RICERCATRICE

CLARA CAMASCHELLA

Si parla di vaccino anti-AIDS ed ecco spuntare il nome della coordinatrice della ricerca, Barbara Ensoli; si abbatte il terrore da mucca pazza, e si scopre che la responsabile dei test per individuare questo male è una donna, Maria Caramelli, direttrice del Centro torinese per le encefalopatie animali. Più pazienti, più intuitive o semplicemente più preparate? Saranno questi, o chissà quali altri, gli ingredienti che in questi ultimi anni hanno premiato molte ricercatrici nel campo scientifico...? Clara Camaschella, con la sua importante scoperta in campo genetico, fa parte di questa ormai nutrita schiera.

Sposata, senza figli, docente di scienze cliniche e biologiche dell'Università di Torino presso l'ospedale San Luigi di Orbassano, Clara Camaschella ha scoperto, insieme all'Equipe pugliese del dott. Paolo Gasparini, il secondo gene responsabile dell'emocromotosi, una malattia ereditaria che consiste nel sovraccumulo di ferro nel sangue. Colpisce un italiano ogni 500, mentre uno su dieci è portatore sano. Nei casi più gravi si può morire di cancro al fegato o per arresto cardiaco, ma anche quando la patologia non degenera, la sofferenza è tanta. Ora, invece, si può agire per tempo attraverso la diagnosi precoce grazie ad un semplice esame del sangue. Questo significa aiutare a curare in tempo chi rischia di ammalarsi di cirrosi, cancro al fegato e cardiopatie. Vuol dire salvare delle vite, meno sofferenze.

Un traguardo importante quello raggiunto da Clara Camaschella. Certo non facile e scontato. Per quasi due anni ha trascorso gran parte del suo tempo in laboratorio per scoprire come mai molte persone continuavano ad ammalarsi di emocromotosi, nonostante nel loro Dna il primo gene all'origine della malattia non risultasse alterato. "Era evidente che esiste un altro gene". Un'intuizione vincente, un altro miracolo della genetica. Clara Camaschella insegna fisiopatologia medica, cioè i meccanismi alla base della malattia. Sono ben tre i ruoli che porta avanti questa donna dall'aspetto minuto ma che comunica una gran tenacia con il suo linguaggio sobrio ed essenziale di chi sa che anche i minuti sono preziosi. "Curo i malati svolgendo l'attività di medico clinico; poi insegno agli studenti di Medicina e mi dedico anche alla ricerca biologica perché credo sia giusto migliorare la medicina. Ed è quest'ultima, la ricerca, il campo che oggi mi prende più tempo", dice con la massima semplicità.

Ma c'è una nota dolente che Clara Camaschella non riesce a nascondere, anzi, la rende furiosa: "Toppo poche le risorse che vengono messe a disposizione per la ricerca". Questo ha dei risvolti "tremendi", dice proprio così, anche perché è una realtà che vive quotidianamente: "Ti viene richiesto un impegno pesante per compiti che esulano dalla ricerca vera e propria. Devi occuparti di tutto a livello organizzativo perché manca il personale. Mi tocca fare anche la segretaria". Un tempo prezioso, il suo, distolto spesso da incombenze che poco hanno a che fare con la ricerca vera e propria. "Ed è vergognoso che per portare avanti le ricerche io possa contare nella mia equipe solo su borsisti e volontari, senza poter avere una vera e propria struttura riconosciuta".

"I fondi per la ricerca in Italia non sono sufficienti - spiega - la maggior parte arriva dai fondi europei e dai privati, ma mancano i macchinari giusti, i tecnici che sappiano manovrarli". I progetti europei sono importanti non solo per i fondi che destinano alla ricerca ma anche perché favoriscono la comunicazione e lo scambio di esperienze tra ricercatori.

Così si crea una salutare competizione per i risultati da raggiungere che vengono poi portati alla conoscenza attraverso pubblicazioni scientifiche: è la comunità scientifica che li deve riconoscere ed avvalorare. La tranquillità nella ricerca non c'è mai, si è ansiosi per i risultati da raggiungere. Può essere anche molto faticoso questo tipo di impegno, deve quindi piacerti molto. E non devi essere impaziente: possono passare dai due ai dieci anni prima che la ricerca venga applicata e trasferita nella pratica medica.

Tutti i medici universitari devono curare i malati, insegnare, fare ricerca mettendo a frutto anche la pratica clinica. Ora alla facoltà di Medicina arrivano più donne. Quello che vedo nei giovani oggi, se devo fare un confronto con la mia generazione, è meno spirito di sacrificio; mi sembra che la maggioranza se la prenda più comoda. Tra i miei allievi, nella mia equipe, le donne sono più diligenti, più rigorose e metodiche, i ragazzi, ora in minoranza a Medicina, sono più irregolari nello studio, ma forse un po' più curiosi, anche se il nostro insegnamento lascia poco spazio alle caratteristiche individuali dello studente. Chi sceglie la facoltà di Medicina deve mettere in conto almeno dieci anni di studio se vuole apprendere anche una specialità che comunque è pagata molto poco. Certo sono tanti dieci anni, ma per qualunque professione è quello il tempo necessario per essere pronti a svolgere bene una professione. La ricerca in Italia ha un buon livello grazie soprattutto alle fondazioni private. E iniziative come Telethon sono preziose: la selezione dei progetti di ricerca nell'edizione del 2001 (è passato solo il 15 per cento di quelli presentati), è molto seria. Si seguono i metodi americani di selezione basati sulla meritocrazia. Un esempio ora applicato pure dall'università, anche se c'è ancora la brutta abitudine di distribuire "i fondi a pioggia".

Clara Camaschella ha parole di apprezzamento per l'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo: "ha un buon gruppo di ricerca". Ma non basta, secondo la docente.

"Quello che manca a Torino sono le grandi istituzioni di ricerca e la tecnologia necessaria, oltre all'università. Il piccolo gruppo di ricerca va bene, ma non basta".

E pensare che Clara Camaschella sui banchi del liceo sognava di diventare archeologa. Non ha però alcun rimpianto: "Mi piace questa professione, anche se mi lascia poco spazio per la vita personale".

Il segreto per raggiungere dei risultati? "Lavorare, lavorare, e ancora lavorare". Non ‚ mai stanca? "Ma no, è gratificante raggiungere dei risultati concreti in qualcosa in cui credi, e poi ci sono anche aspetti "leggeri" e divertenti, come avere amici sparsi per il mondo con cui comunichi e condividi le stesse passioni professionali e culturali. Viaggi anche molto, e questa è un'altra mia grande passione".

 

 

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