ARTISTA

Enrica Borghi

    Bottiglie di plastica, sacchi in polietilene, plexiglas, sacchetti da supermercato, etichette, carta da confezioni, unghie finte, piume, bigodini e bottoni. Sono materiali di recupero attinti da quello che generalmente viene considerato l’universo femminile: con l’estro di Enrica Borghi si trasformano in creazioni artistiche inconfondibili, poetiche, oniriche. Come le grandi “palle di neve” - questa è l’illusione che creano - che hanno adornato via Garibaldi e che portano la sua firma, tra le altre famose di opere artistiche che hanno impreziosito le vie di Torino nell’atmosfera natalizia. Come la grande Regina che ha incantato e stupito grandi e piccini (l’opera era destinata proprio a loro) al Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea. La “magia” artistica di Enrica Borghi aveva conferito nuova vita a bottiglie di plastica, sacchi in polietilene e plexiglas, trasformati in un abito luccicante, proprio come la bacchetta della fata buona aveva mutato i poveri cenci di Cenerentola in un sontuoso abito da ballo.

    L’artista contemporanea si misura con la realtà, la reinterpreta. Per Enrica Borghi il ruolo del vestito è una riflessione sulla fisicità dell’uomo e sul valore che il vestito conserva anche quando non è indossato. "In un’epoca effimera come la nostra l’idea di realizzare opere artistiche in un materiale effimero usa e getta, come la plastica delle bottiglie, significa per l’artista fare un’operazione magica. Una donna che si fa un vestito con i sacchetti di plastica del supermercato per me vuol dire riscattare la figura femminile per il valore ancestrale della donna che gestisce la casa, l’attività domestica e quindi anche le energie e il mondo".

    Oggi Enrica Borghi ha trentacinque anni, sposata da pochi mesi, vive e lavora a Novara dove insegna discipline classiche al Liceo artistico statale. Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, ha iniziato l’attività espositiva nel 1992 utilizzando come mezzo espressivo la fotografia o creando installazioni con materiali di recupero.

    Nel ‘95, alla Galleria Peola di Torino arrivano i suoi inconfondibili abiti femminili, realizzati con sacchetti da supermercato, etichette, carta da confezioni. Espone anche una serie di “Veneri”, busti e statue della tradizione classica ricoperti di unghie finte, piume o ornate di bigodini e bottoni automatici.

    Nel ‘97 approda al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto con la mostra “Quando i rifiuti diventano arte” curata da Lea Vergine ed è invitata alla Biennale Internazionale Giovani di Torino. La lista dei suoi successi è già lunga.

    Nel ‘99, oltre alla “Regina” al Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli anche la mostra personale alla Galleria Gianferrari ed espone alla Quadriennale d’Arte di Roma.

    Presente a Torino all’importante rassegna internazionale di Arte contemporanea, Artissima 2001, Enrica Borghi ha vinto uno stage di quattro mesi, una borsa di studio della città tedesca di Weimar: "Un’esperienza stimolante: ho reinterpretato l’abbigliamento sportivo, un mio modo di ripensare lo sport, le Olimpiadi, l’agonismo. Con molti interrogativi: ad esempio, arrivare prima, cosa significa? Le ultime tendenze cercano di sdrammatizzare il concetto di agonismo e di concepire invece l’idea di sport come libertà, sfida dell’impossibile, ma anche vero rispetto dell’ambiente e riscoperta degli aspetti ludici e socializzanti della pratica sportiva". E' suo “Giochi sulla Neve”, un progetto che prevede la progettazione e la successiva realizzazione manuale di sculture, oggetti, giochi, sport, fai-da-te, costruiti con materiale plastico riciclato. Elementi caratterizzati in generale dalla possibilità di essere indossati, trasportati, smontati e ricomposti. Si mette ai piedi come uno ski, si usa come una slitta, forse è uno zaino, forse dei guanti, forse un sacco dove infilarsi. Il progetto comprende anche il collaudo degli elementi realizzati da effettuarsi nel corso di una giornata sulle nevi del Monte Rosa, in collaborazione con la locale scuola di sci. "Vorrei inventare un nuovo gioco che scivoli sulle nevi del mondo intero, dalla cima del Toubkal in Marocco, alle Montagne rocciose o agli Appalachi negli Stati Uniti, dalla “Montagna Sacra” del Fuji al Tafelberg in Sudafrica, dal mio Monte Rosa le cime dell’Himalaia". Enrica Borghi concretizza così quello che è la sua visione artistica: "L'unico limite dell'artista è la sua capacità di pensiero: se riesci a immaginare un sogno puoi realizzarlo. La difficoltà è quella di raccontare il sogno trasformandolo ogni volta in una storia nuova".

    Pensi all’artista e subito immagini mille difficoltà per far conoscere e apprezzare il proprio talento. "No, per me non è stato difficile incominciare perché il momento era favorevole. Per le donne artiste lo spazio si è ampliato, tanto che grazie a questo nuovo slancio creativo ora siamo almeno la metà nel mondo dell’arte contemporanea, favorite anche dall’evoluzione sociale che ha portato a una vera e propria rivalutazione del femminile. Nei metodi espressivi le risposte femminili sono diverse rispetto a quelle maschili, confermando la ricchezza della diversità. è importante dare spazio a queste voci. Ho incominciato ad esprimermi senza sapere cosa potevo diventare, spinta solo dal desiderio di essere il più sincera possibile, di essere fino in fondo me stessa, con i miei problemi, le mie fisime ecologiche, per reagire con ciò che so fare.

    Faccio la raccolta differenziata, tengo i sacchi della spesa, fanno parte della mia storia. E mi esprimo nell’arte calcando la mano sul senso più classico della femminilità, sulla massaia frustrata. Taglio a pezzettini i materiali familiari della mia quotidianità. Mi rimetto a fare l’uncinetto e la maglia ma con la coscienza che è qualcosa che so anche fare se lo voglio, non come compito obbligato. Un recupero come parte della mia femminilità. Negli anni Settanta la donna doveva lottare contro il maschio per conquistare alcuni diritti. Oggi, con le sicurezze conquistate posso permettermi di mettere a nudo anche la mia fragilità femminile senza per questo sentirmi sminuita. La donna ha il coraggio di esporsi, anche con autocritica".

    Si può vivere d’arte? "Sì, con molte rinunce. Continuo ad insegnare per avere una sicurezza economica ma anche come scelta per stare vicina alla realtà, per non chiudermi in un circolo vizioso. L’arte è una vocazione, per cui quasi tutto è finalizzato alla realizzazione dell’opera, ma oggi l’artista deve essere mobile, andare là dove c’è più disponibilità e attenzione: Berlino, Londra, New York, non stancarsi, avere il coraggio di mettersi in gioco, di vivere. L’anno scorso, in ottobre, mi sono sposata. Oggi la sfida per un’artista può essere anche questo: essere donna e artista, senza rinunce. Se ci sono problemi con l’arte questi non sono legati all’essere donna, ma ad altri aspetti".

    Il momento più emozionante? "Non scorderò quello in cui il mio progetto per la regina si è materializzato, è diventato realtà, esposta al Castello di Rivoli, uno dei più importanti musei di arte contemporanea del mondo. La direttrice, Ida Gianelli, crede molto negli artisti, dà loro il massimo della fiducia. Ho guardato la materializzazione del mio sogno e mi sono detta: ce l’ho fatta. Era bellissimo vedere gli sguardi incantati dei bambini su quella imponente regina, coinvolti in un momento ludico. Era un lavoro femminile “taglia e cuci”: impersonificava la fragilità dei sogni impossibili che escono dalle fiabe.

    Ora sto lavorando a un progetto di scrittura in cui interpreto le etichette con le indicazioni di scadenza, avvertenze, segnalazione di pericoli, un caos molto trash per la massaia in un gioco di seduzione. Spero di avere un figlio a cui darò questo consiglio: segui le tue passioni, cerca di realizzare i tuoi sogni, non stancarti mai. Io sono stata fortunata e ci sono riuscita. Bisogna sapere aspettare il momento giusto: l’arte, ad esempio, ha mille sfaccettature..."

 

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