Chathédrale St-Lazare d'Autun, La Vierge de la Fuite en Egypte, XIIe siècle

In copertina ricompare la mirabile scultura di Autun, la "fuga in Egitto" (XII sec.). Questa volta compare soltanto il volto della Vergine. La fuga in Egitto sembra la vittoria dei prepotenti sui deboli e gli inermi, sui piccoli e gli ultimi, con i quali volle identificarsi il bambino di Betlemme.
Il Manzoni, che si propose di raccontare la storia degli ultimi, ci presenta due momenti particolarmente significativi di questa storia. Il primo, quando padre Cristoforo indica ai fuggiaschi la via dell'esilio: "Vedete bene, figliuoli, che ora questo paese non è più sicuro per voi. E' il vostro; ci siete nati; non avete fatto male a nessuno; ma Dio vuoi così. E' una prova: sopportatela con pazienza, con fiducia, senza odio, e siate sicuri che verrà un tempo in cui vi troverete contenti di ciò che ora accade" (c. VIII).
Ben diversi sono i pensieri con cui va rassicurandosi don Rodrigo: "La giustizia? Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, né un matto. E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno neanche un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura" (c. XI).
Dopo la fuga in Egitto la storia si deve riscrivere, cominciando dagli ultimi, con i quali si è identificato il bambino nato a Betlemme, che la persecuzione di Erode costringe a fuggire. Quante persecuzioni dopo quella di Erode! quante fughe e quante stragi di innocenti! Tanto da sembrare che gli oppressi siano in balia degli oppressori.
Ci rassicura la voce d'un salmo (Sl 3,2-4):
"Quanti, oh quanti oppressori, Signore:
troppi sono ad accanirsi su di me:
senza numero sono, e tutti a dire:
"più nemmeno il suo Dio lo salva".
Invece tu sei il mio scudo, Signore,
la gloria mia, che a testa alta mi fa camminare".

 

Lettera di Natale agli amici ~ 1996

Alla cena dei maturandi della III E del 1972 ricevetti in dono Il vangelo di Charlie Brown, in cui leggo: "Dio ha bisogno di uomini, non di esseri rumorosi, parolai. Dei cani egli cerca, che coi loro nasi si immergano nell'Oggi, e qui sentano il profumo dell'Eterno ". Che cosa volevano dirmi allora, quasi venticinque anni fa, quei ragazzi del liceo Virgilio di Roma? Penso che per prima cosa volessero dirmi che non si accontentavano di parole, e che se io volevo sentire il profumo dell'Eterno dovevo vivere immerso in questo tempo, attento alla voce degli uomini di oggi e cercando d'interpretarla; mi chiedevano di saper tacere e sapere ascoltare. Perché se è vero che Dio parla attraverso le Scritture, la sua parola non è mai intemporale; è sempre legata al tempo, alla storia umana, tanto che un determinato giorno, in un determinato luogo, il Verbo di Dio si è fatto carne della nostra carne, per immergersi nella vicenda d'ogni uomo e assumerla in sé.

In realtà l'incarnazione del Verbo, che si festeggia a Natale, è l'immersione dell'Eterno nell'Oggi del tempo e della storia; storia, che da quel momento è diventata carne del Verbo. La liturgia natalizia è liturgia nuziale: il Verbo che si fa carne nel grembo verginale di Maria, è lo sposo che viene a celebrare le nozze con l'umanità. Il fragile fiore del campo, che è l'uomo, viene assunto dal Verbo che rimane in eterno. L'Eterno si è immerso nell'oggi, e l'oggi diventa eterno. Con ragione la liturgia natalizia canta: Hodie Christus natus est! Sì, oggi è nato Cristo, perché egli è nato per noi a Betlemme, e vuol nascere in ciascuno di noi. Infatti la liturgia natalizia precisa: Christus natus est nobis. "Mille volte nascesse Cristo a Betlemme - spiega Silesius - ma non in te: sei perduto in eterno". E un monaco medievale giustamente sosteneva che Cristo non è ancora nato tutto; egli "nasce ogni volta che uno diventa cristiano". Sì, perché cristiani non si nasce, ma lo si diventa mediante un'incessante e consapevole scelta personale.

E' vero che con il battesimo Cristo nasce in noi. Silesius soggiunge: "L'opera a Dio più cara, a lui più intima, è poter generare suo Figlio in te ". E' dunque vero che Cristo nasce in te. Ma non cresce in te, se non prendi coscienza di questo tesoro che rimane nascosto in te, come, secondo la parabola evangelica, il tesoro nel campo. Solo se scavi e cerchi, scopri il tesoro. Una scoperta che è fonte di gioia. Ma troppo spesso la pigrizia, il conformismo o la presunzione impediscono questa gioia. La fede è ricerca senza fine. Credere è cercare, scoprire e accogliere il dono. Con accento provocatorio Kierkegaard asseriva: "E' difficile diventare cristiani quando si nasce nella cristianità ". Nel giorno di Natale il vangelo di Giovanni osserva che il Verbo l'era nel mondo, eppure il mondo non lo riconobbe"; constata con dolore: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto"; e con grande esultanza conclude: "A quanti però l'hanno accolto, a quanti credono in lui, egli ha dato il potere di diventare figli di Dio". Per questo il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché gli uomini diventassero figli di Dio. Questa non è presunzione; è grazia; è la grazia di Natale. Il Natale di Cristo diventa il nostro Natale. Dall'umile storia di Betlemme fiorisce il mistero dell'umana rigenerazione. Cristo diventa "il primogenito" di un'immensa moltitudine di fratelli.

"Credere" equivale ad "accogliere". Ma l'uomo non ha in sé la capacità di accogliere il Figlio di Dio nella sua grandezza. Per questo egli si è " rimpicciolito" tanto da essere riconoscibile solo da questo segno: "Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia". Si è totalmente "spogliato" della sua gloria, accettando fino in fondo la nostra condizione umana. Per cui l'uomo non può accogliere lui, se prima non accetta se stesso. E' detto: "Alla sera della vita sarai giudicato sull'amore". E in che consiste l'amore? "Quello che fai al più piccolo dei miei fratelli, lo fai a me ". Sì, perché egli si è identificato con il più piccolo. Anche il più piccolo ha una storia. Anzi la storia vera comincia dal più piccolo, dall'ultimo.

Mentre un profondo silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso, il Verbo di Dio è uscito dal silenzio, per manifestare silenziosamente la sua amicizia per l'uomo. "Dio amico dell'uomo", è il tema dominante nella liturgia bizantina. Cristo è il Verbo uscito dal silenzio. E soltanto nel silenzio si può accogliere lui, Parola eterna. Non solo deve tacere ogni mondan rumore, ma l'anima stessa deve tacere a se stessa, per ascoltare quest'unica Parola che Dio pronuncia nel silenzio della notte, nel silenzio dei sensi e dell'intelletto, nell'intimo del cuore.

"La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore". Questo è quello che Dio si propone anche oggi, e questa è l'esigenza profonda avvertita da molti. Il mondo è cresciuto, ma non a misura dell'uomo. Allo stupore si mescola lo sgomento. Già negli anni trenta un grande filosofo, Bergson, coglieva l'urgenza di "un supplemento d'anima" in un corpo che stava crescendo tanto rapidamente. Si avverte una grande esigenza d'interiorità. Nel mondo s'è fatto il deserto, una solitudine che può essere colmata soltanto da una presenza divina. Ma come fa Dio a parlare al cuore dell'uomo, se questo è frastornato da mille parole vuote, e soprattutto se ha perduto la capacità e il gusto dell'ascolto? Nessuno parla meno di Dio. Egli ci ha detto tutto in una sola volta e con una sola parola, dandoci suo Figlio. Egli non ha più nulla da dirci. Aspetta solo di poter generare in ciascuno questa sua unica e definitiva Parola, che è suo Figlio.

Occorre il silenzio che consenta un ascolto capace di stupore: tendere le orecchie e ascoltare attoniti, adtonitis auribus audiamus, dice la regola benedettina. La fede è sicura soltanto se è capace di stupore, secura si adtonita, conferma Tertulliano. Di fronte al mistero si rimane stupiti e commossi. Certo, non si può non ammirare la prontezza con cui sono accorsi i pastori nella notte di Natale e la generosità dei loro doni. Tornando non la finiscono più di raccontare ciò che hanno visto e udito. Affiora la nota dello stupore, dove la parola cede il posto al silenzio. Ma l'esempio più alto è Maria. Lei è la prima discepola divenuta dolcissima maestra. Maria tace. Nessuna parola riesce ad esprimere il suo silenzio contemplativo. Ella coglie nell'evento il mistero e lo adora con giubilo. "Custodisce tutte queste cose meditandole in cuor suo". In lei troviamo la nostra anima profonda, che andiamo cercando.

Questo, ben inteso, non è un invito all'intimismo o alla fuga dal mondo. Se nel vangelo di Giovanni leggiamo: "Era nel mondo, e il mondo non lo riconobbe", leggiamo altresì: "Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo unigenito". Noi siamo questo mondo, che può rifiutare o accogliere il dono di Dio; comunque siamo il mondo amato da Dio. Come potremmo amare, se prima non fossimo amati?

Roma, Natale 1996

 

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