Il Bambino che prende il latte, Pistoia, affresco del 1382

 

Lettera di Natale agli amici ~ 1993

Virgilio definisce i liguri durum genus, gente dura, indurita dall'improba fatica di dominare la roccia e il mare infido. Forse il poeta non percorse i sentieri delle Cinque Terre, ma è probabile che abbia percorso l'Aurelia, la via consolare che s'inerpica sui dirupi a strapiombo sul mar Ligure. Viene in mente l'antico detto: "gutta cavat lapidem", l'acqua, che persistente scende goccia a goccia, finisce per scavare anche la roccia più dura. Ma c'è una durezza che nessuna acqua riesce a scalfire, la durezza del cuore. Quanta durezza di cuore han dimostrato tanti uomini di oggi, specialmente quelli che in nome di alti ideali si erano impegnati a servire gli altri e invece si sono prostituiti agli idoli del potere e del denaro, inquinando i rapporti sociali e avvelenando anche l'aria! Quanti ideali traditi e quante speranze deluse!

Ma ecco riapparire più fulgida, in questa notte cupa, la stella di Betlemme, dalla quale gli umili come i pastori, e i saggi come i magi, si lasciano guidare. Se la croce è la cattedra del dolce Maestro, il suo insegnamento comincia dalla mangiatoia in cui viene deposto appena nato. Se il Vangelo è la buona novella recata ai poveri, qui si apprende chi è veramente il povero. Paolo ce lo ricorda in termini incisivi: "Colui che è infinitamente ricco si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà". Ecco il paradosso: ci arricchisce, non con le ricchezze di questo mondo, che non sono altro che la paglia del suo presepe, ma ci arricchisce con la sua povertà; ci arricchisce spogliandosi della sua gloria e rivestendo la nostra carne, fino a identificarsi con l'ultimo degli uomini. E' per questa via di spogliazione e di volontaria umiliazione, culminante nella croce, ch'egli ci fa dono di se stesso. Così ciascun uomo diventa ricco di lui, e in lui può riconoscere la propria inalienabile dignità. La Parola che rimane in eterno, si fa carne nel tempo, per riempire ogni carne del suo Spirito. La Parola, "rimpicciolita", ridotta alle dimensioni di un bambino appena nato, diventa l'umile goccia che scava, penetra e scioglie la durezza del nostro cuore di pietra. Per bocca del profeta aveva promesso: "Vi purificherò da tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 36, 25-26). Se un tempo ci si era illusi che bastasse cambiare le strutture per avere un mondo nuovo, più giusto e più umano, ora diventa più chiaro che nulla di autenticamente nuovo sorgerà senza l'uomo nuovo con un cuore nuovo. C'è un netto rifiuto della furbizia gattopardesca, che vorrebbe cambiare qualcosa perché tutto rimanga come prima, il che dimostra che l'uomo vecchio non si rassegna a morire.

A Betlemme è nato l'Uomo Nuovo, ed è nato nel cuore dell'inverno e nelle tenebre della notte. E' a questa novità che bisogna volgere lo sguardo e convertire il cuore. Questo Bambino fa ringiovanire il mondo, perché lui solo è capace di rendere nuovo l'uomo che lo accoglie e si mette alla sua scuola. Nel nostro crudo inverno e fra le tenebre che ci avvolgono, risplende la luce vera che illumina ogni uomo. C'è dunque ancora speranza per noi. Il profeta Geremia, piangendo sulle rovine di Gerusalemme, andava seminando i germi della speranza messianica: "Buono è il Signore con chi spera in lui, con l'anima che lo cerca. E' bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore" (Lam 3, 25-26). Dopo tanto frastuono di parole menzognere è necessaria una pausa di silenzio. Prima di parlare occorre far tacere ogni risentimento e amarezza, dissipare "l'ombra della carne o il suo veleno"; occorre avere un cuore purificato da ogni idolo; occorre soprattutto saper tacere per ascoltare il Verbo, che è uscito dal silenzio per insegnare prima a fare e poi a dire.

C'è ancora speranza per noi. "... ho veduto tutto il verno prima / lo prun mostrarsi rigido e feroce / poscia portar la rosa in su la cima" (Par XIII, 133). Finita la stagione delle facili illusioni e delle amare delusioni; e sebbene ancora timida ed esile, si riaffaccia la speranza, come rosa tra le spine, come germe fragile e delicato, che bisogna coltivare con il calore d'un sincero amore. C'è ancora speranza per noi, perché ci sono in mezzo a noi umili servi del Signore, uomini inviati da Dio per rendere testimonianza alla verità. Essi sanno discernere i veri dai falsi valori, il vero Dio dagli idoli. Hanno scelto di essere poveri per essere liberi; non cedono alle minacce né alle lusinghe, non scendono a compromessi e rifiutano ogni ambiguità; amano la verità più di se stessi e sono al servizio di tutti senza lasciarsi asservire a nessuno. Sono questi i tuoi amici, o Signore, e anche i nostri. O Dio, che ti riveli ai piccoli e doni ai miti l'eredità del tuo regno, rendici poveri, liberi ed esultanti, a imitazione del tuo Figlio, nato da Maria a Betlemme perché ogni uomo nasca a vita nuova.

Roma, Natale 1993

 

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