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Attualità, cultura, eventi dal mondo delle donne
a cura di Mary Nicotra e Elena Vaccarino


 

17 gennaio 2002

NEPAL: LA CONDIZIONE FEMMINILE NEL PIU' PICCOLO REGNO INDU' AL MONDO.  di Lisa Caputo

 

 

"Come premio di queste azioni virtuose, ti prego: fammi rinascere uomo nella prossima vita".

Iscrizione votiva del 400 d.C. circa, incisa da una donna in uno stupa buddista vicino Chahabil Kathmandu

 

Esiste un piccolo Regno indù (l'unico del mondo) assopito tra le montagne più alte della Terra, fra l'India e la Cina. Si chiama Nepal e in Occidente è conosciuto per lo più come meta turistica o per i tappeti che vi si producono. È un Paese complesso, in cui convivono, più o meno pacificamente, molte etnie e credi religiosi e che solo da poco sembra essere uscito da un sonno secolare. Negli anni 50 è iniziato un lento e difficile processo di rinnovamento. Nel 1963 sono state abolite le caste. Soltanto dal 1990 è stato istituito un sistema multipartitico e la monarchia è diventata costituzionale. Sempre in quell'anno è stata redatta la Costituzione tuttora vigente. 
Su una popolazione di circa 25.300.000 persone, il 42% vive sotto la soglia di povertà. La principale risorsa economica è l'agricoltura, che però rimane di sussistenza e qualche industria, come quella dei tappeti, in cui vengono impiegati anche bambini di età inferiore ai 5 anni. L'alfabetizzazione specialmente nelle zone rurali, rimane complessivamente scarsa (27,5% della popolazione totale) e, qui come in altri campi, le donne, con solo il 14% di alfabetizzate, sono nettamente più svantaggiate degli uomini (40,9%). 
Ma il Nepal è anche uno dei tre Paesi al mondo in cui le donne hanno un'aspettativa di vita inferiore agli uomini (57,77 anni contro 58,65). 

 

Varie sono le violazioni dei diritti umani in questo paese, e molte le situazioni di tensione: tortura, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni, discriminazioni e violenze verso donne e caste inferiori, sfruttamento del lavoro minorile. 
Eppure, accanto a ciò, bisogna ricordare che nel 1999 il Nepal ha abolito totalmente la pena di morte. Dal 1996 il Partito Comunista (Maoista) del Nepal ha iniziato una guerriglia civile (la "guerra del popolo") contro il Governo che in questi anni ha provocato la morte di più di 700 civili. Dal 1998 ci sono testimonianze su "sparizioni": in appena un anno ne sono state denunciate circa 43. La situazione non è migliorata in seguito al giugno 2001, quando la famiglia reale è stata sterminata in circostanze ancora poco chiare.


La donna in Nepal si trova costretta nello spazio delimitato dal padre, dal fratello ed infine dal marito. Non importa quanto incida il lavoro delle donne nella società (circa il 50%, mentre gli uomini incidono per il 44 e i bambini per il 6), non importa neppure quanto sia fondamentale il ruolo femminile nelle famiglie: come in molti altri paesi del mondo, la donna sembra non avere diritti. 
Così, se la Costituzione del 1990 (che è la legge base del Nepal) stabilisce che non ci siano discriminazioni di genere, pure nella consuetudine si trovano leggi e comportamenti discriminatori e la popolazione femminile nepalese subisce le conseguenze dei matrimoni precoci, dell'alta fertilità, dell'alta percentuale di mortalità, della bassa aspettativa di vita, dell'analfabetismo, della discriminazione economica e della struttura estesa della famiglia.

LEGGI SULLA PROPRIETA'

Un punto fondamentale per la questione femminile sono le leggi discriminatorie sulla proprietà, a causa delle quali le donne sono costrette a vivere subordinate al padre ed ai fratelli prima del matrimonio, al marito, al suocero ed ai cognati dopo il matrimonio e ai figli e nipoti dopo la morte del marito. Grazie a questa situazione, la violenza domestica, gli stupri, il traffico sessuale e la prostituzione trovano un terreno fertile.
Uno dei temi più importanti e dibattuti è quello dell'eredità, Generalmente una donna non è coerede dei fratelli maschi delle proprietà di famiglia, tranne quando rimane nubile fino ai 35 anni d'età. 
Tutto questo, però, pone dei problemi. In primo luogo, un problema di principio: la Costituzione, che è la legge-base del Nepal, stabilisce l'uguaglianza e la non discriminazione, e prevede inoltre che ogni legge in dissonanza con essa venga cambiata. 

 

In secondo luogo, ci sono molti problemi pratici. Perché se è vero, almeno in teoria, che la moglie dopo il matrimonio condivide i beni col marito, i problemi sorgono quando c'è di mezzo un divorzio. In tal caso, infatti, è solo a certe condizioni che l'ex moglie può continuare ad usufruire parzialmente dei beni del marito, e cioè se è stata sposata per più di 15 anni, se il divorzio è consensuale e se dopo il divorzio si mantiene casta e fedele all'ex marito. A ciò si deve aggiungere che un uomo ha molti più appigli per poter richiedere legalmente il divorzio, il che implica anche qui un trattamento discriminatorio. 
Così, per una donna è difficile se non impossibile decidere di divorziare. Col matrimonio, infatti, non ha più diritto alle proprietà paterne, in molti casi dopo il divorzio non potrà usufruire dei beni dell'ex marito. 
Tutto ciò, unito alla bassissima alfabetizzazione femminile, rende difficilissimo che una donna possa trovare un lavoro e mezzi di sostentamento per sé e i figli. Inoltre, al divorzio seguirebbe una stigmatizzazione sociale che molte donne preferiscono evitare. Tra l'altro, molto spesso l'atteggiamento più diffuso nelle leggi di fronte alle richieste di divorzio è il tentativo di riconciliazione: questi tentativi hanno purtroppo luogo anche quando il divorzio viene richiesto per le violenze subite. Da ciò l'impressionante cappa di silenzio che avvolge le sofferenze domestiche di queste donne. 

 

La discriminazione nei confronti delle donne, però, non è solo economica, ma radicalmente culturale. Per esempio, una donna non può avere più di un marito; viceversa, un uomo, a queste condizioni, può essere poligamo: se la moglie si ammala e diventa incurabile, se non nascono figli o non ne rimangono vivi durante 10 anni di matrimonio, se la moglie diventa zoppa e incapace di camminare, se diventa cieca da entrambi gli occhi e se la moglie vive separatamente dopo aver ottenuto la condivisione della proprietà. In ogni caso, l'imprigionamento per bigamia è solo di 1 o di 2 mesi, per cui quest'usanza rimane piuttosto comune.

IL DIVORZIO


Ancora, una donna può chiedere legalmente il divorzio quando il marito ha sposato un'altra donna in casi non previsti dalla legge, se il marito la abbandona, se la famiglia dello sposo non provvede a lei con cibo ed abiti, se il marito vive lontano senza cercare sue notizie e senza prendersi cura di lei per un periodo di tre anni continuativi o più, se il marito commette atti o lascia libero corso a cospirazioni per ucciderla, o le causa invalidità fisica o altre serie sofferenze psicologiche, se il marito diventa impotente o in caso di mutuo consenso. 
Se a chiedere il divorzio è il marito, deve prendersi cura dell'ex moglie per 5 anni. In ogni caso, la donna non può reclamare la condivisione della proprietà del marito dopo il divorzio, e non può neppure mantenere la condivisione anche se il divorzio avviene dopo l'accordo sulla proprietà. 

L'ABORTO


Altre leggi discriminatorie per le donne sono quelle sull'aborto: di fatto, questo atto è illegale in Nepal, tranne in casi di estremo pericolo per la donna. In nessun caso, però, la madre può richiedere l'aborto, che viene a tutti gli effetti ritenuto un reato. 
In questa situazione, gli aborti illegali, ovviamente, proliferano e l'incidenza sulla mortalità femminile legata al parto è notevole: su 589/100.000 donne morte per problemi collegati alla nascita di un figlio, la metà (cioè circa 294 donne l'anno) muore a causa delle conseguenze di aborti illegali. La situazione è resa ancor più grave dal fatto che i medici spesso preferiscono non denunciare i casi di aborto, perché la donna verrebbe ritenuta colpevole e dunque incarcerata.

LA VIOLENZA DOMESTICA


Per quel che riguarda la violenza domestica, è estremamente diffusa ed è agevolata dalla mancanza di serie leggi contro di essa e dal fatto che la donna difficilmente possa rendersi economicamente indipendente: molte donne accettano così una vita di sofferenze perché non sanno dove andare né come vivere. 
L'idea che la donna sia inferiore all'uomo è abbastanza radicata nella cultura patriarcale nepalese, anche perché solo un figlio maschio può garantire l'accesso al paradiso ai suoi genitori. In quest'ottica, una figlia è un peso da scaricare il più presto possibile ad altri: seppure non numericamente elevati, esistono dunque i matrimoni precoci, ad altissimo rischio di violenza. Più giovani, infatti, sono le ragazze, meno sanno difendersi dalle insidie della violenza fra le mura di casa. In alcune zone, la situazione viene aggravata dall'uso della dote. 

 

Come in altri Paesi della zona, la dote ritenuta insufficiente può divenire un'arma di ricatto nella mani della nuova famiglia della ragazza. Dopo il matrimonio, la sposa rientra a far parte della famiglia del marito, che solitamente è una famiglia di tipo esteso: questo tipo di famiglia rigidamente patriarcale prevede una fortissima gerarchia, con una notevole limitazione della libertà individuale della giovane sposa. Di fatto spesso la giovane sposa diventa una vera e propria serva della famiglia del marito e, purtroppo, molto spesso subisce violenze da diversi componenti del nucleo familiare. Bene che vada, la sua libertà è completamente subordinata alla volontà dei membri anziani del clan, nei casi peggiori, la ragazza può essere torturata e uccisa. Ancora, la poligamia può dar luogo a violenze, soprattutto psicologiche. 
Nel campo della violenza domestica, non c'è distinzione di casta: le vittime si ritrovano trasversalmente in tutte le classi sociali ed in tutti i contesti castali. 

IL TRAFFICO SESSUALE


Uno dei problemi maggiori del Nepal, se non il più grave, è comunque il traffico sessuale di donne e bambine. Anche in questo caso la Costituzione (art. 20, 1 e 2) stabilisce che è proibito trafficare in esseri umani. Esiste inoltre un Atto di Controllo sul Traffico di Esseri Umani (1986). Si tratta di definizioni piuttosto vaghe e poco incisive, rese ancor meno importanti dal fatto che non esiste una legislazione apposita sul traffico di donne e bambine a scopo sessuale. E, nonostante le leggi, il problema è in aumento.
Così, ogni giorno donne e ragazze vengono vendute, comprate, commerciate, ridotte in schiavitù sessuale, costrette a prostituirsi, a compiere lavori forzati. La via di questo vergognoso traffico si svolge prevalentemente dal Nepal verso l'India. Ritornano in Nepal, quando ci riescono, con malattie sessualmente trasmissibili o peggio con l'AIDS: in un Paese che fino a 10 anni fa quasi non conosceva questa malattia, nel 1999 sono morte 2.500 persone, e le cifre sono costantemente in crescita.

 

Secondo le stime (non ufficiali: non esistono dati certi sull'estensione del fenomeno) ogni anno tra 5.000 e 7.000 donne e bambini vengono trafficati a scopo sessuale dal Nepal verso l'India. Più di 200.000 donne e bambine sono state vittime di questo traffico. Moltissime di queste sono finite nei bordelli Indiani, dove restano di fatto prigioniere per anni, fino a quando non si ammalano di AIDS e vengono abbandonate a se stesse. Nel frattempo, dovranno lavorare come schiave, in condizioni igieniche inesistenti, dalle 10 alle 16 ore quotidiane, talvolta con più di 40 clienti al giorno, per cercare di riparare il debito che accendono non appena cominciano a lavorare nei bordelli. Alcune donne ci hanno messo 15 anni ad estinguere il debito, di cui nessuno, tranne i proprietari, conoscono l'entità. 
Circa la metà di queste donne è affetta da malattie sessualmente trasmissibili. A causa di queste e dell'AIDS, è sempre crescente la richiesta di ragazze vergini, dunque sempre più giovani. Si stima dunque che il 30% delle vittime del traffico siano minorenni. Queste donne sono soggette a forme di tortura, di serie punizioni corporali, sono esposte al contagio di AIDS e a detenzioni arbitrarie. I bordelli sono strettamente controllati e le ragazze sono sotto costante sorveglianza. Quelle che tentano di scappare e vengono riprese vengono sottoposte ad una serie infinita di maltrattamenti. Per "domare" le ragazze nuove esistono quartieri in cui le vittime vengono tenute in stato di schiavitù e sottoposte ad ogni genere di violenza, fisica e psicologica: l'unica eccezione è che le vergini non vengano stuprate, ma solo perché con la diffusione dell'AIDS sono diventate una merce molto richiesta e dunque più costosa. 

 

Le spese mediche sono a carico delle prostitute; i preservativi non vengono generalmente usati. Se una donna rimane incinta, viene costretta ad abortire, e le spese mediche vanno ad ingrossare il suo debito col proprietario del bordello. La situazione è aggravata dal fatto che in India, la polizia e gli agenti locali sono clienti abituali dei bordelli e proteggono i proprietari ed i trafficanti. I proprietari dei bordelli pagano mazzette alla polizia per evitare raid alle frontiere col Nepal, ed anche la polizia di frontiera viene corrotta per permettere ai trafficanti di trasportare le ragazze attraverso i confini. Nel clima di diffusa corruzione della polizia e di estrema violenza, queste ragazze non hanno molte vie d'uscita. Le più fortunate, quelle che riescono in un modo o nell'altro a sfuggire a questa schiavitù, molto spesso restano in India o, tornate in Nepal, continuano a prostituirsi: la stigmatizzazione sociale e la vergogna sono così forti che spesso queste donne non tornano più nei loro villaggi d'origine. La vergogna e la mancanza di mezzi di sostentamento sono tali che spesso queste vittime non vedono nessun'altra via d'uscita.

 

Quando poi ci si chiede com'è possibile un traffico di tali proporzioni, si viene a scoprire che i mezzi di reclutamento sono tantissimi: la maggior parte delle vittime viene venduta, spesso da familiari e conoscenti. Alcuni sono consapevoli della vita che aspetta queste ragazze oltre i confini, altri sono invece convinti che dall'altra parte per loro ci sarà un marito, una vita meno dura. In alcuni casi, le donne vengono rapite, in altri vengono reclutate presso le industrie di tappeti e spinte verso il confine con l'India con la speranza di un lavoro migliore. 
I motivi per cui il traffico può aver luogo sono culturali e economici. Spesso la povertà spinge a qualunque cosa, ma ancora più spesso è l'ignoranza a provocare i danni maggiori. Data la radice complessa di questo problema, anche la soluzione non può essere semplice. Molte sono le parti interessate in questo vergognoso traffico e tante le lacune sia nella prevenzione del fenomeno che nella riabilitazione delle vittime.

 

I governi di Nepal e India dovrebbero incentivare le leggi contro il traffico a scopo sessuale e dovrebbero soprattutto formare la polizia; si dovrebbe inoltre combattere la corruzione diffusissima, facilitando in tal modo sia la protezione che le denunce. Ci dovrebbero essere maggiori controlli ai confini, che sono di fatto confini aperti (non c'è neppure bisogno del passaporto per oltrepassarli) e si dovrebbe mettere in moto un'enorme macchina di prevenzione, con progetti di consapevolezza specialmente nelle zone più colpite (fra cui moltissime zone rurali). Il traffico non potrà mai essere fermato senza un grande impegno da parte di entrambi i governi.

"Anche quando non ero una prostituta ero inferiore agli uomini. Pensavo di essere nata solo per servire gli uomini, di essere una cosa da usare. Ma ora so che sono uguale a qualsiasi essere umano. E sono qui per trovare un buon lavoro"
Testimonianza di Leela, 18 anni, ex prostituta bambina ora accolta in una casa di transito di ABC Nepal

Creare una consapevolezza estesa contro il traffico delle ragazze è la chiave per combattere questo crimine. Allo stesso modo, una maggiore consapevolezza unita a maggiori opportunità economiche potrebbero porre un freno alla violenza domestica, a tutt'oggi diffusissima.
Altrettanto importante è il dar vita a progetti per la riabilitazione delle vittime, sia per il loro recupero psicologico sia per formarle al lavoro, perché possano ritornare in patria e trovare un lavoro che permetta loro (ed ai loro figli) di sopravvivere. Nella situazione di diffuso disinteresse da parte del Governo, a compiere gli sforzi maggiori sono alcune organizzazioni non governative, sia locali sia internazionali, che hanno sviluppato una variegata rete di progetti orientati nel senso della sensibilizzazione e della prevenzione, come pure verso la riabilitazione.

 

Ad esempio, già dal 1993 è attiva una ong locale che si chiama Maiti Nepal, (cioè Casa di mia madre), nata dapprima come semplice casa di accoglienza per ragazze disagiate e che adesso è occupata su più fronti: riabilitazione, prevenzione, case di transito, consapevolezza, riscatto e rimpatrio. I progetti interessano la protezione dalla violenza domestica, il traffico sessuale, la prostituzione e il lavoro infantile ed altre forme di sfruttamento e tortura. Questa ong prevede anche programmi di adozione a distanza.
Un'altra ong importante è ABC Nepal, che è presente sul territorio Nepalese con case di transito e che in collaborazione con Cesvi ha dato vita ad un progetto per il microcredito alle donne.
Sempre in Nepal esiste almeno Aatwin, che propriamente è una "alleanza" che riunisce più ong sul fronte della prevenzione del traffico di donne e bambini. Il suo scopo principale è soprattutto un aumento della consapevolezza su questi temi e quindi una maggiore informazione alla prevenzione.

Molto spesso, queste organizzazioni sono formate e gestite da donne; molto spesso, le ex vittime del traffico vengono impiegate in operazioni di pattugliamento ai confini per salvare altre innocenti. Anche se ancora le donne nei posti di potere sono poche, il Nepal non può prescindere nel suo cammino per un maggiore sviluppo dall'enorme contributo che la popolazione femminile può apportare.

L'immagine è stata concessa dal sito www.stringer.it.

Lisa Caputo


 

 

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