IV CONGRESSO INTERNAZIONALE di
MARIA AUSILIATRICE
TORINO-VALDOCCO / 1-4 Agosto 2003

BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE : OMELIA PER LA MESSA DI DON BOSCO

Sir 1,17-20.22.25.34-36;2,18-20; Sal 19 (18); 1Cor 12,31-13,13; Mt 5,13-19

Sono lieto di celebrare la messa in onore di Don Bosco, alla fine di questa prima giornata del Congresso, proprio qui nel Santuario di Maria Ausiliatrice, che il nostro caro Padre ha voluto costruire come riconoscenza alla Madonna.

Nel centesimo anniversario della incoronazione della sua immagine, ci siamo radunati da tutto il mondo a rendere grazie per il suo ausilio materno. Stasera la vogliamo ringraziare in modo particolare per il dono di Don Bosco, che lei ci ha fatto. Un dono che riguarda la sua figura storica, perché è la sorgente dalla quale sono nate tante bellissime iniziative, come la Congregazione Salesiana, l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori Salesiani, e nondimeno l'Associazione di Maria Ausiliatrice. Un dono che però si prolunga nella misura in cui Don Bosco viene preso come padre e modello di vita spirituale e di progetto apostolico.

Da questo profilo la Parola di Dio diventa molto illuminante, perché ci fa vedere quale fu la grandezza di Don Bosco e come possiamo oggi imitarlo noi.

È noto che, nato a Castelnuolvo d'Asti nel 1815, Giovanni fu educato dalla madre alla fede e alla pratica coerente del messaggio evangelico. A soli 9 anni intuì da un sogno che avrebbe dovuto dedicarsi all'educazione della gioventù. Ancora ragazzo, cominciò a intrattenere i coetanei con giochi alternati alla preghiera e all'istruzione religiosa. Diventato sacerdote, scelse come programma di vita: "Da mihi animas, cetera tolle", e iniziò il suo apostolato tra i giovani più poveri fondando l'Oratorio e mettendolo sotto la protezione di San Francesco di Sales.

Con il suo stile educativo e la sua prassi pastorale, basati sulla ragione, sulla religione e sull'amorevolezza (Sistema preventivo) portava gli adolescenti e i giovani alla riflessione, all'incontro con Cristo e con i fratelli, all'educazione alla fede e alla sua celebrazione nei sacramenti, all'impegno apostolico e professionale. Tra i più bei frutti della sua pedagogia emerge san Domenico Savio, quindicenne.

Sorgente della sua infaticabile attività e dell'efficacia della sua azione fu una costante "unione con Dio" e una fiducia illimitata in Maria Ausiliatrice, che sentiva come ispiratrice e sostegno di tutta la sua opera. E ai suoi figli lasciò in eredità una spiritualità semplice ma solidamente fondata sulle virtù cristiane.
Dal punto di vista mistico, l'esprimeva con il motto: "Da mihi animas…"

Dal punto di vista ascetico, la racchiudeva nel trinomio: Lavoro, temperanza, preghiera.

Dal punto di vista pedagogico nel Sistema Preventivo: Amorevolezza, Ragione, Religione.

Dal punto di vista popolare nel trinomio: Amore all'eucaristia, devozione alla Madonna, e fedeltà al Papa.

Ai ragazzi diceva anche tre parole: Salute, Scienza, Santità.

Ma dove e da chi imparò Giovanni Bosco questa scuola di spiritualità e di santità ?

Non c'è dubbio che Mamma Margherita fu la prima sua grande educatrice, ma è stata la guida saggia e materna della Vergine Maria che lo guidò e accompagnò lungo la sua vita. Tutte e due, a diverso livello, intervennero nella sua vita per aprirlo al messaggio evangelico e renderlo un buon discepolo di Gesù, un incomparabile lavoratore del Regno a favore dei ragazzi, specie i più poveri e in difficoltà.

La prima lettura ci presenta infatti una delle grande intuizioni spirituali e pedagogiche di don Bosco, cioè che l'amore di Dio e a Dio è fonte di gioia, sì da poter dire ai ragazzi dell'Oratorio: "Qui facciamo consistere la santità nell'essere sempre allegri".
La frase di Mamma Margherita per educare nel timore di Dio a Giovanni, e che Don Bosco assunse, "Dio ti vede" è in perfetta sintonia con quello che dice il primo capitolo del Siracide: "Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona di esultanza. Il timore del Signore allieta il cuore, e dà contentezza, gioia e lunga vita". Questa sapienza è stata molto importante nella vita di Giovanni Bosco, anche nei primi incontri 'apostolici' con i suoi coetanei, nei quali alternava giochi e preghiera. Forse dobbiamo imparare noi stessi a non considerare Dio come una minaccia alla nostra felicità, anzi come la fonte della felicità e della vita. Forse dobbiamo imparare da Don Bosco ad avere un volto sorridente e uno sguardo sereno, ottimista, lungimirante, che faccia sapere che siamo credenti di un Dio Crocifisso sì, ma Risorto, che ha riempito di allegria e di speranza la nostra esistenza umana. Forse dobbiamo aiutare i ragazzi a far esperienza di quanto si possa essere felici mentre serviamo Dio.

La ragione di questa verità, vale a dire che "la legge del Signore è perfetta, rinfranca l'anima, fa gioire il cuore e dà luce agli occhi", come dice il salmo responsoriale, si trova nel fatto che, in fondo, la legge è al servizio dell'uomo, per renderlo sempre più umano e non per sottometterlo.

Questo è possibile quando si può scoprire che le leggi, gli ordini, vogliono mettere in circolazione valori e sono, dunque, espressione dell'amore. A ciò si riferisce San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, nel testo che abbiamo ascoltato. Senza amore, a nulla servirebbero i doni più preziosi, quelli di natura e quelli di grazia. Il primato dell'amore gli viene appunto del fatto che esso fa maturare, fino a raggiungere la statura perfetta, che ci rende 'divini', perché ci fa come Dio (Dio è Amore, ebbene, la Carità è paziente, benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adìra, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta). Proprio perché ha l'immenso potere di trasformare le persone dal di dentro, ha anche la energìa per vincere la morte. Perciò, dice Paolo, anche se adesso "le tre cose rimangono: la fede, la speranza, e la carità, la più grande di tutte è la carità", l'unica che rimarrà per sempre.

Vivere in amicizia con Dio vuol dire allora vivere in comunione con lui, rimanendo uniti attraverso l'osservanza del suo comandamento dell'amore.

Vivere in letizia vuol dire far sprigionare tutte le migliori energie che ci sono nel nostro cuore, da dove procede tutto quanto c'è di buono.

Vivere così è, in fin dei conti, essere sale della terra, luce del mondo, città sul monte, insomma operatori di bene, come vuole Gesù che siano i suoi discepoli.

Questo brano del Vangelo di Matteo sembra essere stato il programma di Don Bosco, che era consapevole della responsabilità che hanno i cristiani "davanti agli uomini".

Il sale della terra, la speranza del mondo, sono coloro che preservano i valori umani e religiosi, che permettono alla terra di non marcire, di conservare una riserva di umanità.

Il sale della terra siamo anche noi, quando viviamo lo spirito delle beatitudini, quando facciamo del discorso della montagna un nostro identikit e ci poniamo in condizione di società alternativa, di persone che, di fronte a una società che privilegia il successo, l'effimero, il provvisorio, il denaro, il godimento, la potenza, la vendetta, il conflitto, la guerra, scelgono la pace, il perdono, la misericordia, la gratuità, lo spirito di sacrificio, cominciando dal cerchio più stretto, che è quello della propria famiglia o della comunità, ma che si allarga alla dimensione sociale.

Gesù avverte però che è possibile che il sale perda il sapore, che i suoi discepoli non siano autentici, e non dubita di segnalarne gli effetti disastrosi: "A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini". O siamo discepoli con chiara identità evangelica, quindi significativi e utili per il mondo, o siamo da buttar via, da disprezzare, siamo degli infelici, degli spostati, siamo nulla.

Siamo luce del mondo, come luce è Lui, se viviamo le beatitudini evangeliche; siamo città sopra un monte, se accettiamo la responsabilità pubblica che abbiamo e non cerchiamo di fare della fede o del discepolato una questione privata, senza dimensione sociale, senza coinvolgimento pubblico; siamo lucerna sopra il lucerniere, se viviamo secondo il Vangelo e facciamo luce a tutti, credenti e non, discepoli e non, vicini e lontani; insomma, luce del mondo intero.

Il cristianesimo, la fede, il Vangelo, l'ADMA hanno una valenza sociale e una responsabilità pubblica per la semplice ragione che tutta la vocazione è missione, perché l'identità si verifica nella vita, perché l'essere non esiste se non si manifesta, e questi valori non possono dunque essere intesi e vissuti "ad uso privato".

Questo è il senso dell' esortazione con cui Gesù conclude, la quale, anche se riguarda in particolare la metafora della luce, ovviamente si riferisce pure al tema del sale e della città. "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini". Può sembrare una contraddizione, per chi conosce bene il Discorso della montagna, là dove dice: "Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini. Quando fai l'elemosina, non suonare la tromba; quando preghi, chiudi la porta della tua stanza; quando fai un digiuno, non mostrare la faccia triste" (cf. Mt 6,1.3.6.16).

La contraddizione fra le due esortazioni è apparente. Gesù vuole che compiamo il bene per se stesso, senza cercare gratificazioni, soddisfazioni, compensi. Tuttavia, il bene fatto non può non riverberarsi intorno. Abbiamo la responsabilità di fare il bene per amore, e non per essere visti. Si tratta di tre momenti progressivi: essere luce per gli altri vivendo il vangelo, essendo veramente discepoli; esprimere la nostra fede attraverso la carità operante, compiendo le opere evangeliche; essere motivo di gloria a Dio, quando queste opere sono colte da altri.

Gesù vuole che i suoi discepoli facciano del Discorso della montagna un programma di vita: mitezza, povertà, gratuità, misericordia, perdono, abbandono a Dio, fiducia, fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, ecco le opere evangeliche che si dovranno far risplendere, quelle che ci fanno diventare "sale" e "luce", quelle che giovano a creare quella società alternativa che non permetterà all'umanità di corrompersi del tutto.

Non era altro quello che cercava Don Bosco a favore dei ragazzi attraverso tutte le sue opere, il cui scopo era proprio quello di farne "onesti cittadini e buoni cristiani". Educazione, incontro con Cristo, inserimento nella vita della Chiesa e scoperta della propria vocazione, ecco il cammino di fede proposto da don Bosco.

                                                  D. Pascual Chávez V.
                                                  
Torino-Valdocco, 2 agosto 2003
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