dal libro "Pietre vive - immagini di chiesa" di Silvano Nistri (Libreria Editrice Fiorentina, giugno 1999)

Don Emilio ha ottant'anni. Difficile crederci, soprattutto quando lo vedi camminare col suo passo leggero, su per sentieri anche i più ripidi e impervi, quasi volando.

E' parroco a Vernazza, un paesino delle Cinque Terre che, se non ci fosse il turismo a profanarlo, sarebbe davvero un paese di fiaba. La bella chiesa romanica è arroccata su uno scoglio, con il mare che entra dentro dalle finestre. Ma prima di Vernazza è stato a Bonassola, e prima ancora a Levanto, per dire un paese più bello dell'altro, tanto da far sospettare che le parrocchie se le scelga da sé e non con criteri rigorosamente missionari o pastorali.

Però, bisogna dirlo, prima che parroco, don Emilio è monaco e questa bellezza gli è necessaria. Del monaco ha lo stile di vita, gli ideali, un certo radicalismo evangelico, il metodo di lavoro, soprattutto la libertà spirituale. La saletta del soggiorno nella canonica di Vernazza, con la grande vetrata che si affaccia sul mare ben al di sopra del tetto della chiesa, è il suo eremo, il suo deserto. "Il deserto, ama dire, è il luogo ideale della Parola, perché nel deserto l'uomo si trova solo davanti a Dio, spoglio di presunzione, come un bambino; deserto vuol dire silenzio, atteggiamento di ascolto."

Al centro della saletta c'è un tavolo, solo un tavolo. E' quasi tutto il suo arredo. Sgomberi nella sua vita don Emilio non ne ha fatti mai: è un viaggiatore con bagaglio appresso. Però sul tavolo c'è il computer portatile, tanti fogli sparsi e qualche libro, più un lessico di latino patristico. Qui don Emilio legge, traduce i suoi padri preferiti, ne trascrive qua e là su minuti foglietti i brani che lo toccano particolarmente e che poi passerà agli amici; soprattutto conversa con questi antichi personaggi. Certo nulla di erudito; solo quello che per lui è vivo, che interessa lui. E' il suo alimento... Newman era solito dire che amava la conversazione dei Padri antichi perché, diceva "i miei santi ho bisogno di sentirli conversare. Non posso contentarmi di guardarne la statua". Don Emilio la pensa allo stesso modo. Li sente vicino, sono suoi contemporanei: una continua conversazione tra amici. Una volta, all'aeroporto di Tel Aviv, eravamo in coda per la solita lunga trafila del controllo passaporti. Una ragazza ebrea piuttosto mascolina all'aspetto ci prese subito in consegna interrogandoci uno ad uno: dove eravamo stati, se nessuno ci aveva dato nulla... Insomma le solite domande di rito. Don Emilio era rientrato da pochi giorni dalla Tunisia e il passaporto ne portava il timbro fresco fresco. Perché era andato in Tunisia? Chi aveva incontrato? Ebbe la cattiva idea di giustificarsi a suo modo: "Sulle orme di Agostino." Un grosso impasse. Il problema fu far capire chi era questo Agostino per incontrare il quale aveva fatto il viaggio dall'Italia in Tunisia. Poi, ma dopo lungo tempo, I' improvvisa illuminazione: "Agostino, quarto secolo!", disse Emilio. Si trattava di S. Agostino il vescovo di Ippona del quarto secolo. Così la responsabile di polizia si calmò ed Emilio poté superare il controllo.

Chi sono questi suoi interlocutori prediletti? E' possibile stabilirne una graduatoria? Metterei al primo posto S. Gregorio Magno, che lui è solito chiamare semplicemente Gregorio; e Origene. E poi, subito dopo, S. Ignazio d'Antiochia, S. Agostino, S. Ireneo, S. Ambrogio, su su fino ai giorni nostri, fino a S. Teresa di Lisieux a Carlo de Foucauld, a Bemanos, passando regolarmente - e qui la sosta è d'obbligo - attraverso Dante e Manzoni.

Agli amici, per Natale e per Pasqua, con largo anticipo sul calendario, arriva l'attesa lettera di don Emilio: c'è anche uno scritto suo a modo di introduzione, che è poi il riassunto di quella che è stata la sua meditazione durante l'anno, segue il florilegio delle letture trascritte per loro. Sono quei brani che, ordinati con un criterio rigorosamente spirituale, hanno dato vita ai suoi libri più conosciuti: i quattro volumi del Breviario patristico spirituale, la Lettera di Dio agli uomini, Cristo nostra speranza...

Quante lettere invia? Difficile dirlo. Nel suo bilancio personale il costo dei francobolli è la voce più alta. Scrive a un'infinità di persone e l'indirizzo è sempre scritto a mano. Il suo computer non è abilitato a fare le etichette con gli indirizzi. A chi le invia? Intanto le invia a tutti gli ex alunni del Virgilio, il liceo di Roma nel quale ha insegnato per quasi vent'anni. E' il servizio che ricorda ancora con particolare nostalgia, l'unico luogo dove il nomade Emilio ha messo radici. Poi ci sono i pellegrini, con cui è entrato in rapporto durante i viaggi in Terrasanta, o in Turchia, o in Siria o in Grecia, sempre sulle orme di qualcuno, alla ricerca di quelle radici - così le chiama lui - storiche, geografiche, spirituali, indispensabili per riscoprire la nostra identità. Ab bistoria in mysterium, usa dire citando Gregorio. Perché anche questa dei viaggi è una sua passione.

Don Emilio è entrato giovanissimo nei Paolini di Milano, ha quindi una precisa dimensione missionaria. E' per i Paolini che fa la guida spirituale nei viaggi, è per loro che prepara quei preziosi sussidi a contenuto spirituale che sono le sue piccole guide sulle orme di Paolo, sulle orme di Abramo, sulle orme di Agostino ecc. Ma fa la guida a modo suo. Quando dalla Fortezza di Dura Europos ci si affaccia sull'Eufrate in genere la curiosità dei pellegrini è quella di scoprire i pozzi di petrolio iracheni; lui no, cerca la Nisibi di Abercio.

Ha comunque una grande curiosità per ogni evento che dilati gli orizzonti dell'uomo. Una delle massime a lui più care è la parola del Signore tramandata dall'apocrifo vangelo di Tommaso: "Colui che cerca non smetta di cercare fin quando non trovi. Quando troverà si stupirà. Quando si sarà stupito si turberà e dominerà su tutto" Il turbamento davanti al mistero di Dio! E' questa la Presenza che unisce tutto. I semi del Verbo, ama ripetere, sono presenti in ogni cultura, in ogni religione, in ogni esperienza umana e vanno raccolti con "riverenza e gioia".

Ho conosciuto Don Emilio una ventina di anni fa, tramite un amico comune. Mi ricordai di lui quando arrivai a Sesto e cercavo qualcuno che tenesse gli esercizi spirituali per inaugurare il primo anno pastorale. Da allora il rapporto è sempre più vivo. A Sesto Emilio è di casa. Ha celebrato per noi tante volte, ci ha insegnato a leggere la Bibbia per "imparare a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio", è la guida nei nostri viaggi annuali. Nei miei appunti di viaggio lo trovo citato continuamente: "Don Emilio celebra alla grotta dei pastori, ci parla del Verbum abbreviatum,, dell'incontenibile che si è reso piccolo per essere accolto da noi; ci parla del pastore del presepio di Bonassola, rapito - ravì - a braccia aperte davanti alla culla di Gesù Bambino, che non porta in dono nulla, ma porta la cosa più bella, lo stupore dell'infanzia; e ci ricorda anche, con l'anonimo autore medievale Nondum totus Christus natus est: Non tutto il Cristo è nato". O ancora: "Si dice la Messa in faccia al deserto, con le dune che sembrano davvero onde del mare. Il deserto è il luogo del silenzio e della parola. Midbar (deserto), dabar (parola), la misteriosa assonanza dell'ebraico. Israele, una volta insediato nella terra, aveva dimenticato che nel deserto Dio solo lo aveva nutrito: gli idoli della terra - anche i canti, anche il sole e i commerci e le banche... - diventano le sue sicurezze, i suoi punti di appoggio e gli fanno dimenticare i doni di Dio. Parlerò al suo cuore, dice il Signore. Cioè lo riguadagnerò. Noi siamo la generazione alla quale la pubblicità fa credere che davvero tutto è previsto e provvisto. Abbiamo bisogno, più di sempre, di ritrovare il deserto, la cena interiore di cui parla santa Caterina, dove è possibile l'ascolto di Dio umile e fidente. Anche il deserto fiorisce per una presenza che lo abita. Queste cose - registro - ci dice Emilio e ce le dice molto bene, con vera commozione."

Inutile dire che i nemici dei suoi amici sono i suoi nemici: ad esempio è difficile fargli fare la pace con Giustiniano, colpevole di aver fatto bruciare le opere di Origene. Ma esempi del genere si potrebbero moltiplicare. Sono i suoi unici rancori.

Don Emilio ha frequentato anche le alte sfere. E' stato per qualche tempo consigliere ecclesiastico dell'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, chiamato al suo fianco dall'ambasciatore Pompei, ma è rimasto assolutamente indenne. Certo stupisce, andando fuori con lui, scoprire quanto sia conosciuto: in Siria gli era amico il nunzio monsignor De Niccolò, lo scopritore di Ebla Paolo Matthiae, di cui ha benedetto le nozze e non so quanti altri... Lui comunque rimane sempre fedele a se stesso. La libertà è il suo carisma.

Mi piace chiudere salutandolo con le parole che trovo ancora nel mio diario di Terrasanta del '94: "Appena imboccata la nuova autostrada che conduce direttamente all'aeroporto di Tel Aviv, Emilio ha cominciato a salutare Gerusalemme: la città della gioia, la città dove tutti siamo nati, dove sono tutte le nostre sorgenti, dove tutti stiamo andando. Lo fa con grande entusiasmo e commozione. Siamo molto grati a questo pretino - questo vecchietto arzillo, come amo dirgli scherzando - di cui in dieci giorni di convivenza gomito a gomito abbiamo imparato a conoscere quasi tutto, anche i difetti, le irritazioni se l'orario non è rispettato, la sua difficoltà a smussare gli angoli e a prendere le curve... ma anche la ricchezza spirituale, l'amore per questa terra, la sua conversazione continua con personaggi di ogni tempo, che sono per lui tutti contemporanei e amici: Origene, Agostino, Gregorio Magno, la pellegrina Eteria, l'anonimo piacentino, Bernardo, fratel Carlo, Paolo VI... All'aeroporto Emilio mi sparisce, mentre sto aspettando la valigia. La fortuna di viaggiare solo col bagaglio appresso! Ciao Emilio, e grazie."

 

 

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