Autun, Cattedrale di San Lazzaro, capitello del coro: la fuga in Egitto (particolare), XII sec.

Molti dei pellegrini che erano diretti a Santiago de Compostela, partivano dalla Borgogna. All'inizio del viaggio rendevano omaggio, ad Autun, a quella che la tradizione indicava come la tomba di Lazzaro. Una selva di colonne, di pilastri, di sculture, realizzate in gran parte da Gisleberto, evocava e faceva rivivere ai pellegrini i segni della propria cultura e della propria fede. Guardando la pietra intagliata e modellata si confermavano nel Vangelo. Tra i capitelli del coro, è ricordata anche la fuga in Egitto. La scena si svolge in un bosco di palme. La Vergine è seduta frontalmente su un asino e porta in grembo il bambino Gesù, che ha una testa da adulto. La mano destra del bambino accarezza una sfera che sua madre tiene in mano. I sapienti non credevano ancora che la terra fosse rotonda; ma lo scultore di Autun lo sapeva già. Più avanti c'è Giuseppe che conduce l'asino (animale immondo per molte culture antiche ed al tempo stesso animale sacro nel mondo siriaco) portando un berretto in testa ed un arnese in spalla. Tutto l'insieme si svolge su alcune ruote decorate che significano certo la velocità della fuga, ma che simboleggiano la regalità. Viene evocato, per analogia, quanto aveva detto il profeta Zaccaria (9,9): "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, figlia di un'asina". Nella fuga in Egitto, ci sono già i segni della resurrezione. Tutto questo ha voluto dire il maestro Gisleberto ad Autun.

 

Lettera di Natale agli amici ~ 1994

Ho conosciuto una mamma duramente provata, eppure serena e radiosa. Perse improvvisamente in un banale incidente la figlia diciottenne. Era sull'orlo della disperazione; ma nel momento in cui il suo cuore di madre era così crudelmente ferito, sperimentò la tenerezza dell'amore del Padre. Mi ha confidato: "Il Signore mi ha coltivata nel suo amore". Un'espressione che mi ha profondamente colpito. Per tanti anni ho insegnato religione ai giovani del liceo Virgilio di Roma e non ho mai cercato di dimostrare l'esistenza di Dio, perché non mi sembrava che ne valesse la pena. Che serve dimostrare che Dio c'è, se non c'è per me, se non credo che egli mi ama? Il Dio dei filosofi non convinceva Pascal e non convince neppure me. Né mi riconosco nell'affermazione cartesiana: "Penso, dunque sono"; preferisco dire: "Amo, dunque sono". Poiché soltanto se amo mi sento vivere e scopro la mia vera identità. E così comprendo meglio la testimonianza di Giovanni, che dice: "Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore". Penso che Agostino arrivò alla fede quando si convinse e poté dire: "Tu sei venuto a cercarmi quando io non ti cercavo, e mi hai cercato affinché io ti cercassi".

E che altro è il Natale, se non proprio questo, che Dio è venuto a cercarmi nella notte oscura e in una squallida grotta, a Betlemme? Per scuotermi dal torpore senza incutermi timore, per toccarmi il cuore, si è spogliato della sua gloria e si è rimpicciolito fino ad assumere le dimensioni di un bimbo. Il Verbo si è fatto carne, dice Giovanni. Verbum abbreviatum, traducono i mistici medievali. A quanti l'hanno accolto, cioè a quanti hanno creduto nel suo nome, egli ha concesso di diventare figli di Dio. Ecco perché si è abbassato tanto, per innalzarmi a questa vertiginosa altezza. Ha preso ciò che è mio per danni ciò che è suo. Pastori e magi, cioè umili e saggi, lo hanno accolto, riconoscendo in quel bimbo la grandezza di Dio. E poiché Dio è grande nell'amore, essi hanno creduto all'Amore. Anche nella notte oscura, anche nelle tenebre che avvolgono la terra, i credenti camminano senza stancarsi" seguendo la luce della stella che splende dentro di loro. Essi non hanno la presunzione d'esser giunti al possesso di Dio, ma lo cercano umilmente, e lo accolgono come un dono assolutamente gratuito, come una lieta sorpresa sempre nuova. L'hanno trovato, ma non senza doverlo cercare ancora e sempre. Il Cantico dei cantici, che è un poema d'amore, è tutto imperniato sulla ricerca. L'amata cerca l'Amato giorno e notte, e qualche volta deve confessare: "L'ho cercato e non l'ho trovato".

Penso con molta simpatia a quanti non l'hanno ancora trovato e tuttavia non si stancano di cercarlo. Un giorno scopriranno d'essere stati cercati e amati da sempre. Allora si arrenderanno, non alla logica della ragione, ma alle ragioni del cuore. Giovanni dice: "Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e ci abbiamo creduto". Egli afferma che Dio è amore, in base ad un'esperienza personale: "I nostri occhi hanno veduto, le nostre orecchie hanno udito e le nostre mani hanno toccato il Verbo che si è fatto carne". Ma noi, che non abbiamo né veduto né udito né toccato? Per noi vale ciò che, con un sentimento di ammirazione, scriveva Pietro ai primi credenti: "Voi lo amate, pur senza averlo visto, e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile". La fede è conoscenza per via d'amore: per amorem agnoscimus, dice Gregorio. Tale conoscenza diventa esperienza di vita.

Sono grato alla mamma che con tanta semplicità mi ha comunicato la sua esperienza: "Il Signore mi ha coltivata nel suo amore ". Sono grato a Dino, un ex alunno del Virgilio, che in Olanda attende al suo perfezionamento di oncologo con vero spirito di servizio, e che, riferendosi ad una mia lettera di Natale, si propone di "realizzare lo scopo per cui è stato concepito". Mi pare che egli abbia compreso molto bene il senso del Natale. Beato chi ha visto spuntare la stella nell'oriente della propria vita e l'ha seguita fedelmente. Beati coloro che, imitando i magi, alla scomparsa della stella che li aveva preceduti, anziché scoraggiarsi continuano a cercare e scoprono una stella più luminosa, la parola di Dio. Attraverso la parola di Dio arrivano a conoscere il cuore di Dio. Non sono molti quelli che leggono la Bibbia. In compenso Dio parla agli uomini in tanti modi. Egli parla anche con il suo silenzio.

Un salmo dice che ogni giorno Dio si affaccia dal cielo per vedere se sulla terra c'è ancora qualcuno che lo cerca. "Cercate me e vivrete!", gridava, per bocca del profeta Amos, a quanti andavano di santuario in santuario alla ricerca di segni e visioni. E' raro incontrare un vero ateo. più facile incontrare degli idolatri. E' sempre più necessaria la conversione dagli idoli al Dio vivo e vero. Egli non è lontano da ciascuno di noi. E' vicino a chi lo cerca con cuore sincero. E quanto più il mondo cresce, tanto più egli si fa piccolo. Quanto più il nostro tripudio natalizio è chiassoso e insolente, tanto più egli tace, e la sua voce è quella di un lieve sussurro che si percepisce soltanto quando anche l'anima tace a se stessa. Egli è il Verbo uscito dal silenzio.

E noi arriveremo ad un autentico dialogo umano, se sapremo tacere di più e ascoltare più attentamente. Assistiamo ancora alla sopraffazione della parola. Il dono che egli vuol farci di se stesso esige che ciascuno sia pronto ad accogliere l'altro, il diverso, colui che un tempo era lontano, ed ora si è fatto vicino, ma aspetta che io mi faccia davvero suo prossimo. E' qui che vuol nascere, dove trova lo spazio per porre la sua tenda e abitare fra noi.

Roma, Natale 1994

 

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