IL RISK MANAGEMENT SECONDO JP MORGAN: L’EXPOSURE MANAGEMENT

L’Exposure Management (EM) è l’attività di amministrazione delle esposizioni finanziarie, e quindi, dei relativi flussi finanziari e del valore dell’azienda. Lo scopo finale dell’EM infatti, è aumentare il valore delle aziende che ne adottano le metodologie.

In questa appendice sarà allora illustrato un programma di EM o il suo rafforzamento di uno già esistente; il tutto seguendo il punto di vista della JP Morgan, banca d’affari Usa, leader mondiale nel settore del risk management.

La gestione delle opportunità e delle esposizioni finanziarie implica tre passaggi fondamentali:

1 – identificazione e quantificazione delle esposizioni correnti;

2 – determinazione della esposizione desiderata;

3 – realizzazione di una soluzione appropriata.

Il processo in questione enfatizza i seguenti principi:

  1. le esposizioni finanziarie devono essere considerate parte del core business di ogni azienda. Tutte le aziende infatti fronteggiano sia business risk (rischi cioè legati alla produzione e al processo di marketing dei propri prodotti), che rischi finanziari e cioè legati all’esposizione verso tassi di interesse, valute estere, prezzo delle commodities, inadempimento controparti, e così via. Compreso ciò, è bene evidenziare che le esposizioni possono comunque essere gestite in modo efficiente e tale da far guadagnare, alle relative aziende, vantaggi concorrenziali. Bisogna però precisare che solo i rischi finanziari possono essere scambiati; ciò perché la moderna ingegneria finanziaria li ha standardizzati fino a farli diventare vere e proprie commodities, tali da avere un proprio mercato liquido ed efficiente. Attualmente i rischi finanziari vengono chiamati "traded market factors" ovvero fattori di mercato scambiabili.
  2. Una gestione attiva dell’EM non significa però, speculare sui fattori di rischio. Le aziende con una esposizione finanziaria hanno infatti tre possibili strade da percorrere: 1) non fare niente e quindi rimanere esposte ai movimenti dei fattori di rischio; 2) usare le tecniche dell’EM per "scambiare" i rischi finanziari sul mercato: è un approccio speculativo che spesso riserva brutte sorprese; 3) coprire i rischi finanziari in questione, minimizzandone i costi, accrescendo il valore della azienda e permettendo al management di concentrarsi sui business risk. Chiaramente in questo lavoro, la JP Morgan "sponsorizza" ed approfondisce questa terza scelta, ritenendola la migliore in assoluto. Teoria che oramai sta diffondendosi in tutto il mondo ed in ogni settore economico-aziendale.
  3. I derivati non sono il solo strumento per la gestione delle esposizioni finanziarie, ma spesso sono il meno costoso e il più flessibile. I derivati infatti, permettono la separazione delle esposizioni finanziarie dai relativi fattori di rischio, e quindi, permettono la cessione di questi sul mercato in modo autonomo, preciso e flessibile. Ne consegue anche che i derivati permettono anche la riduzione della volatilità degli utili aziendali.
  4. L’EM deve essere gestito considerando anche le capacità e i rischi che gli stessi derivati comportano, e che quindi devono essere continuamente misurati e monitorati. In materia ha particolare importanza uno studio pubblicato nel 1993 dal Gruppo dei Trenta (G30), intitolato "Derivatives: Pratices and Principles", oramai divenuto il punto di riferimento sui principi di gestione ed uso dei derivati in tutto il mondo.


1. PERCHE’ GESTIRE LE ESPOSIZIONI FINAZIARIE

Questo capitolo mostra le argomentazioni a favore della gestione attiva delle esposizioni finanziaria e cioè la stabilizzazione dei flussi finanziari e la crescita del valore delle azienda. Si osservi che però esse non sono universalmente accettate.

1.1 E.M. e azionisti

La ragione più importante e convincente nell’uso delle tecniche dell’EM, è che riescono ad aggiungere valore alle aziende. In generale, infatti, i mercati finanziari valutano le aziende in base al valore attuale netto dei loro flussi finanziari futuri attesi, e quindi le decisioni puramente finanziarie dell’EM, non possono che influenzare positivamente proprio la determinazione del valore delle aziende.

1.2 Stabilizzazione dei flussi finanziari

Quando una azienda gestisce i suoi rischi in ordine alla stabilizzazione dei propri flussi finanziari, i benefici si rivelano in diversi modi:

1 – il mercato ha trattato sempre in modo favorevole le aziende che stabilizzano i propri flussi finanziari. Tali aziende, infatti, spesso vengono scambiate "a premio". La copertura dei rischi finanziari attraverso i derivati infatti, come già detto, stabilizza i flussi finanziari, nonché gli utili, delle relative aziende, aumentando, infine, il valore della azienda stessa.

2 – la stabilizzazione dei flussi finanziari accresce la probabilità di avere un livello di reddito sempre sufficiente ed adeguato al livello di rischiosità della stessa azienda, e quindi riduce la probabilità di default della stessa, nonché i costi per risolvere eventuali problemi finanziari. La figura sotto mostra proprio ciò, e cioè, come la copertura apporta benefici alla distribuzione del reddito netto:

La dispersione (deviazione standard) del reddito netto è minore nel caso di copertura dei s.d. rischi. Di conseguenza, la probabilità che il reddito scenda al di sotto del c.d. "distress level" (parte in cui la linea blu è sopra quella rossa) è minore.

3 – la legislazione tributaria solitamente prevede una minore imposizione per le aziende che producono utili stabili nel tempo.

4 - la copertura dei rischi finanziari con i derivati, aiuta poi le aziende ad evitare e/o meglio fronteggiare, i cattivi cicli economici che poi, possono portare a differire investimenti programmati, e/o magari a realizzarli in momenti non più ottimali. L’EM invece, incoraggiando una visione della gestione aziendale a medio e lungo termine, sostiene sempre gli investimento e la crescita del valore delle aziende.

5 - riducendo la volatilità dei flussi finanziari, le aziende provvedono ad una sorta di "assicurazione" per i sottoscrittori di obbligazioni emesse, per i propri creditori, e così via. Ne consegue una crescita delle capacità di indebitamento della stessa azienda, nonché della fiducia che la comunità finanziaria nutre nei confronti della stessa.

1.3 Alcune Osservazioni

Confrontando le aziende finanziarie con quelle non finanziarie, è abbastanza evidente come la gestione dei rischi finanziari , per il momento, sia attiva solo nelle prime.

Da appositi studi di Nance, Smith e Smithson (1993), però, emerge chiaramente che le aziende con una gestione attiva dei rischi finanziari operano in modo molto più efficiente e stimolante, e ciò non può che valere anche per le aziende non finanziarie.

Brewer, Minton e Moser (1994) invece, con propri studi, hanno dimostrato come le banche che coprono i propri rischi finanziari in modo attivo, traggono poi benefici dal fatto che meglio possono concentrarsi sul proprio core business e sui relativi rischi; a conferma di quanto già detto in precedenza.


2. IDENTIFICAZIONE DELLE ESPOSIZIONI FINANZIARIE

Ogni azienda nella conduzione del proprio core business, implicitamente o esplicitamente, assume, continuamente, esposizioni finanziarie, che poi, vanno ad influire sul valore dell’azienda.

Identificate tali esposizioni finanziarie, il management deve poi passare a gestirle. A tal proposito, è bene che ogni azienda già a priori, stabilisca le esposizioni finanziarie che vuole e non vuole assumersi. Scopo di questo capitolo allora, è descrivere proprio un metodo che le aziende possono seguire per identificare le proprie esposizioni, nonché quelle di propri concorrenti; questo metodo prende il nome di "exposure and opportunities identification", e coinvolge i flussi finanziari dell’azienda e le quantità che influiscono sul valore della stessa.

In questo capitolo allora, passo dopo passo, vedremo le diverse categorie di elementi dell’azienda che influenzano la sua posizione finanziaria. Chiaramente, dati i nostri scopi, faremo maggiore attenzione alla identificazione e alla gestione delle esposizioni finanziarie ed economiche, tralasciando le "transaction exposure".

2.1 Il Conto Economico

L’analisi delle esposizioni finanziarie parte proprio dal bilancio d’esercizio dell’azienda. Iniziamo allora ad analizzare il conto economico.

Nello svolgimento della propria attività, ogni azienda sostiene in continuo costi e ricavi. Le prime questioni da chiarire allora, sono:

Passiamo ora alla categoria (sempre del conto economico) "cost of goods sold" (COGS). Qui le questioni da chiarire riguardano innanzitutto l’analisi del processo produttivo e distributivo del prodotto. In tali fasi infatti, spesso, si possono trovare le chiavi di identificazione di diverse esposizioni finanziarie.

Per ciò che invece riguarda la categoria "gross margin", qui bisogna chiarire:

Il gross margin allora, come si vede, è un importante sezione dove scovare elementi utili alla identificazione delle esposizioni finanziarie dell’azienda, nonché per trovare eventuale correlazione con altri elementi.

Nella categoria "sales, general and administartive (SG&A) costs", le questioni importanti da vedere invece, sono:

SG&A allora è una categoria del conto economico alquanto ampia e così la ricerca degli elementi utili alla identificazione delle esposizioni finanziarie che può generare non è facile.

Passiamo ora alla categoria "interest expense". Qui le considerazioni più importanti che bisogna fare, fanno chiaramente riferimento ai cambiamenti nei tassi di interesse e ai loro effetti sui flussi finanziari.

Infine ultima categoria del conto economico da considerare è la "tax expence", ove è importante vedere se c’è molta volatilità nel tax rate tra un anno ed un altro.

2.2 Lo Stato Patrimoniale

Il primo posto dello stato patrimoniale da analizzare ai nostri fini è l’attivo circolante; in particolare qui bisogna considerare:

Nelle immobilizzazione invece è importante vedere:

Nello stato patrimoniale è poi importante la sezione "equity investments", per le quali è opportuno vedere se questi sono, o meno, strategici, e se sono nazionali o anche esteri.

Passando alla passività, bisogna invece analizzare prima di tutto la sezione dei debiti; qui è rilevante evidenziare:

2.3 Altre Fonti di Esposizioni Finanziarie

Si noti che le fonti delle esposizioni finanziarie si trovano, non solo nel bilancio d’esercizio. Altre possono trovarsi nel peso delle indennità di fine rapporto, nei piani di stock option, e così via


3. COMPETITIVE EXPOSURE": OLTRE LA PROPRIA AZIENDA

Un’altra delle più importanti fonti di identificazione delle esposizioni finanziarie di una azienda, è la posizione dei propri competitors: non a caso una parte del metodo di analisi "exposure management cube" consiste proprio nello studio di come i competitors affrontano le proprie esposizioni finanziarie.

In particolare è importante analizzare i seguenti punti: a) le maggiori fonti di esposizione finanziaria dei competitors; b) vedere se i competitors coprono i rischi finanziari e in che misura.

Chiaramente, l’identificazione delle esposizioni finanziarie dei concorrenti non è facile da quantificare, dato che proviene da fonti che certo non sono pubbliche; situazione che spesso poi conduce le aziende a sottovalutare l’importanza dell’identificazione delle esposizioni finanziarie dei concorrenti, e a diminuire il relativo valore informativo.


4. LE SOLUZIONI TRADIZIONALI

Analizzate le ragioni per la gestione attiva delle esposizioni finanziarie, e tracciati i contorni per la loro identificazione, ora passiamo a vedere come in pratica le aziende risolvono i relativi problemi.

Le soluzioni di tipo tradizionale, oggi, sono state sorpassate da quelle che hanno come base l’uso di strumenti finanziari derivati, tanto da far credere a qualcuno che l’exposure management sia iniziato contemporaneamente allo sviluppo dei derivati.

Le soluzioni tradizionale sono basate sulla divisione della gestione delle esposizioni finanziarie in quattro categorie:

1 – esposizione verso i tassi di interesse:

i metodi tradizionali di gestione delle esposizioni verso i tassi di interesse, includevano il "managing funding gaps", e così enfatizzavano la differenza tra il valore delle attività e delle passività, a tasso variabile e a tasso fisso, oppure coordinavano le rispettive scadenze o duration.

2 – esposizione verso le valute:

una azienda con flussi finanziari in diverse valute ha il dovere di controllare le relative esposizioni, nonché quelle sui tassi di interesse e di cambio sui diversi mercati. La difficoltà però è proprio considerare in modo integrato le due s.d. esposizioni.

3 – esposizioni verso le commodities:

la forma più elementare di copertura per le esposizioni finanziarie verso le commodities è mantenere le stesse in bilancio. Si badi che in tale sezioni è bene inserire anche le esposizioni verso i costi di trasporto, i costi-opportunità sui fondi usati per finanziare le s.d. spese e l’acquisto delle commodities. A proposito della gestione delle scorte in magazzino è importante la tecnica del "just in time" per ridurre le stesse fino ad un livello ottimale che non comporti interruzioni nel processo produttivo e/o in quello di distribuzione.

Altre due importanti modalità di gestione delle esposizioni finanziarie verso le commodities sono:

Come soluzione di tipo finanziario poi, abbiamo il franchising e cioè il trasferimento di effetti e titoli di credito esigibili a scadenza ad istituzioni finanziarie che ne rendono immediatamente il valore attuale.

Dati i nostri fini è allora bene non approfondire questa sezione e continuare verso le "derivative solutions".


5. DERIVATIVE SOLUTIONS

Scopo di questo capitolo è illustrare alcuni semplici esempi, sui modi in cui strumenti derivati come swap, forward e option possono essere usati per aiutare le aziende a migliorare la propria esposizione finanziaria. I benefici delle soluzioni con i derivati, "derivatives solution", possono in particolare vedersi in due situazioni: 1) una maggiore flessibilità di gestione e 2) una gestione integrata e contemporanea (e non separata o "ammucchiata") di tutti i rischi finanziari.

In passato, l’uso dei derivati era in generale visto come una esoterica pratica di stregoneria finanziaria, riservata a specialisti del settore ed utilizzatori sofisticati: dunque, solo grandi investitori istituzionali. Le aziende non finanziarie invece, tendevano ad impiegare i derivati al massimo durante operazioni particolari, come per esempio bloccare a proprio favore un tasso di interesse, o un prezzo in generale.

Più di recente, l’uso dei derivati ha però acquistato maggiore consenso e pratica, ed è sempre più finalizzato alla copertura dei rischi finanziari, nonché alla stabilizzare dei flussi finanziari aziendali. Infatti:

1 – le aziende cominciano oramai a considerare inerente al proprio business, quello di gestione dei rischi finanziari;

2 – le aziende finanziarie sviluppano continuamente nuovi contratti finanziari finalizzati alla copertura dei rischi finanziari;

3 – sembra oramai svanita quell’aria di mistero che circondava i derivati in passato.

Questo capitolo dopo aver mostrato i componenti elementari e fondamentali dei derivati passa ad evidenziare alcuni esempi pratici.

5.1 Punti Base sui Derivati: Forward e Swap

I prodotti finanziari che più interessano questa trattazione sono: forward, swap e option.

I contratti forward sono quelli che permettono al compratore di bloccare il prezzo di una transazione al livello del giorno di conclusione dello stesso. Quando un contratto forward si estende per di più di un periodo, prende il nome di swap. Swaps e forward hanno poi le seguenti caratteristiche:

 

Una azienda che quindi si indebita, per esempio, al Libor + 80 p.b. (cfr. primo grafico) beneficerà allora, di una discesa del Libor, mentre aumenterà i propri costi nel caso in cui il Libor cresce.

Nel secondo grafico invece, vediamo che lo swap, o il forward, gli permette di coprire il rischio di crescita del Libor. In particolare comprando un tale contale contratto si crea una posizione lunga sul Libor, e come risultato economico finale avremo che il costo dell’indebitamento si stabilizzerà al livello iniziale di: Libor + 80 p.b. (cfr. la retta "combined" nel secondo grafico, che coincide con l’asse delle x).

5.2 Option

Le opzioni (o "option", secondo la letteratura anglosassone), sono contratti che danno al compratore il diritto (ma non il dovere) di comprare, o vendere, un determinato bene, allo strike-price, alla scadenza, o entro la scadenza (a seconda del tipo). A tal fine, il buyer, deve però pagare un "premio". Le option allora, si dividono in due categorie:

  1. call: opzione per acquistare;
  2. put: opzione per vendere.

Un contratto di opzione rispetto ai contratti forward e swap, presenta così il vantaggio di dare al compratore la protezione desiderata, ed in più di beneficiare di un favorevole movimento del prezzo del bene sottostante. Lo svantaggio è il pagamento di un premio per acquistare tali vantaggi.

Le options poi, a seconda che possono esercitarsi solo alla scadenza o fino alla scadenza, si dividono, rispettivamente, in "Europee" o "Americane". Le seguenti figure mostrano l’esposizione creata dall’acquisto di option call (primo grafico) e put (secondo grafico) "scoperte":

 

Il primo grafico ci mostra una call option; qui il buyer ha il diritto di acquistare, per esempio a 60 p.b., un contratto con strike price a 5,2% Libor. Fino a 5,2 allora l’opzione si dice "out of the money" perché il buyer, chiaramente, non la eserciterà. Se invece il Libor sale sopra quota 5,2%, la call si dice "in the money", e allora il possessore la eserciterà, "pagando" il Libor sempre 5,2%.

La liquidazione netta diventa positiva però quando il Libor sale sopra quota 5,8%: strike price + premio.

Il venditore della call, avrà invece un payoff simmetrico a quello del compratore: riceverà subito un premio di 60 p.b. e non sarà obbligato a niente fino a quando il Libor si mantiene sotto il 5,2%. In caso contrario il compratore della call, come s.d., la eserciterà, e allora il venditore della stessa pagherà la differenza tra il Libor e lo strike price.

La seconda figura invece, mostra il payoff di una put option con strike price, per esempio, a 4,5%. Supponiamo poi, che il compratore paga tale put 20 p.b., e quindi per un contratto che sarà out of the money se il Libor è sopra il 4,5%, e in the money se il Libor è sotto 4,5%.

Passiamo ora a vedere un’applicazione più complessa delle option, ed in particolare un "interest rate cap". Partiamo dalla seguente illustrazione, per poi approfondire, nel paragrafo successivo, tale forma di opzione:

Qui, nel primo grafico, notiamo una call option che permette di cambiare un tasso variabile con uno fisso o meglio limitato verso l’alto o verso il basso. La figura 1 mostra un debitore allora, con una posizione sottostante certa sul Libor; la figura 2 invece mostra l’option coperta (combined), dove l’esposizione sottostante è un "interest rate cap".

In generale, i premi delle option dipendono da due fattori, anche se poi, solo uno di questi riflette il diagramma delle relative esposizioni. Tale fattore è il valore intrinseco dell’opzione, che è: 1) pari alla differenza tra lo strike price ed il prezzo corrente del bene sottostante, se l’opzione è in the money; 2) zero, se l’opzione è out of the money.

L’altro importante componente di cui sopra, è il "time value", che varia a seconda di diversi fattori; in generale però, più è lungo il tempo per l’esercizio della option, meno saranno le probabilità che la stessa sia in the money e quindi più alto sarà il valore dell’opzione. Poi, va anche considerata, la volatilità del prezzo del bene sottostante: maggiore sarà il suo valore, maggiori saranno le possibilità che l’option sia in the money, e quindi maggiore sarà il suo valore.

5.3 Esposizione verso i Tassi di Interesse

I derivati sui tassi di interesse, come per esempio "forward rate agreement" (FRA), "interest rate swap" (IRS) e "interest rate option" (IRO), in generale, denotano soluzioni a problemi come per esempio quello di bloccare a proprio favore un tasso di interesse (sia attivo che passivo), oppure l’avvantaggiarsi di un arbitraggio su tassi di interesse diversi, su due o più mercati.

Tipica applicazione "corporate" in questo ambito, è il "plain vanilla swap" o "plain vanilla interest rate swap".

Qui, un’azienda, prima si indebita con una banca ad un tasso variabile, e poi scambia un tasso fisso contro uno variabile con JP Morgan. Il vantaggio per l’azienda, è ottenere un tasso fisso a lungo termine ad un costo minore rispetto a quello che avrebbe potuto avere indebitandosi direttamente a tasso variabile.

Altra comune transazione è l’ "interest rate cap": un contratto di option su tassi di interesse a m/l termine, già accennato nel paragrafo precedente, usato per limitare verso l’alto il costo di un debito a tasso variabile. Come i normali contratti di option, è previsto uno strike (tasso cap) che rappresenta il limite massimo di costo che il detentore si vuole garantire.

Essendo il debito, poi, a m/l termine, il periodo di durata del contratto viene suddiviso i più sottoperiodi e all’inizio di ognuno di tali sottoperiodi, ci sarà la rilevazione del parametro di riferimento, che solitamente è il Libor; se questo è maggiore dello strike, l’acquirente (dell’IRS) riceverà la differenza tra il paramento in questione, e lo strike. Viceversa, se il parametro è inferiore allo strike, sarà l’acquirente a versare alla controparte la differenza.

Un cap allora, non è proprio un contratto di opzione, ma è in generale scomponibile in una serie di normali opzioni: una per ogni periodo di rilevazione del parametro di riferimento. In tal caso le singole componenti del cap vengono dette" caplet" e quindi ogni caplet è una call option sul Libor (o altro parametro) del periodo di riferimento.

5.4 Esposizione Valutaria

Un tipico esempio di gestione dell’esposizione valutaria sono i "currency swap", ed in particolare il "cross currency swap" (CCS) illustrato nel prossima figura.

Qui, si suppone che un’azienda cartaria Usa pianifichi la costruzione di un nuovo impianto in Germania, che costerà 157 mln di DM. Tale azienda vuole finanziare l’operazione con un prestito a 5 anni, in U.S. Dollar (US$) concessogli da una banca Usa e poi, alla costruzione dell’impianto, convertire la somma in Deutsche Mark (DM).

La costruzione dell’impianto in questione quindi, creerà una posizione lunga in DM: se il DM si deprezza, l’azienda USA ne beneficherà; in caso contrario né sopporterà l’onere.

Se tale azienda Usa vuole però coprirsi dal s.d. onere, una adeguata derivative solution è il cross currency swap che implica i seguenti passi:

1 – indebitamento per 100 mln di US$ e loro conversione in 157 mln di DM;

2 – utilizzo per i 5 anni di durata del prestito di tali DM, per pagarne il tasso fisso sui DM del 6,8% (su 157 mln di DM) e ricevere il tasso fisso sui US$ del 7,15% (su 100 di US$) al fine di bilanciare i pagamenti alla banca creditrice;

3 – restituzione, alla fine dei 5 anni di durata del prestito, di DM 157 mln allo swap dealer (JP Morgan nell’illustrazione), e pagamento alla banca prestatrice dei 100 di US$.

Bloccando allora il tasso di cambio a DM 1,57 contro US$, lo swap ha creato una posizione corta sul DM: se questi di deprezza, per esempio a 1,65 Dm contro US$, lo swap crescerà di valore perché blocca il cambio a 1,57 DM. In tal modo l’azienda Usa riceverà 100 mln di US$ invece di 95,2.

Un CCS allora, è un contratto a termine su tassi di cambio, ove due controparti si accordano per scambiarsi reciprocamente un capitale iniziale, dei flussi di interesse periodici e un capitale finale, espressi in due valute diverse.

Tale strumento quindi, è spesso utilizzato da soggetti debitori e creditori per creare attività o passività, al fine di migliorare il rendimento o il costo, di credito o debiti diretti in valute estere. Siamo dunque davanti ad uno dei modi migliori che il risk management moderno può offrire per gestire il rischio di cambio (ed eventualmente il rischio di interesse a m/l termine).

In generale allora, le principali fasi di un CCS, sono:

1 – lo scambio iniziale dei capitali;

2 – il versamento periodico e reciproco degli interessi;

3 – la restituzione, sempre reciproca, dei medesimi capitali alla scadenza dell’ultimo periodo contrattuale.

Gli interessi vengono in particolare pagati sui due lati dello swap nella stessa valuta di denominazione del rispettivo capitale iniziale.

I CCS dunque, in pratica si può dire che creano ad una posizione creditoria in una divisa estera, a fronte di un debito in un’altra divisa. In modo isolato invece, un CCS determina una posizione aperta su entrambe le divise e quindi due posizioni di rischio di cambio. Nella pratica però ciò è compensato dal fatto che alla base del CCS, spesso, c’è sempre un’operazione in una delle due s.d. divise, che quindi compenserà le perdite, o i guadagni, conseguiti con il CCS stesso.

5.5 Copertura Strategica Del Rischio Di Cambio

L’obiettivo della soluzione nel paragrafo precedente, è coprire l’esposizione verso i tassi di cambio nelle transazioni internazionali ,o in valuta estera.

Gli swap però, possono anche essere usati per la c.d. "copertura strategica e competitiva" del rischio di cambio.

Si consideri per esempio una azienda Usa, che compete con aziende tedesche in Germania, e che quindi ha un’altra posizione lunga sul DM, sia pure implicita. L’azienda Usa dunque, può avere interesse a :

  1. stabilizzare i propri prezzi in Germania a livelli competitivi rispetto alle aziende locali, specie quando il DM si apprezza sull’US$;
  2. convertire i flussi finanziari in US$ provenienti dalla propria attività in Germania, quando il DM si apprezza sull’US$.

Quando l’azienda Usa entra in un CCS, crea, come visto, una posizione corta sul DM, che va così a coprire i propri flussi finanziari dal rischio di cambio, nonché la propria posizione competitiva in Germania, contro un deprezzamento del DM sull’US$.

Vediamo un esempio. Supponiamo di avere una azienda Canadese che acquista e vende solo in Canada; nonostante ciò, essa è comunque esposta al rischio di cambio. Una prima area di esposizione a tale rischio, è nel "cost of goods sold" perché alcuni degli input che utilizza nel proprio processo produttivo vengono importati da paesi esteri. Si consideri poi anche l’esposizione derivante dalle aziende estere che operano in Canada.

Più in particolare, consideriamo la concorrenza che un’azienda Canadese subisce da una azienda Giapponese che in Canada fa concorrenza alla nostra azienda. In tal caso, l’azienda canadese è in particolare esposta al rischio di un apprezzamento del Canadian Dollar (C$) sullo Yen Giapponese (¥): posizione corta sul C$ e lunga sullo ¥.

Una soluzione a ciò può dunque essere l’entrata in CCS, ottenendo così, flussi finanziari che bilanciano i movimenti avversi nel tasso di cambio C$/¥. Si tratterà dunque, di fissare una posizione lunga sul C$, che deve bilanciare la posizione corta sullo ¥.

Ciò creerà un "trade-off" (gioco a somma zero), e quindi la protezione contro l’apprezzamento del C$ sullo ¥, si paga nel caso di deprezzamento del primo sul secondo, con un mancato "guadagno" di competitività delle aziende canadesi su quelle giapponesi, operanti in Canada.

Qualora l’azienda canadese voglia però proteggersi dal s.d. rischio, senza perdere la possibilità di beneficiare del deprezzamento del C$, deve allora acquistare una "Foreign Currency Option" (FCO), di cui se ne illustra il grafico qui di seguito:

Il primo diagramma mostra l’esposizione dell’azienda canadese verso il C$; il secondo diagramma invece, mostra la copertura che si ha acquistando un FCO, ed in particolare un call option sul C$, col relativo risultato (linea più doppia: combined), che limita le perdite derivanti da una svalutazione del C$ contro lo ¥, al solo costo dell’option premium.

In definitiva allora, l’azienda canadese acquistando la call in questione, si protegge dal rischio dal s.d. rischio, senza però perdere la possibilità di beneficiare da un deprezzamento del C$ verso ¥, e limitando le sue eventuali perdite (in caso di errate previsioni sul cambio C$/¥) al costo dell’option premium.

Altro illuminante esempio di "derivative solution" per l’esposizione valutaria riguarda una azienda francese che esporta, all’interno dell’U.E., prodotti altamente sensibili al loro prezzo di vendita. In particolare supponiamo che tale azienda desidera limitare, entro un determinato "range", le fluttuazione che i prezzi dei propri prodotti possono subire per effetto delle oscillazioni nel cambio FR.fr./DM.

In tal caso, la soluzione migliore è entrare in un "Exchange Rate Collar", conosciuto anche come "Range Forward", e che è illustrato nella seguente figura:

Nel primo diagramma vediamo:

1 – l’acquisto di una put option sul cambio FR.fr./DM (che è uguale all’acquisto di un call option sul cambio DM/FR.fr.);

2 – l’acquisto di una call option sul cambio FR.fr./DM (che è uguale all’acquisto di una put option sul cambio DM/FR.fr.).

Il risultato è nel secondo grafico.

5.6 Esposizione Verso Commodities

Fino a non molto tempo fa, l’unico strumento finanziario disponibile per coprirsi dal rischio di sfavorevoli prezzi delle commodities, erano i futures. Come in passato però, anche oggi, tali contratti riguardano un numero limitato di prodotti di massa.

Negli ultimi anni così, le istituzioni finanziarie sono riuscite a offrire sempre più nuovi strumenti, su un più largo numero di prodotti, con scadenze diverse, e così via. Per esempio i contratti forward possono oramai essere adattati a qualsiasi tipo di combustibile, e/o ad ogni scadenza.

Qui, un produttore di petrolio raffinato (oil) vuole stabilizzare (tramite lo swap) le fluttuazione del greggio, perché è la materia prima più importante del suo processo produttivo. In tal caso, la JP Morgan, in qualità di swap dealer, pagherà a tale produttore un prezzo fisso di 17,25$/barile al mese; il produttore invece, in cambio, pagherà il prezzo medio del mese, secondo le quotazione al N.Y.M.EX. (New York Mercantile Exchange).

Per entrambe le parti, i flussi finanziari sono calcolati sul valore nozionale di 25.000 barili al mese. Quindi se il prezzo del greggio sale sopra 17,25$/barile, il produttore petrolio (raffinato) pagherà a JP Morgan la differenza; in caso contrario, sarà JP Morgan a pagare la differenza al produttore in esame.

Altra comune transazione comune operazione di gestione del rischi di prezzo di commodities, è quella illustrata in tale figura:

Un "floor" implica l’acquisto di una put option sulla commodity. Chiaramente possono realizzarsi sia floors che caps.

5.7 Copertura Strategica del Commodity Risk

I "commodities derivatives" possono anch’essi essere usati per ottenere obiettivi strategici, e non solo quindi per bloccare a proprio favore il prezzo di una commodity.

Consideriamo per esempio, un produttore di petrolio con esposizione sia verso il prezzo del petrolio che verso il prezzo del gas naturale, nel seguente rapporto: 70% verso il primo, 30% verso il secondo. Assumiamo poi, che tale produttore voglia cambiare tale esposizione, in 50% sul prezzo del petrolio e 50% sul prezzo del gas naturale, dato che prevede che il prezzo di quest’ultimo salirà, a differenza del prezzo del petrolio che invece prevede in discesa.

Per avvantaggiarsi di tale scenario, ci sono due possibilità (chiaramente ammesso che la previsione sia giusta):

In tal caso, il nostro produttore, paga un importo fisso sul prezzo del petrolio, in cambio di un prezzo fisso sul gas naturale. Entrambe le somme sono calcolate su un volume sottostante predeterminato di petrolio e gas naturale, rispettivamente, ma né l’uno né l’altro sono prezzi fissi.

Il risultato è che parte dell’esposizione verso il prezzo del petrolio è convertita in esposizione verso il prezzo del gas naturale.

Altra importante "derivative solution" per coprire l’esposizione verso commodities e collegata ad una soluzione di tipo operativo, è l’adozione di un processo produttivo flessibile agli input, da punto di vista sia quantitativo che qualitativo.

Supponiamo così di avere per esempio, un produttore che ha la possibilità di scegliere tra petrolio e gas naturale, come combustibile per il proprio processo produttivo. Nonostante ciò, questi sarà sempre esposto verso i prezzi dei due combustibili in questione. Per ridurre tale esposizione, il tale produttore potrebbe allora bloccare il prezzo dei due combustibili, e contemporaneamente avere una opzione per cambiare da un combustibile all’altro.

E’ il c.d. "fuel switching swap", dove il produttore in questione, blocca il prezzo dei due combustibili, ed in più ha la possibilità di scegliere tra quello più a buon mercato. In altre parole, il produttore riceverà dallo "swap dealer", la differenza tra il prezzo del carburante a minore prezzo, ed il s.d. prezzo fisso. Ciò coprirà quindi, l’esposizione verso le s.d. commodities, dato che il produttore potrà chiaramente scegliere il carburante a minor costo, minimizzando i propri pagamenti al dealer.

5.8 Equity Derivatives

Questa forma di esposizione finanziaria è forse quella che più è "dispersa" nell’azienda. Gli equity derivatives così, sono forme di derivati, tra le più nuove ed usate: option su azioni o su indici di azioni, warrant di azioni, equity swap, ecc.

Iniziamo subito con un esempio di un fondo pensione aziendale che cerca di evitare i problemi connessi con il declino del mercato azionario, e vuole invece sfruttarne i rialzi. Una soluzione è acquistare option put sull’indice di mercato di riferimento, che possiamo supporre lo S&P 500. La difficoltà è trovare put della dimensione necessaria, e senza che ciò richieda elevati costi. Una prima possibilità è ricorrere ai mercati OTC.

Altro esempio può essere quello di una azienda che avendo realizzato per il proprio management, un piano di "stock option", vuole coprire la relativa esposizione. Ciò al fine di evitare di essere troppa esposta al rischio di crescita delle proprie azioni. La realizzazione di un piano di stock option infatti, equivale a scrivere call option su proprie azioni.

5.9 Composite Exposure

Come già detto in precedenza, le esposizioni finanziarie possono essere verso diversi fattori di rischio. Finora abbiamo considerato singolarmente i relativi rischi, ma spesso, nella realtà, capita di dover fronteggiare simultaneamente più fattori di rischio; in tal caso avremo allora, un tipico esempio di "composite risk" o semplicemente CR.

Le "derivatives solution" che esistono a riguardo, focalizzano la loro attenzione sull’esposizione netta, e così i derivati usati vengono anche detti "ibridi".

Un tipico esempio di esposizione composta può per esempio riguardare un esportatore Canadese che ha un debito a tasso variabile in Canadian Dollar (C$) e che come principale mercato estero di sbocco ha però la Germania.

Ne consegue che tale operatore è soggetto a due rischi:

  1. uno verso i tassi di interesse locali;
  2. uno verso il DM (posizione corta in C$).

Dal punto di vista dell’esposizione netta, coprire in modo separato i due rischi potrebbe essere troppo costoso, ad differenza di un "unhybryd derivatives".

5.10 Commenti Conclusivi

Si spera che gli esempi mostrati finora siano sempre stati in grado di mostrare con chiarezza la flessibilità e i bassi costi delle "derivatives solutions" per la gestione delle esposizioni finanziarie.

Dopo aver identificato le esposizione finanziaria dell’azienda allora, le "derivatives solution" e i suoi benefici, possiamo ora passare a vedere come gestire un portafoglio di derivati.

Infine si noti che nonostante il risk management comprenda anche la gestione del credit risk, questo è stato opportunamente non considerato, perché sarà approfondito successivamente, essendo l’argomento centrale della tesi.


6. GESTIONE PORTAFOGLIO DERIVATI

La gestione dell’EM secondo i canoni visti, e che ricordiamo essere tratta da appositi studi della JP Morgan, come abbiamo visto si basa essenzialmente sull’utilizzo di strumenti finanziari derivati. Le aziende allora, si troveranno a dover gestire, oltre che il proprio portafoglio di attività reali e/o finanziarie, anche che il portafoglio derivati.

Una importante fonte informativa sulla gestione dei derivati, è lo studio è lo studio del G.30 denominato "Derivatives: Practices and Principles": qui sono infatti innanzitutto riportate le quattro categorie di rischi connessi all’uso dei derivati:

1 – Market Risk: derivante dallo scambio di derivati;

2 – Credit Risk: derivante dalla possibilità che la controparte di un determinato contratto derivato non adempia alle proprie obbligazioni contrattuali di pagamento;

3 – Operational Risk: derivante dal inadeguati sistemi di gestione e/o controllo dei derivati e/o da errori umani e/o da errori del management;

4 – Legal Risk: derivante dalla possibilità che un contratto derivato non sia esecutivo.

Questo capitolo avrà però maggiore attenzione per credit risk e market risk; ovvero i due rischi maggiormente importanti per la parte di risk management che stiamo considerando. Del resto, questi sono anche i due rischi che possono determinare le maggiori perdite ad una azienda, e che sono quantificabili con minori possibilità di errore e valutazioni soggettive.

La gestione del market risk e del credit risk allora, si riduce allora essenzialmente a tre punti fondamentali:

1 – vedere quale è il valore di un portafoglio di derivati in base ai livelli correnti del mercato;

2 – vedere la sensibilità di tale portafoglio ai cambiamenti del mercato;

3 – determinare quando si perde se una controparte va in default.

6.1 Valutazioni Generali

Sulla gestione dei derivati, il G.30 raccomanda il metodo "marking to market", e cioè determinazione di quella che può essere la massima perdita giornaliera che si può subire per i cambiamenti del mercato.

Ciò, fornirà quindi, utili informazioni sulle possibile operazioni di copertura che ogni portafoglio può volere, per determinare una diversa copertura, a seconda delle esigenze di rischio/rendimento dell’azienda che lo detiene. E’ comunque bene poi, che tali sistemi di gestione dei rischi, evidenziano anche la performance delle operazioni di copertura, dati gli avvenimenti realizzatisi sul mercato. A quest’ultimo proposito sono importanti anche i modelli di pricing dei derivati che si utilizzano.

6.2 Swap e Forward

Scambiare un forward o uno swap, significa determinare il suo valore attuale netto, che è uguale alla differenza tra il valore attuale dei flussi finanziari in entrata ,e il valore attuale dei flussi finanziari in uscita.

Inizialmente, il valore attuale netto di un forward (o di uno swaps), è normalmente zero, dato che deve, come s.d., rappresentare i flussi finanziari in uscita ed in entrata, che sono uguali.

Con i primi cambiamenti del mercato però, il valore attuale netto dei tali contratti cambia a seconda dei casi, da zero a maggiore di zero (in the money), o a minore di zero (out of the money). I cambiamenti avverranno in modo diverso per ognuna delle parti della transizione.

6.3 Opzioni

Le opzioni sono solitamente scambiate in mercati organizzati e hanno quotazioni quindi sempre ufficiali e disponibili.

I concetti sottostanti la gestione di swaps e forward sono generalmente applicati anche alle opzioni. Le differenze tra i due tipi di strumento infatti, non riguardano i loro principi fondamentali, ma il loro comportamento e fanno quindi riferimento ai seguenti concetti:

1 – optionality: considerare se e quando una option è "in the money e quindi da esercitare;

2 – asimmetria payoff: una opzione sarà infatti esercita solo se è "in the money";

3 – non linearità: la relazione tra i movimenti del mercato e il valore di una opzione non sono costanti.

Nella valutazione dell’esposizione finanziaria di una option è allora bene considerare i seguenti indici:

  1. delta: evidenza l’effetto che ha un cambiamento nei tassi di interesse, sul valore di una option;
  2. gamma: evidenzia l’effetto del cambio del delta della option, sul suo valore;
  3. vega: evidenzia l’effetto che ha il cambiamento della volatilità del titolo sottostante, sul valore della option;
  4. theta: evidenzia l’effetto del passaggio del tempo sul valore della option;
  5. rho: evidenzia l’effetto del cambiamento del discount rate sul valore della option.

6.4 Market Risk

In sostanza, la gestione del market risk dipende dalla sensibilità del valore del portafoglio ai cambiamenti dei mercati finanziari, e quindi determina, se è accettabile o meno. Chiaramente, è bene misurare il market risk sull’intero portafoglio; se lo si facesse su ogni singolo titolo non si terrebbe conto della correlazione tra le singole posizioni che possono anche determinare compensazioni.

La gestione del market risk richiede il fronteggiamento di tre problemi:

1 – determinazione dell’ampiezza del cambiamento che il mercato può avere; solitamente ciò si fonda su quelle che sono le situazioni più ragionevolmente possibili, escludendo invece, i movimenti di mercati ritenuti arbitrari o soggettivi;

2 – tener presente di considerare non l’effetto dei cambiamenti di mercato sulle singole posizioni, ma su tutto il portafoglio; si consideri infatti, che il movimento simultaneo di più fattori di rischio, come già detto, può anche non determinare effetti sul valore del portafoglio, per il compensarsi degli effetti;

3 – il periodo di tempo da considerare deve essere quello necessario per liquidare l’intero portafoglio.

Un comune metodo di misurazione del rischio secondo questi requisiti, è il VaR, value at risk, ovvero il massimo importo che si può perdere, entro uno specificato intervallo di confidenza, su un intero portafoglio, per effetto di movimenti di mercato avversi.

L’uso di tale metodologia, a sua volta si basa su tre passi:

1 – determinazione di quanto i cambiamenti di mercato passati hanno influito sul portafoglio, al fine di determinare la deviazione standard del mercato, ovvero la sua rischiosità;

2 – specificazione di cosa determina il peggior movimento possibile del mercato. Generalmente ciò sta a significare la determinazione della massima perdita possibile con un intervallo di confidenza del 95% e quindi con un deviazione standard dell’1,65%.

3 – calcolo della relaztiva perdita ptenziale, avente probabilità 95%.

6.5 Credit Risk

E’ il rischio di default di un controparte; esso è collegato al rischio di mercato perché l’ammontare a rischio di credito, dipende anche dai movimenti del mercato.

La gestione del rischio di credito quindi, implica sia aspetti quantitativi che qualitativi.

Gli aspetti qualitativi riguardano in particolare la determinazione del merito creditizio delle controparti con cui si intraprendono relazioni d’affari.

Gli aspetti quantitativi invece, fanno riferimento alla misurazione dell’esposizione creditizia di una controparte; a tal proposito, il G.30 ha raccomandato ai dealer del settore di misurare e suddividere le esposizioni creditizie in due tipi: a) correnti; b) potenziali.

L’esposizione corrente è l’ammontare da "pagare" nel caso di default di una controparte. L’esposizione potenziale invece, si ha nel caso in cui il fallimento è futuro; rappresenta quindi la somma da "pagare" nel caso di controparte con probabilità di fallire in futuro.


7. SISTEMI INTERNI DI CONTROLLO DEL RISCHIO

Le perdite che diverse aziende Usa, e non solo, conseguirono prima del 1994, hanno avuto, tra le diverse conseguenze, quella di sottolineare l’importanza di realizzare, all’interno di ogni azienda, un efficace ed efficiente sistema di controllo dei rischi, che sia poi parte integrante del programma di risk management della stessa azienda.

Ciò, infatti, assicurerà:

1 – una maggiore conoscenza e consapevolezza dei rischi che l’azienda sostiene;

2 – una loro migliore e più efficace gestione.

7.1 Cenni Sulla Struttura Organizzativa

Un sistema interno di controllo dei rischi deve assicurare la supervisione dell’attività del risk management evitando doppi controlli r attività sovrapposte. Di conseguenza è necessaria una efficace divisione dei compiti tra i diversi dipartimenti del management.

A sua volta, ognuno di tali dipartimenti deve stabilire la propria organizzazione, chiaramente in modo omogeneo e coordinato col piano di risk management dell’azienda.

Affinché poi i controlli interni siano effettivi ed efficaci, è necessario realizzare anche un programma di comunicazione chiara tra i diversi livelli di management.



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