INDICE DEGLI ARGOMENTI
PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO – (PTC)
PIANO TERRITORIALE PAESISTICO – (PTP)
PIANO DI COMUNITA’ MONTANA – (PCM)
PIANO REGOLATORE GENERALE – (PRG)
PIANO PARTICOLAREGGIATO ESECUTIVO – (PPE)
PIANO ESECUTIVO CONVENZIONATO – (PEC)
PROGRAMMA DI FABBRICAZIONE – (PdF)
Sotto il profilo funzionale (il
ruolo, cioè, che ogni tipo di piano svolge nell’ormai ampio e complesso
contesto della pianificazione fisica del territorio) gli strumenti urbanistici
si distinguono come segue per livello e tipologia:
1) Piani di inquadramento o piani
quadro: sono quei piani che fissano gli obiettivi e forniscono le linee
programmatiche dell’assetto di un territorio generalmente vasto (piano generale
e comprensoriale). Indicano le ipotesi dei grandi assi di mobilità; i criteri
indicatori per la destinazione d’uso del territorio; la localizzazione di
importanti impianti di interesse generale; la distribuzione spaziale dei
vincoli delle limitazioni da imporre all’uso del territorio; per esempio: Piano Territoriale di Coordinamento, Piano di Comunità Montana, Piano Paesistico.
2) Piani generali: sono quei
piani che, in accordo con le direttive del piano quadro, definiscono l’assetto
di un ambito territoriale generalmente limitato (il territorio di un solo
comune o, eccezionalmente, di più comuni). Essi traducono gli obiettivi e le
linee programmatiche del piano quadro in vincoli, limitazioni, destinazioni e
modalità d’uso del territorio per guidarne lo sviluppo e per organizzarvi gli
interessi pubblici e privati modificativi; per esempio: Piano Regolatore Generale
Comunale (PRGC).
3)
Piani attuativi: sono quei piani
che, in accordo con le previsioni del piano generale, precisano gli interventi
sul territorio e ne organizzano l’attuazione. Essi riguardano, generalmente,
ambiti spaziali molto limitati, di uno oppure di più Comuni confinanti. I piani
attuativi servono a “specificare” le
previsioni del piano generale; possono definire anche l’assetto urbanistico
generale di una zona; per esempio: Piani
Particolareggiati Esecutivi (PPE),
Piani Esecutivi Convenzionati (PEC).
Il P.T.C. ha come obiettivo preminente il coordinamento delle attività
economiche e sociali pubbliche e private nonché quello di promuovere lo
sviluppo di nuove attività nel territorio cui il piano si riferisce.
Viene introdotto nell’ordinamento
giuridico italiano dalla legge urbanistica del 1942; tuttavia, come altri strumenti
urbanistici, non trova attuazione immediata a causa delle note vicende belliche
nelle quali l’Italia è coinvolta. Al cessare delle ostilità cominciano ad
affermarsi anche da noi i principi della pianificazione urbanistica già
presenti nelle nazioni occidentali. Si delinea una tendenza favorevole ai
P.T.C. sostenuta dai governi dell’epoca attraverso il Ministero dei Lavori
Pubblici.
Verso la metà degli anni Sessanta in
mancanza delle promesse riforme strutturali (istituzione delle Regioni a
statuto ordinario, e del regime dei suoli) che avrebbero dovuto soddisfare le
esigenze di una corretta pianificazione territoriale, i P.T.C. vengono
accantonati per l’impossibilità di portarli avanti concretamente.
Quando negli anni Settanta vengono
istituite le Regioni a statuto ordinario la pianificazione regionale viene
rilanciata con le dovute correzioni: il P.T.C. interesserà porzioni di
territorio regionale (comprensori).
In fine vi è da notare che negli anni
Ottanta la legge Galasso (l.n. 431/1985) propone una forma particolare di
pianificazione territoriale che ha per fine la tutela dei valori paesistici ed
ambientali. E’, in sostanza, il recupero e l’aggiornamento dei piani paesistici istituiti nel lontano
1939 con la legge n. 1497 sulla tutela delle bellezze naturali.
Soggetti estensori del P.T.C.
Inizialmente il compito di formare i
P.T.C. spettava allo Stato per mezzo del Ministero dei LL.PP.; in seguito tale
compito è stato delegato alle Regioni per passare, poi, con la l.n.142/1990
sull’ordinamento delle autonomie locali, tra le competenze delle Province.
La L.U.N. del 1942 pur non precisando
l’estensione minima del P.T.C. lasciava intendere che avrebbe dovuto
coinvolgere più Comuni. La dimensione più adottata è stata quella regionale;
non tanto un territorio delimitato da precisi confini amministrativi, quanto
piuttosto un ambito geografico. In seguito l’ambito geografico si è
identificato con i comprensori e, dopo l’entrata in vigore della succitata
l.n.142/1990 con la Provincia e, nel caso delle grandi città, con le cosiddette
aree metropolitane.
Contenuto del P.T.C.
Esso si suddivide in vari settori di
analisi e progettazione che si concretizzano in cartografie e norme di
attuazione:
§
individuazione
di aree lavorative e produttive onde programmare in modo ottimale gli
insediamenti agricoli, industriali, commerciali, turistici;
§
individuazione
di insediamenti urbani e rurali onde distribuire equamente le residenze in
relazione ai centri di produzione e ad essi proporzionarle;
§
individuazione
di zone paesistiche e attrezzature per lo svago ed il turismo in funzione di un
miglioramento dell’ambiente in cui l’uomo vive e lavora;
§
individuazione
di zone e attrezzature sociali (ospedali, scuole, parchi urbani, ecc.);
§
individuazione
della rete dei trasporti onde agevolare lo spostamento di uomini e merci ed
inserirla armonicamente nel paesaggio.
Gli elaborati a corredo del progetto
potrebbero essere i seguenti:
1.
Relazione
illustrativa dei caratteri fisici, morfologici ed ambientali del territorio;
2.
relazione
illustrativa degli obiettivi di sviluppo socio-economico della regione e delle
scelte di assetto territoriale idonee a conseguire tali obiettivi;
3.
il
progetto di PTC, consistente in una serie di tavole idonee ad illustrare e
definire l’assetto territoriale previsto;
4.
un
insieme di norme attuative del PTC con particolare riguardo alle direttive ed
ai criteri metodologici per la formazione dei piani urbanistici di scala più
piccola (Comprensoriali o Comunali);
5.
un
programma degli interventi previsti, con l’indicazione delle priorità, delle
risorse necessarie e delle possibili fonti di finanziamento.
Iter di formazione del P.T.C.
Ogni Regione ha disciplinato con
leggi proprie la formazione e l’approvazione del P.T.C. sulla base dei criteri
dettati dalla legge urbanistica nazionale. In seguito all’entrata in vigore
della 142/1990 la predisposizione e l’adozione del P.T.C. è affidata alla
Provincia mentre l’approvazione è riservata alla Regione.
In generale la procedura di
formazione di un P.T.C. è la seguente:
1.
fase conoscitiva,
durante la quale si studiano le caratteristiche dominanti del territorio
(localizzazione popolazione, attività economiche, mobilità persone, interazioni
fra aree, ecc);
2.
fase
pre-progettuale, che comprende l’analisi dei problemi e la definizione degli
obiettivi di assetto territoriale, la formazione di alternative di assetto, la
scelta dell’alternativa più valida;
3.
fase
progettuale, durante la quale si quantificano le risorse economiche e
finanziarie disponibili e si disegna il progetto di piano con le norme di
attuazione.
I
Piani territoriali paesistici (P.t.p.)
sono strumenti urbanistici di livello territoriale contenenti prescrizioni per
un armonioso sviluppo di intere zone che si vogliono tutelare per la
particolarità ed unicità della loro bellezza.
I P.t.p. già previsti dalla l.n.
1497/1939 sulla protezione delle bellezze naturali e resi operanti dal
regolamento di attuazione n.1357/1940 sono stati riproposti dalla legge Galasso
n.431/1985 che ha assimilato ai Piani paesistici i Piani Territoriali di
Coordinamento recanti specifiche considerazioni dei valori paesistici
ambientali. La legge ha inoltre sancito l’obbligo per le Regioni di dotarsi di
un Piano paesistico al fine di valorizzare le risorse ambientali.
Il decreto n.1357 indica in modo
sintetico il contenuto dei piani territoriali paesistici i quali devono:
§
stabilire
le zone di rispetto dal perimetro delle località soggette a vincolo
paesaggistico;
§
stabilire
il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna località soggetta a
vincolo;
§
dettare
le norme per i vari tipi di costruzione (tipi edilizi) in relazione alle
caratteristiche ambientali;
§
prevedere
la distribuzione dei fabbricati e i relativi allineamenti in modo da
salvaguardare l’assetto panoramico esistente e, se possibile, migliorarlo;
§
dettare
le istruzioni per la scelta della flora e la relativa distribuzione.
Prima del trasferimento alle Regioni
di alcuni poteri in materia di tutela ambientale, erano le Sovrintendenze
incaricate dal Ministero a redigere e approvare i P.t.p.; attualmente il
compito spetta alle Regioni. Fino al 1985 hanno trovato scarsa applicazione:
all’epoca erano soltanto 14 i P.t.p. in vigore divisibili in due gruppi: quelli
che regolamentavano un contesto a prevalente componente naturale (Argentario,
Portofino, Ancona-Portonovo, Terminillo) e quelli riguardanti un contesto
caratterizzato da stratificazioni dovute all’azione dell’uomo (S.Ilario-Nervi,
Versilia, Gabicce, Osimo, Assisi, Roma-Appia Antica, Sperlonga, Ischia,
Procida). Sono stati redatti tutti nel tentativo di contenere le forti spinte
alla trasformazione (cementificazione speculativa).
La legge 3 Dicembre 1971 n°
1102 detta norme per lo sviluppo delle aree di montagna, le quali coprono oltre
la metà del territorio nazionale. Le finalità della legge sono quelle del
riequilibrio economico e sociale della montagna, nel quadro delle indicazioni
dei programmi regionali. La legge mira a promuovere la valorizzazione delle
zone montane, opportunamente articolate in “comunità”, attraverso la predisposizione ed attuazione di programmi
di sviluppo e di piani territoriali di zona, istituti che non hanno precedenti
nel nostro ordinamento giuridico e che per la prima volta si ispirano ad una
visione globale del territorio interessato prendendo atto della necessità di
avviare un’organica azione di programmazione economica e territoriale a livello
sovracomunale.
I Comuni compresi in ciascuna zona
omogenea costituiscono a tal fine una comunità montana che è un ente di diritto
pubblico, dotato di potere programmatorio dello sviluppo economico sociale e di
potere pianificante dello sviluppo urbano e degli interventi di bonifica; cioè
di un ampio potere d’intervento sul territorio.
Il piano zonale di sviluppo parte da
un esame conoscitivo della realtà della zona, tenuto conto degli strumenti
urbanistici esistenti e dell’eventuale piano di bonifica; esamina la
possibilità di sviluppo nei vari settori ed indica la localizzazione ed il
costo degli interventi proposti.
Il piano urbanistico (sovracomunale) di Comunità Montana, è un piano
territoriale, cioè un piano-quadro di cui debbono tenere conto i Comuni nel
redigere i loro strumenti urbanistici (PRG o PF) ed i Consorzi di Bonifica nel
redigere i loro piani generali di
bonifica.
Il Piano Regolatore Generale (molti Comuni
sono soliti chiamare questo strumento PUC cioè piano urbanistico comunale) è lo
strumento fondamentale della disciplina urbanistica di un Comune. Ha le
caratteristiche di un progetto di massima che configura la futura sistemazione
del territorio comunale e stabilisce le direttive e i vincoli necessari per
attuarla tenuto conto delle condizioni ambientali e delle esigenze della
popolazione.
Esso
ha per oggetto il territorio di un solo Comune (PRGC) o di più Comuni (PRGI)
ed in questo caso si chiamerà Piano Regolatore
Generale Intercomunale.
Un po’ di storia
L’attuale versione dei piani regolatori generali prende le
mosse dalla l.n.2359/1865 la quale prevedeva solo piani di carattere viario
senza modificazione d’uso del suolo e senza un criterio di organizzazione della
città. L’insufficienza della legge manifestò presto i suoi limiti, specialmente
nel caso di molte grandi città. Ciò determinò la necessità di leggi speciali
che, caso per caso, rendessero possibile la formazione di Piani Regolatori. In
seguito emerse la necessità di nuove disposizioni nazionali. Si pervenne così
alla legge urbanistica n.1150/1942, tuttora vigente, anche se modificata ed
integrata in alcune sue parti da successive disposizioni.
Tale legge conferiva al Comune il compito, sia della
predisposizione, sia dell’attuazione, del P.R.G., ma la mancanza da parte dei
Comuni di adeguati mezzi finanziari e tecnici, le difficoltà procedurali e gli
scarsi strumenti d’intervento si sono rivelati dei forti ostacoli alla piena
applicazione della legge. Per tutti gli anni ’50 e ’60, fino alla entrata in
vigore della l.n.765/1967, i Piani Regolatori furono attuati subordinando la
costruzione degli edifici (riconosciuta come diritto inalienabile del
cittadino) al rilascio delle licenze edilizie, mentre i piani di lottizzazione
di iniziativa privata sostituivano di fatto i piani particolareggiati esecutivi
di iniziativa pubblica.
Lo sviluppo urbanistico risultò governato per molti anni con
finalità ben diverse da quelle previste dal legislatore nella legge del 1942.
Alla fine degli anni Sessanta, in coincidenza di un
rinnovamento politico e culturale, vi fu un profondo ripensamento sulla natura
e caratteristiche della pianificazione urbanistica. Il concetto di
programmazione divenne centrale ed il Piano Regolatore rafforzò il significato
di strumento di programmazione dello sviluppo locale. L’efficacia del P.R.G.
come strumento di pianificazione locale entra in crisi dalla seconda metà degli
anni Ottanta, quando i problemi delle grandi infrastrutture (per le
comunicazioni e i trasporti, per il terziario, per il tempo libero) assumono
rilevanza tale da richiedere soluzioni di livello territoriale.
Contenuti del P.R.G.
L’art.
7 della L.n. 1150/42, stabilito che il P.R.G. deve essere esteso a tutto il
territorio comunale, ne fissa i contenuti:
1.
rete
delle principali comunicazioni stradali, ferroviarie, navigabili e relativi
impianti;
2.
zonizzazione
del territorio comunale;
3.
aree
destinate a formare spazi ad uso pubblico;
4.
aree da
riservare a edifici pubblici o di uso pubblico;
5.
vincoli
da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6.
norme
per l’attuazione del piano.
Per integrare questo
elenco ricordiamo che la l.n.765/1967 introduce altre disposizioni relative a:
§
limiti inderogabili
di densità edilizia, altezza, distanza tra i fabbricati, ecc.;
§
obbligo
di riservare nelle nuove costruzioni appositi spazi per parcheggi in misura di
1 m2 ogni 20 m3 di costruzione (in seguito elevati a 2 m2
ogni 20 m3);
§
al di
fuori dei centri abitati devono essere osservate determinate distanze a
protezione del nastro stradale.
Documenti che contribuiscono a
formare il P.R.G.
In mancanza di precise
indicazioni da parte della legge urbanistica nazionale, provvedono a questo
scopo le leggi urbanistiche regionali. In generale un P.R.G. è formato dai
seguenti elaborati:
§
cartografia
in scala opportuna;
§
testo
delle norme tecniche di attuazione;
§
relazione
illustrativa.
L’insieme della
cartografia può essere costituito da:
§
tavola
d’inquadramento del P.R.G. nel contesto regionale (scala 1:25000 o 1:50000);
§
una o
più tavole dell’intero territorio comunale (scala 1:10000 o 1:5000);
§
una o
più tavole relative al centro edificato (scala 1:2000 o 1:1500);
§
altri
elaborati per eventuali indicazioni di dettaglio (scala 1:1000).
Formazione e validità del P.R.G.
La formazione del P.R.G.
avviene su delibera del Consiglio Comunale che può affidare l’incarico di
redigerlo ad un professionista (o gruppo) esterno o, in alternativa, al proprio
Ufficio Tecnico.
La formazione di un
P.R.G. si articola in due fasi:
§
fase
delle analisi conoscitive;
§
fase
progettuale.
Nella prima fase si
raccolgono informazioni e dati relativi alla situazione esistente nel
territorio da pianificare sia dal punto di vista paesistico-ambientale che
della struttura insediativa e produttiva in tutte le sue componenti. Ciò
costituisce il presupposto per delineare un quadro puntuale dello stato di
fatto del territorio da pianificare onde pervenire alle scelte di piano. Queste
sono principalmente scelte politiche di competenza degli Amministratori locali,
mentre spetta ai progettisti del piano individuare le modalità tecniche per la
loro attuazione.
In base alla L.n. 1150/42
il P.R.G. ha validità illimitata. Nel corso della sua validità il P.R.G. può
essere soggetto a varianti oppure può essere sostituito da un P.R.G. di nuova
formazione. Nella pratica corrente il P.R.G. ha, invece, validità limitata nel
tempo e comunque condizionata dalle previsioni dei P.T.C., qualora esistano.
Iter procedurale di formazione e
approvazione
1.
il
Consiglio Comunale delibera di procedere alla formazione del P.R.G.;
2.
il
Comune incarica uno o più progettisti (ingegneri, architetti) o il proprio
Ufficio Tecnico della formazione del P.R.G.;
3.
formulazione
di pareri preventivi obbligatori (in base alla legge n. 64/1974);
4.
entro
12 mesi dall’affidamento dell’incarico il progetto di P.R.G. viene sottoposto a
deliberazione del Consiglio Comunale;
5.
il
P.R.G. adottato viene depositato presso la Segreteria Comunale per 30 giorni consecutivi
durante i quali ciascuno può prenderne visione;
6.
entro
60 giorni dalla data di pubblicazione, enti o privati, se lo ritengono
opportuno, possono presentare le loro “osservazioni” al piano al fine di
collaborare al suo perfezionamento;
7.
il
Consiglio Comunale delibera sulle controdeduzioni alle osservazioni e quindi
anche sulle eventuali modifiche al piano;
8.
tutti
gli atti relativi al P.R.G. sono inviati alla Regione per l’approvazione;
9.
il
P.R.G. è approvato dal Presidente della Giunta Regionale (in precedenza il
Piano è stato visionato dai competenti uffici tecnici regionali per il
necessario visto per il controllo di legittimità da parte del Co.Re.Co.);
10.
il
piano, dopo l’approvazione da parte della Regione, viene depositato presso il
Comune in libera visione per tutto il periodo della sua validità.
Contro
il P.R.G. approvato può essere presentato ricorso al Tribunale Amministrativo
Regionale (T.A.R.) oppure ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Il P.P.E. è uno strumento di attuazione del Piano Regolatore Generale
previsto dalla L.n. 1150/1942. Tale legge dedica al P.P.E. la Sezione II
(articoli 13 – 17) nella quale indica contenuti, procedura di formazione e
approvazione, validità del piano.
Contenuti del P.P.E.
Secondo l’art. 13 della L.n. 1150/42
il P.P.E. deve dare indicazioni circa:
§
la rete
stradale;
§
i
principali dati altimetrici;
§
le
masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade o piazze;
§
gli
spazi riservati a opere e impianti d’interesse pubblico;
§
gli
edifici destinati a demolizione e ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a
bonifica edilizia;
§
la
suddivisione degli isolati in lotti fabbricabili;
§
gli
elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare;
§
le
profondità delle zone laterali a opere pubbliche la cui occupazione serve a
integrare le finalità delle opere stesse e a soddisfare prevedibili esigenze
future.
Il P.P.E. deve essere corredato anche
da una relazione di previsione di
massima delle spese occorrenti per
l’acquisizione delle aree e per le sistemazioni necessarie per l’attuazione del
piano.
Il P.P.E. è sempre corredato da una
rappresentazione planivolumetrica molto dettagliata dell’ambiente circostante
allo scopo di conciliare il rispetto delle norme dettate dal P.R.G. con una
corretta composizione dei volumi e degli spazi liberi, in vista della fase
successiva di progettazione degli edifici previsti.
L’iniziativa per l’approvazione del
P.P.E. spetta al Comune. Tuttavia la
Regione, qualora vi siano zone di particolare interesse da tutelare, può
fissare un termine per la compilazione del P.P.E.
In sintesi la procedura di formazione
e approvazione può essere la seguente:
§
compilazione
del P.P.E. da parte del Comune;
§
adozione
del P.P.E. con apposita delibera del consiglio Comunale;
§
deposito
del P.P.E. presso la Segreteria Comunale per 30 giorni consecutivi durante i
quali se ne può prendere visione e nei successivi 30 presentare osservazioni e
opposizioni ad esso.
Accanto alle osservazioni la legge consente vere e proprie “opposizioni” al P.P.E. da parte dei
proprietari degli immobili compresi nel piano. Sulle osservazioni è chiamato ad
esprimersi il Consiglio Comunale mentre le opposizioni devono essere decise con
il decreto regionale di approvazione;
§
approvazione
del P.P.E. da parte della Regione mediante decreto la cui data di approvazione
rappresenta quella di entrata in vigore del piano;
§
notifica
del decreto di approvazione a ciascun proprietario degli immobili vincolati dal
P.P.E.
A decorrere dalla data di
approvazione del P.P.E. da parte del Consiglio Comunale si applicano
obbligatoriamente le misure di
salvaguardia previste dalla l.n.1902/1952.
L’approvazione del P.P.E. equivale a
dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso previste, per cui gli
immobili necessari per la realizzazione dei servizi e di impianti pubblici
previsti dal piano possono essere sottoposti a procedimenti di esproprio. Ad
approvazione avvenuta il P.P.E. può essere impugnato ricorrendo al T.A.R.
Nei termini di validità del P.P.E.
(fissata in 10 anni) il Comune può procedere alla formazione di “comparti edificatori” a norma dell’art.23 della L.n. 1150/42.
La formazione del comparto consente
al Sindaco di invitare i proprietari degli immobili compresi nel comparto a
dichiarare, entro un dato termine, la propria disponibilità a procedere alle
trasformazioni stabilite dal P.P.E. da soli o riuniti in consorzio.
Il consorzio è valido se vi
aderiscono almeno i proprietari di 3/4 del valore del comparto in base
all’imponibile catastale, e gli stessi possono conseguire la disponibilità di
tutto il comparto mediante l’espropriazione delle costruzioni dei proprietari
non aderenti.
L’istituto del comparto non ha avuto
larga applicazione per la mancata emanazione del regolamento di attuazione
della legge n. 1150/1942; tuttavia nelle legislazioni regionali esso è stato
riproposto con lo scopo di agevolare l’attuazione dei P.P.E.
Il Piano Esecutivo Convenzionato (P.E.C.) è la versione aggiornata del
Piano di Lottizzazione convenzionato di cui all’art. 28 della legge n.
1150/1942. Esso viene proposto dai privati in presenza di piano Regolatore
Generale o di programma di Fabbricazione vigenti, in attuazione degli stessi.
Il P.E.C. si differenzia dal P.P.E.
per:
§
la
diversa figura del promotore (un
privato anziché la pubblica amministrazione);
§
il non
poter imporre limitazioni efficaci erga
omnes (nei confronti di chiunque) da cui origini il potere di espropriare
gli immobili necessari per le sistemazioni urbanistiche in esso previste.
I P.E.C. possono essere di libera
iniziativa o obbligatori quando espressamente previsti dal P.R.G.
Gli elementi fondamentali di un
P.E.C. sono:
a) la convenzione
fra Comune e privati che prevede:
§
la
cessione gratuita, entro termini prestabiliti, delle aree necessarie per le
opere di urbanizzazione primaria;
§
la
cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione
secondaria la cui dimensione deve rispettare almeno i minimi standard di legge
(art. 3 D.M. n. 1444/1968); in determinate situazioni la cessione delle aree
può essere sostituita dal pagamento al Comune di una somma corrispondente al
valore delle stesse;
§
l’assunzione
a carico dei proprietari degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione
primaria, alla parte di opere di urbanizzazione secondaria relative al P.E.C. e
a quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi
(è facoltà dei privati di realizzare in proprio parte di dette opere a scomputo
dell’importo da corrispondere al Comune);
§
termine
non superiore a 10 anni entro il quale deve essere ultimata l’esecuzione delle
opere inerenti l’urbanizzazione;
§
congrue
garanzie finanziarie per gli obblighi derivanti al privato per effetto della
stipula della convenzione;
b) la verifica
degli standard urbanistici stabiliti dal P.R.G. riferiti alla capacità
insediativa del P.E.C. calcolata secondo le prescrizioni dello strumento
urbanistico;
c) il rispetto
dei parametri edificatori stabiliti dal P.R.G. (densità edilizia, rapporto
di copertura, distacco dai confini, altezza, ecc.);
d) la traduzione
grafica delle scelte urbanistiche riguardanti la viabilità interna,
l’ubicazione dei fabbricati, la sistemazione delle attrezzature pubbliche e
l’estensione dei lotti da edificare.
I P.E.C. sono approvati dal Comune
con delibera del Consiglio comunale. Le destinazione d’uso delle aree e dei
fabbricati fissate dal P.E.C. hanno efficacia nei confronti di chiunque. Va
tenuto presente che in presenza di un P.E.C. approvato bisogna, comunque, chiedere la concessione edilizia per
attuare gli interventi in esso previsti e si ha l’obbligo di attendere il rilascio della stessa
prima di dare inizio ai lavori.
In particolari situazioni il Sindaco
può invitare i proprietari di aree fabbricabili assoggettate a P.E.C. a
presentare un progetto di Piano Esecutivo; in questo caso si avrà un Piano
Esecutivo Convenzionato Obbligatorio.
La legge urbanistica nazionale
all’art. 34 prevede, per i Comuni sprovvisti di P.R.G., il Programma di Fabbricazione (P.d.F.), uno strumento urbanistico più
semplice del P.R.G. per contenuti, effetti e procedura di approvazione. Il
P.d.F. integra la normativa contenuta nel Regolamento Edilizio (R.E.) con
prescrizioni di carattere urbanistico come, ad esempio, la suddivisione in zone
del territorio comunale e la disciplina specifica per le varie zone.
All’entrata in vigore del D.M. n.
1444/68 dovevano essere osservati gli standard
urbanistici (*) sia nella
formazione di nuovi P.d.F. sia nella revisione di piani già esistenti.
Questa prescrizione si rivelò di
difficile applicazione in quanto il P.d.F., per sua natura, non può prevedere
vincoli di aree a fini pubblici. Esso infatti nasce come strumento di prima
razionalizzazione del territorio comunale e presenta, quindi, una limitata
efficacia operativa in quanto non di sua competenza la previsione della viabilità come invece avviene per il Piano
Regolatore Generale.
Al P.d.F. non possono essere mosse
osservazioni per cui il suo iter di formazione non fornisce garanzie di
democraticità. Per questi motivi e per la sua manifesta inadeguatezza ad
affrontare le complesse problematiche territoriali sempre più presenti anche
nei piccoli centri, il P.d.F. è caduto in disuso ed escluso, in quasi tutte le
regioni, dagli strumenti urbanistici generali.
(*) Il concetto di standard è entrato
nella prassi urbanistica italiana con il D.M. n. 1444/68 che stabilisce le
quantità minime di aree per servizi da introdurre negli strumenti urbanistici
generali. Tali quantità minime sono differenziate a seconda delle destinazioni
previste: si hanno quindi standard per insediamenti residenziali, attività
produttive, attività direzionali e commerciali, attività agricole.