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a cura di Mary Nicotra e Elena Vaccarino


 

03 luglio 2002

IL RUOLO DELLA DONNA NELLA CULTURA TIBETANA

Intervista a Maria Antonia Sironi -  di Oriana Pecchio


Maria Antonia (Tona) Sironi, geologa, un passato di valente alpinista, da una quindicina d'anni partecipa, nell'ambito di un progetto Ev-K2-CNR, a campagne di ricerca in Tibet e in Nepal, insieme alla figlia Hildegard Diemberger, antropologa ricercatrice presso l'Università di Cambridge.

 

È autrice di numerose pubblicazioni sul Tibet e svolge attività di consulenza per filmati televisivi. È fondatrice e attuale presidente dell'Associazione di Volontariato "Eco Himal" per la realizzazione di interventi di carattere umanitario e culturale in aree di cultura tibetana, in collaborazione con le comunità locali. 
Con Hildegard e con la tibetana Sonam Tsomo, sta lavorando alla stesura del libro "L'altra metà del cielo, l'alpinismo tibetano raccontato dalle protagoniste", in via di pubblicazione per i tipi dell'Editoriale Giorgio Mondadori.
Grazie alla sua esperienza diretta è stata preziosa fonte di informazioni sulla condizione femminile in Tibet.

Qual è il ruolo della donna nelle culture di tradizione tibetana?
Parliamo di culture di tradizione tibetana, quindi di popolazioni che vivono sia a nord sia a sud della catena himalayana, vale a dire rispettivamente di tibetani veri e propri e di Sherpa. Sono società in cui la donna ha un ruolo importante, sicuramente superiore a quello che occupa nella famiglia indù, per non parlare delle popolazioni di religione musulmana. Tuttavia ci sono profonde differenze all'interno della famiglia. La padrona di casa, la drongpa ama delle valli himalayane, ricorda la figura della matriarca delle famiglie delle nostre Alpi: è quella che tiene la cassa, che distribuisce i ruoli e i compiti. La nuora (le figlie in genere vanno spose altrove) invece è la serva per tutti, ma diventerà a sua volta padrona. Per tenere uniti i beni della famiglia c'era la poliandria, un tempo molto diffusa in Himalaya.


È uno strumento anche per la limitazione delle nascite?
Direi che la gente delle montagne non si pone questo problema, perché la mortalità infantile è assai elevata, o per lo meno lo era fino a pochi anni fa: ho visto personalmente un villaggio decimato dal morbillo. Adesso c'è un sia pure modesto aumento della popolazione in Tibet. In Cina le minoranze etniche possono avere due figli (anziché uno come i cinesi) e questa regola è rispettata nelle città, dove è possibile il controllo, ma non nelle aree remote. Sono stata a fare un'inchiesta in un villaggio dove era in progetto la costruzione di una scuola e dovevamo dimensionarla. Ebbene c'erano tre o quattro bambini per famiglia e tutti vogliosi di iscriversi, anche perché la scuola è gratuita, dà un minimo di istruzione e un pasto assicurato. 

Le popolazioni himalayane vivono dunque in situazioni spesso assai povere?
Nelle aree remote, quelle dove lavora Eco-Himal, ci sono situazioni di estrema povertà, problemi di fame.
Quando c'era la struttura monastica, diciamo di tipo "feudale", la gente lavorava per il monastero in condizioni di sfruttamento, ma il monastero dava la sicurezza e in caso di carestia distribuiva cibo a tutti e assicurava cure con il monaco medico. Crollata questa struttura, con l'occupazione cinese, lo Stato ha organizzato un sistema scolastico e un sistema sanitario che funziona bene ove ci sono i grandi numeri, vale a dire le grandi concentrazioni urbane. Nelle aree remote dove il costo dei servizi è già maggiore di per sé, arrivano percentualmente meno aiuti economici. 
Dove ho lavorato, sono le mamme che ci chiedono aiuto per fare piccole scuole locali, con i corsi dei primi due anni, per non mandare lontano i bambini troppo piccoli. Dopo aver fatto un po' di alfabetizzazione, possono poi andare fuori, anche se si scontrano con il grosso problema di dover proseguire gli studi in lingua cinese. Il tibetano è accettato, ma la lingua ufficiale è il cinese, che è anche la lingua commerciale. La prima scolarizzazione in tibetano è tuttavia utile, sia perché mantiene viva la tradizione, sia perché se si impara da piccoli il rapporto suono segno, in qualsiasi lingua, si ha poi più facilità ad andare avanti a studiare.

Come è mutata adesso la condizione femminile?
E' mutata molto. La dominazione cinese ha dato importanza alle donne. Con Mao è nato addirittura il femminismo di stato. Le donne hanno tagliato i capelli, messo i pantaloni, sono andate a scuola, hanno acquisito istruzione e oggi rivestono cariche politiche: a capo della Bank of China di Lhasa c'è una donna tibetana e anche a capo del Tibet Mountaineering Departement c'è una donna, Sonam Tsomo, con cui stiamo lavorando.
Questa emancipazione delle donne è avvenuta nei tempi recenti. Nella struttura feudale monastica le donne avevano sempre un ruolo inferiore. Per esempio i monasteri femminili sono sempre stati più poveri di quelli maschili e, a livello religioso, solo i maschi avevano accesso alla reincarnazione. Per le donne è avvenuto raramente: una eccezione è rappresentata dal lignaggio delle Dorjie Pamo iniziato nel XIV da una discepola del grande maestro Bodong Chole Namgyal fondatore della tradizione Bodongpa. Tuttavia è un caso particolare, perché la prima Dorjie Pamo era la figlia del re di Gunthang.
La XII Dorjie Pamo adesso vive a Lhasa, ha una parte importante nella struttura governativa, è riuscita a convogliare dei fondi governativi per il restauro del suo monastero, muovendosi con molta intelligenza anche per la difesa dei valori della cultura tradizionale.
Anche le alpiniste, sono alpiniste di stato e non hanno alternative, ma in questa struttura controllata cercano di creare degli spazi per mantenere viva la propria cultura, senza rinunciare alla propria identità. 
Molti tibetani rimasti in Tibet, con molta perspicacia riescono a portare avanti delle istanze in difesa della loro cultura, della loro identità.
Eco Himal lavora in questa direzione, un aiuto sul posto per sostenere queste iniziative a difesa delle identità culturali tibetane. Piccole gocce nel mare, ma è meglio di niente. Anche se ci sono enormi difficoltà, lavorare in Tibet è veramente una sfida. 

Mi sembra ci siano analogie tra la storia delle donne alpiniste tibetane e quella delle donne delle Alpi. Dapprima le donne facevano le portatrici (sono stati pubblicati di recente bei resoconti sulle portatrici della Carnia e della Valle Cervo), poi hanno scoperto l'alpinismo.
Certamente, fin dalle prime spedizioni himalayane, addirittura quando le spedizioni britanniche si muovevano da Darjeling, sono stati registrati nomi di donne che facevano le portatrici. Rimane il fatto, comunque, che le donne, specie se in fase mestruale, erano considerate impure, non dovevano salire in montagna ed erano in ogni caso viste come elemento di disturbo. A partire dagli anni '70 ci sono state le donne alpiniste anche in Nepal: di solito erano parenti del sirdar (il capo dei portatori) ed avevano ruoli subalterni. Poi le cose sono gradualmente cambiate, alcune sono diventate membri di spedizione, finché nel '96 Pasang Lamo, è stata la prima sherpani ad andare in cima all'Everest. Era lei che organizzava la spedizione in cui era presente anche il marito e purtroppo è morta nella discesa. Nel 2000 il governo nepalese ha organizzato la "Millenium women expedition" e è arrivata in cima Lakpa Sherpa, una ragazza non sposata nativa della valle del Makalu. Negli stessi giorni è salita sull'Everest anche Pemba Droma, una sherpani di Namche Bazar. Anch'essa è single, parla correntemente 3 o 4 lingue, lavora parte dell'anno in Svizzera ed ha partecipato come cliente pagante ad una spedizione commerciale svizzera. Al campo base ha litigato con il capo spedizione ed è arrivata in cima da sola.

Che significato ha per le donne tibetane l'"alpinismo di stato"?
L'alpinismo di stato nasce negli anni 50, ma solo con la spedizione all'Everest del 1975, Panthog è la prima donna tibetana a conquistare l'Everest. La propaganda di allora la celebrava come la rappresentante della "nuova immagine della donna cinese forgiata nella Grande Rivoluzione Culturale Proletaria". Altre due tibetane sono salite in cima all'Everest, Kunsang nel 1990 e nel 1995 e Kyi Kyi nel 1999. Il libro che sto scrivendo è un tentativo di esplorare, con l'aiuto delle protagoniste, un aspetto complesso e affascinante della realtà tibetana. Nel 1992 è stato varato un programma di corsa ai quattordici 8000 come squadra di alpinisti tibetani e le donne ne sono state escluse. Stiamo lavorando affinché vengano creati degli spazi anche per loro. Sia la direttrice del Mountaineering Departement, Sonam Tsomo, sia Panthog sia Kunsang spingono in questa direzione. Queste donne vivono di alpinismo, sono salariate per il lavoro che svolgono e per loro l'alpinismo costituisce un lavoro vero e proprio, oltre che fonte di grande soddisfazione.

Oriana Pecchio

 

 


 






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