POLITICA

LIVIA TURCO

    Chiami un ex ministro a casa per chiedere un'intervista e al telefono senti una voce di bimbo, con un forte accento romano: "La mia mamma è andata a fare compere, chiami più tardi". E' informale e simpatico il primo approccio con Livia Turco, come informale e disponibile è lei, la due volte ministro alla Solidarietà sociale, una vita spesa per la politica. Origini cuneesi, quarantasette anni, diploma di maturità classica, deputata da cinque legislature. Dalle ultime elezioni, in cui ha avuto il record dei consensi, è componente della Commissione permanente Affari sociali. Ed ha a casa un bravo "segretario"... Sorride con tenerezza Livia Turco, ma da brava politica spiega: "Quando ero ministra, ho voluto rappresentare il fatto che ero lavoratrice e madre, una forma di condivisione con le altre donne per affermare chiaramente che è possibile svolgere entrambi i compiti. Credo che questa esperienza mi abbia resa anche una madre migliore, più attenta nel valutare i dettagli nel mio rapporto con mio figlio Enrico".

    Livia Turco si è sempre "spesa" per dare valore e spazio alle altre donne, così come ha sempre messo l'accento sulla sua appartenenza al genere femminile, a cominciare dal linguaggio, specchio fedele dell'evoluzione culturale della società. Farsi chiamare "ministra" non è stato quindi privo di significato. Il fatto è che in certi ruoli le donne un tempo non erano presenti per cui a qualcuno suona strana questa declinazione al femminile.

    E' chiaro che se le donne ministro fossero numerose, forse nessuno si sarebbe stupito, o avrebbe ironizzato, sulla definizione al femminile del ruolo, ma questo vale anche per altre professioni o incarichi.

    Tenace, grintosa e combattiva, senza però perdere quella sensibilità tutta femminile, che non si vergogna delle proprie emozioni. E' anche questo Livia Turco, la prima donna della sinistra a varcare la soglia del governo, a quarantun anni, nel governo Prodi, nella veste di ministra per la Solidarietà sociale, riconfermata nello stesso dicastero nel governo D'Alema, che ha nominato sei ministre(1). La storia personale di Livia Turco ci può aiutare a capire, attraverso il suo percorso, come si approda nei luoghi decisionali della politica. Una passione coltivata fin da giovanissima, quando incomincia a far politica negli anni Settanta nella federazione dei giovani comunisti di Torino, diventandone poi il segretario provinciale. Approda nella segreteria nazionale del pci nel 1986 (nel frattempo aderisce alla "svolta" del pci che diventa partito dei democratici di sinistra). Fin da allora Š anche responsabile femminile nazionale del partito, da cui si è dimessa nell'aprile del '94. Un gesto politico che non ha precedenti: "Le donne devono aprire un'altra fase - spiegherà in quella occasione - Basta con la contrattazione di spazi separati. Il punto di vista femminile deve valere su tutto: voglio essere protagonista di una fase nuova".

    E' stata lei a promuovere l'iniziativa "La carta delle donne" per affermare l'idea che "la forza delle donne nasce dalle donne". Alle spalle ci sono anni dove non è stato facile conciliare i rapporti col "femminismo della differenza" da una parte e con le logiche e le ragioni della politica del partito dall'altra.

    Tutto questo mentre si faceva strada il protagonismo delle donne di destra, con la giovane Irene Pivetti, allora leghista, diventare presidente della Camera.

    Nell'aprile 2000 Livia Turco torna nella sua regione, questa volta per sfidare il candidato del Polo Enzo Ghigo, nella conquista della presidenza della Regione Piemonte. Un obiettivo mancato. "L'esperienza di ministro è stata la più bella in assoluto della mia pur interessante e lunga vita politica perché mi ha consentito di praticarla in modo molto concreto. E dove conta la tenacia, la capacità di mediazione, di ascolto, credere nei valori forti, avere capacità decisionale: ho messo tutto questo in gioco per creare un vero e proprio ministero, quello per la Solidarietà sociale, che prima non esisteva, per affrontare questioni sociali. Nello svolgere il mio compito ho sentito anche molto la coerenza con quello che avevo imparato come donna e politica, un bagaglio utile per governare bene: concretezza, rispetto per le persone e per la vita quotidiana.

    Ritrovavo tutti quei problemi che avevo discusso spesso con le donne. E' un'esperienza dove le qualità umane contano, contrariamente a quel che appare. Nel misurarmi come ministra con i problemi della vita quotidiana ho trasferito la mia anima di sinistra nel trovare soluzioni alle sofferenze, ai disagi. Ho toccato con mano come siano diffuse disuguaglianze e ingiustizie. E mi sono misurata anche con la forza e il sapere che c'è in questo campo nel paese per dare delle risposte.

    Non è vero quindi, come molti pensano, che governare significhi in assoluto potere, arricchimento individuale, distacco dalla gente. Credo e spero di aver testimoniato che può essere anche servizio nel cercare di risolvere i problemi delle persone. Non c'è però una politica neutra. Il ruolo lo si svolge a seconda della concezione politica e del progetto politico che ti sostiene".

    Perché così poche donne in politica, nei posti-chiave dove si prendono le decisioni? "Le donne spesso rifiutano il potere perché lo vedono come negativo, invece dalla mia esperienza posso dire che non è così. Essere ministro non significa occupare una poltrona. Certo, la politica è impegno, ma ogni lavoro costa fatica. Partendo da questo presupposto, la politica significa dare; richiede passione, competenza, molto studio, disponibilità ad essere in servizio 24 ore su 24". Per una donna ha dei "costi" maggiori? "Ma non riesco a pensare a qualcosa che non richieda rinunce. Questo vale per tutti, donne e uomini. Gli uomini hanno però una visione onnivora: per loro la politica è tutto, per cui sacrificano persone, vita personale... Per le donne non è così, noi teniamo tutto, abbiamo una dimensione relazionale con gli altri".

    Non ci sono stati dei momenti in cui il compito è sembrato troppo arduo? "Non mi piace lagnarmi - taglia corto Livia Turco - io ho fatto volontariato e politica e sono entrambi importanti, a volte faticosi, come è importante il lavoro in una sezione di partito che equivale al volontariato, un'esperienza bella che auguro a tutti. Lo spirito che ho testimoniato ad altre donne è che il governo ha bisogno delle donne".

    Resta il fatto che nonostante l'impegno e le loro qualità, per le donne sembra ancora tutto più difficile. "Purtroppo si affermano in politica molti mediocri perché i canali della selezione, specialmente negli ultimi anni, premiano i soldi, il tempo, ciò che manca spesso a noi donne. C'è da preoccuparsi però quando in un Parlamento ci sono solo avvocati, giudici e manco un operaio. E poche donne. Questo rivela una scelta della politica come status, non per competenza. E' preoccupante se sono queste le modalità alla base della formazione della classe dirigente del paese.

    Ci si afferma se hai accesso ai media, se hai risorse e potentati di gruppo alle spalle: tutto questo taglia fuori le donne, tutto questo ha modificato le caratteristiche della politica che ora è diventata più competitiva e soprattutto mediatica. C'è un dato nella storia politica italiana che aiuta a capire l'attuale esigua presenza delle parlamentari. I partiti che si sono affermati con radici nella politica italiana sono stati anche quelli più permeabili alla cultura del femminismo. C'è una tradizione nel centro sinistra segnata dalla politica delle donne. Non a caso in Parlamento tra i Ds le donne sono il trenta per cento, nel centro destra sono appena il dieci per cento pur avendo vinto le elezioni.

    Resta però il dato generale negativo: la scarsa presenza femminile nei luoghi della politica, che segna il fallimento della strategia politica delle donne.

    E' ora di svoltare. Io sono sempre stata favorevole alle quote, una scelta positiva, come rivela la recente esperienza francese: in Francia Jospin ha destinato il 50 per cento dei seggi comunali alle donne.

    Introdurle è indispensabile alla luce dei rapporti di forza nei partiti così sfavorevole per le donne. Alcuni partiti vanno educati, quindi vanno introdotti dei correttivi, come possono essere appunto le "quote".

    Mi auguro che venga presto modificato l'articolo 51 della Costituzione, un'iniziativa avviata nel governo Prodi da alcune parlamentari per poter introdurre nelle leggi elettorali il meccanismo delle pari opportunità. E' stata poi ripresa nel governo D'Alema con un'iniziativa politica trasversale di molte parlamentari (Laura Cima, Alessandra Mussolini, Elena Montecchi...) e ripresentata in un disegno di legge nell'attuale governo dal ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo(2).

    E' importante l'approvazione di questa legge per evitare che in lista non ci sia un genere, finora le donne, con una presenza inferiore al 30%. L'iter della legge è avviato ma non sono così fiduciosa sulla sua approvazione, con un Parlamento a maggioranza di uomini. E' importante che si affermi un principio".

    Recentemente Livia Turco ha aderito al "Branco rosa", un nome ironico per definire un soggetto politico trasversale ai partiti che vuole legittimare il potere e le ambizioni delle donne. "E' importante una lobby di donne, anche trasversale. Dopo tanti anni di impegno e visti i risultati mi sono convinta che per trasformare il potere a favore delle donne, se è necessario, ci si allea anche con il diavolo. E' una battuta, ovviamente.

    Comunque, ci vuole prudenza, non abbiamo tutte le stesse idee, non abbiamo lo stesso modo di concepire i progetti politici. E' innegabile però che la trasversalità tra le parlamentari ha già dato buoni esiti, ad esempio, per la legge sulla violenza sessuale".

    Come è riuscita a conciliare una responsabilità così grande come quella di essere a capo di un dicastero con quella altrettanto importante di essere madre? Ci vorrebbe forse un marito-moglie? "Se ho potuto assolvere al mio impegno di ministra, di svolgere attività politica - ora all'opposizione è anche più dura - mantenendo un giusto equilibrio con Enrico, indubbiamente lo devo alla presenza di un marito che c'è sempre, un papà che è un punto fermo. Mio figlio Enrico, che ora ha dieci anni, ha comunque sofferto molto per le mie assenze, come tutti i bambini legati alla propria madre.

    E' stato però decisivo renderlo partecipe del mio impegno, per fargli capire che non lo abbandonavo, ma che avevo da svolgere dei compiti importanti che lui poteva capire e da cui lui non ne era escluso.

    Lo portavo con me al ministero e lui mi gratificava con dei disegni che appendevo in ufficio. Me ne ha dedicati di bellissimi, perché si sa che la mamma è la più bella e brava del mondo per i propri figli. Ho cercato di coinvolgerlo, spiegare i problemi che dovevo affrontare: bimbi poveri, drogati, handicappati, anziani. E, in un certo senso ha anche partecipato alle mie ansie per trovare delle risposte adeguate. L'ho portato spesso a visitare le comunità di handicappati, di anziani. Da loro Enrico riceveva calore, magari anche un regalino. E' suo l'appello, scritto nel settembre del 2000, al presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, per chiedere che l'Europa lanci un "piano Marshall" a favore dei bambini che vivono in povertà.

    Livia Turco confessa di essere affezionata a tutte le leggi che ha proposto, "ognuna è stata come un parto".

    Ma certo non nasconde un certo orgoglio per le sue azioni a favore dei bambini (tra cui uno stanziamento di 950 miliardi per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che ha reso possibile 1600 progetti diretti alle famiglie). O quelle su adozione, immigrazione, congedi parentali per consentire a papà e mamma lavoratori di potersi distaccare per certi periodi dal lavoro per accudire i figli. "E' molto gratificante quando qualcuno mi ferma per strada e mi ringrazia perché sono riuscita ad aiutarli: mi succede spesso...".

 

 

(1) Nell'attuale secondo governo Berlusconi sono due le donne ministro: Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione e Stefania Prestigiacomo, ministro per le Pari opportunità. Ma ci sono voluti 115 anni dopo l'Unità d'Italia per avere con Tina Anselmi una donna al governo, ministro del Lavoro. Eppure un terzo degli italiani, dicono i sondaggi, vorrebbe una maggiore partecipazione delle donne alla vita politica. La percentuale sale al 50 per cento se si considerano solo le donne che, particolare non insignificante, rappresentano il 52 per cento dell'elettorato. Nella realtà il quadro è desolante: per numero di donne in Parlamento, il nostro Paese si trova nel mondo nella cinquantanovesima posizione. Donne parlamentari in estinzione? Nelle ultime elezioni del 13 maggio 2001 sono state elette 87 donne su 945 fra deputati e senatori, pari al 9,2%. Una percentuale in calo, seppure minima visto il dato di partenza (nel precedente Parlamento la presenza femminile è stata del 9,7%) che rappresenta comunque una controtendenza in Europa.

(2)Sono già dieci i progetti di legge presentati alla Camera e al Senato per promuovere Pari Opportunità nel mondo della politica.

L'idea è quella di aggiungere una frase (che in gergo legislativo si chiama "comma") all'articolo 51 della Costituzione che riguarda proprio l'accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici: "La Repubblica promuove con appositi provvedimenti la parità di accesso tra uomini e donne". Ed era questo il testo approvato alla Camera a fine gennaio mentre la XIII Legislatura stava scadendo. Inserire il principio in Costituzione dovrebbe superare le obiezioni della Corte Costituzionale che nel '93 bocciò le cosiddette "quote rosa" che erano state inserite nella legge per l'elezione diretta del sindaco. La scure della Consulta colpì la norma in base alla quale nelle liste dei candidati gli uomini non potevano superare i due terzi. La formulazione del principio costituzionale salvaguarda la differenza tra diritto alla pari opportunità di accesso alla candidatura e garanzia del risultato. Spetterà poi a leggi ordinarie definire meccanismi che aumentino la presenza femminile non solo a Montecitorio e a Palazzo Madama, ma in tutte le assemblee elettive.

 

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