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Relazioni interpersonali  e modalità comunicative
a cura di Mary Nicotra


14  Luglio  2002

Filosofe del nostro tempo: intervista a Rosi Braidotti

di Mary Nicotra

 

 La prima volta che ho avuto modo di incontrare Rosi Braidotti è stato nel lontano 1996 durante un convegno dedicato agli Studi di Genere a Bologna. 

Non disponevo di una piattaforma concettuale sufficientemente articolata da cogliere nella  globalità il suo discorso. 

Ma 'intuitivamente' mi resi subito conto che il suo pensiero era innovativo, esplosivo, dirompente e che suscitava in me moltissimi interrogativi seguiti da alcuni significativi insight.

Non mi era mai successo prima - è stato il mio primo incontro con gli Studi di Genere e i Women's Studies ; mille impalcature cadevano per lasciare posto a nuove costruzioni e riflessioni  ed è iniziato  un viaggio, per me,  che  non finirà più.

E' dunque  con immenso piacere che vi propongo  un'intervista a Rosi Braidotti, resa possibile dalle nuove tecnologie nonostante Rosi sia a Utrecht dove vive ed è Professore di Women's Studies nella Facoltà di Arte dell'Università di Utrecht. 


Div. Tu sei nata in Italia, hai vissuto la tua infanzia in Australia e hai studiato in Francia. In che modo questo tuo essere 'soggetto nomade'  ha contribuito al tuo pensiero filosofico?
R.B. Non sono affatto convinta che la mia autobiografia o gli itinerari di vita personali abbiano un’influenza diretta sul mio pensiero o sulle cose che scrivo. Di certo il fatto di essere stata – e forse di essere tuttora – un’emigrante mi ha aperto gli occhi su molti aspetti della condizione cosiddetta 'nomadica'. Ma non esiste a mio avviso un nesso diretto ed inevitabile tra le due cose. Il fatto di aver avuto l’esperienza della perdita dei luoghi natii e della lingua madre di per sé non garantisce un approccio inevitabile verso il nomadismo: al contrario, in genere gli emigranti sono molto attaccati alle loro tradizioni e alle origini culturali e linguistiche. Nel mio lavoro sul nomadismo come concetto filosofico mi sono soffermata sulle differenze tra una condizione di mobilità– scelta o imposta- come nel caso dell’emigrazione, e altre figurazioni della soggettività come l’esilio, la precarietà del lavoratore all’interno del mercato del lavoro cosiddetto ‘flessibile’ o il nomadismo. Per non parlare di situazioni ancora più drammatiche, come i rifugiati o quelli che non hanno scelta e che sono senza patria per forza di circostanza. Si tratta di differenze che sono tutto tranne che filosofiche o metaforiche: sono modi di posizionamento nella vita, nel sociale, che comportano storie diverse, e hanno ripercussioni sociali del tutto asimmetriche.
Io non ho mai inteso il nomadismo come nuova parabola universale o simbolo della condizione della post-modernità. Lungi da me tenere discorsi così magistrali ed universalizzanti. A me interessano invece le cartografie delle differenti modalità di 
costituzione di posizioni del soggetto, fondate non sull’unità dello spazio e del tempo – care alla vecchia metafisica- ma piuttosto sulla non unita’, sul flusso e i movimenti. Dal punto di vista di un pensiero critico, ritengo che questo pensiero mobile rifletta il modo di funzionamento del capitalismo avanzato, che in quanto economia e logica basata sulla proliferazione, la circolazione e la mercificazione di ‘differenze’ che vengono ridotte ad oggetti di consumo. Un pasticcio ibrido che tende a colonizzare il vivente in un sistema che riduce le molteplicità o le complessità a livello di quantità plurali e le commercializza come tali.
Quello che cerco nel nomadismo filosofico – e che trovo nella lettura del capitalismo che ci propongono Deleuze e Guattari – e’invece una filosofia che pur rispettando queste complessità e situandole storicamente nel registro del capitalismo avanzato, cerca forme di resistenza, cioè modi di utilizzare la logica del sistema contro se stesso. 
Chiaramente la mia autobiografia, o le vicissitudine particolari della mia identità non giocano un grande ruolo, qui, e conta assai di più una scelta filosofica che io ho fatto. Di certo, il femminismo e la pratica politica del movimento delle donne hanno influenzato molto le mie scelte: nel senso che mi hanno spinto verso una posizione che fa della non appartenenza – per esempio al sistema fallologocentrico, come ci insegna Irigaray - uno strumento critico e di arricchimento, non una fonte di dolore e di mancanza. Il femminismo e’una pratica della dis-identificazione delle donne dal sistema fallologocentrico e in quanto tale insegna metodologie e strategie che fanno della distanza critica non solo una virtù, ma un luogo di partenza per inventare nuove strutture. Il mio punto di origine teorica e politica è questo. 

Div. In che modo  la materialità dei corpi  incontra il pensiero filosofico?

 

R.B. Io mi considero un’erede spirituale oltre che teorica delle radici classiche della materialità corporea, quelle che fin dall’antichità tracciano una tradizione empirica ma non nel senso riduttivo del termine. Credo che uno degli aspetti più interessanti ma anche potenti ( nel senso di ‘empowerment’) della tradizione filosofica europea o continentale del termine ( per utilizzare un’espressione cara agli americani) sia proprio questa matrice materialista corporea. E ciò che mi ha sempre attratto nella filosofia francese, che specialmente dal Settecento in poi non perde l’occasione di sottolineare la perfetta compatibilità di uno spirito scientifico razionalista con il materialismo incantato o l’empirismo illuminato. Da Diderot a Bachelard per me vi e’un legame diretto, che ritrovo chiaramente sia nella tradizione psicoanalitica che in Marleau-Ponty; poi nell'amatissimo Deleuze e nei suoi corpi che sono vitali senza essere essenzialistici nel senso metafisico del termine. Per me questa è una grande ricchezza di pensiero, che ci stacca sia dalla tradizione britannica della filosofia analitica, che dal pensiero liberale americano. La materialità dei corpi è per me un valore fondamentale, che va riscoperto ed attualizzato. Anche in questo campo l’influenza del femminismo è stata determinante, in quanto mi ha permesso di ripensare il corpo come intreccio di registri e di pratiche discorsive- come a qualcosa che sta tra il materiale, il simbolico, il culturale e il sociologico. Da qui non si torna indietro: anche quando mi confronto con le tecnologie, ritrovo questo stampo di pensiero e riattivo la tradizione del materialismo corporeo. 


Div. Ti sei sempre impegnata  ed occupata della costruzione di reti. Che cos'è in particolare la RETE ATHENA? E di che cosa si occupa?


R.B. E'  dal lontano 1988, anno in cui vinsi la cattedra qui a Utrecht, che mi sono dedicata al lavoro di costruzione di reti e di contatti europei.
Questo è dovuto in parte alla struttura – mentale oltre che istituzionale- dell’Olanda, che è molto dentro al pensiero e al progetto di costruzione europea. L’ università olandese in un certo senso ambisce a diventare il punto d’entrata o d’ingresso,  quasi un porto di sbarco per gli stranieri e un punto di passaggio obbligato per gli altri europei verso il resto di questo continente. Quindi io sono stata incoraggiata dall’università di Utrecht a stabilire contatti intra-europei e a inserirli dentro ai nostri programmi d’insegnamento e di ricerca. 
Ma molta motivazione e’anche venuta da me stessa, e dalla lettura che io faccio della dimensione europea come una vera opportunità per aprire spazi critici di pensiero e di azione. Ne parlo nel saggio sull’Europa nel libro Nuovi Soggetti Nomadi, che e’appena uscito presso l’editore Luca Sossella: un’Europa critica, multiculturale, femminista e aperta. Insomma tutto il contrario della fortezza Europa che la destra vorrebbe costruire, sulla basi del peggiore comune denominatore, che poi è sempre l’esclusione dell’altro nella sua diversità. 
Nella rete tematica ATHENA si riuniscono 65 università da tutta la regione europea, con lo scopo di sviluppare programmi comuni di insegnamento e di ricerca pedagogica. Ci siamo concentrate molto, negli ultimi 3 anni, sulle questioni di etnicità e di differenze culturali. Sta per uscire un primo resoconto del grosso lavoro programmatico che abbiamo compiuto: un librone collettaneo che secondo mi rende molto l’idea degli obbiettivi e della struttura di questo progetto. Adesso collaboriamo a dei master’s degrees , oltre che a dei progetti elettronici per sviluppare dei corsi d’insegnamento on-line. 
Per avere più informazioni, basta consultare il sito di questa rete:
http://www.let.uu.nl/womens_studies/athena/news.html .

Per me è della massima importanza avere dei progetti europei concreti e di stampo molto strategico e politico. Considero questo tipo d’impegno il mio contributo specifico al progetto di costruzione di uno spazio europeo nel senso anti-eurocentrico del termine. Lavoriamo molto sia con l’est Europa che con i paesi mediterranei, compresi quelli dell’altra sponda. Insomma è un modo per cercare di attualizzare le idée che teorizzo altrove. 

Div:  Hai  recentemente pubblicato un nuovo libro 'Metamorphoses. Towards a Materialist Theory of Becoming,
Polity Press, Cambridge 2002.  Vuoi parlarcene?


R.B. Lo scopo di questo volume è quello di fornire un quadro sia analitico che normativo con cui decodificare, ed in qualche modo riconoscere, i cambiamenti che hanno avuto luogo in quello che io chiamo l'immaginario sociale: cioè nelle rappresentazioni di quei soggetti corporei che hanno ormai guadagnato ampia diffusione in posizioni sociali, culturali e politiche specifiche della tarda post-modernità.
Lavoro con una definizione della post-modernità che opera su due livelli: da un lato indica la specifica condizione storica delle società post-industriali, post-coloniali e post-comuniste alla svolta del millennio; dall'altro, segna anche un momento specificamente filosofico, che io leggo attraverso il lavoro dei filosofi post-strutturalisti, soprattutto Gilles Deleuze e Luce Irigaray.
Procedendo dalla tesi che ho difeso in Dissonanze , gli aspetti filosofici della condizione post-moderna sono uno dei punti focali di questo libro. Poggiando sia sulla teoria Foucoultiana della 'cartografia' che sulla nozione di 'diagramma' di Deleuze, argomento che dobbiamo cominciare a situare le nostre pratiche molto attentamente in una realtà in cui i punti tradizionali non tengono più. La crisi dei presupposti teorici della soggettività- e delle forme specifiche della rappresentanza etica e politica che essa comporta- ha generato in filosofia sia reazioni teoretiche negative e nichilistiche, che positive e affermative. Il mio interesse nel lavoro di Deleuze è dovuto precisamente alla forza con la quale la sua teoria del divenire attraversa quelli che considero i limiti nichilistici dell'immaginario sociale e culturale contemporaneo. Essa offre spunti significativi e innovativi circa il potenziale di trasformazione positiva che è contenuto nella nostra condizione attuale. Il concetto di 'sostenibilità' come ideale sociale normativo, ma anche come cornice teorica per una teoria del soggetto, è cruciale al mio argomento in favore del potenziale positivo delle metamorfosi in atto.
Procedendo dagli argomenti esposti in Soggetti nomadi , ho lavorato all'interno di una prospettiva di genere e preso in prestito una serie di nozioni cruciali dalla teoria femminista, che credo siano necessarie sia a completare che, in alcuni casi, a correggere l'asimmetria di genere della teoria Deleuziana del divenire. Ho dedicato un intero capitolo ai paradossi della teoria del divenire di Deleuze e al ruolo cruciale giocato in essa dalla differenza sessuale.
Dalla teoria femminista ho preso un numero di nozioni fondamentali:
i) la differenza sessuale come teoria asimmetrica delle relazioni di potere, sia nella sfera sociale che in quella simbolica;
ii) la politica del 'posizionamento', o, nella sua versione epistemologica: del 'sapere situato' come teoria radicale della attendibilità, della responsabilità. Lavoro in modo esaustivo con la dimensione temporale del posizionamento, nel senso della memoria e della genealogia, e con quella spaziale, intesa come nozione geo-politica;
iii) la forma specifica della corporeità o materialismo corporeo, elaborata dalle filosofe femministe post-strutturaliste quali Irigaray.

Come risultato, propongo una teoria di pratiche incarnate della soggettività, che cerco di leggere nel contesto sociale e storico di quest'epoca di crisi e trasformazione.
La mia argomentazione si concentra, quindi, sull'adeguatezza degli schemi di rappresentazione, che a sua volta ha a che fare con quelle che io chiamo 'diverse zone temporali'. Mi spiego meglio: sia che si prendano le bio-tecnologie o le tecnologie dell'informazione; la struttura della famiglia e della genitorialità; il ruolo sociale e simbolico delle donne e l'organizzazione della sessualità; il ruolo dello stato-nazione e della globalizzazione; lo sradicamento e la condizione dei senza tetto come attuali posizionionamenti del soggetto: in ognuna di queste problematiche sociali e teoretiche è chiara la drastica diminuzione di rappresentazioni adeguate. 
Argomento che ogni abitante del mondo urbano post-industriale abbia già intrapreso cambiamenti e trasformazioni. Viviamo già e gestiamo l' insicurezza delle nostre vite in modi che non sono adeguatamente rappresentati negli schemi teoretici che ci sono forniti dalla teoria sociale e politica. Si è verificato una sorta di effetto jet-leg, laddove viviamo in modi che non riusciamo a rappresentare a noi stessi in alcun senso positivo: è come se intraprendessimo la trasformazione contro la nostra volontà, o con un senso di ambivalenza strutturale.
Senza indagare troppo a fondo gli aspetti psicologici di questa ambivalenza, voglio anche cercare di non muovermi troppo nella direzione di un eccessivo pragmatismo, che accetti lo status quo con fatalistica rassegnazione. Vorrei piuttosto trovare una terza via tra queste due possibilità. Che il cambiamento sia l'unica costante in questo momento storico non è, e secondo me non deve essere, un ostacolo al processo di rappresentazione teorica e alla ricerca di possibili spazi di intervento.
Per dimostrare la mia teoria, mi confronto a diversi livelli con la nozione di 'materialismo' e con ciò che considero come i suoi paradossi alla fine di questo millennio: è infatti una nozione che si riferisce tanto alle forze che ai limiti della 'realtà'. L'impatto della nozione psicoanalitica dell'immaginario non può essere sottovalutata e necessita di essere affrontata criticamente.
In quella che potrebbe essere letta come una variante del tema della supremazia dell'esperienza vissuta sulla rappresentazione teorica, ma che va oltre e sfocia in una teoria autonoma del divenire, mi preme argomentare che soffriamo di una vera e propria miseria immaginifica, vale a dire di una mancanza di creatività concettuale. La povertà del pensiero, su questo livello, contrasta con la ricchezza e la creatività della scienza contemporanea, della tecnologia e anche delle possibilità variegate di stili di vita che esse hanno introdotto. In un'epoca in cui le macchine sono così attive e gli umani così inerti (per citare Donna Haraway), parlerei di uno slittamento di paradigmi che sta prendendo piede nelle posizioni del soggetto che sono socialmente imposte, e nell'assenza di uno schema concettuale adeguato di rappresentazione, che farebbe giustizia alla loro complessità.

Con l'aiuto della teoria radicalmente immanente, che rileggo e correggo alla luce della mia teoria nomadica della differenza sessuale, cerco di delineare alcune delle metamorfosi sociali e simboliche che stanno accadendo in diversi luoghi della cultura urbana post-industriale. Fornisco anche una cornice in cui gli aspetti più positivi e creativi di questa cultura possono essere valorizzati. Questo significa che il presente volume, che è uno dei più intensamente filosofici che ho scritto, ha anche un aspetto distintamente marcato dai 'cultural studies'.
In conclusione: l'effetto jet-leg tra i cambiamenti che molti soggetti sociali incarnano già (e la teoria di Deleuze del 'divenire-minoritario' può aiutare a categorizzarli sia concettualmente che politicamente) e la povertà di rappresentazione che li concernono, è il problema fondamentale che voglio affrontare. Difendo l'importanza di nozioni quali: 'divenire'; 'soggettività nomadica'; 'mutamenti corporei' e 'soggetti sostenibili' , che costituiscono i miei punti di partenza. Propongo anche un investimento più generale nella creatività concettuale che dovrebbe andare oltre gli infingimenti del pensiero metaforico. Quello a cui aspiro è un'alleanza rinnovata tra concetti e affettività: teoria e passione, in una ricerca comune di rappresentazioni adeguate e materialmente contestualizzate ed incarnate dei soggetti-in-divenire che noi siamo già. Se, come credo, queste metamorfosi dichiarano la fine della metafisica del soggetto, la domanda successiva, allora, diventa: la filosofia è all'altezza della sfida?

Div: Quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?
R.B. Sto attraversando una fase di grande sviluppo, forse perché sto arrivando alla soglia fatidica dei cinquant’ani e ho l’impressione di dover accelerare i ritmi di produzione. A questo proposito e’in arrivo un vero tentativo di scrittura autobiografica, ma di stampo 'nomadico', naturalmente. Si tratta di in un libro che uscirà nel febbraio del 2003 presso Giunti: una specie di autobiografia di gruppo scritta con tre care amiche – credo che sarà una specie di testamento spirituale, oltre che politico ed affettivo. Per me e’un traguardo importante non solo perché parlo in maniera assai aperta degli avvenimenti chiave della mia vita, come l’emigrazione, ma anche anche perché discuto apertamente di sessualità. Inoltre sono fiera di essere riuscita a scriverlo di getto in italiano, cosa non facile per me. Attendo con ansia la sua apparizione.
Sul fronte più teorico, mentre Feltrinelli sta traducendo, appunto, io sto completando la seconda parte di questo lavoro, che rappresenta un vero approfondimento delle mie teorie sul nomadismo. Spero di finire tutto questo entro l’autunno prossimo, per poi poter entrare in una nuova fase, se possibile più rilassata. 

 

Mary Nicotra

 

 

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Rosi Braidotti, Roberta Mazzanti, Serena Sapegno e Annamaria Tagliavini : Baby Boomers. Vite parallele dagli anni cinquanta ai cinquant’anni. , Giunti, Firenze, in stampa.

 




 

Mary Nicotra

 








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