FOTOGRAFA

MANUELA CERRI

    Fotografa di fama internazionale. E' Manuela Cerri, una "ragazza" di cinquant'anni, capelli cortissimi, un bel sorriso aperto. Vive nel suo studio-casa, arredata in modo anticonformista. Non ci sono pareti o mobili; un archivio fotografico tra i più preziosi in Italia divide un enorme stanzone in spazi differenziati. Racchiude testimonianze di immagini che spaziano in tutti i campi, ma primeggiano foto di giardini e di botanica. Tra fari e faretti, computer e sofisticate apparecchiature saltellano due vivacissimi gatti. Un ampio terrazzo si affaccia sui tetti di case che lambiscono il Po.         Manuela, come si diventa una fotografa richiesta dalle più importanti riviste italiane e straniere? "_ una lunga storia in cui ha giocato anche una certa casualità. Mi sono diplomata in un istituto d'arte, poi ho seguito quattro anni di Architettura, sostenendo ahimè solo otto esami. In quegli anni i miei obiettivi erano quelli tradizionali: sposarmi e fare figli, senza però tralasciare di lavorare. Ho iniziato a 24 anni, come insegnante di educazione artistica. Nei ritagli di tempo dall'impegno nella scuola, progettavo l'arredamento di negozi. Un giorno mi sono trovata con un problema da risolvere: coprire delle colonne poco estetiche di un negozio di scarpe. Ho pensato che delle gigantografie in bianco e nero facevano proprio al caso mio. Ho seguito tutte le varie fasi di esecuzione ed è così che ho cominciato ad appassionarmi alla fotografia, ad imparare i primi rudimenti tecnici. Un'esperienza contagiosa:    E' stato automatico andarmene in giro con una macchina fotografica. I risultati non erano niente male tanto che un'amica, Aida Ribero, mi ha chiesto delle foto per "Noi Donne", (storica rivista femminile) e anche per illustrare dei libri che stava curando per Paravia, tra cui uno sulla storia delle donne.

    Il debutto come fotografa era stato positivo e io mi stavo appassionando. Arrivavano le offerte di lavoro: foto in bianco e nero per una storia dell'architettura del '700-'900 per la Utet, ma anche mostre fotografiche con altre fotografe sulla realtà femminile - erano gli anni segnati dal femminismo - dove però incominciavano a fare capolino immagini di architettura, un "pallino" che poi ho sviluppato in seguito. Gli ostacoli più duri da affrontare erano quelli tecnici ma non perché ero una donna, ma perché come donna non ero stata educata, stimolata a cimentarmi con quel tipo di problemi pratici, parlo ovviamente della mia generazione e di decenni fa. Per scattare belle foto serve manualità, capacità di risolvere aspetti pratici, autonomia nel trovare la soluzione necessaria. Ma come ho imparato a cambiare la gomma dell'auto così sono diventata ipertecnica per impossessarmi della macchina fotografica. Non c'è un'altra strada se si vuole diventare dei bravi fotografi, uomo o donna che sia. E non puoi mai smettere di imparare.

    Ora la fotografia si misura anche con il computer, con il digitale. Ho imparato anche questo: sono strumenti stupendi che ti consentono di raggiungere con le tue foto ogni parte del mondo e in pochissimo tempo. Se ripenso ai miei anni di lavoro ricordo di essermi imbattuta in qualche pregiudizio. Vent'anni fa la fotografia a "360 gradi", soprattutto nel campo industriale, era per tradizione e cultura appannaggio degli uomini, le donne le ritrovavi tutt'al più come reporter. Per una donna lavorare al "banco ottico" (1) era vista ancora come "cosa insolita"... Certo, all'inizio, a vent'anni, andare a scattare foto in fabbriche e ambienti di lavoro prevalentemente maschili voleva dire imbattersi nello spiritoso di turno che se ne usciva con battute di questo genere: "ma poi le foto vengono?...". Ora, per fortuna, non mi succede più. Mi piacevano i reportage. In seguito mi sono cimentata nella creazione di un archivio fotografico. Eravamo un gruppo di fotografi affiatati: tre uomini e due donne. Ma è in questi ultimi dieci anni, da quando ho scelto la mia strada, da sola, a 40 anni, che ho iniziato a cimentarmi in ciò che mi piace veramente.

    C'erano voluti venti anni per arrivare a questo traguardo, una strada lunga, faticosa ma che mi ha permesso di accumulare esperienza e nozioni tecniche fondamentali. Tutto questo non basta però per raggiungere un successo solido e duraturo. Devi anche avere cultura per non essere un semplice esecutore, devi capire quello che vuoi ritrarre. Ora ho la passione per la botanica e mi sono documentata su una montagna di testi sulla flora. Un lavoro appassionante il mio, che richiede però anche sacrifici, a volte pure un certo coraggio. Può capitare di metterti in auto e macinare 1500 chilometri da sola per strade impervie... per portare a casa un buon servizio fotografico.

    Lo ammetto, questi ultimi dieci anni sono stati anche faticosi: ho messo da parte svaghi e viaggi, ma ne valeva la pena. Ho investito molto nella ricerca, nello studio sulle riviste di tutto il mondo per carpire segreti, per confrontarmi con i lavori di altri colleghi. Per superare sacrifici e difficoltà devi crederci in questo lavoro, avere passione per quello che fai, costanza, non basta essere bravi. Anche perché all'inizio non si guadagna molto.     Scordarsi belle macchine e bei vestiti, beh, veramente manco ora m'interessano molto... Comunque ne valeva la pena. Oggi sono una fotografa che collabora con le più importanti riviste in Italia e all'estero: mi chiamano da Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone. Ora sto collaborando all'illustrazione di un libro su paesaggi europei, uscirà in Belgio. E' curioso ricordare i tempi in cui andavo a bussare ad una rivista di Barcellona perché in Italia non avevo avuto abbastanza coraggio per farlo. E' andata bene, così poi ho provato con la prestigiosa rivista patinata "Ville e giardini": ho proposto un servizio e il direttore l'ha accettato subito, incoraggiandomi a proseguire.

    Amo fotografare architetture, un campo dove in Italia trovi appena una decina di fotografe, mentre gli uomini sono almeno una trentina.

    Ora le giovani hanno la vita più facile, più nessuno si stupisce di vederle al lavoro con la macchina fotografica, ma l'ambizione ci vuole sempre, come pure l'educazione all'autonomia, pensare prima a sé, non in funzione di qualcun altro, avere fiducia in se stessa, agire in prima persona: io ci sono arrivata a tutto questo solo a quarant'anni, capirlo prima è meglio. Figli? Per una serie di circostanze non è stato possibile crearmi una famiglia, ma non ho rimpianti perché ho realizzato i miei desideri".

Saluto Manuela Cerri, ma il mio sguardo cade su una foto che la ritrae nell'83 a palazzo Fortuny, a Venezia, unica donna fotografa insieme a un gruppo di fotografi che avevano vinto uno stage di perfezionamento. Una foto premonitrice di una sfida vinta.

 

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