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TRENTATREESIMO GIORNO DI GUERRA

ICI ON DANCE
(..la danza e' cominciata
..i Tornado nelle piste)


Anche oggi
su questo tavolo
davanti a questo muro smaltato di cucina

ICI ON DANCE

Mi ricavo una nicchia comoda
fra l'angolo del tavolo e la sedia

Ci si adatta - mi dico -
a queste mutazioni genetiche
che lasciano come sacchi vuoti
come occhi vuoti....

OGGI SI VA ALLA GUERRA

davanti a questo muro smaltato di bianco,

... e sono scorie pesanti da smaltire con la mia pittura afona,
con la mia pittura per tanto tempo rimasta uccisa.

Quando ero bambina
stavo tutto il tempo sulla collina dei conigli

Tutta la mia bocca,
allora,
era foglia che si muoveva nell'aria......
e respirava,

Il cipresso parlava per me,
col suo incedere un po' minaccioso
...era in piedi, alto!

A maggio
con le amiche si mangiava fiori d'acacia a manciate,
sul vivo posto,
le caviglie nude, le ginocchia graffiate,
gongolanti di una vittoria con la vestina corta,
dopo lunghe corse a perdifiato, sulla collina.

E' arrivato a raffreddarci l'anno della grande neve
e ancora qualcosa poteva essere fatto,
coi compagni di sempre;
ogni giorno,
sulle gambe pesanti prima che....i Tornado nelle piste...

come una guerra persa.

10 ANNI DI PENSIERO DEBOLE

ICI ON DANCE

Febbraio 1991

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Cristo, Orfeo bacchico


Chi punge un occhio lo fa lacrimare
Chi punge un cuore ne scopre il sentimento
(Sir. 24,19)


Allontanata
per ritrovarti
sei
congiunto palmo,
suono sordo di una sola mano,
rumore di bicchieri vuoti di vetro contro vetro.
Non comprendevo davvero le tue melodie disarticolate
il rumore tuo sordo nella selva dei riferimenti.
Simboli accecanti e fitti si paventavano così opachi al mio sguardo
che non oltrepassavo alla vista.
Una pesante coperta si disegnava a fronte del mio piano prospettico e
a guisa di raggi io tentavo di penetrarla come freccia sanguinante,
puntualmente respinta, magicamente quintuplicata.

A poco servivano le stanche litanie
pronunciate in mille lingue
se tu non volevi incontrarti
nella foresta degli alberi filosofici incompiuti,
nei giri miei peripatetici intorno al grande stupa.
Errabonda ancora nelle circonvoluzioni dei tuoi labirinti informi,
calava sul mio capo il tuo logos tanto da stringermi il collo in un cappio.
Solo quel tuffo temerario all’interno della carne,
il reale del reale, quella buca invischiante miele,
una trappola per me operaia muratrice
imperfetta ape nel calice profumato come m’hai teso
mio omicida,
dove ho rischiato di annegare
e ho rigenerato in me
il tuo senso di verde alga
di piangente vite a primavera dopo dolorosa potatura
che tuttavia sviluppa i suoi tralci di vera vite.
Questa poesia la troverete anche su http://www.austroeaqilone.it


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Guernica – Assedio – Metafora della costruzione

Come questa lampada, questa luce seghettata,
questo vetro al centro dell’esagono
un solo volo o un suono più forte,
…pluff…s’infrange!
Un’ansia di forma, Orfeo.
Da dove vengono queste forme?
E perché vogliono imporsi?
Prendere consistenza,
visitare,
farsi raccontare,
stagliarsi e modularsi;
e la foresta degli alberi incompiuti?
Così recisi?
Canneti di navigazione fluviale, lagunare,
mare-foresta rinascimentale,
una saudade della moglie del marinaio in mare.
Allora cellule orfiche infinitamente piangenti,
infinitamente melanconiche?
Vi fate strada fra pini e delfini, fra lupi marini
e con la pagaia della mia agile chiatta
Beau ciel, vrai ciel, regarde-moi qui change


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A Gianluca dopo la mostra di Gaudì

Quale espiazione ci impedisce lo stupore
di un cipresso invaso di colombe bianche,
nell'arte di una malata esistenza
e di una calcolata assenza dal conto costi-ricavi.

Aderiscono e si piegano tessere e colori
sublimante in cenere di brocche e boccali
che murate contengono alberi palmati
e vini liquorosi e medicati.

Espiazione lussureggiante

dopo la visita al Monumentale
di uno spirito visionario e cangiante
che s'apre al sole delicato.

Cadute le brattee rosse di Natale
non restano che braccia in primavera
e allora le viole fra i rovi di una infanzia infelice
sbucano nella luce solare.

Non coprire più il tuo cuore di coperte
quando arrivi nella nebbia sul treno dalle finestre aperte
mentre sfila l'orizzonte marino che muta in piantata padana
io sono qui che preparo il tuo porto sereno.

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Sotto la cupola di Parma

Sotto la cupola del Correggio di Parma
bambini, vortici e nuvole in viaggio
spirano in un crepitio di fiamme
e spirali d'aria.
Suonano, danzano e cantano
il canto del capro.

Ancora strette le spalle in cappotti
con lo sguardo rivolto a te
misuriamo i lati dell'ottagono
e rabbrividiamo.
Sii clemente con noi madre
quando moriremo.

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