"DIPLOMATICA". ESPERTA GIURISTA

ROBERTA BARBERINI

    Ci sono ancora ruoli che sembrano irraggiungibili, vere chimere per le donne, almeno in Italia. A rappresentare il nostro Paese all'estero nelle oltre duecento sedi diplomatiche, nessuna ambasciatrice tra i venti ai massimi livelli, quattro invece tra i ventuno capi-missione, i cosiddetti "ministri plenipotenziari(1)". Si può comunque rappresentare l'Italia a livelli altissimi, in negoziati e trattati internazionali come esperta di terrorismo e criminologia. E' il caso della torinese Roberta Barberini, cinquant'anni portati splendidamente, da alcuni anni trasferita a Roma per lavoro.

"Rappresento l'Italia all'Onu, l'organizzazione delle Nazioni Unite, in diversi negoziati; mi muovo sul terreno delle Convenzioni internazionali".

    E' stata lei a negoziare le ultime convenzioni sul terrorismo e sul crimine. Trattative delicate, a volte estenuanti, dove conta una grande preparazione ma anche un buon savoir-faire, due doti che non mancano a questa giudice convertita alla diplomazia giuridica. Ha un debole, ammette, per gli Stati Uniti. Raggiungere il Palazzo di Vetro, la sede dell'Onu a New York, è per Roberta Barberini non solo un'importante occasione di lavoro ma anche l'opportunità per ritrovarsi in una città, in una realtà culturale a lei molto congeniale. L'unico rammarico, dice, è lasciare per lunghi periodi le due figlie, anche se ormai grandicelle (hanno undici e sedici anni): "Le ho coinvolte nella mia attività, le ho anche portate a visitare la sede dell'ONU: erano molto orgogliose e fiere del mio lavoro. Ora capiscono e accettano con meno problemi le mie partenze. La più grande, Margherita, ha già deciso che anche lei vuole impegnarsi in un organismo internazionale".

    Parla con entusiasmo della sua esperienza all'Onu dove sono rappresentati 189 Paesi(2),un osservatorio importante per capire anche l'evoluzione di altre realtà femminili: "Molti governi mandano le donne a rappresentarli, compresi quelli arabi, lo stesso Iran. In genere portano il chador, ma mi sembra che abbiano maggiori problemi e restrizioni nella vita privata che in quella pubblica".

Roberta Barberini aveva scelto la strada del giudice, ma sempre con questo pallino di uscire dai confini nazionali. "Fin dai primi passi da magistrato andavo in vacanza a mie spese a studiare a Bruxelles diritto internazionale e comunitario. Ma come giudice italiano non avrei avuto uno sbocco internazionale. Poi il colpo di fortuna: quattro anni fa vengo a sapere che al ministero della Giustizia, nel settore internazionale, stavano cercando un giudice con una buona conoscenza delle lingue straniere per un incarico con responsabilità… sulle rogatorie e l'estradizione". Nel suo passato c'era anche una possibile carriera universitaria, come assistente del professor Giovanni Conso, docente di Procedura civile e penale; poi la scelta del concorso in magistratura, una carriera fino agli anni Sessanta preclusa alle donne, dove Roberta Barberini si classifica la prima in Piemonte.

    "Ero una sgobbona, ho sempre amato lo studio, non ho mai smesso". Sceglie il Tribunale penale e diventa giudice istruttore; poco dopo nasce la prima figlia: "Non era facile conciliare il nuovo impegno con il lavoro, così dopo un anno e mezzo ho chiesto il trasferimento nel civile, occupandomi di procedura civile (infortuni sul lavoro, inquinamento...) dove gli orari e l'articolazione del lavoro rendevano meno complicata la mia vita, anche perché nel frattempo è nata la seconda figlia.

    Il rischio, se finisci in certi ruoli, è di autoescluderti. La credibilità te la guadagni. Sono stata io a trovare una soluzione giuridica per l'estradizione di Silvia Baraldini (3). Mi piacciono le sfide intellettuali e professionali. Non ho mai pensato di contare su appoggi politici; per me contano lo studio, la tenacia. La soluzione di questo caso, che si trascinava da anni, mi ha dato visibilità e riconoscimento, tanto da essere chiamata dal ministero degli Esteri a rappresentare l'Italia all'Onu in diversi negoziati e Convenzioni internazionali, avendo solo delle indicazioni di massima da parte del governo. Credo di aver fatto più fatica a raggiungere questi traguardi perché donna: la maternità, una scelta bellissima e che rifarei, ha ancora dei "costi" per la carriera. Per non parlare degli stereotipi in cui ancora ti scontri. Avevo un segretario e tutti quelli che entravano nell'ufficio lo salutavano con un "buon giorno giudice"; ovviamente io ero presa per la segretaria".

    Sono molti i giovani, le giovani che vorrebbero seguire la sua strada. Un sogno difficile da realizzare? "La mia carriera è in un certo senso irripetibile. Comunque, dove ci sono concorsi pubblici, regole costituite, per noi donne non ci sono ostacoli come è successo infatti in magistratura, dove siamo non a caso numerose. Essere donna e portare la feluca non è un fatto indifferente. E' chiaro che io filtro ogni cosa attraverso la mia identità femminile e la mia esperienza di donna. Anche all'ONU saltano in modo evidente alcune differenze. Ad esempio nel parlare in pubblico, e questo succede spesso di doverlo fare in un organismo internazionale, gli uomini appaiono in genere più brillanti, ma quando poi ci si siede attorno a un tavolo per lavorare, allora le donne mi sembrano più preparate, più concrete.

    Eppure devono ancora dimostrare di essere brave, anzi, di essere sempre più brave".

 

(1) In Siria, Romania, Ucraina, Azerbaigian.

(2) Dato gennaio 2002.

(3) Silvia Baraldini si è sempre dichiarata innocente: in carcere da oltre sedici anni negli Stati Uniti, dove si era gravemente ammalata, è stata poi trasferita nel carcere romano di Rebibbia.

 

172-anisgn35.gif - 16042 Bytes Torna all'home page              172-anisgn35.gif - 16042 Bytes Ritorna al libro