ELETTRICISTA

FRANCESCA CONTIERI

    "Quando ho conosciuto il mio ragazzo e gli ho detto che ero elettricista mi ha riso in faccia, non voleva crederci". Ventitre anni, bellezza mediterranea, capelli castani e ricci ("i miei amici mi prendono in giro, mi dicono: "sono elettrici""), Francesca Contieri si diverte a queste battute. Alle reazioni per questa sua scelta lavorativa, più o meno simpatiche che lei ha suscitato, e suscita ancora,     E' ormai abituata. Anzi, ha dovuto conviverci fin dai banchi di scuola. Francesca vive a Saluzzo con i genitori e un fratello maggiore di due anni, Paolo, con cui c'è sempre stata rivalità: "quello che faceva lui lo dovevo fare anch'io". Si dichiara "molto testarda". Più che un difetto, questa sua attitudine si è rivelata nel tempo una qualità positiva. Originaria della provincia di Cagliari, Francesca ha frequentato in Sardegna, per due anni, un istituto professionale a indirizzo "industriale-elettrico". "Per me allora una scuola valeva l'altra, tanto in Sardegna è difficile trovare un lavoro corrispondente alla preparazione. E, infatti, dei miei compagni di scuola sardi nessuno di loro sta lavorando come elettricista. Questo vale anche per altri diplomati. Al massimo ti impieghi, se sei fortunato, in supermarket, pizzerie, bar. Però ci si divertiva.     Provo grande nostalgia per la mia isola, per il suo clima e le sue bellezze naturali. Vorrei tornarci, ma non c'è lavoro per noi giovani. In Sardegna ci torno però sempre d'estate".

    Il padre è carabiniere e la famiglia si trasferisce in Piemonte. "Era il '95, per me era ovvio terminare le superiori per prendere il diploma, mi mancavano tre anni. A Savigliano c'era un istituto professionale per elettricisti, ma il preside non voleva che mi iscrivessi: sarei stata l'unica donna e poi, in effetti, non avevo dei buoni risultati dai precedenti anni scolastici. Ma io mi sono intestardita, e alla fine l'ho spuntata. Non solo. Punta nell'orgoglio dalla sfida con i maschi - facevano a gara per mettermi in difficoltà, e le frasi che mi sentivo ripetere erano di questo tono "ma tu non puoi capire, vai a fare la calzetta..." - ho cominciato a studiare moltissimo e così avevo una media buona, quasi nove.

    Si studiavano le materie tradizionali e in più elettrotecnica, si imparava a montare i quadri elettrici. In contemporanea ho seguito a Fossano, al centro professionale dei Salesiani, un corso come programmatore e manutentore di impianti di PLC (è un dispositivo più piccolo e tecnologicamente più avanzato rispetto al quadro elettrico).

    C'era molta rivalità a scuola, anche perché nel frattempo sono diventata una vera secchiona tanto che avevo i voti più alti di tutti. Sapevo anche di essere brava; una volta a un professore che alla lavagna aveva sbagliato due formule gli ho dato dell'incompetente... Sì, ero un caratterino, ma la sfida con i maschi e la buona riuscita negli studi mi aveva resa molto sicura di me. E pensare che prima ero timida... Avere il massimo dei voti mi ha fatto meritare uno stage in Germania presso la Siemens: ho imparato molto e mi sono pure divertita. Con il diploma in tasca, avevo mandato diverse domande in giro. La Michelin di Fossano mi ha chiamata per una selezione e sono stata subito assunta. Non mi sembrava vero. Dopo quindici giorni dalla fine della scuola già lavoravo.

    Avevo diciannove anni e guadagnavo quasi due milioni (con i turni di otto ore su tutto l'arco delle ventiquattro ore, quindi anche quelli notturni). Il mio lavoro consiste nel riparare qualunque macchinario che si guasti per un problema elettrico: è appassionante perché non bastano le conoscenze tecniche, ci si arriva anche attraverso l'intuizione, il ragionamento. A volte è difficile scoprire cos'è che non và. A volte sbatteresti la testa perché la soluzione sembra proprio non esserci. E quando ci riesci provi una grande soddisfazione. I colleghi sono molto gentili con me, e credo anche che mi stimino. I primi tempi erano in difficoltà ad accettarmi alla pari, soprattutto gli anziani apparivano preoccupati. Quando per la prima volta mi avvicinai al quadro elettrico mi sono corsi dietro: "No, non toccare, stai attenta, c'è la corrente".         Erano protettivi e forse anche poco fiduciosi nelle mie conoscenze tecniche. Non avevano mai visto una donna elettricista. Poi hanno capito che me la cavavo, e anche bene, così ora mi trattano alla pari.

    C'è un bel rapporto, ci si aiuta, c'è molta solidarietà. Certo è un lavoro delicato e di responsabilità; bisogna stare attenti perché ci si può fare anche male. Una volta mi è caduto il coperchio di un macchinario sulla testa e sono rimasta due settimane a casa con il collare, ma la colpa era mia, ero stata disattenta. Sono molto contenta della mia scelta lavorativa, anche se resto l'unica donna. Un'altra ragazza ci ha provato ma ha avuto delle difficoltà, anche perché doveva ancora finire di diplomarsi. In famiglia a volte mi vedono tornare distrutta. In questi casi mia madre mi dice "cambia lavoro", ma io non lo farei per nessuna ragione al mondo, mi trovo molto bene".

 

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