche. Ai Comuni spetteranno le funzioni di adozione dei
piani urbanistici, l’emanazione dei regolamenti edilizi ed il rilascio della
concessione edilizia. Essa è inoltre caratterizzata da buone intenzioni: per
esempio quella di rendere uguali nei confronti della pianificazione urbanistica
tutti i proprietari di aree di espansione che attraverso il programma pluriennale di attuazione
vedono stabilito come, dove e quando è possibile realizzare gli interventi
previsti. Ciò allo scopo di graduare la realizzazione delle necessarie opere di
urbanizzazione primaria e secondaria nonché l’attività edificatoria, onde
evitare che la città si sviluppi in modo caotico e disomogeneo.
L’altra buona intenzione
riguarda la possibilità, oppure no, di concedere il permesso a qualsiasi
trasformazione dei suoli e degli immobili.
Il Decreto Legge Bucalossi, di
fatto, istituiva il principio giuridico della separazione fra il diritto di
proprietà (jus possidendi) e il diritto di costruire (jus ædificandi),
riservando quest’ultimo alla collettività.
Mancando, però, una esplicita
dichiarazione di ciò che si voleva perseguire (come già detto la separazione
dello jus ædificandi dallo jus possidenti), tre anni dopo la Corte
Costituzionale con sentenza n.5 del 30/1/1980, concludendo un’importante
disputa giuridica, affermava che il diritto ad edificare continuava ad essere
un requisito del diritto di proprietà. Il fatto che la legge avesse trasformato
la “licenza edilizia” in “concessione onerosa” non poteva
modificare un tale stato delle cose.
Lo spirito innovativo con cui
era stata formulata la legge fu, dunque, vanificato dal parere negativo della
Corte Costituzionale e l’Italia perse un’altra occasione per uniformarsi allo
standard di altre nazioni europee in materia di proprietà dei suoli. La legge
n. 10/77 non era riuscita ad affermare un nuovo ed importante principio di
utilità sociale: anteporre il beneficio
collettivo al privilegio del singolo. Negli estensori e promotori della
legge rimaneva la consolazione che, se non altro, la concessione introduceva un
onere che andava in parte a finanziare opere essenziali di urbanizzazione a
beneficio della collettività.
Riassumendo, i punti qualificanti della legge sono:
§
la nuova disciplina della Concessione Edilizia (che sostituisce la Licenza edilizia);
§
l’introduzione del Programma Pluriennale di Attuazione del piano regolatore (PPA).
Le caratteristiche della Concessione Edilizia sono:
§
irrevocabilità: una
volta rilasciata la concessione edilizia non può essere ritirata o diventare
inefficace se non nei casi previsti di annullamento o decadenza.
§
trasferibilità: tale
ipotesi si verifica nel caso in cui il titolare cede ad altri tale diritto per
propria volontà o per causa di morte.
§
onerosità: viene
rilasciata dietro versamento di un contributo, salvo i casi di gratuità
§
validità:
limitata nel tempo; i lavori devono iniziare entro un anno dalla data del
rilascio e l’ultimazione deve avvenire entro tre anni dalla data d’inizio dei
lavori.
§
pubblicità:
l’avvenuto rilascio della concessione viene comunicato al pubblico tramite
affissione all’albo pretorio del Comune.
Programma Pluriennale di Attuazione
Anche il PPA è stato oggetto di
critiche da parte della Corte Costituzionale poiché non è possibile rinviare a tempo
indeterminato l’edificabilità di un suolo senza un adeguato indennizzo. Così il
PPA è stato abrogato e poi sospeso in atteso di qualcosa che lo sostituisse, ma
che ancora non si è visto.
Opere ed oneri di urbanizzazione
Per opere di urbanizzazione si
intendono gli impianti e le attrezzature che i Comuni devono realizzare per
conferire ad un territorio le caratteristiche urbane; gli oneri sono ovviamente
le spese che si sostengono per realizzarle.
Le opere di urbanizzazione sono
di due tipi: primarie e secondarie.
Primarie: |
Secondarie: |
a) strade residenziali; |
a) asili nido e scuole
materne; |
b) spazi sosta e parcheggio; |
b) scuole dell’obbligo; |
c) fognature; |
c) mercati di quartiere; |
d) rete idrica; |
d) uffici comunali; |
e) rete distribuzione energia
elettrica e gas; |
e) chiese e servizi
religiosi; |
f) illuminazione pubblica; |
f) impianti sportivi di
quartiere; |
g) spazi di verde attrezzato. |
g) centri sociali; |
|
h) aree verdi di quartiere. |
L. n.457 del
5/8/1978 - “Norme per l’edilizia residenziale”
Questa legge, nata con lo scopo
di incrementare gli interventi di edilizia residenziale, nel Titolo IV
introduce delle norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico esistente.
Tali norme configurano un nuovo
sistema di programmazione degli interventi di recupero così strutturato:
§
individuazione delle zone da recuperare da parte
della pubblica amministrazione;
§
perimetrazione, all’interno di esse, degli immobili
o complessi edilizi, degli isolati e delle aree oggetto del recupero.
Il Comune opererà tale scelta
in base a criteri discrezionali con la sola ed unica condizione: che sussista
un effettivo stato di degrado. Altrettanto discrezionale è l’individuazione
degli immobili da assoggettare a Piano di Recupero.
Il Piano di Recupero è stato introdotto con lo scopo di fornire agli
operatori pubblici e privati uno strumento di dettaglio con un iter di
approvazione più agevole rispetto a quello dei Piani Particolareggiati e quindi
più appropriato alla complessa problematica del recupero edilizio.
Vi sono inoltre definiti i
seguenti tipi d’intervento:
§
interventi
di manutenzione ordinaria: quelli riguardanti opere di riparazione,
rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o quelle necessarie a
mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
§
interventi
di manutenzione straordinaria: opere e modifiche necessarie
per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, per
realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, purché non
alterino i volumi, le superfici e non modifichino la destinazione d’uso delle
unità immobiliari;
§
interventi
di restauro e risanamento conservativo: quelli miranti a conservare
l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità. Essi comprendono il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio e l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;
§
interventi
di ristrutturazione edilizia: quelli volti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte nuovo;
§
interventi
di ristrutturazione urbanistica: quelli volti a sostituire il
tessuto urbanistico esistente con altro diverso mediante modificazione dei
lotti, degli isolati e della rete stradale.
L. n. 47 del 28/2/1985 - “Norme in
materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia; sanzioni, recupero e
sanatoria delle opere abusive”
La legge in questione affronta
due problematiche per mezzo delle quali combattere l’abusivismo: controllo dell’attività edilizia e sanatoria per le opere realizzate
abusivamente prima del 1-10-83.
La prima viene combattuta
attraverso l’inasprimento delle sanzioni. La seconda attraverso una
regolamentazione delle situazioni derivanti dall’abusivismo passato.
La legge si articola in cinque
capitoli:
Capo I: norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali.
Capo II: snellimento delle procedure urbanistiche ed
edilizie.
Capo III: recupero urbanistico di insediamenti abusivi.
Capo IV: opere sanabili. Soggetti legittimati.
Capo V: disposizioni finali.
Le disposizioni contenute nel
capo I rafforzano i poteri del Sindaco in materia di vigilanza; estendono le responsabilità
del Direttore dei lavori relativamente alla non conformità delle opere alla
Concessione edilizia; sanciscono la nullità degli atti di trasferimento di
opere edilizie abusive e di terreni lottizzati abusivamente; inaspriscono le
sanzioni civili e penali per le trasgressioni in materia urbanistico-edilizia.
Nel capo II invece sono
contenute le disposizioni finalizzate allo snellimento ed alla semplificazione
delle procedure urbanistiche ed edilizie.
L’approvazione degli strumenti
urbanistici esecutivi (del Piano Regolatore) non è più di competenza delle
Regioni ma del Comune.
La legge n° 47/85
introduce anche una nuova categoria di opere edilizie che non era presente
nella precedente legislazione: le “opere
interne” per le quali non si richiede né concessione né autorizzazione,
purché:
§
non
comportino modifiche alla sagoma delle costruzioni ed ai prospetti;
§
non
comportino aumento delle superfici utili e delle unità immobiliari;
§
non
modifichino le destinazioni d’uso;
§
non
rechino pregiudizio alla statica della costruzione;
§
nel caso
di immobili in centri storici rispettino le caratteristiche costruttive
originarie.
Per l’esecuzione delle opere
interne basta presentare al Sindaco una relazione firmata da un professionista
abilitato alla progettazione.
Jus ædificandi e jus
possidendi
Il concetto del diritto di
proprietà ci accompagna fin dai tempi dell’antica Roma. Da allora è rimasto
quasi inalterato: dallo Statuto Albertino al Codice italiano del 1865, ed in
seguito nella Costituzione della Repubblica e nel Codice Civile che conferma la
pienezza del dominio seppure con alcuni limiti.
Ai cittadini è riconosciuto il
diritto di risiedere in un determinato luogo e la libertà di edificare sul
terreno di proprietà, pur nel rispetto del diritto dei confinanti e delle
regole di igiene e sicurezza stabilite dai regolamenti.
Nel diritto di proprietà è
quindi insito il diritto di edificare. Sembra perciò più appropriato il termine
di licenza edilizia con cui il sindaco autorizza una costruzione. La licenza è
un atto dovuto e, se il richiedente rispetta le regole, non può essere negata.
La concessione onerosa
introdotta dalla legge Bucalossi con cui la pubblica amministrazione consente
al privato di realizzare qualcosa, potrebbe lasciar intendere che tale diritto
esercitato dalla amministrazione stessa possa essere trasferito al privato
dietro pagamento di una quota; con ciò il diritto ad edificare non sarebbe più
insito nel diritto di proprietà.
Ecco perché la Corte
Costituzionale con sentenza n. 5 del 30/1/1980 decise che la L.n. 10/1977 (nota
come “legge Bucalossi”) non poteva arrogarsi il potere di trasferire questo
diritto. La Corte stessa accettò, comunque, il principio che la licenza
edilizia (gratuita) poteva essere trasformata in concessione onerosa.
Nel linguaggio giuridico il
significato di vincolo è: “l’assoggettamento o la soggezione di una persona in
quanto titolare, dal lato passivo, di una situazione cui fa riscontro un
diritto soggettivo altrui”; tale concetto è tipico del rapporto obbligatorio in
cui alla situazione giuridica attiva del creditore (dir. sogg. di credito),
corrisponde l’obbligo del debitore di adempiere. In generale potremmo dire
anche: “la limitazione del diritto di proprietà su un bene”.
Tale concetto compare in modi e
con contenuti diversi. Si possono quindi avere:
§
vincoli
speciali (ambientali, territoriali): agiscono su un territorio, o parte di esso,
ma anche su singoli edifici; a questa categoria appartengono i vincoli
paesaggistici, i vincoli posti dalle Soprintendenze su immobili di interesse
storico e artistico; sono di questo tipo i vincoli dipendenti da zone di
rispetto di strade, aeroporti, cimiteri, aree archeologiche, ecc.
Nelle zone sottoposte a tale tipo di vincolo non vige l’inedificabilità
assoluta, ma qualsiasi realizzazione o intervento deve sottostare al nulla-osta
dell’Ente che gestisce il vincolo;
§
vincoli
urbanistici: dipendono dalla destinazione d’uso delle aree
previste dal PRG. Nella maggior parte dei casi essi non prevedono
l’inedificabilità, ma la definiscono in modo preciso;
§
vincoli
edilizi: discendono dall’applicazione di norme e regolamenti, e si
concretizzano in limiti alle modalità di costruzione;
§
vincoli
procedurali: riguardano i tempi e i modi di operare.
Con particolare riferimento al
diritto amministrativo si può affermare che il vincolo assoluto e a tempo
indeterminato rientra nel concetto di espropriazione con conseguente obbligo
d’indennizzo.
La giurisprudenza ha infatti
parlato, con riferimento a queste ipotesi, di “espropriazioni non traslative”
contrapponendole a quelle traslative nelle quali vi è il passaggio di
titolarità dall’espropriato all’espropriante.
Il Regolamento Edilizio (R.E.) è uno strumento normativo che ha
validità nell’ambito del Comune e ha lo scopo di limitare o orientare
l’attività edificatoria privata; è
obbligatorio, per legge, per tutti i Comuni.
La legge n. 1150/42 stabilisce
all’art. 34 che, in assenza di piano Regolatore, il Regolamento Edilizio sia
integrato da un Programma di Fabbricazione.
Le materie regolamentate dal
R.E. vengono indicate nell’art. 33 della L.U.N. n.1150/42, e vengono ad
integrare quelle contenute nei regolamenti delle leggi comunali e provinciali.
Tale elencazione non è tassativa, quindi i Comuni hanno facoltà di emanare
norme regolamentari anche in altre materie non espressamente richiamate dal
citato art. 33.
A titolo di esempio si fornisce
un elenco incompleto delle materie regolamentate:
§
formazione, attribuzioni, e funzionamento della
Commissione Edilizia Comunale;
§
presentazione delle domande di concessione e
autorizzazione;
§
richiesta di punti di allineamento e di livello per
le nuove costruzioni;
§
compilazione di progetti di opere edilizie e la
direzione dei lavori di costruzione;
§
altezza massima e minima dei fabbricati secondo le
zone;
§
eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal
filo stradale;
§
ampiezza e formazione dei cortili e degli spazi
interni;
§
sporgenze su vie e spazi pubblici;
§
aspetto dei fabbricati, decoro dei servizi, e degli
impianti che interessano l’estetica dell’edilizia urbana;
§
norme igieniche di interesse edilizio;
§
recinzione e manutenzione aree scoperte, parchi e
giardini privati;
§
vigilanza sull’esecuzione dei lavori;
Le norme del R.E. si
suddividono in tre gruppi:
§
norme di
procedura, riguardanti composizione, competenza e
funzionamento della Commissione Edilizia, ecc.;
§
norme di
carattere edilizio e urbanistico, riguardanti la definizione
degli indici e dei parametri edilizi, ecc.;
§
norme di
carattere igienico-sanitario, riguardanti le dimensioni dei locali,
l’illuminazione e l’aerazione degli stessi, i servizi igienici ecc.
Il contenuto delle norme del
R.E. tende a ridursi per effetto del passaggio di molte prescrizioni nelle
Norme Tecniche di Attuazione dei Piani Regolatori.
Alcune, infine, possono essere
integrative del Codice Civile con riferimento alla disciplina:
§
della proprietà edilizia;
§
delle distanze nelle costruzioni;
§
delle luci e delle vedute;
§
dello stillicidio, ecc.
Procedura di formazione del Regolamento Edilizio
Il R.E. è adottato con
deliberazione del Consiglio Comunale e trasmesso alla Regione per
l’approvazione.
In sede di approvazione la
Regione può introdurre modifiche al R.E. Tali modifiche sono comunicate al
Comune che entro 60 giorni adotta le proprie controdeduzioni.
Riferimenti bibliografici
Carnelutti – Bigiavi – Caltabiano
(a cura di), Codice
Civile e Leggi Complementari. Editore: Cedam
Colombo – Pagano – Rossetti, Codice dell’urbanistica.
Editore: Pirola
Giorgio Boaga, Corso di Tecnologia delle Costruzioni – vol. 3.
Editore: Calderini
Luigi Gatti, Tecnologia delle costruzioni – vol. 3. Editore:
Edisco
Koenig – Furiozzi – Fanelli – Bugatti – Brunetti,
Tecnologia delle Costruzioni – Nuova edizione modulare, vol. 3. Editore: Le
Monnier
Francesco Ognibene, Elementi di urbanistica. Editore: SEI
Gian Luigi Rinaldi, Disegno e progettazione – vol. 3, tomo 2.
Editore: Masson scuola
Vizzardi – Piatti, Estimo agrario – civile – catastale.
Editore: Delphinus