Concilio Vaticano II (1962-1965)

Luogo: Roma (S. Pietro), 28 ottobre 1965

Data: 1965/10/28

PERFECTAE CARITATIS

 

1 - Proemio.

1. Il sacrosanto concilio già in precedenza, nella costituzione "Lumen gentium", ha dimostrato che il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici trae origine dalla dottrina e dagli esempi del divino Maestro e appare come una splendida caratteristica del regno dei cieli. Ora lo stesso concilio intende occuparsi della vita e della disciplina di quegli istituti, i cui membri fanno professione di castità, di povertà e di obbedienza, e insieme provvedere alle loro necessità secondo le odierne esigenze.

Fin dai primi tempi della chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici intesero seguire Cristo con maggiore libertà e imitarlo più da vicino e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio. Molti di essi, dietro l'impulso dello Spirito santo, o vissero una vita solitaria o fondarono famiglie religiose, che la chiesa con la sua autorità volentieri accolse e approvò. Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose che molto ha contribuito a far sì che la chiesa non solo sia ben attrezzata per ogni opera buona (cf. 2 Tim. 3, 17) e preparata all'opera di servizio per l'edificazione del corpo di Cristo (cf. Ef. 4, 12), ma, anche abbellita con la varietà dei doni dei suoi figli, appaia altresì come una sposa adornata per il suo sposo (cf. Apoc. 21, 2) e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cf. Ef, 3, 10).

In tanta varietà di doni, tutti coloro che sono chiamati da Dio alla pratica dei consigli evangelici e ne fanno fedelmente professione, si consacrano in modo speciale al Signore, seguendo Cristo che, vergine e povero (cf. Mt, 8, 20; Lc. 9, 58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce (cf. Fil. 2, 8). Così essi, animati dalla carità che lo Spirito santo infonde nei loro cuori (cf. Rom. 5, 5) sempre più vivono per Cristo e per il suo corpo che è la chiesa (cf. Col. 1, 24). Quanto più fervorosamente, adunque, si uniscono a Cristo con questa donazione di sè che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vita della chiesa e il suo apostolato diviene più vigorosamente fecondo.

Affinché il superiore valore della vita consacrata per mezzo della professione dei consigli evangelici, nonché la sua necessaria funzione nelle presenti circostanze riescano di magglor vantaggio alla chiesa, questo sacro concilio sancisce le seguenti norme, che riguardano soltanto i principi generali dell'aggiornamento della vita e della disciplina da attuarsi nelle famiglie religiose, come pure nelle società di vita comune senza voti e negli istituti secolari, conservando ognuno la propria fisionomia. Le norme particolari, che riguardano la esposizione e l'applicazione di questi principi, saranno emanate dalla competente autorità ecclesiastica dopo il concilio.

2 - Principi generali di un conveniente rinnovamento.

2. L'aggiornamento della vita religiosa comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti, e nello stesso tempo l'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi. Questo rinnovamento, sotto l'influsso dello Spirito santo e la guida della chiesa, deve attuarsi secondo i seguenti principi:

a) Essendo norma fondamentale della vita religiosa il seguire Cristo come viene insegnato dal vangelo, questa norma deve essere considerata da tutti gli istituti come la loro regola suprema.

b) Torna a vantaggio stesso della chiesa che gli istituti abbiano una loro propria fisionomia e una loro propria funzione. Perciò fedelmente si interpretino e si osservino lo spirito e le finalità proprie dei fondatori, come pure le sane tradizioni: tutto ciò costituisce ii patrimonio di ciascun istituto.

c) Tutti gli istituti partecipino alla vita della chiesa e secondo la loro indole facciano propri e sostengano nella misura delle proprie possibilità le sue iniziative e gli scopi che essa si propone di raggiungere nei vari campi, come in quello biblico, liturgico, dogmatico, pastorale, ecumenico, missionario e sociale.

d) Gli istituti procurino ai loro membri un'appropriata conoscenza sia delle condizioni dei tempi e degli uomini sia dei bisogni della chiesa, in modo che essi sapendo rettamente giudicare le circostanze attuali del mondo secondo i criteri della fede e ardendo di zelo apostolico siano in grado di giovare agli altri più efficacemente.

e) Essendo la vita religiosa innanzitutto ordinata a far si che i suoi membri seguano Cristo e si uniscano a Dio con la professione dei consigli evangelici, bisogna tenere ben presente che le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale, al quale spetta sempre il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato.

3 - Criteri pratici par il rinnovamento.

3. Il modo di vivere, di pregare e di agire deve convenientemente adattarsi alle odierne condizioni fisiche e psichiche dei religiosi, come pure, per quanto è richiesto dalla natura di ciascun istituto, alle necessità dell'apostolato, alle esigenze della cultura, alle circostanze sociali ed economiche; e ciò dovunque, ma specialmente nei luoghi di missione.

Anche il modo di governare degli istituti deve essere sottoposto a esame secondo gli stessi criteri.

Perciò le costituzioni, i " direttori", i libri delle usanze, delle preghiere e delle cerimonie e altri simili codici, siano convenientemente riveduti e, soppresse le prescrizioni che non sono più attuali, vengano modificati in base ai documenti emanati da questo sacro concilio.

4 - Da quali persone deve essere compiuto questo rinnovamento.

4. Un efficace rinnovamento e un vero aggiornamento non possono aver luogo senza la collaborazione di tutti i membri dell'istituto.

Stabilire le norme dell'aggiornamento e fissarne le leggi, come pure determinare un sufficiente e prudente periodo di prova, è compito ch che spetta soltanto alle competenti autorità, soprattutto ai capitoli generali, salva restando, quando sia necessaria, l'approvazione della santa sede o degli ordinari dei luoghi, a norma del diritto. I superiori, in tutto ciò che riguarda le sorti dell'intero istituto, consultino e ascoltino come si conviene i propri confratelli.

Per l'aggiornamento dei monasteri femminili si potranno ottenere anche i voti e le consultazioni delle adunanze delle federazioni o di altre riunioni legalmente convocate.

Tutti però devono tener presente che l'auspicato rinnovamento, più che nel moltiplicare le leggi, è da riporsi in una più esatta osservanza della regola e delle costituzioni.

5. Elementi comuni a tutte le forme di vita religiosa.

5. I membri di qualsiasi istituto ricordino anzitutto di aver risposto alla divina chiamata con la professione dei consigli evangelici, in modo che essi, non solo morti al peccato (cf. Rom, 6, 11) ma rinunziando anche al mondo, vivono per Dio solo. Tutta la loro vita, infatti, è stata posta al servizio di Dio, e ciò costituisce una consacrazione del tutto speciale che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale e ne è un'espressione più piena.

Avendo poi la chiesa ricevuto questa loro donazione di sè, sappiano essi di essere anche al servizio della chiesa.

Tale servizio di Dio deve in essi stimolare e favorire l'esercizio delle virtù, specialmente dell'umiltà e dell'obbedienza, della fortezza e della castità, con cui si partecipa allo spogliamento di Cristo (cf. Fil. 2, 7-8) e insieme alla sua vita mediante lo spirito (cf. Rom. 8, 1-13)

I religiosi adunque, fedeli alla loro professione, lasciando ogni cosa per amore di Cristo (cf. Mc. 10, 28), lo seguano (cf. Mt. 19, 21) come l'unica cosa necessaria (cf. Lc. 10, 42), ascoltandone le parole (cf. Lc. 10, 39) e pieni di sollecitudine per le cose sue (cf. 1 Cor. 7, 32).

Perciò è necessario che i membri di qualsiasi istituto, avendo di mira sopra ogni cosa e unicamente Dio, congiungano tra loro la contemplazione, con cui siano in grado di aderire a Dio con la mente e col cuore, e l'ardore apostolico, con cui si sforzino di collaborare all'opera della redenzione e dilatare il regno di Dio.

6. Primato della vita spirituale.

6. Coloro che fanno professione dei consigli evangelici, prima di ogni cosa cerchino e amino Dio che per primo ci ha amati (cf. 1 Gv. 4, 10), e in tutte le circostanze si sforzino di alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio (cf. Col. 3, 3), donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della chiesa. Questa carità anima e guida anche la stessa pratica dei consigli evangelici.

Perciò i membri degli istituti coltivino con assiduo impegno lo spirito di preghiera e la preghiera stessa, attingendoli dalle fonti genuine della spiritualità cristiana. In primo luogo abbiano quotidianamente fra le mani la sacra scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione dei libri sacri imparino "la eminente scienza di Gesù Cristo" (Fil. 3, 8). Compiano la sacra liturgia, soprattutto il sacrosanto mistero dell'eucaristia, con le disposizioni interne ed esterne volte della chiesa, e alimentino presso questa ricchissima fonte la propria vita spirituale.

In tal modo, nutriti alla mensa della divina legge e del sacro altare, amino fraternamente le membra di Cristo; con spirito filiale circondino di riverenza e di affetto i pastori; sempre più intensamente vivano e sentano con la chiesa e si mettano a completo servizio della sua missione.

7 - Gli istituti interamente dediti alla contemplazione.

7. Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, tanto che i loro membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, nella continua preghiera e nella gioiosa penitenza, pur nella urgente necessità di apostolato attivo conservano sempre un posto eminente nel corpo mistico di Cristo, in cui "tutte le membra non hanno la stessa funzione" (Rom. 12, 4). Essi infatti offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode e producendo frutti abbondantissimi di santità sono di onore e di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una misteriosa fecondità apostolica. Così essi costituiscono una gloria per la chiesa e una sorgente di grazie celesti. Il loro genere di vita tuttavia sia riveduto secondo i principi e i criteri di aggiornamento sopra indicati, nel pieno rispetto però della loro separazione dal mondo e degli esercizi propri della vita contemplativa.

8 - Gli istituti votati all'apostolato.

8. Vi sono nella chiesa moltissimi istituti, clericali o laicali dediti alle varie opere di apostolato, che hanno differenti doni secondo la grazia che è stata loro data: " chi ha il dono del ministero, lo eserciti secondo le esigenze della rispettiva funzione; chi ha il dono d'insegnare, insegni; chi quello di esortare, esorti; chi dona, dia con liberalità; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia" (cf. Rom. 12, 5-8). " Vi è varietà di doni, ma lo Spirito è il medesimo" (1 Cor. 12,4).

In questi istituti l'azione apostolica e caritativa rientra nella natura stessa della vita religiosa in quanto costituisce un ministero sacro e un'opera particolare di carità che sono stati loro affidati dalla chiesa e devono essere esercitati in suo nome. Perciò tutta la vita religiosa dei membri sia compenetrata di spirito apostolico e tutta l'azione apostolica sia informata di spirito religioso, Affinché adunque i religiosi corrispondano in primo luogo alla loro vocazione che li chiama a seguire Cristo e servano Cristo nelle sue membra, bisogna che la loro azione apostolica si svolga in intima unione con lui. Con ciò viene alimentata la carità stessa verso Dio e verso gli uomini.

Perciò detti istituti adattino convenientemente le loro osservanze e i loro usi alle esigenze dell'apostolato, cui si dedicano. Siccome poi molteplici sono le forme di vita religiosa consacrata alle opere di apostolato, è necessario che l'aggiornamento tenga conto di questa diversità e che presso i vari istituti la vita dei membri a servizio di Cristo sia sostentata con mezzi loro propri e rispondenti allo scopo.

9 - La fedeltà alla vita monastica a conventuale.

9. Sia fedelmente conservata e sempre più rifulga nel suo genuino spirito sia in oriente che in occidente la veneranda istituzione della vita monastica che lungo il corso dei secoli si acquistò insigni benemerenze verso la chiesa e la società. Ufficio principale dei monaci è quello di prestare umile e insieme nobile servizio alla divina Maestà entro le mura del monastero, sia dedicandosi interamente al culto divino con una vita di nascondimenti, sia assumendo legittimamente qualche opera di apostolato o di carità cristiana. Mantenendo pertanto la fisionomia caratteristica del proprio istituto, i monaci rinnovino le antiche benefiche tradizioni e le adattino agli odierni bisogni delle anime, in modo che i monasteri siano come vivai di edificazione del popolo cristiano

Analogamente gli istituti religiosi, i quali per regola o per ordinamento uniscono strettamente la vita apostolica all'ufficio corale e alle osservanze monastiche, adattino il loro modo di vivere con le esigenze dell'apostolato a loro confacente, in maniera tale da conservare fedelmente il loro genere di vita, essendo esso di grande vantaggio per la chiesa.

10 - La vita religiosa laicale.

10. La vita religiosa laicale, tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sè completo di professione dei consigli evangelici. Perciò il sacro concilio, che ha grande stima di questa vita religiosa laicale poiché essa tanta utilità arreca all'attività pastorale della chiesa nell'educazione della gioventù, nell'assistenza agli infermi e in altri servizi, conferma i membri di tale forma di vita religiosa nella loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vita alle odierne esigenze.

Il sacro concilio dichiara non esservi alcun impedimento a che nelle comunità religiose maschili, pur restando fermamente il loro carattere laicale, per disposizione del capitolo generale alcuni membri ricevano gli ordini sacri, allo scopo di provvedere nelle proprie case alle necessità del servizio sacerdotale.

11 - Gli istituti secolari.

11. Gli istituti secolari, pur non essendo istituti religiosi, tuttavia comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel secolo, riconosciuta dalla chiesa. Tale professione agli uomini e alle donne, ai laici e ai chierici che vivono nel secolo conferisce una consacrazione. Perciò essi anzitutto intendano darsi totalmente a Dio nella perfetta carità, e gli istituti stessi conservino la loro propria particolare fisionomia, cioè quella secolare, per essere in grado di compiere efficacemente e dovunque nella vita secolare e come se appartenessero alla vita secolare quell'apostolato, per il cui esercizio essi sono sorti.

Tuttavia sappiano bene che non potranno assolvere un compito così importante, se i loro membri non riceveranno una formazione nelle discipline divine e umane tale da diventare realmente fermento nel mondo per il vigore e l'incremento del corpo di Cristo. I superiori perciò seriamente procurino di dare ai loro sudditi una istruzione specialmente spirituale e di sviluppare ulteriormente la loro formazione.

12 - La castità.

12. La castità osservata " per il regno dei cieli" (Mt. 19, 12), quale viene professata dai religiosi, deve essere apprezzata come un insigne dono della grazia. Essa infatti rende libero in maniera speciale il cuore dell'uomo (cf. 1 Cor. 7, 32-35), così da accenderlo maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini, e per conseguenza costituisce un segno particolare dei beni celesti, nonché un mezzo molto adatto offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino e alle opere di apostolato. In tal modo essi davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quel mirabile connubio operato da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la chiesa ha Cristo come unico suo sposo.

Bisogna dunque che i religiosi, sforzandosi di mantenersi fedeli alla loro professione, credano nelle parole del Signore e, fidando nell'aiuto divino, non presumano delle loro forze, ma pratichino la mortificazione e la custodia dei sensi. E neppure trascurino i mezzi naturali, che giovano alla sanità mentale e fisica. In tal modo essi non potranno essere influenzati dalle false teorie che sostengono essere la continenza perfetta impossibile o nociva al perfezionamento dell'uomo, ma quasi per un istinto spirituale sapranno respingere tutto ciò che può mettere in pericolo la castità. Inoltre tutti sappiano, specialmente i superiori, che la castità si potrà custodire più sicuramente, se i religiosi nella vita comune sapranno praticare un vero amore fraterno tra loro.

Poiché l'osservanza della continenza perfetta tocca intimamente le inclinazioni più profonde della natura umana, i candidati alla professione di castità non abbraccino questo stato né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una debita maturità psicologica e affettiva. Essi non solo siano preavvertiti circa i pericoli ai quali va incontro la castità, ma devono essere educati in maniera tale, da osservare il celibato consacrato a Dio anche come un bene per lo sviluppo integrale della propria persona.

13 - La povertà.

13. La povertà volontaria scelta per mettersi a seguire Cristo, di cui oggi specialmente essa è un segno molto apprezzato, sia coltivata diligentemente dai religiosi e, se sarà necessario, si trovino nuove forme per esprimerla. Per mezzo di essa si partecipa alla povertà di Cristo, il quale da ricco che era si fece povero per amore nostro, allo scopo di farci ricchi con la sua povertà (cf. 2 Cor. 8, 9; Mt. 8, 20).

Per quanto riguarda la povertà religiosa, non basta essere soggetti ai superiori nell'uso dei beni, ma occorre che i religiosi pratichino una povertà esterna e interna, ammassando tesori in cielo (cf. Mt. 6, 20).

Nel loro proprio ufficio si sentano impegnati alla comune legge del lavoro e, mentre in tal modo si procurano i mezzi necessari al loro sostentamento e alle loro opere, allontanino da sè ogni eccessiva preoccupazione e si affidino alla provvidenza del Padre celeste (cf. Mt. 6, 25).

Le congregazioni religiose nelle loro costituzioni possono permettere che i loro membri rinuncino ai beni patrimoniali acquistati o da acquistarsi.

Gli istituti stessi, tenendo conto delle condizioni dei singoli luoghi, cerchino di dare una testimonianza quasi collettiva della povertà, e volentieri destinino qualche parte dei loro beni per le altre necessità della chiesa e per il sostentamento dei poveri, che i religiosi tutti devono amare nelle viscere di Cristo (cf. Mt. 19, 21; 25, 34-46; Giac. 2, 15-16; 1 Gv. 3, 17). Le province e le case degli istituti religiosi si scambino tra loro i beni temporali, in modo che le più fornite di mezzi aiutino le altre che soffrono la povertà.

Quantunque gli istituti, in conformità alle regole e alle costituzioni, abbiano diritto di possedere tutto ciò che è necessario al loro sostentamento e alle loro opere, tuttavia evitino ogni apparenza di lusso, di lucro eccessivo e di accumulazione di beni.

14 - L'obbedienza.

14. I religiosi con la professione di obbedienza offrono a Dio la piena dedizione della propria volontà come sacrificio di se stessi, e per mezzo di questo sacrificio in maniera più costante e sicura si uniscono alla volontà salvifica di Dio. Pertanto, sull'esempio di Gesù Cristo, che venne per fare la volontà del Padre (cf. Gv, 4, 34; 5, 30; Ebr. 10, 7; Sal. 39, 9) e " prendendo la natura di un servo" (Fil. 2, 7) dai patimenti sofferti conobbe a prova la sottomissione (cf. Ebr. 5, 8), i religiosi, mossi dallo Spirito santo, si sottomettono in spirito di fede ai superiori che fanno le veci di Dio, e tramite loro si pongono al servizio di tutti i fratelli in Cristo, come Cristo stesso per la sua sottomissione al Padre venne per servire i fratelli e diede la sua vita in riscatto per molti (cf. Mt. 20, 28; Gv. 10, 14-18). Così essi si vincolano sempre più strettamente al servizio della chiesa e si sforzano di raggiungere la misura della piena statura di Cristo (cf. Ef. 4, 13).

Perciò i religiosi in spirito di fede e di amore verso la volontà di Dio, secondo quanto prescrivono la regola e le costituzioni, prestino umile ossequio ai loro superiori col mettere a disposizione tanto le energie della mente e della volontà, quanto i doni di grazia e di natura, nella esecuzione degli ordini e nel compimento degli uffici loro assegnati, sapendo di dare la propria opera alla edificazione del corpo di Cristo secondo il piano di Dio. Così l'obbedienza religiosa, lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la fa pervenire al suo pieno sviluppo, avendo accresciuta la libertà dei figli di Dio.

I superiori, dovendo un giorno rendere conto a Dio delle anime che sono loro affidate (cf. Ebr. 13, 17), docili alla volontà di Dio nel compimento del dovere, esercitino l'autorità in spirito di servizio verso i fratelli, in modo da esprimere la carità con cui Dio li ama. Reggano i sudditi come figli di Dio e con rispetto della persona umana, facendo sì che la loro soggezione sia volontaria. Per conseguenza specialmente lascino loro la dovuta libertà per quanto riguarda il sacramento della penitenza e la direzione della coscienza. Guidino i membri in maniera tale che questi nell'assolvere i propri compiti e nell'intraprendere iniziative cooperino con un'obbedienza attiva e responsabile. Perciò i superiori ascoltino volentieri i membri e promuovano l'unione delle loro forze per il bene dell'istituto e della chiesa, pur rimanendo ferma la loro autorità di decidere e di comandare ciò che deve farsi.

I capitoli e i consigli eseguiscano fedelmente il compito che è stato loro affidato nel governo, e questi organismi, ciascuno a suo modo, siano l'espressione della partecipazione e delle sollecitudini di tutti i membri per il bene dell'intera comunità.

15 - La vita comune.

15. Sull'esempio della chiesa primitiva in cui la moltitudine dei credenti era d'un cuore solo e di un'anima sola (cf. Atti 4, 32), la vita da condurre in comune, nutrita dagli insegnamenti del vangelo, dalla sacra liturgia e soprattutto dall'eucaristia perseveri nell'orazione e nella comunione dello stesso spirito (cf. Atti 2, 42). I religiosi, come membra di Cristo, in fraterna comunanza di vita si prevengano gli uni agli altri nel rispetto scambievole (cf. Rom. 12, 10), portando i pesi gli uni degli altri (cf. Gal 6, 2). Infatti in forza della carità di Dio diffusa nei cuori per mezzo dello Spirito santo (cf. Rom. 5, 5), la comunità come una vera famiglia unita nel nome del Signore gode della sua presenza (cf. Mt, 18, 20). La carità poi è il compimento della legge (cf. Rom, 13, 10) e il vincolo della perfezione (cf. Col. 3, 14), e per mezzo di essa noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita (cf. 1 Gv. 3, 14). Anzi l'unità dei fratelli manifesta la venuta di Cristo (cf. Gv, 13, 35; 17, 21), e da essa promana una grande energia per l'apostolato.

Allo scopo di rendere più intimo il vincolo di fraternità fra i religiosi, coloro che sono chiamati conversi, cooperatori o con altro nome, siano congiunti strettamente con la vita e le opere della comunità. Se le circostanze non consigliano proprio di fare diversamente, bisogna far sì che negli istituti femmininili si arrivi a un'unica categoria di suore. In tal caso si mantenga solo quella diversità di persone, che è richiesta dalla distinzione dell varie opere a cui le suore o per speciale vocazione divina o per speciale attitudine sono destinate.

I monasteri e gli istituti maschili non del tutto laicali possono ammettere, secondo la loro indole, a norma delle costituzioni, chierici e laici, in pari misura e con eguali diritti e obblighi, eccettuati quelli che scaturiscono dall'ordine sacro.

16 - La clausura delle monache.

16. La clausura papale per le monache di vita interamente contemplativa rimanga in vigore, ma si aggiorni secondo le condizioni dei tempi e dei luoghi, e siano abolite, dopo che sono stati ascoltati i pareri dei monasteri stessi, le usanze che non hanno più ragione di esistere

Le altre monache invece, che per regola si dedicano alle opere esterne di apostolato, siano esenti dalla clausura papale, in modo da essere in grado di attendere meglio ai loro impegni di apostolato, rimanendo in vigore tuttavia la clausura a norma delle loro costituzioni.

17 - L'abito religioso.

17. L'abito religioso, in quanto è segno della consacrazione, sia semplice e modesto, povero e nello stesso tempo decoroso, come pure rispondente alle esigenze della buona salute e adatto sia alle circostanze dei tempi e dei luoghi sia alle necessità del servizio. Gli abiti tanto dei religiosi quanto delle religiose, che non concordano con queste norme, devono mutarsi.

18 - La formazione dei membri.

18. L'aggiornamento degli istituti dipende in massima parte dalla formazione dei membri. Perciò gli stessi religiosi non chierici e le religiose non siano destinati alle opere di apostolato immediatamente dopo il noviziato, ma la loro formazione religiosa e apostolica, dottrinale e tecnica, col conseguimento anche dei titoli specifici, si protragga convenientemente in apposite case.

Per evitare il pericolo che l'adattamento alle esigenze del nostro tempo sia solo esteriore o che siano impari al proprio compito coloro che per regola attendono all'apostolato esterno, i religiosi secondo le capacità intellettuali e l'indole personale di ciascuno siano convenientemente istruiti intorno alla mentalità e ai costumi della vita sociale odierna. La formazione attraverso la fusione armonica dei suoi vari elementi deve avvenire in maniera tale da contribuire all'unità di vita dei religiosi stessi.

Per tutta la vita i religiosi si adoprino a perfezionare diligentemente questa cultura spirituale, dottrinale e tecnica, e i superiori, per quanto possono, procurino loro a questo scopo l'occasione opportuna, gli aiuti e il tempo.

E` pure dovere dei superiori provvedere alla scelta accurata e alla sola preparazione dei direttori, dei maestri di spirito e dei professori.

19 - La fondazione di nuovi istituti.

19. Nel fondare nuovi istituti si deve ben ponderare la necessità o almeno la grande utilità nonché la possibilità di sviluppo, affinché non sorgano imprudentemente istituti inutili o sprovvisti di sufficiente vigore. In modo speciale si abbia cura di promuovere e coltivare le forme di vita religiosa nelle chiese di nuova fondazione, e in ciò si tenga conto dell'indole e dei costumi degli abitanti, come pure delle condizioni e delle consuetudini locali.

20 - Le opere proprie all'istituto da conservare, adattare o lasciare.

20. Gli istituti mantengano e svolgano fedelmente le opere proprie e, tenendo presente l'utilità della chiesa universale e delle diocesi, adattino le opere stesse alle necessità dei tempi e dei luoghi, adoperando i mezzi opportuni anche se nuovi e lasciando invece quelle opere che oggi non corrispondono più allo spirito e all'indole genuina dell'istituto.

Si conservi in pieno negli istituti religiosi lo spirito missionario e, secondo la natura propria di ciascuno, si adatti alle condizioni odierne, in modo che sia resa più efficace la predicazione del vangelo a tutte le genti.

21 - Gli istituti e monasteri in decadenza.

21. Agli istituti invece e ai monasteri che, dopo essere stato ascoltato il parere degli ordinari del luogo interessati, a giudizio della santa sede non offrono fondata speranza che in seguito possano rifiorire, si proibisca di ricevere ancora novizi in avvenire e, se sarà possibile, siano uniti a un altro istituto o monastero più fiorente che non molto differisca nelle finalità e nello spirito.

22 - L'unione fra istituti religiosi.

22. Gli istituti e i monasteri " sui iuris", secondo l'opportunità e con l'approvazione della santa sede, promuovano tra di loro federazioni, se appartengono in qualche maniera alla stessa famiglia religiosa; oppure unioni, se hanno quasi uguali le costituzioni e gli usi e sono animati dello stesso spirito, soprattutto se sono troppo esigui; oppure associazioni, se attendono alle stesse o a simili opere di apostolato.

23 - Le conferenze dei superiori maggiori.

23. Si devono favorire le conferenze o i consigli dei superiori maggiori eretti dalla santa sede, i quali possono molto contribuire a far conseguire meglio il fine proprio dei singoli istituti, a promuovere una più efficace collaborazione per il bene della chiesa, a distribuire più razionalmente gli operai del vangelo in un determinato territorio, nonché a trattare le questioni che i religiosi hanno in comune, stabilendo una conveniente opera di coordinamento e di collaborazione con le conferenze episcopali per quanto riguarda l'esercizio dell'apostolato.

Conferenze di questo genere si possono istituire anche per gli istituti secolari.

24 - Le vocazioni religiose.

24. I sacerdoti e gli educatori cristiani facciano seri sforzi, affinché per mezzo di vocazioni religiose, scelte in maniera conveniente e accurata, la chiesa riceva nuovi sviluppi in piena corrispondenza con le necessità del momento. Anche nella predicazione ordinaria si tratti più frequentemente dei consigli evangelici e della scelta dello stato religioso. I genitori, curando l'educazione cristiana dei figli, coltivino e custodiscano nei loro cuori la vocazione religiosa.

Agli istituti è lecito, allo scopo di suscitare vocazioni, curare la propria propaganda e il reclutamento dei candidati, purché ciò avvenga con la dovuta prudenza e nell'osservanza delle norme stabilite dalla santa sede e dall'ordinario del luogo.

Ricordino però i religiosi che l'esempio della propria vita costituisce la migliore propaganda del proprio istituto e il migliore invito ad abbracciare lo stato religioso.

25 Conclusione

25. Gli istituti per i quali sono state emanate queste norme di aggiornamento corrispondano prontamente alla loro divina vocazione e al compito che oggi devono assolvere nella chiesa. Il sacro concilio infatti molto apprezza il loro genere di vita verginale, povera e obbediente, di cui lo stesso Cristo Signore è il modello, e ripone ferma speranza nella loro così feconda opera sia nascosta che manifesta. Tutti i religiosi, perciò, animati da fede integra, da carità verso Dio e il prossimo, dall'amore alla croce e dalla speranza nella futura gloria, diffondano in tutto il mondo la buona novella di Cristo, in modo che la loro testimonianza sia palese a tutti e sia glorificato il Padre nostro che è nei cieli (cf. Mt. 5, 16). Così, per l'intercessione della dolcissima vergine Maria madre di Dio, " la cui vita è regola di condotta per tutti", essi progrediranno ogni giorno più e apporteranno frutti di salvezza più abbondanti. Tutte e singole le cose, stabilite in questo decreto, sono piaciute ai padri del sacro concilio. E noi, in virtù della potestà apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai venerabili padri, nello Spirito santo le approviamo, le decretiamo e stabiliamo; e quanto è stato così sinodalmente stabilito, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso S. Pietro, 28 ottobre 1965.

Io Paolo, vescovo della chiesa cattolica.

(Seguono le firme dei padri)